venerdì 19 aprile 2019

Le caratteristiche della pratica dello Shitò-ryu

La molteplicità dei kata


Vi sono dunque da quaranta a cinquanta kata nella scuola Shitò-ryù contemporanea; alcune correnti ne contano anche più di sessanta. E' un vantaggio o uno svantaggio? È certamente un vantaggio, in funzione della possibilità di fare confronti di forma e di significato all'interno della gestualità dei kata di karaté, che costituisce una particolare grammatica di segni del corpo. Per un lavoro di ricerca, è utile e allo stesso tempo indispensabile avere un repertorio sufficiente di sequenze gestuali per decodificare, a partire da una messa in relazione, i l senso nascosto dei kata. Questo repertorio
facilita anche l'esame critico dei kata che vengono praticati, e la riflessione sul modo di trasmissione dei kata.
Tuttavia, un numero elevato di kata non significa obbligatoriamente una superiorità quanto alla pratica dell'arte. Un insieme di dodici kata, come nella scuola Gòjù-ryù, è ampiamente sufficiente per assicurare la perpetuazione di una scuola. Padroneggiare questi dodici kata e approfondirli è molto difficile, e ben pochi vi arrivano. In tutte le scuole di karaté, in generale, ogni adepto concentra, seguendo un ciclo che può andare da qualche mese a parecchi anni, i propri sforzi su un certo kata che ha scelto per approfondirlo particolarmente. Fino all'inizio del secolo, ben pochi
maestri conoscevano più d i tre o quattro kata; ogni kata dava luogo a un lavoro profondo e reiterato. Come può, oggigiorno, un adepto ordinario conoscere dieci volte più kata e, al tempo stesso, ricercare la qualità? È innegabile che esiste i l rischio di perdersi nella quantità e di restare a un livello superficiale.
Benché K. Mabuni si sia riallacciato, per un certo tempo, alla scuola Gòjù-ryù fondata dal suo collega Miyagi, quando osserviamo oggi il modo di praticare è molto netta la differenza tra le due scuole Gòjù-ryù e Shitò-ryù. Un esperto qualificato nel karaté non può mancare di constatare una differenza nell'esecuzione di uno stesso kata del loro comune repertorio.
A mio avviso, i gesti del kata dello Shitò-ryù sono più eleganti, più scorrevoli, ma manca loro qualcosa di essenziale in rapporto al Gòjùryù; è come u n formaggio non stagionato, di aspetto forse più pulito, ma al quale manchi la parte cremosa. Durante l'esercizio di un kata, gli adepti della scuola Gòjù-ryù cercano di acquisire una specie di viscosità o d i elasticità con ogni movimento tecnico. Essi chiamano muchimi la sottigliezza di questi movimenti delicati, che è la fonte dell'efficacia tecnica. Diventare capaci di esprimere i l muchimi in ogni gesto è il principale obiettivo dell'allenamento per gli adepti della scuola Gòjù-ryù. L'allenamento fatto a questo scopo non è per loro compatibile con la pratica di un gran numero di kata. La differenza fondamentale tra i kata di queste due scuole consiste nella nozione pratica di muchimi.
Queste particolarità dello Shitò-ryù, possono spiegarsi con la difficoltà di integrare due tendenze tanto divergenti come quelle di Higaonna e di Itosu. Un primo ragionamento ci porta a pensare che, fondendo i contributi di due maesti, i migliori della loro epoca, sia possibile pervenire a una grande maestria. Questo sarebbe vero se la differenza tra questi due maestri consistesse nel repertorio delle tecniche, ma essa verte sulla concezione del corpo. E, anche se si comprendono queste due concezioni del corpo, non è facile far coabitare in uno stesso corpo queste due maniere di sentire e di agire. È altrettanto difficile quanto, per una persona, avere spontaneamente due andature differenti.
Quindi, nello Shitò-ryù, è l'andatura derivata da Itosu che ha predominato.
Le due eredità sono presenti, ma i kata comuni al Gòjù-ryù sono eseguiti alla maniera di Itosu; quindi la qualità del Naha-te non è vissuta come tale. E ciò che spesso succede quando si cerca di mescolare il karaté con l'arte cinese del combattimento, procedendo per accostamenti. Per esempio, quando un karateka pratica il tai ji quan, rischia di far semplicemente dei movimenti di karaté rallentati. E quando un adepto di taiji quan pratica il karaté, ha spesso difficoltà a realizzare la sensazione del kime. La complementarità non può essere effettiva, e condurre a un arricchimento,
se non si parte da ciò che genera i movimenti e dà loro un senso, vale a dire la concezione del corpo, e se vi è convergenza a questo livello. L'arte del combattimento non può essere sviluppata a partire da un mosaico di movimenti; il corpo umano, che è vivo, manifesta le proprie resistenze. Così, la scuola Shitò-ryù trova la sua unità nella predominanza della discendenza da Itosu. Significativo è il fatto che uno dei discepoli di Mabuni, R. Sakagami, abbia chiamato la propria scuola Itosu-ryù, sebbene pratichi l'insieme dell'eredità dello Shitò-ryù, che include i dodici kata del Gòjù-ryù.

La tecnica
La tecnica della scuola Shitò-ryù è contrassegnata dalla sottigliezza. In confronto ad altre, può mancare talvolta dell'espressione di potenza, ma la compensa ampiamente con la velocità e la sottigliezza tecnica. Gli adepti di questa scuola eccellono spesso nelle tecniche che si basano sulla mobilità del bacino, gli spostamenti del corpo e le tecniche di deviazione degli attacchi. Durante gli incontri universitari, le correnti Shitò-ryù e Wadòryù ottenevano spesso i migliori risultati. L'abilità tecnica dello Shitò-ryù è a volte qualificata come superficiale dagli adepti dello Shòtòkan, che cercano l'efficacia con posizioni più basse.

giovedì 18 aprile 2019

L'AGONISMO: UNA MOTIVAZIONE PER PRATICARE LE ARTI MARZIALI


"II conflitto puro
non ha regole, la
competizione gliele da.
La pratica marziale pura
è la sopravvivenza,
mentre la competizione,
in tutte le sue forme,
è... giocare alla
sopravvivenza."

