La parola Ātman (devanāgarī
आत्म ) o Atta (Pāli) si
riferisce a un "Io" o "Sé". Viene anche tradotta
come "anima" o "ego". Le parole ātman e
atta derivano dalla radice Indo-Europea *ēt-men (respiro) e
sono parenti dell'inglese antico æthm, del tedesco Atem,
e del greco atmo
Primi significati del termine
Per quanto riguarda il significato più
generale del termine, vedi la voce Ātman.
Tale termine compare per la prima nel
Ṛgveda, la più antica raccolta degli inni vedici (XX-XV
secolo a.C.) dove indica che l'essenza, il soffio vitale, di ogni
cosa è identificabile nel Sole (Sūrya):
(SA)
«citraṃ devānām ud agād
anīkaṃ cakṣur mitrasya varuṇasyāgneḥ āprā dyāvāpṛthivī
antarikṣaṃ sūrya ātmā jagatas tasthuṣaś ca»
|
(IT)
«Si è alzato il volto
luminoso degli Dei, l'occhio di Mitra, di Varuṇa, di Agni, ha
colmato il cielo la terra e l'aria: il Sole (Sūrya) è il
soffio vitale di ciò che è animato e di ciò che non è animato»
|
(Ṛgveda I, 115,1) |
Esso trae il significato da varie
radici an (respirare), at (andare) va
(soffiare).
Nel Śatapatha Brāhmaṇa, uno
dei commentari in prosa dei Veda probabilmente composti in un
periodo compreso tra il X secolo l'VIII secolo a.C., questa
descrizione come "essenza" e "soffio che dà la vita"
propria del Ṛgveda viene interpretata come una unità,
trascendente ed immanente al tempo stesso, di tutta la Realtà
cosmica e in questo senso un analogo del Brahman, la formula
sacrificale che genera e mantiene il Cosmo.
Le successive riflessioni degli
Āraṇyaka, con l'importanza data alla «coscienza di Sé»
(prajñātman), e poi delle Upaniṣad, intorno
all'VII-IV secolo a.C., iniziano a delineare l'ātman come Sé
individuale distinto eppure inscindibile dal Sé universale
(Brahman).
Anche se il buddhismo è fondato sulla
teoria del "non sé" Anatta, alcuni insegnamenti della
scuola Mahāyāna sostengono l'esistenza di una realtà ultima di un
atman [Sé], che viene identificato con l'essenziale, la natura
ultima della mente (Dalai Lama). Questa dottrina è conosciuta anche
come Tathagatagarbha.
La definizione di atman nel buddismo
Candrakirti contestualizza così
l'Atman : "Atman è l'essenza delle cose che non
dipendono da altri fenomeni, ma che possiedono una natura intrinseca
non condizionata". La non esistenza di questo è Anatta -
Mancanza di un sé permanente. La dottrina dell'Atman nei Vedanta e
la teoria del Dharma nel buddismo, si escludono a vicenda. Il Vedanta
tenta di stabilire un Atman come base di tutto, mentre il buddismo
afferma che tutto nel mondo empirico è solo un flusso di Dharma che
passano (processi impersonali ed evanescenti), che devono quindi
essere definiti Anatta, cioè, senza un sé persistente, senza
un'esistenza indipendente. Il significato della parola Attan
(nominativo: Atta, sanscrito: atman, nominativo: atma) si divide in
due gruppi: nell'uso quotidiano, Attan ("Sé") serve per
denotare la propria persona, e ha la funzione di un pronome
riflessivo. Questo utilizzo è, per esempio, illustrato nel capitolo
12 del Dhammapada. Come termine filosofico, Attan indica l'anima
individuale come ipotizzato dai giainisti e altre scuole
contemporanee, ma - al contrario - respinta dai buddisti. Questa
anima individuale rappresenterebbe una monade spirituale immutabile,
perfetta e beato per natura, anche se le sue qualità possono essere
temporaneamente oscurate, a causa della sua caduta nel mondo
materiale. Quindi il termine "sé" (atman) designa
qualsiasi entità individuale, eterna e immutabile, in altre parole,
ciò che la metafisica occidentale chiama "sostanza":
"Qualcosa che esiste grazie a se stessa, non attraverso
qualcosa d'altro, né è collegata a, o inerente a, qualcosa
d'altro". Nell'uso filosofico buddhista, Attan è, quindi,
qualsiasi entità di cui si può erroneamente supporre che esista
indipendentemente da tutto il resto, e che esista in base
esclusivamente alle proprie forze.