II gioco della sopravvivenza
Quando si sta passando una gradevole serata in compagnia di amici con i quali si condivide la passione per le Arti Marziali, ci sono argomenti che sarebbe meglio non toccare, perché tante volte distruggono la meravigliosa fraternità che unisce il gruppo ed emarginano quelli che, sapendo poco o nulla del mondo del Budo, si zittiscono, mentre guardano annoiati l'orologio. Questo è il caso di una semplice discussione sull'agonismo.
Il judoka farà vedere i suoi muscoli e adotterà un atteggiamento minatorio per fare prevalere il suo punto di vista, i karateka discuteranno tra di loro sulla tradizione e l'efficacia, il praticante di Kung Fu guarderà con sorpresa il pugile, l'aikidoka sorriderà come quello che sa tutto, lo specialista in difesa personale riderà sarcasticamente...e infine, l'unica cosa in chiaro sarà che "l'agonismo è solo sport", oppure che "l'agonismo danneggia le Arti Marziali" o forse che "l'agonismo è un eccellente sostituto del combattimento reale" e molto altro ancora, come facilmente potrete immaginare.
Sembra che la confusione si sia impadronita delle menti... nonché delle Federazioni e dei dojo. Ma, a ben guardare, oltre alla confusione sembra che ci sia un vero malessere, estremamente dannoso, perché legato principalmente alle decisioni fondamentali delle strutture dirigenziali e agli interessi che ognuna di esse ha riguardo la propria disciplina. Inoltre bisogna tenere conto anche delle pressioni che possono fare i diversi "interlocutori" coinvolti nell'argomento, come i mezzi di comunicazione, il pubblico, gli organizzatori, gli esordienti, gli ingenui, i praticanti, i giovani, i campioni e quelli che non lo sono e molti altri che forse dimentico. Si potrebbe riassumere il problema nel seguente modo: da una parte l'agonismo conta dell'appoggio dei mezzi di comunicazione, che ne fanno propaganda, ma che al contempo ne distruggono anche i valori, rendendoli tecnicamente decadenti, fantasiosi ed elitari.
L'agonismo è dappertutto, persino dove non dovrebbe essere e quando non c'è, sembra che manchi qualcosa. Per alcuni è la cosa peggiore a cui può arrivare un praticante di Arti Marziali e per altri è l'unica cosa che conta. Appena si parla dell'agonismo vengono fuori l'ipocrisia, la cecità, l'ignoranza o la menzogna. Nessuno sembra sapere quale posizione adottare, nessuna struttura sembra poter sfuggire al dilemma fondamentale: agonismo, sì o no? Da parte nostra ci sentiamo in obbligo di informare lo speranzoso lettore che, sfortunatamente, non abbiamo nessuna risposta definitiva per questo problema. Ma forse possiamo contribuire ad aprire un dibattito per sapere cosa vi sia in gioco e di che cosa si tratti. Chi lo sa? Forse un lavoro organizzato potrà chiarire un po' l'argomento di cui ci occupiamo. Ma... che cos'è l'agonismo nella pratica rnarziale?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe prima porsela al contrario, cominciando dal chiedersi cosa sia la pratica marziale e in che modo "la pratica dell'agonismo" si differenzi da essa. Se consideriamo che l'allenamento marziale consiste prima di tutto nel dare a qualcuno i mezzi per potere competere con altri in un conflitto ed ottenere la vittoria, la differenza non è tanto evidente.
Dopo tutto, anche in un torneo si scontrano due uomini che mirano a vincere, impegnandosi seriamente nella lotta. Qualsiasi competizione è in fondo una lotta, un confronto nel quale c'è un vincitore e tanti vinti.
Dunque, si potrebbe dire che, per quanto riguarda la motivazione, l'agonismo non ha alcuna differenza con la pratica marziale.
Ma qui sorge un problema evidente: mentre nella pratica marziale vera e propria uno mette a repentaglio la propria vita, la morte non sembra, in principio, far parte di una competizione.
Le città greche si massacravano per anni e anni, per poi radunarsi ogni quattro a Delfi o ad Olimpia e continuare a giocare alla guerra, sublimandola nei Giochi olimpici, dove la morte era tenuta lontana. Ma anche di questo non ne siamo tanto sicuri.
Il pugilato antico, con le mani avvolte dal cuoio o addirittura dal piombo, pose fine a tante carriere.
Come ha fatto anche la Boxe agli inizi di questo secolo. D'altra parte, i duelli, così comuni sia nella nostra storia che in quella del Giappone, con la loro rigorosa etichetta ed il loro codice dell'onore, durante i quali si metteva a rischio la vita, sembrano più vicini all'idea della competizione che a quella dell'azione sul campo di battaglia, dove conta solo la sopravvivenza. Ma, allora, cos'è veramente la competizione? Dato che il fatto di rischiare la vita non risulta sufficientemente esplicativo, come abbiamo riscontrato negli esempi precedenti, bisognerà trovare un altro filo conduttore, un altro punto di partenza: il codice.
Il conflitto puro non ha regole, la competizione gliele da. Nella guerra tutto è permesso pur di sconfiggere il nemico, in un duello no. Nel pugilato si può fortuitamente danneggiare il cranio dell'avversario, ma non è permesso mordergli l'orecchio. Le regole della competizione stabiliscono come ci si deve comportare durante lo scontro. La competizione rende possibile lo scontro tra la specie animale dall'indole più aggressiva e combattiva del pianeta: l'uomo. E' curioso, quanto preoccupante, è il fatto che sembra che il sapere chi sia il più forte costituisca la principale occupazione della suddetta specie. Sopravvivere è un'altra cosa. Vincere gli altri può assumere diversi aspetti nel gran gioco della competizione, della morte simulata dell'avversario, del combattimento nella palestra. Si potrebbe dire che la pratica marziale pura sia la sopravvivenza, mentre la competizione, in tutte le sue forme, sia...giocare alla sopravvivenza. Un gioco semplice e con tante forme, con regole completamente diverse a seconda che si tratti di Kung Fu o di scacchi, di giochi di carte.
Ma in fondo parliamo dello stesso gioco, il Grande Gioco della nostra specie. E cosa cambia? Chiederanno alcuni. Tutto! Lo scopo si è leggermente spostato. Perché quando si gioca a qualcosa il problema non è più quello della sopravvivenza, ma quello della vittoria sull'avversario rispettando determinate regole o addirittura eludendole, se fosse necessario, come dimostrano numerosi episodi. Di fatto, potremmo dire che sia la difesa personale che la pratica agonistica utilizzano la pratica marziale in modo tale che essa non abbia più importanza. Perché tutto vale per chi vuole sopravvivere, come tutto vale per chi vuole vincere. Il modo, il mezzo utilizzato in entrambi i casi, non ha nessuna importanza in sé stesso. Così accade anche con la competizione. Essa non dimostra niente, l'atleta non cerca di convincere, ma di vincere, ovvero cerca di superare passare le diverse tappe per arrivare invitto alla fine. Questo è lo scopo, la sfida. Se per riuscirci bisogna approfittare delle possibili lacune dei regolamenti o utilizzare qualche piccolo trucco che permetta di ottenere un minimo vantaggio, lo si farà. Il fine è passare le tappe, nient'altro. Per fortuna ci sono ancora atleti che hanno la convinzione (o la debolezza) di pensare che una buona tecnica sia la miglior garanzia per arrivare alla finale. Fortunatamente!
Perché altri hanno già dimostrato chiaramente il contrario... La competizione ha un suo senso: "mi insegni le regole e saprò come passare le diverse tappe". Non si fa Judo da competizione, si compete dentro delle regole che stabiliscono che, per eliminare l'avversario, bisogna atterrarlo di spalle, costringerlo ad incappare nelle penalità o essere più attivo di lui. Questa è l'idea di ciò che bisogna tentare di fare se si è un bravo atleta. Nonostante possa sembrare triste o limitato, è soltanto un proposito.
L'essenziale è non confondere la disciplina, che costituisce le fondamenta di questo proposito, con il principio della competizione. L'automobilismo e il Karaté sono ben diversi, ma si può arrivare ad essere campione in uno o nell'altro con gli stessi principi. Competere utilizzando i movimenti tecnici delle discipline marziali può essere vantaggioso, ma confondere questa espressione sportiva con la disciplina è negativo. Tutti sanno (delle volte soltanto in modo intuitivo) che essere un bravo atleta di Judo o di Karaté non significa per forza essere un bravo praticante di queste discipline. Non bisogna scoraggiarsi per questo. Quando si pensa che il modo di competere non corrisponda ai principi dell'Arte Marziale che si pratica, non si vuole disprezzare la mediocrità degli atleti... basta cambiare le regole. La competizione non è un problema se viene considerata così come è, ovvero, un principio.
Così, può addirittura risultare particolarmente utile e istruttiva. Tuttavia, ogni disciplina deve definire i propri valori, i propri principi riguardo tutto ciò. In questo modo diventerà un elemento in più tra i tanti sui quali può contare il praticante per il suo progresso. Ma non bisogna dimenticare un piccolo dettaglio: questo principio -quello della competizione é uno dei più poderosi della natura umana. Definire un altro scopo, un'altra motivazione, un'altra dimensione, non è alla portata di qualsiasi disciplina.

mercoledì 17 aprile 2019

Il cerchio cinese della distruzione


Sia per allenare il corpo, eseguire una forma o difendersi da un avversario, l'anello di ferro si è ritagliato uno spazio permanente nella storia delle arti marziali cinesi.

I morbidi contorni di questa entità geometrica nè suggeriscono la sottigliezza, ma nascondono la completezza devastante dei suoi mistici poteri. La forma del cerchio costituisce per la sua totalità e unicità il simbolo del ciclo vitale in molte culture diverse. La sua semplice forma può essere ritrovata in disegni, utensili, architetture di tutto il mondo. Usiamo cerchi per contenere il cibo, Per l'immagazzinamento, per sostenere pesi, per il trasporto, ed anche per esprimere i nostri sentimenti, come nello scambio degli anelli nuziali. Non dimentichiamoci che quando guardiamo i nostri orologi stiamo simbolizzando il tempo stesso, manifestando tale cronologia astratta della vita in una forma circolare. Infatti, tutta la vita è una combinazione di elementi, a sua volta composta di molecole ancora più piccole che a loro volta contengono atomi al loro interno. Gli atomi come abbiamo imparato a scuola, sono circolari nella struttura che nella funzione.
E allora è corretto asserire che il cerchio raffigura la potenza e la continuità della vita stessa. Significa quindi che possiede una specie di poteri mistici o magici attivati dalla sua semplice forma ed esistenza? Forse... o forse no. Ma indubbiamente il cerchio contiene la sua stessa forza geometrica come una struttura. I primi boxeurs cinesi trovarono questa forza, ne svilupparono l'uso, armonizzavano le capacità e, la insegnarono ad un ristretto gruppo di dediti studenti in modo che, sotto forma di arma da combattimento, l'uso del mortale anello di ferro cinese non andò perso nel tempo.

Caratteristiche dell'anello di ferro
Come arma, l'anello di ferro cinesi offre molti vantaggi.
Contiene il potere invisibile del cerchio, il che significa che qualsiasi punto di impatto e di contatto è direttamente in relazione con tutti gli altri suoi punti.
Di conseguenza, la potenza è distribuita equamente su tutta la sua lunghezza, rendendolo ideale sia per bloccare un attacco che per colpire parti anatomiche deboli dell'avversario. Nel fermare un imminente attacco, l'anello esibisce tutta la sua capacità grazie alla sua struttura: assorbe la potenza, la ridistribuisce lungo l'intero perimetro rimanendo intatta e durevole, a differenza di un bastone diritto che ha nel suo centro il il proprio punto debole! L'anello funziona anche eccellentemente per parare un attacco e ridirezionare la forza stessa dell'attacco.
Grazie alla sua forma, gli oggetti che vengono a contatto con la sua superficie esterna possono essere facilmente deviati verso l'alto, verso il basso o lateralmente con un semplice movimento del polso. L'anello può anche essere usato per schiacciare, lacerare, male, strappare, spezzare o soffocare. L'anello di ferro cinese nelle mani di un praticante esperto può essere utilizzato sia difensivamente che offensivamente per proteggersi e con la possibilità di paralizzare, o anche uccidere, un aggressore.

Le forme
Molti stili adottarono un anello di legno o di ferro per il loro addestramento. Gli specialisti della tigre praticano con anelli di ferro che gli appesantiscono le braccia, quelli della gru li applicavano alle gambe per sviluppare forza e velocità nelle tecniche di calcio.
I praticanti della mantide usavano l'anello per sviluppare forza e flessibilità nell'avambraccio eseguendo movimenti circolari. Mentre i praticanti dello stile del serpente preparavano le braccia con gli anelli per forza, flessibilità e per la “capacità di cercare” necessaria a neutralizzare l'attacco e, simultaneamente, ad attaccare punti vitali.
L'addestramento con l'anello della scimmia è forse quello che esige di più ma anche il più ragguardevole, raggruppando tei tong, movimenti acrobatici e forme che mettono a dura prova la propria forza. In questi sistemi, l'anello di ferro è utilizzato per sviluppare il corpo nella stessa maniera in cui altre armi sono usate in tecniche di autodifesa, come bastone, la sciabola o la lancia.
Queste serie usano un anello leggermente più largo per incorporare avvitamenti, calci, manovre acrobatiche, ecc. L'intero corpo viene coinvolto con anelli che variano di circonferenza da un cesto per la pallacanestro ad un hula-hoop. Il peso può variare dai due ai 6 kg circa. Sia che venga usato per la preparazione del corpo, per eseguire una forma o come arma di combattimento, l'anello di ferro cinese è assolutamente unico.

Preparazione sulla forza
Quando impara ad usare l'anello di ferro, l'allievo pratica con anelli diversi a seconda di che obiettivi si prefigge di raggiungere. Per esempio, gli allievi che vogliono rinforzarsi le braccia e le gambe, usano gli anelli anche per sviluppare potenza e velocità. Loro dovranno usare anelli piccoli, che sono molto più pesanti. Vengono indossati su polsi e caviglie come normali pesi, e ne hanno virtualmente lo stesso effetto. Gli allievi che usano gli anelli per migliorare la loro forza nei bloccaggi, come i praticanti dello stile della tigre, del serpente e della mantide, necessitano di un anello che abbia un diametro pari almeno alla distanza tra polso e gomito. Questo lascia spazio per usare la parte interna del cerchio per la tensione isometrica durante l'esecuzione degli esercizi. I praticanti che usano l'anello di ferro per il combattimento, hanno bisogno della stessa o di una maggiore ampiezza, a seconda dello stile e delle tecniche impiegate. L'allenamento con anelli appesantiti per aumentare la propria forza muscolare non deve essere eseguito per più di tre volte alla settimana, per dare tempo alle cellule dei muscoli di rigenerarsi.

Flessibilità
La flessibilità con l'anello di ferro si sviluppa naturalmente con il suo semplice utilizzo durante i normali allenamenti. L'uso delle tecniche impiegate, combinate con le forme circolari di base, implica pressione sugli estensori da parte di un braccio e uso dei flessori da parte dell'altro. Questo mantiene tensione sull'anello, necessaria alla tecnica perché questa sia efficace, e allo stesso tempo tende il gruppo di muscoli opposto rafforzandolo. La continua flessione di questi muscoli sfoggia nella stimolazione dello sviluppo e rafforzamento dell'osso perché anche i tendini e i legamenti si muovono, e i loro punti di origine si trovano sulle ossa lunghe.
La regolaTale stimolazione può effettivamente anche aiutare il sistema immunitario naturale influenzando la produzione di globuli rossi e bianchi, e quindi rendendo il corpo più sano e con maggiori capacità di recupero. La combinazione di stretching e di rafforzamento diminuisce anche gli effetti dell'acido lattico sul tessuto, causa comune di dolori muscolari.

Difesa
Bloccare con l'anello di ferro è semplice come qualsiasi altra arma. Esso può essere tenuto nella posizione di guardia, in mano, nella parte interna del braccio o nella parte bassa posteriore così che l'aggressore non saprà con precisione da dove parta. Può anche essere tenuto di fronte all'addome con le due mani, pronto a bloccare calci o pugni. Tutti questi metodi sono egualmente veloci ed efficaci. Dipende tutto dalle preferenze personali così come dall'abilità di combattere con un'arma. Quando l'aggressore sferra pugno, l'anello viene ruotato verso l'alto con moto circolare per venire a contatto di aree specifiche e preventivamente studiate del braccio, del polso e della mano. Queste includono il gomito, le falangi e i nervi mediani, ulnari e radiali. Le arterie radiali ulnari possono anche essere lacerate e/o strappate via con l'anello o come risultato di una frammentazione dell'osso se la tecnica è precisa e ben eseguita. Per quanto riguarda i calci il praticante deve aumentare la forza del bloccaggio. Il moto circolare è lo stesso, così come il risultato. Nuovamente, aree specifiche sono fatte bersaglio delle tecniche di bloccaggio: nessun movimento va sprecato! Bloccaggi e attacchi si intercambiano repentinamente. Siccome l'anello va tenuto vicino al corpo, può essere stretto con più facilità, spingendo l'avversario a rompersi la gamba da solo semplicemente calciando la superficie dell'anello. L'anello è specialmente utile nel bloccare calci lunghi come quelli circolari, all' indietro, laterali e dal basso verso l'alto. La sua curvatura permette anche di grande mobilità, l'anello può superare con facilità e velocità la guardia dell'avversario e penetrare dentro il suo raggio d'attacco in un batter d'occhio.
O, in questo caso, nella frazione di secondo necessaria a bloccare un attacco.

Reindirizzo di un attacco
Come discusso in precedenza, l'anello può essere usato contro qualsiasi attacco che il praticante non voglia bloccare direttamente o intercettare. Questo può essere fatto per qualsiasi ragione ed è una tecnica efficace per salvaguardarsi aprendo allo stesso tempo la guardia dell'avversario o facendolo avvicinare in modo che il bersaglio sia raggiungibile più facilmente. L'anello può essere l'arma più efficace quando si vuol far cambiare direzione all'imminente attacco dell'aggressore grazie alla sua forma circolare. La potenza dell'aggressore semplicemente devia la sua traiettoria. Con un semplice movimento del polso, l'attacco manca completamente il bersaglio e la direzione voluta cambia traiettoria: può essere verso l'alto, verso il basso, all'esterno o all'interno, dipende dal bersaglio prefisso. La ridirezione di un attacco Spesso ne aumenta velocità e potenza, la tecnica effettivamente sbanda incontrollatamente in maniera più veloce e con più potenza di prima.
L'avversario si trova quindi in uno stato di momentanea confusione mentale e di sovraestensione fisica. E questo risulta essere una posizione alquanto scomoda per qualcuno che vi stava attaccando, una posizione da cui rischia di non muoversi più se l'anello si trova nelle mani giuste.