La definizione di Anatta
Anattan (nominativo: anatta) è
un sostantivo (sanscrito: Anatman) e significa "non-sé",
nel senso di un ente che non è indipendente. Anatman significa "ciò
che non è Anima (Sé o Spirito)," anche le scritture
brahmaniche (fonti sanscrite) lo usano in questo senso. Il suo
utilizzo frequente nel buddismo si spiega con la preferenza per le
definizioni in negativo. Frasi come rupam anatta devono
pertanto essere tradotti "gli aggregati del corpo sono un
non-sé" o "non sono un'entità indipendente."
La parola anatta è quindi qui tradotta con "non ha il
carattere di un sé, non è indipendente, è priva di un sé
(persistente), è priva di una sostanza (eterna)", ecc. Ciò è
particolarmente evidente nel caso della parola anatta, che può
essere sia un singolare sia un sostantivo plurale. Nella ben nota
frase sabbe sankhara anicca - sabbe sankhara dukkha
- sabbe dhamma anatta, "tutti i fattori dell'esistenza
condizionata sono transitori, soggetti al dolore, tutti i fattori -
condizionati e non condizionati (Nirvana incluso) - sono privi di un
sé" si afferma che un Sé permanente non esiste, ne' nel mondo
condizionato (che cade sotto i nostri sensi), ma nemmeno tra i dhamma
non condizionati che non hanno avuto inizio e sono "senza
morte". Perciò è detto: Ci sono tre insegnanti
in tutto il mondo. Il primo Maestro insegna l'esistenza di un ego
eterno che supera la morte: questo è l'Eternalismo, come ad
esempio insegna il cristianesimo o l'induismo. Il secondo Maestro
insegna che esiste un'entità temporanea che viene annientata con la
morte: questa è la tesi materialista. Il terzo Maestro insegna che
non esiste né un Sé eterno, né uno temporaneo: questo è il
Buddha. Il Buddha insegna che, ciò che noi chiamiamo ego, il sé,
l'anima, la personalità ecc., sono termini puramente convenzionali
che non fanno riferimento ad alcuna reale entità indipendente. E
insegna che dobbiamo individuare questo processo psicofisico di cui è
sostanziata l'esistenza e notare come cambia in continuazione. Questa
teoria della non esistenza di un "Io impermanente"
costituisce l'essenza della dottrina del Buddha.