Intercettamento/Bloccaggio/ Rottura
In battaglia la regola è: Se una forza offensiva continua a sparare, localizzare la loro posizione, cogliere l'occasione per penetrare nella loro difesa e disarmarli. Le vostre manovre offensive avranno quindi un lato libero da dove colpire. Fondamentalmente, se il vostro aggressore scaglia un gancio sinistro e voi potete bloccarlo, allora colpito a vostra volta immediatamente. Se non lo fate, vi potrà colpire di nuovo. Dopodiché proverà ancora, è questo di forza a mantenere la vostra concentrazione sui suoi attacchi, discapito della vostra effettiva capacità di combattimento. Quindi, se potete bloccarlo, rompetelo! Allora potrete focalizzare la vostra attenzione su qualche altro aspetto del combattimento. L'anello di ferro è anche perfetto per bloccare e spezzare. Una ragione di questo il suo design unico. Se per esempio bloccate il polso, l'altra parte dell'anello è fermo sulle ossa lunghe dell'avambraccio. Cosa pensate che si spezzerà per prima quando si applica pressione a questa ingegnosa trave a sbalzo? Le ossa morbide del polso. Perché? Perché sono anatomicamente le più deboli se paragonate a quelle più grosse avvolte nei tendini e nei legamenti del radio e dell'ulna. Dalla rottura del polso basta uno schiocco del cerchio in avanti, si applica nuovamente pressione sulla parte opposta dell'anello, ed ecco che anche il gomito si spezza.
Questo braccio, con due movimenti repentini dell'anello, non farà più parte dell'arsenale del vostro avversario. Il praticante dell'anello di ferro trascorre molte ore ad allenarsi e bloccare gli attacchi, reindirizzando o divergendo la sua potenza principale è serrando l'articolazione più accessibile nella sfera d'azione dell'anello stesso.

Una devastante arma offensiva
I semplici bloccaggi circolari, le parate e gli attacchi dell'anello di ferro lo rendono un'arma formidabile contro qualsiasi aggressore. La fluidità del movimento e di tecnica permette di eseguire tecniche, bloccaggi, chiavi con incredibile accuratezza, potenza e velocità.
Uno sbarramento di pugni, calci, spazzate e di diverse posizioni può essere facilmente e prontamente incorporato nella lotta con l'anello. In uno scontro, l'anello diventa letteralmente parte del praticante e si mescola alle sue capacità combattive per trasformarsi in un turbine di bloccaggi, tecniche e avvitamenti. Questi attacchi sono mirati ad aree specifiche dell'avversario come il polso, gomito, gola, naso, occhi, orecchie, cranio e nervi dove le aree articolari sono più prominenti. Anche i punti che possono essere attivati con una tecnica precisa dell'anello perché la superficie ridotta d'attrito può rilasciare un'estensiva e dannosa potenza di penetrazione. Inoltre, anche le vibrazioni della tecnica viaggiano al contrario intorno all'anello, entrano in collisione e sono spinte all'indietro ancor più velocemente verso il corpo dell'opponente.

L'anello di ferro contro le armi
Grazie alla sua predisposizione all'intrappolamento, l'anello di ferro è anche eccezionale nella difesa contro altre armi. È ugualmente efficace contro coltelli, catene, lance o spade. Una gran parte di addestramento è richiesta per eseguire bloccaggi ed intrappolamenti con quanta velocità e potenza possibili. A questo scopo vengono usati anelli appesantiti per sviluppare la forza necessaria. L'aggiunta di pesi, combinata con il rallentamento delle tecniche, triplica effettivamente la velocità una volta che tali tecniche vengono usate. L'anello di ferro e usato per bloccare armi lunghe nello stesso modo in cui verrebbe utilizzato per fermare calci e pugni.
La superficie di impatto è evitata con un bloccaggio diretto per rallentare lo slancio del colpo. Questo viene reindirizzato per spingere l'aggressore ad una sovraestensione.
L'anello può quindi essere usato per colpirlo in un'area vitale, le mani o le braccia. Oppure per impegnare e bloccare l'arma, disarmando l'avversario.

Meditazione
L'anello di ferro può anche essere d'aiuto in molte forme di meditazione. Viene posizionato tra i palmi delle mani, con i gomiti tenuti in basso e all'interno, questa è una posizione che potreste osservare da qualcuno che pratica tali Tai Chi. Essa stimola lo sviluppo, il movimento e la coltivazione del chi attraverso i meridiani del corpo. Rinnova anche le scorte di energia per gli organi del corpo, ed è utile nell'insegnare come espellere il chi allo scopo di guarire, di rompere oggetti e per autodifesa.

Conclusioni
L'anello di ferro cinese può rivendicare con diritto il suo posto nella rastrelliera delle armi. È assolutamente unico perché il suo semplice design nasconde autentiche proprietà devastanti. L'addestramento al suo uso offre molti vantaggi a chi lo pratica, come sviluppo della forza muscolare, flessibilità, stimolazione del sistema immunitario e dello scorrimento naturale del suo
chi. L'anello di ferro cinese è anche un'arma di rilievo per l'autodifesa nelle imprevedibili strade delle città contemporanee.
È divertente fare allenamento, facile da imparare e rimarchevole da osservare. Ma principalmente, per l'avversario che lo deve affrontare, è l'autentico cerchio della devastazione.

martedì 16 aprile 2019

I netsuke


II kimono-, l'abito tradizionale giapponese, non aveva tasche; le donne riponevano gli oggetti personali nelle maniche; ma gli uomini tenevano pipe, tabacco, portamonete, accessori per la scrittura in contenitori (sagemono) attaccati a una cordicella che pendeva dalla cintura.
I fermagli della cordicella, in legno, avorio, metalli preziosi, madreperla, corallo, riccamente intarsiati,sono diventati nel corso di tre secoli piccole opere d'arte ambite dai collezionisti

Netsute (pronuncia netskeh) deriva dall'unione di due parole, come spesso accade nella lingua giapponese: ne, che significa radice e tsuke, che può essere tradotto come attaccare o appendere.
La traduzione più completa porta a oggetto ricavato da una radice per attaccarvi o appendervi un altro oggetto. Il netsuke nasce come oggetto d'utilità. Nei kimono giapponesi, sprovvisti dì tasche, non era possibile riporre i piccoli oggetti d'uso comune (medicine, sigilli, denaro ecc.), oggetti che dovevano essere portati in mano, inseriti nella cintura (obi) oppure posti nelle pieghe delle maniche dei kimono. Da qui l'utilizzo del netsuke come accessorio che, tramite una cordicella, fa da contrappeso, pendente lungo i fianchi, al contenitore (sogemono) dove si potevano riporre questi piccoli oggetti e che si voleva fissare passandolo sotto alla cintura. Per questa loro caratteristica vengono anche chiamati tensili, che significa posizione sospesa.
I primi netsuke fecero la loro comparsa nel XIV secolo; di forma semplice e di poco valore, per lo più ricavati da radici naturali o da materiale di scarto proveniente da altre lavorazioni. Ancora nel XVII secolo pochi artigiani producevano netsuke decorativi e, molto probabilmente, la spinta verso forme più ricercate fu data dalla classe dei mercanti, i quali incoraggiarono gli artigiani che li producevano (netsuke-shi) verso una maggiore ricercatezza delle forme, attivando una più o meno conscia rivalità con i samurai. In questo periodo, infatti, i samurai potevano esibire le loro eleganti spade (tanto che furono anche chiamate bijutsu token, ossia spada d'arte).
Poiché non esisteva alcuna proibizione nell'esibire i netsuke, ed essendo essi utili a tutte le classi sociali, i mercanti entrarono in concorrenza con i samurai nell'esibire netsuke sempre più raffinati, fino a trasformare il netsuke dopo la Restaurazione (1868) in oggetto da collezione (netsuke-okjmono), non più adatto all'uso quotidiano per la delicatezza delle sue incisioni e realizzato con materiali più pregiati come corallo, ambra, avorio, ecc.
Per questo motivo i più abili artigiani dì netsuke lavorarono in esclusiva per gruppi di samurai d'alto rango, o addirittura nel caso di Hojitsu, per uno shogun.
Nonoguchi Riuho è riconosciuto come primo scultore di netsuke professionista; alcuni assursero al titolo di hogen, quando anche a loro fu estesa (i primi furono gli scultori d'idoli buddisti) la possibilità di essere nominati Hoin, Hogen e Hokkyo, che corrispondevano rispettivamente al terzo, al quarto e al quinto rango di corte, e altrimenti più comunemente il titolo di Tenkaichi, che significa il primo sotto il cielo, È abbastanza comune trovare sui netsuke, prodotti dal XVIII secolo in poi, la firma dell'autore, ma rarissime sono le indicazioni relative all'anno di produzione. Questo è causa, a volte, di difficoltà nell'attribuire con sicurezza l'autore di un netsuke, poiché il nome che si trova solitamente si riferisce al nome professionale, nome che era tramandato di padre in figlio, e in mancanza d'eredi nella professione toccava all'allievo più vicino al maestro portare avanti il nome professionale, senza contare poi che un apprendista meritevole, dopo aver appreso l'arte da un artigiano, era autorizzato ad assumere un nome professionale composto di due caratteri: uno inerente al maestro e uno al proprio nome. Questo spiega la somiglianza di molti caratteri trovati sui netsuke.
Ricordando sempre lo scopo principale dei netsuke, in pratica assicurare un oggetto all'obi di chi lo porta, gli artisti hanno realizzato una varietà quasi infinita di soggetti e forme, nonostante i notevoli limiti costituiti dalla dimensione e dal peso che l'opera finita doveva avere. Spesso il netsuke aveva anche una propria funzione di utilità: destinato a contenere la cenere incandescente che veniva riutilizzata per accendere il tabacco nella pipa, l'ovatta di cotone imbevuta d'inchiostro già diluito per la scrittura, monete d'oro ecc. Forme più ricercate hanno dato origine a capolavori quali maschere ribaltabili, teste Daruma con occhi e lingue mobili, castagne con vermi, leoni con palle rotolanti in bocca ecc. I più grandi intagliatori hanno affrontato perfino problemi di bilanciamento, e in modo così abile che la parte anteriore o la faccia del netsuke, liberamente sospesa alla corda, è sempre girata verso l'esterno, opposta al corpo di chi lo indossa, in direzione del mondo che osserva. Poiché il loro scopo era in ogni caso quello di fornire il punto cui poter attaccare con sicurezza una corda che tratteneva un peso, i netsuke erano predisposti di un'apertura (la curvatura di un gomito, il manico di un secchio, la coda di un animale) attraverso la quale si potesse far passare la corda e annodarla. Altrimenti, e anche più spesso, erano intagliati due buchi (himotoshi) collegati fra loro all'interno del netsuke stesso, attraverso i quali si faceva scorrere la corda poi fissata con un nodo. Alcuni avevano un buco più largo dell'altro proprio per far scomparire il nodo all'interno.
Nella corda era inserito, tra l'accessorio portato e il netsuke, una specie di nottolino scorrevole munito di foro centrale (ojime), simile a quello che è utilizzato ai nostri giorni per serrare sacche e zaini. Solitamente le scatole erano fatte a scompartì incastrati uno dentro l'altro; l'ojime, spinto verso la scatola, manteneva in tensione la corda assicurando così la tenuta degli scomparti incastrati fra loro. L'insieme formato dal netsuke, dall'ojime e dal sogemono, può essere definito come una comoda tasca rimovibile. Per quanto riguarda i materiali più utilizzati sono stati indubbiamente il legno e l'avorio, ma non mancano materiali come pietre (agata, giada, quarzo e ossidiana), corallo, ambra, noccioli di frutta, guscio di noci, madreperla, carapace di tartaruga, metalli (comprese leghe), becco di tucano (apprezzato per la colorazione naturale: dall'arancio nella parte iniziale del becco, al giallo nella parte terminale) ecc. Molto apprezzati sono i netsuke realizzati con la combinazione di più materiali: avorio e corallo per le maschere, mentre animali e insetti sono stati realizzati in legno con occhi di metallo. Fra tutti i tipi di legno il più apprezzato, per la grana fine e la durezza che lo rende inattaccabile dal logorio, è il bosso (tsuge).
Per quanto riguarda l'avorio, il più utilizzato è stato senza dubbio quello d'elefante, importato dalla Cina del "sud per produrre sculture o plettri per strumenti; gli scarti erano apprezzati appunto per produrre netsuke. Da notare che in questo materiale è difficile trovare immagini di Budda, poiché essendo materiale d'origine animale non era giudicato idoneo per questo tipo di soggetto.
Per quanto riguarda i metalli i più utilizzati furono il ferro, leghe come l'ottone e il bronzo, argento e oro decorati. In ottone furono prodotti quei netsuke che servivano a contenere il tabacco appena fumato. Infatti, quando i fiammiferi non erano ancora stati inventati, per ottenere il fuoco erano usate pietre di silice, e poiché le pipe di quel periodo erano molto piccole, potevano contenere modiche quantità di tabacco, e la cenere incandescente era utilizzata per accendere la carica successiva di tabacco nella pipa. In seguito furono realizzati dei netsuke contenenti silice e una pietra dura che quando erano aperti producevano delle scintille che incendiavano l'esca.
Nonostante ciò, i netsuke realizzati in metallo non erano molto amati a causa del loro peso.
Un discorso a parte meritano i netsuke realizzati in ceramica. Attraenti, decorati con smalto, piacevoli al tatto, risultarono inadatti per la facilità di rottura a cui andavano incontro. Comunque artisti della lavorazione della ceramica ne produssero per hobby ed esemplari in questo materiale sono conservati da collezionisti. Furono anche prodotti netsuke paragonabili a moderni gadget. Infatti i mercanti fecero produrre dei netsuke, chiamati kanban, a forma di contenitore a uno scomparto, decorati in oro e argento con disegnate le insegne o le indicazioni per riconoscere i loro negozi, destinati a una clientela d'elite. In seguito, in particolare con 'introduzione della vendita di tabacco e accessori per il fumo, furono prodotti dei netsuke a forma d'astuccio atti a contenere tabacco, pipa e gli altri accessori (pietra focaia e acciarino) per fumatori, prodotti con materiali meno nobili e destinati a un pubblico più vasto.
Oggigiorno il netsuke è oggetto da collezione ed è quasi impossibile vederne indossati; solo incontrando qualche raro komuso (suonatore ambulante di flauto) vestito col tradizionale kimono è possibile vedere un netsuke pendente dall'obi.

lunedì 15 aprile 2019

Arti marziali italiane


Nel Medioevo la scrimia si presentava come un'arte completa e terribile, arricchita dai germogli delle leggi fisiche, principi, azioni e strategie che nei secoli a venire porteranno la scuola italiana ad affermarsi in tutto l'Occidente.

«Fiunt etiam in multis partìbus Italie quedam iuventum societates, quarum aliqua Falconum, aliqua Leonum, aliqua de Tabula Rotonda, sodetates nominatur... »
da un codice del Duecento

Dieci anni prima che Cristoforo Colombo con le sue caravelle sbarcasse sulle coste del Nuovo Mondo, un maestro italiano terminava di comporre De arte gladiatoria dimicandi, opera dedicata al duca Guidobaldo da Montefeltro, nella quale si proponeva di divulgare «...el modo e documento de assaltare lo avversario e repararsi e deffendersì da lui, ma etiam se insegna avvisi de togliere l'arme sue di mano. Per li quali documenti, spese fiate uno de poche forze e pìcolo sottomete, prosterne e sbate uno grande, robusto e valoroso, e cusì avviene anche uno umile avanza el, superbo e uno disarmato lo armato».
Nell'antica patria dello "schirm" Filippo Vadi (autore del De'Arte...), era uno degli innumerevoli magistrì che giravano l'Italia e l'Europa, diffondendo l'arte dello schermire e, come apprendiamo dalle sue parole, «volendo accrescere tal dottrina a dò che per mìa negligenza essa non perisca...»
A lui e ai tantissimi grandi maestri che nei secoli a veinire lasciarono testimonianza del loro lavoro dobbiamo la straordinaria possibilità di recuperare un patrimonio marziale di altissimo valore, ripercorrere la lunga strada a ritroso nel tempo per arrivare alle radici dell'ars dimicandi. Possiamo così conoscere qual era la figura del perfetto schermitore antico: un uomo abile tanto con la spada quanto con la daga, con l'azza come con la lancia, a mani nude così come con un bastone, capace di lottare e di difendersi in qualunque frangente.
La preparazione a tutto tondo era indispensabile, così come lo era la capacità di utilizzare armi improvvisate e ancora di più il corpo come arma a sé stante. Tanto che giustamente Francesco Nevati nel suo commento al famoso trattato Flos Duellatorum (composto nel 1409 da Fiore dei Liberi da Premariacco), definisce l'opera del grande magistro friulano come un manuale di soppravivenza, una guida illustrata nell'arte di difendersi e rispondere in qualunque contesto e con qualunque mezzo agli attacchi in armis e sine armis avversari.
Combattere con ogni sorta d'arma, lottare disarmati e in qualsiasi situazione era quindi pratica necessaria, essenziale e spietata di quei tempi, in cui proprio alla capacità di usare il corpo e le armi, vere o improvvisate, era legata la sopravvivenza stessa dell'individuo.
Nel Medioevo la scrimia si presentava dunque come un'arte completa e terribile, arricchita dai germogli di leggi fisiche, principi, azioni e strategie che nei secoli a venire porteranno la scuola italiana ad affermarsi in tutto l'Occidente.
L'analisi e la ricerca diretta agli affascinanti aspetti tecnici dell'arte italiana attraverso il suo percorso storico rivela quanto le scienze positiviste influirono sulla dottrina dell'atto.
Fisica, geometria, meccanica erano parte fondamentale della theorica, tanto che il Vadi rima: «Do geometria lo scrìmir se nasce, è sottoposto a lei e non ha fine l'uno e l'altro infinito fasse».
Gli aspetti cognitivi e oggettivi dello schermire ci rimandano la visione di un'arte fisica, esteriore. Così la scrimia - potrebbe "ridursi" o sembrare la pratica concreta ed essenziale del gesto tecnico, rinchiusa nelle sue leggi di rigido calcolo geometrico.
Si potrebbe trovarne conferma tra i molti autori che l'arte seppe produrre, o lasciare alle parole di un grande genio del rinascimento, Leonardo da Vinci, la sintesi grafica di tutto l'agire marziale dei nostri avi. Il suo «Ciò che è essenziale è perfetto» racchiude il concetto stesso di filosofia della tecnica schermistica, tesi che possiamo ritrovare nelle tre perfette, sintesi pratica ed economica di una scienza dell'agire profondamente razionale.
Il fascino dell'essenzialità,-il rigore delle leggi fìsiche della misura e del tempo alle quali lo schermire assoggettò le azioni spiegano certamente il modo e la tecnica, non certo lo stato dell'agire. Concedersi di scendere più a fondo nel Parte marziale italiana e avvicinare alla ricerca della "perfetta azione" lo studio della parte che compete allo stato dell'agire, al "sentimento guerriero", può rivelare aspetti entusiasmanti e coinvolgenti dell'arte italiana di ripararsi e ben rispondere ai colpi avversi.
Si scopre allora'un mondo ricco di simboli, emergono i contatti con l'alchimia e le culture esoteriche, affiorano pratiche rituali che riportano ai culti celtici, a riti druidici.
Fino ai contatti con l'Estremo Oriente.
Appare allora come l'arte d'Occidente sì nutriva tanto di scienza applicata quanto di rituali ancestrali nella misura in cui un corpo si serve dell'energia e dei suoi apparati per generare movimento. Per millenni la conoscenza del "fiume sotterraneo" è corsa a fianco della cultura ufficiale e probabilmente continuerà a farlo, anche se la ricerca ci permette di avvicinare la nostra conoscenza al sapere antico e di esplorarne almeno in parte le possibilità.
Il panorama si presenta quindi vastissimo, specialmente per quanto riguarda gli elementi interattivi tra le varie pratiche. Uno degli aspetti affascinanti e "avvicinagli", legato alla ritualità è sicuramente la simbologia, sia essa figurativa o linguistica. Le sue interazioni con la pratica marziale sono uno degli argomenti di questo nostro piccolo viaggio nei misteri marziali d'Occidente.