Tutto è in fiamme
Una volta che un certo Monaco avvicinò il Beato, gli chiese: "Venerabile Signore, cosa si dovrebbe conoscere e sperimentare, per abbandonare una visione errata, per eliminare ogni falsa idea di un Sé permanente, per superare tutti i processi creati dall'Io? - Bhikkhu, quando si conosce e si sperimenta che ogni contatto visivo dell'occhio con le forme è impermanente, che le sensazioni che sorgono dal contatto visivo sono impermanenti, si capisce l'idea che "Questo è mio", "Questo sono io" deve essere superata, eliminata e abbandonata completamente... Nel "Sutta del fuoco" il Buddha spiega estensivamente come l'intero apparato percettivo sia in fiamme: non solo l'occhio ma anche il suo oggetto, le forme e il processo di percezione con la conseguente sensazione causata dal contatto della forma con lo sguardo che la percepisceI diversi concetti di "Sé"
Mentre i sutta attaccano decisamente la
nozione di un Sé eterno e immutabile, "considerano una persona
illuminata come uno il cui Sé empirico è altamente
sviluppato." Chi possiede un grande sé ha una mente che non è
alla mercé degli stimoli esterni o dei suoi propri stati d'animo, ma
è intrisa di autocontrollo e di contenuto. La mente diventa senza
confini, non limitata da un'auto-identificazione fallace. Al culmine
del suo sentiero, l'Arahant, viene descritto come "uno che
possiede un sé sviluppato" (bhāvit-Atto), che ha
effettuato il processo di sviluppo personale e di fiducia in se
stesso, fino a giungere alla perfezione. Un Arahant è descritto come
"uno la cui mente è come un diamante":
- La virtù, la saggezza, e le facoltà meditative e spirituali sono ben sviluppate
- Il corpo è "sviluppato" e "costante"
- La Mente è "sviluppata", "salda", "ben liberata" e priva di volontà malvagie
- Di fronte agli oggetti dei sei sensi, è equanime, non si confonde, vede solo ciò che vede, e sente solo ciò che sente. Non fa proiezioni mentali e ha superato gli ostacoli come l'attaccamento, il desiderio, e l'avversione
- I sei sensi sono "controllati" e ben "custoditi";
- Esercita il pieno "auto-controllo" (atta-Danto) e possiede "un ben controllato sé" (attanā sudantena)
- È "Illimitato, grande, profondo, incommensurabile,
difficile da capire, un grande tesoro, sorto (come il) mare".
Il movimento Dhammakaya e i suoi insegnamenti in materia di non-sé
Nel corso degli ultimi decenni (almeno
dal 1939), si è sviluppata in Thailandia un movimento di monaci e
maestri di meditazione, chiamato "Dhammakaya". Il Movimento
Dhammakaya insegna che è erroneo sussumere sotto la voce anatta
(non-sé), il nirvana, che invece sarebbe il "vero sé" o
Dhammakaya. Questo insegnamento è sorprendentemente simile a
quello dei Tathagatagarbha sutra. Paul Williams spiega così
il punto di vista di questo movimento: il Dhammakaya sostiene che si
ottiene la realizzazione, quando la mente raggiunge il suo stato più
puro, in un incondizionato "Corpo del Dhamma" (Dhammakaya)
sotto forma di figura luminosa, radiosa e chiara, di un Buddha privo
di tutte le contaminazioni e situato all'interno del corpo del
meditante. Questo è il Nirvana o "vero Sé", che
corrisponde appunto al Dhammakaya. Il buddismo Theravada rifiuta
questo insegnamento e insiste sul non-sé come elemento universale. A
fronte di questo, Phra Rajyanvisith del Movimento Dhammakaya (che non
si considera Mahayana, ma un Theravāda riformato) sostiene che solo
ciò che è composto è condizionato è non-sé - mentre il nirvana è
assoluto e non condizionato, quindi possiede un Sé non dipendente e
auto-consistente.
La visione dell'Atman nel buddhismo Mahayana
Nel buddhismo Mahāyāna, esiste una
classe importante di sutra, generalmente conosciuta come Natura del
Buddha (Tathagatagarbha), alcuni dei quali affermano che, in
contrapposizione all'impermanente sé mondano dei cinque skandha (le
componenti fisiche e mentali del nostro sé), esiste un sé eterno,
vero, che non è altro che il Buddha stesso, nella sua natura ultima
nirvanica. Questo è il "vero sé", presente in ogni
essere, la personalità ideale, raggiungibile da tutti gli esseri a
causa della loro potenzialità innata di liberarsi dai
condizionamenti mondani. La natura del Buddha non rappresenta un sé
sostanziale (atman), ma piuttosto rappresenta la potenzialità
di realizzare la buddhità attraverso pratiche corrette. L'intenzione
degli insegnamenti del Buddha è soteriologica, piuttosto che
teorica.