Bianco et nero. Corpo et mente
«Due parti d'incenso, una dì mirra e una fogìiolina d'oro vanno tritate e mischiate e ridotte in piccatine.
Si inghiottiranno con vino fulvo quando la luna guardi il sole o Giove al crepuscolo.
Così gli umori saranno preservati e irrobustiti.
Cosi si sarà disposti ad ascoltare la verità».
Ricino, De vita producenda, 11.19

Baussant, nome dello stendardo bipartito bianco e nero dei Templari (cavalieri del Tempio, una regola di monaci guerrieri fondata da Ugo da Payns con la benedizione di san Bernardo) è un simbolo così carico di significati da esser fonte di vasta letteratura e analisi contemporanea.
Il mondo simbolico accompagnò sempre la pratica dell'arte guerriera e possiamo riscontrarne gli influssi anche nelle due opere citate del Fiore e del Vadi. Il Fiore, nella descrizione figurativa delle "septe spade", utilizza il potere evocante delle figure di animali adornati (di celtica memoria) che attribuiscono doti e qualità, per favorire nello schermidore il legame con le virtù che egli ha da possedere per eccellere nell'arte. A ognuna di esse è data una posizione precisa rispetto al corpo: così il lupo cervino posato sulla testa, sede dell'intelletto e del ragionamento, è la Prudentia, la tigre posta alla destra (a lato forte che di solito brandisce o guida l'arma) è la Celeritas, il leone a sinistra dove vi è il cuore e il braccio sinistro che "sopporta" il lavoro, è l'Audatia e l'elefante posto
sotto i piedi, a terra, dove l'uomo attraverso le gambe raccoglie l'energia, è la Fortitudo.
Prudentia, Celeritas, Audatia, Fortitudo, complementari a Testa, Destro, Sinistro, Gambe, in una possibile intepretazione che suddivide ed esalta le competenze per produrre il risultato.
Esaltandone il potere, carica gli animali di doti possenti che sommate alla forza delle immagini disegnate, innestano e provocano stati d'animo "utili" al guerriero.
Le scienze più recenti che studiano le neuroconnessioni (meccanismi di trasmissione dati su piste neurali tramite neurotrasmettitori), hanno ampiamente dimostrato come il movimento specifico nasca da un atteggiamento mentale calibrato, ovvero da uno stato d'animo "alterato" in senso specialistico, per rispondere nella maniera più appropriata all'evento.
La nostra ipotesi è che anche il Fiore utilizzi segni e linguaggio per indicare un percorso che è psicofisico, collegando il corpo alla mente tramite l'esperienza del movimento marziale guidato da stati "alterati" di coscienza.
Egli cerca di "provocare" nel lettore uno stato d'animo che consenta prestazioni superiori e si serve del mezzo disponibile (il foglio e l'inchiostro) per favorire questa autoinduzione.
Non sembri eccessivo pensare a questo: l'uso dei simboli con l'evocazione di poteri naturali legati agli animali è presente in molte culture tribali e "avanzate".
Anche nelle arti guerriere d'Oriente si ricorre ai simboli e alla forza delle parole; in alcuni casi anche la fase iniziatica e gestuale origina o è individuata (realmente o metaforicamente) nella visione di lotte e movenze del regno animale. Tutto questo porta a quella verità dei gesti che è forse la ricerca più profondamente "spirituae" dell'arte guerriera della scrimia.
Obbligata dalle scienze razionali a sentire la mente come sede del solo pensiero concreto (.. .nel cervel tuo sale...) tende a "trasferire" lo stato spirituale dell'animo, quindi al corpo che diviene attore, "corpo pensante" e competente.
Corpo che diventa nel Vadi figura incoronata e adornata di animali reali e immaginari, ai quali si aggiungono simboli ricchi di significato energetico come le chiavi, il sole, il castello e la ruota del mulino.
Li spada virtualmente sostenuta unisce e fortifica i lati del corpo, entrambi fondamentali nella pratica e sinergia, cosicché la destra regge, la sinistra aiuta, aspetto questo importantissimo e fondamentale nell'arte italiana, che in ogni scherma favorirà le due braccia, addirittura esaltandone l'apprendimento.
Sul lato sinistro nella naturale collocazione del cuore appare chiaramente visibile l'ochio col cor, un grande occhio, che ripropone in maniera prontamente percepibile il corpo pensante. Un cuore che vede è un cuore che decide, e se la mente conserva la scienza, «l'ochio del cor voi star atento ardito e pieno di providimento», così è il cuore che guida il gesto, che provvede all'azione. Quella che il Vadi ci offre è l'immagine di un guerriero fortificato da attributi naturali e soprannaturali, che affida al corpo, all'animo e alla scienza della scrimia il destino del suo stesso agire.

Trovar per sentir l'agir nemico...
«Lo abracar vole vij cosse: zoe forteza e preteza de pie e de braci avantacade e roture e ligadure e percusion e lesìon».
Flos Duellatorum

Nell'arte dell'abbracciare, antica e sapiente lotta, il corpo si impone ed esprime nel trovar di braccia la natura indagatrice del suo consapevole agire.
Sono le braccia, infatti, che per cercare prese avantacade si muovono verso quelle dell'avversario e si legano a esse guadagnando, cedendo, legando, sentendo le azioni e adattandosi a esse «perché le prese non san guadagnate se le non sono curri avantoco ».
I cerchi e le strette (si trova qualcosa di simile nelle palestre di lotta libera) sono gli strumenti per le braccia vedenti nell'arte dell'abbracciare.
II trovar è una dimensione molto particolare, legata al corpo pensante e alla natura della scrimia, come lo è stato e in parte lo è ancora nella scherma. Trovar di braccia o di spada è infatti molto più di una strategia: indica la volontà e la necessità di trasferire l'energìa sensoriale verso i margini esterni del corpo, allargando il proprio campo percettivo/tattile a distanze naturali (braccia) o meccaniche (armi). Nei secoli più vicini ai nostri, il contatto delle armi in linea generava tra i virtuosi quel sentiment de fer, stato sensibile, dialogo sensoriale a distanza, in cui l'azione cosciente è subordinata al sentimento, ovvero al percepire profondamente.
Il cuore vedente è in qualche modo parte arcana di questo sentire che ancora oggi possiamo ritrovare nelle sale di scherma sportiva, quando il maestro nella lezione presenta il ferro per far compiere allo scolaro i necessari passaggi accademici di studio.
Schermi di spada o di bastone, di braccia o di pugnale, se ben guidati sono per lo schermidore possibilità di esperienze psicofisiche profonde. In questi fraseggi recuperiamo la pratica percettiva non coscientemente analitica, che è parte di quella saggezza schermistica, di quel saver curri sua malitìa di antica memoria.
L'arma, il corpo diventano strumenti di apprendimento e l'animo può disporsi al saper antico. I sensi coinvolti in maniera completa possono esprimere tutta la loro competenza arcaica e lo studente può sviluppare quell'istinto schermistico galante e polito che i magistri indicavano come somma capacità attitudinale e conservativa e vitale fonte di competenza e conoscenza marziale.

Studiare l'arte dei padri
«Per molte parti si ricercano al buon schermitore e assai più a chi si conduce a combattere:
come a dire ragione, animosità, forza, destrezza, scientia, giudizio e prattìca».
Dall'Agocchie, XVI secolo

Lo studio della scrimia e dell'arte di schermirsi come disciplina totale in armis e sine armis può quindi rivelarsi, oltre che un appassionante percorso storico e culturale, un sentiero praticabile dal guerriero moderno.
«Sia dunque che si giochi, o di spada, o di spadone, o di sciabola, o di lancia, o di pugnale, od anche di bastone e di pugilato, egli è sempre schermire.,.» esprime un concetto antico caro ai maestri dell'Ottocento, un'idea di scherma totale, che vede nello schermidore un guerriero ideale, forgiato all'arma come nelle mani nude, al largo come allo stretto, all'assalto cortese come alla difesa della vita. Nell'arte dello schermire il praticante trova il fascino della scienza antica e dei suoi codici, un viaggio verso la consapevolezza istintiva del gesto, chiave del saper fare e percorso verso il saper essere. Così lo studio, liberato dalla necessità dello scontro liberato, rivela le incredibili potenzialità educative. Quanti si immergono nello studio filologico o di attualizzazione dell'arte non devono tuttavia dimenticare che la scrimia è un'arte marziale e la sua natura fino a non molti anni or sono era il combattimento reale.
L'antica formula «l'arte sì studia per diletto, scienza e conservazione della vita» racchiude ed esprìme compiutamente il concetto di sincera pratica. Il fine è l'evoluzione, il miglioramento costante dell'individuo e lo sviluppo delle sue potenzialità, un uomo fortificato nel corpo e nello spirito perché «...sapere, fortezo e ardimento agga... se questo manca a esercitar si stagga...»
«Tu sei forte Toshtuk, ma qui non comprendi, non sai quello che so io, lasciati guidare, fidati di me».
Da un antico racconto kirghiso

domenica 14 aprile 2019

Sambo russo


Forse avete sentito parlare di Fedor Emelianenko, ampiamente considerato come uno dei più grandi combattenti di MMA nella storia. Qual è il suo background di arti marziali? Sambo russo.
Poi c'è Oleg Taktarov, che ha vinto per 6 volte il torneo UFC. Qual era lo stile di arti marziali di Taktarov? Proprio così, avete indovinato, Sambo russo. Il fatto è che potremmo elencare diversi combattenti eccezionali e influenti nel Sambo se vogliamo.
Così forse c'è qualcosa di tutta questa faccenda del Sambo?
Il Sambo russo è uno stile di arti marziali e difesa personale che è stata formulato nella ex Unione Sovietica nei primi anni del 1900. In questo senso, non ha una lunga storia con alcuni stili asiatici. Detto questo, il Sambo, che a volte è indicato anche come Sombo, ha radici in diversi tipi di arti marziali, traendo ispirazione da molti degli stili più anziani.

La storia del Sambo russo
Il Sambo quando è stato concepito doveva essere una fusione di tutti i differenti stili di arti marziali disponibili dai quali furono estrapolate le soluzioni più efficienti. Vivendo in ciò che equivale a un ponte tra l'Europa e l'Asia, il popolo russo è certamente introdotto ad una varietà di stili di arti marziali attraverso il contatto con i giapponesi, i Vichinghi, Tartari, Mongoli, e altro ancora. La combinazione di ciò che ha funzionato in questi stili è servito come elemento costitutivo di quello che oggi è denominato Sambo russo.
Vassilij Oshchepkov, istruttore di Karate e Judo per l'elite dell'Armata Rossa, è stato uno dei fondatori del Sambo. Come ogni allenatore che si rispetti, Oshchepkov voleva che i suoi uomini fossero i più abili di tutti nelle tecniche delle arti marziali. Con una cintura nera secondo dan di judo ricevuta da Jigoro Kano se stesso, fece di lui uno dei pochi non giapponesi ad ottenere una tale distinzione. Nonostante questo traguardo Oshchepkov sentì di poter lavorare per formulare uno stile superiore di arti marziali con l'aggiunta di ciò che funzionava dello judo e di cosa funzionava usando come base gli stili nativi di wrestling russo, karate, e altro ancora. Mentre lavorava sulla ricerca di queste tecniche, un altro uomo di nome Victor Spiridonov, che aveva una formazione completa in lotta greco-romana e in altre forme di lotta, stava lavorando prendendo ciò che funzionava e lasciando fuori quello che non poteva rivoluzionare le tecniche di combattimento corpo a corpo. È interessante notare che il lavoro di Spiridonov fu senza dubbio influenzato dal fatto di aver ricevuto una ferita da baionetta durante la guerra russo-giapponese che lasciò il suo braccio sinistro con notevoli limitazioni motorie. Così, lo stile che stava elaborando era più morbido. In altre parole, piuttosto che forza contro forza, voleva sfruttare veramente la forza dell'avversario contro di lui deviando la sua aggressività in una direzione diversa dalla sua.
Nel 1918, Vladimir Lenin creò Vseobuch quartier generale di addestramento militare dell'Esercito russo sotto la guida di K. Voroshilov. Voroshilov poi creò il centro di formazione fisica NKVD Dinamo e portando parecchi istruttori qualificati. Insieme a Voroshilov, Spiridonov è stato uno dei primi istruttori di difesa personale assunto a Dinamo.
Nel 1923, Oschepkov e Spiridonov collaborarono per perfezionare per l'Armata Rossa un sistema di combattimento pratico. Un decennio più tardi, le tecniche che elaborarono e combinarono servirono come traccia per lo stile che sarebbe poi diventato noto come Sambo.
Kharlampiev è spesso indicato come il padre del Sambo. Egli è quello che ha veramente lottato per far diventare il Sambo lo sport da combattimento ufficiale dell'Unione Sovietica, che divenne realtà nel 1938. Tuttavia, ci sono prove che suggeriscono che Spiridonov fu il primo ad utilizzare effettivamente la parola Sambo per descrivere il sistema di arti marziali che tutti avevano contribuito a sviluppare. Sambo in realtà si traduce in "auto-difesa senza armi".
Quando le tecniche di Sambo sono state infine catalogate e perfezionate, sono stati insegnate e utilizzate dalla polizia sovietica, i militari, anche se poi ognuno l'ha modificato per soddisfare le esigenze particolari del gruppo che lo avrebbe usato.
Nel 1981 il Comitato Olimpico Internazionale ha riconosciuto il Sambo come uno sport olimpico.

Sottostili di Sambo
Molti derivazioni dal Sambo sono emerse dopo che l'arte è stata formulata. Tuttavia, ce ne sono solo cinque, che vengono riconosciute dal grande pubblico. Questi sono:
Sambo Combat: sviluppato appositamente per i militari. Pertanto, esso comprende l'uso delle armi e delle tecniche di disarmo. A differenza di altri stili di Sambo, il Sambo Combat comprende anche una porzione significativa di colpi d'attacco.
Freestyle Sambo: Fu istituito con la Sambo American Association nel 2004 per promuovere ai non praticanti di Sambo di partecipare alle manifestazioni di Sambo (praticanti di judo e ju jitsu). Gli eventi di Freestyle Sambo consentono l'uso di tecniche che non sono consentite negli Sport di Sambo.
Auto-Difesa Sambo: Insegna ai praticanti come difendersi contro le armi e altro ancora. Molti dei metodi insegnati comportano l'uso di aggressioni di un avversario contro di noi, molto simile al jujitsu e aikido. Insieme a questo, l'influenza di Spiridonov è forte qui. Speciale Sambo: Sviluppato per le Forze Speciali dell'Esercito consente una rapida acquisizione del sistema. E' davvero solo una versione specializzata di Sambo, che viene utilizzata da una particolare unità. In questo senso, speciale Sambo è un po' come il Combat Sambo con obiettivi specifici, a seconda del gruppo.
Sport Sambo: Sport Sambo è molto simile allo judo.

sabato 13 aprile 2019

Choi Lee Fut ( Choy Li Fut )


Lo stile Choi Lee Fut, noto anche come Choy Li Fut o come Cai Li Per Quan in mandarino, è uno stile con una lunga tradizione che affonda le sue orgini al rinomato maestro Chan Heung e al Tempio di Shaolin.
Il Maestro Chan Heung ha appreso il suo kung fu da tre maestri, Choi Fook, Lee Yausan, e suo zio, Chan Yuen Woo. Tutti e tre i maestri avevano appreso il loro kung fu nel Tempio di Shaolin.
Il Maestro Chan Heung combinò quello che aveva imparato dai suoi tre insegnanti formando un unico sistema che chiamò "Choi Lee Fut" in loro onore.