Prima del periodo Tathagatagarbha,
Mahāyāna la metafisica era stata dominata dagli insegnamenti
sulla vacuità. Il linguaggio usato da questo approccio è
principalmente negativa, e il modello Tathagatagarbha dei sutra può
essere visto come un tentativo di utilizzare un linguaggio
affermativo, per evitare che le persone venissero scoraggiate da una
falsa impressione di nichilismo buddhista. Il maestro buddista zen,
Sekkei Harada, parla di un vero Sé nelle sue spiegazioni del
buddhismo Zen. Questo vero Sé si trova quando si "dimentica
l'ego". La dottrina del "non-io" in realtà significa
risveglio di un sé che è senza limiti: "Non-sé significa
risvegliare un Sé che è così vasto e senza limiti che non può
essere visto." Harada conclude le sue riflessioni sul
buddhismo Zen, parlando della necessità di un incontro con il Vero
Sé: ... nella nostra vita c'è solo una persona che dovete
incontrare, quella persona è il Sé essenziale, il vero Sé. Finché
non si soddisfa questo Sé, sarà impossibile trovare vera
soddisfazione nel cuore... Nel Mahaparinirvana Sūtra
Mahāyāna, il Buddha è raffigurato mentre dichiara che tutti gli
esseri partecipano alla natura del Buddha. Tutti gli esseri
senzienti avranno nei secoli futuri l'illuminazione più perfetta,
vale a dire, la natura del Budda. Per tali ragioni, ho sempre
proclamato che tutti gli esseri senzienti hanno la natura di Buddha.
Alcuni sutra buddisti e tantra Mahāyāna
parlano affermativamente del sé. Per esempio, il Sutra
Mahabheriharaka e il Srimala Sūtra dichiara in modo
inequivocabile: "Quando gli esseri senzienti hanno fede nel
Tathagata [Buddha] ...hanno la giusta visione. Perché così? Perché
il Dharmakaya [natura ultima] del Tathagata ha la perfezione della
permanenza, la perfezione del piacere, la perfezione del sé, la
perfezione della purezza". Un primo tantra buddista, il
Guhyasamaja Tantra, dichiara: "Il puro Sé, adorno di
tutti gli ornamenti, brilla di una luce di diamante ardente ..."[27]
Secondo la teoria Mahāyāna, il vero sé del Buddha è infatti puro, vero e beato, e raggiungibile da chiunque sia nello stato di Mahaparinirvana. Inoltre, l'essenza di quel Buddha - il Buddha-dhatu "principio di Buddhità"), è presente in tutti gli esseri senzienti e viene descritto come "raggiante e luminoso". QuestoBuddha-dhatu è detto nel ]]Sutra del Nirvana]] - "increato, immutabile, l'essenza immortale di tutti gli esseri (svabhava), che non può mai essere danneggiata o distrutta"..
Il XIV Dalai Lama e "la Persona sottile"
Nel 2005, commentando il Libro
tibetano dei morti, un testo del Tantra Yoga, il XIV Dalai Lama
ha spiegato come questo Tantra individua sia una persona temporanea,
sia un "Persona sottile", che lo collega con la
Natura del Buddha. "Quando guardiamo l'interdipendenza
dei componenti mentali e fisici, dal punto di vista del Tantra Yoga,
emergono due concetti di persona. Uno è la persona "temporanea
o autonoma", che è così come si esplicita nell'attimo, basata
sul corpo grossolano o fisico e sulla mente condizionata - allo
stesso tempo - c'è una Persona sottile o autonoma che dipende invece
dal corpo sottile e dalla mente sottile. Questo corpo sottile e la
mente sottile, sono visti come una sola entità che ha due aspetti.
L'aspetto che ha la qualità della consapevolezza, in grado di
riflettere - e quello che ha il potere della conoscenza. Questi due
aspetti congiunti formano la mente sottile. Contemporaneamente si
manifesta l'energia, la forza che spinge la mente verso il suo
oggetto - questo è il corpo sottile o vento sottile. Queste due
qualità inestricabilmente congiunte sono considerate, nel Tantra
Yoga, come la natura ultima di una persona e sono identificate con la
natura del Buddha, la natura essenziale o reale della mente."
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