Chan Heung
All'età di sette anni, Chan Heung iniziò ad apprendere le arti marziali sotto lo zio Chan Yuen Woo. Yuen Woo era un famoso maestro del Tempio Shaolin, e insegnò al nipote lo stile del pugno di Buddha o Fut Ga Kuen.
Dopo anni di studio con lo zio, Chan Heung divenne un guerriero esperto alla tenera età di 15 anni. Per sviluppare ulteriormente le sue capacità, Chan divenne allievo di Lee Yau San, un praticante di Shaolin della scuola della famiglia Lee. Yau San era stato Sihing di Yuen Woo o fratello maggiore nel tempio Shaolin.
Per apprendere lo stile di della Famiglia Lee, Chan Heung fece riferimento al monaco Shaolin Choi Fook per approfondire la sua conoscenza delle arti marziali. Dopo anni di intenso studio con il recluso buddista, Chan Heung rivisitò quello che aveva appreso e formò un nuovo sistema. Unendo la conoscenza di 3 sistemi di arti marziali che ha chiamato "Choi Lee Fut" in onore dei suoi insegnanti.
I tre stili che costituiscono il Choi Lee Fut (Choy Li Fut) sono i seguenti.

Chan Yuen Woo e lo stile del pugno di Buddha
Il Fut Ga Kuen è uno stile specializzato nelle tecniche di palma. Sia la mano sinistra che la destra vengono utilizzate sia in attacco che in difesa. Viene impiegato un footwork sia a lunga che a corto raggio.

Lee Yausan e il pugno della famiglia Lee
Lee insegnò lo Yausan Lee, o Lee Ga Kuen. E 'uno stile di arti marziali che impiega posizioni molto larghe, si basa sulla resistenza di gambe forti, e utilizza grandi passi in avanti per schivare gli attacchi.
Tradizionalmente, lo Lee Ga Kuen usa la mano sinistra per i movimenti difensivi, e solo la mano destra per gli attacchi.
Nel Choi Lee Fut (Choy Li Fut), entrambe le mani sono utilizzate sia in attacco che in difesa. Molte delle tecniche di braccio dello stile Lee Ga Kuen sono essenziali per il sistema Choi Lee Fut.

Choi Fook e il pugno della Famiglia Choi
Choi Fook è una figura leggendaria, era un monaco del famoso Tempio Shaolin.
Viveva in solitudine sul monte Lau Fu, Fook era un uomo santo che trascorse molti anni immerso nella meditazione e nella pratica delle arti marziali. Le sue capacità furono talmente affinate che si dice fracassasse le pietre con semplici calci e pugni.
Choi Fook trasmise il Choi Ga Kuen. E 'uno stile di arti marziali che impiega lunga, media e tecniche a corto raggio. L'accento è posto sul lavoro di gambe agili, e in tecniche in "scioltezza" nei calci. Una caratteristica distinta di questo stile è che sia attacco che difesa avvengono simultaneamente. I movimenti del braccio si alternano continuamente in combinazioni per colpire un avversario.
Questi principi fondamentali sono la chiave per la pratica di Choi Lee Fut.

Principi
Quando Chan Heung fondò il Choi Lee Fut (Choy Li Fut), lasciò una serie di principi per disciplinare e guidare e ispirare i praticanti del suo stile.

Principi fondamentali di Choi Lee Fut (Choy Li Fut)
Posizionamento del corpo
1) Il corpo è tenuto eretto e dritto. Le spalle e gli arti sono allentati. Tutti i movimenti sono estesi senza accorciare la loro gamma. A differenza di altri stili del sud che usano solo tecniche a corto raggio, il Choi Lee Fut si avvale di movimenti lunghi e profondi.

Footwork
2) Il Footwork si basa principalmente sul Lee Ga Kuen, è forte ma agile. Il passaggio da posizione a posizione deve avvenire in una frazione di secondo. Si dice, "cammina lento e silenzioso come la meditazione. Fai passi veloci come una nuvola di vento che gira nel cielo."

Tecniche di gamba
3) Tutte le tecniche di gamba sono veloci ", come una pioggia di meteore", o "un batter d'occhio." Il movimento delle gambe non dovrebbe essere visto. I calci sono eseguiti in combinazioni, e sono a loro volta combinati con tecniche di mano.

Tecniche di mano
4) Tutte le tecniche di mano a lungo, medio e corto raggio sono coordinate con prese di posizione. Sia a destra che le tecniche mancine sono utilizzate sia in attacco che in difesa. Il passaggio da tecnica a tecnica è regolare in modo che ogni combinazione può essere utilizzata.

Potenza
5) La potenza è generata utilizzando l'intero corpo in entrambe le tecniche "dure" e "soft".
I movimenti sono abbastanza forti come "una montagna", ma non rigidi o stretti. Le tecniche sono "soft", ma non deboli, le braccia si muovono come una ruota con movimenti circolari per parare l'attacco di un avversario e contemporaneamente contrattaccarlo.

Respirazione
6) Si inala per risparmiare energia (il principio yin). Si espira per aiutare il rilascio del potere (il principio yang). Gridare durante le combinazioni con tecniche di mano e di gamba aggiunge potenza ai pugni e ai calci. Gridare serve anche per intimorire la mente del tuo avversario.

venerdì 12 aprile 2019

Dalle armi al combattimento a mani nude


Negli ultimi anni del periodo Tokugawa i diversi metodi classici di combattimento, soprattutto improntati sulle armi, ebbero una notevole trasformazione.
L’allenamento che incominciava a tenersi nei dojo(luogo dove si cerca la via), e non più per strada, portò ad una evoluzione delle posizioni e dei spostamenti stessi, sia nelle difese che negli attacchi: gli adepti potevano muoversi su una pavimentazione liscia e senza ostacoli a differenza di quello che succedeva per strada e ciò rese le posizioni più basse e fluide, ma straordinariamente questa cosa introdusse i primi principi della bellezza artistica del gesto, Sabi e Wabi (bellezza e naturalezza).
Con l’avvento delle protezioni anche il kendo incominciò a diventare una specie di sport, infatti, non era raro vedere incontri di uomini armati di bokken (spada di legno) contro un avversario armato del finto naginata (una specie di lancia-spada), per ovvi motivi le tecniche di naginata subirono una trasformazione radicale e completa divenendo a mano a mano quasi un passatempo nazionale che si discostava dall’utilizzo primario.
In quest’epoca pochi erano i ryu che contemplavano il combattimento senza armi, il corpo a corpo, il fondamento logico della lotta per il guerriero classico giapponese ruotava intorno all’uso delle armi, anche perché l’uso del Katchu(armatura) rendeva vano ogni sorta di combattimento disarmato addirittura portare un pugno o un calcio contro uno equipaggiato di armatura poteva ferire l’attaccante e non la vittima.
Il combattimento corpo a corpo era limitatamente considerato mentre, invece, era profondo lo studio dell’uso del calcio delle armi (odachi, naginata, bo) per sferrare fendenti nelle aperture dell’armatura al fine di uccidere l’avversario: probabilmente queste particolari conoscenze ressero, insieme a certe forme di lotta autoctona, l’impalcatura dove si eresse il sistema di combattimento a mani nude che attualmente conosciamo col nome di karate.
Anche il grande samurai Miyamoto Musashi era esperto del combattimento a mani nude, avendo studiato lo Yawarage, che non era solo una tecnica senza armi, ma bensì un sistema molto versatile che insegnava l’uso delle piccole armi nascoste (Kakushi Jutsu).
Nel tardo periodo Edo, quando l’armatura non venne più indossata e alcune armi venivano accantonate, cominciarono a svilupparsi metodi di combattimento più adatti alle necessità sociali dell’epoca.
Alcuni sistemi pugilistici Cinesi ch’uan-fa (la prima via), in giapponese detto Kempo, iniziarono ad emergere, diffondendosi a macchia d’olio in tutta l’Asia e in modo particolare in Giappone mescolandosi ad alcune forme arcaiche di Jujitsu.
Queste forme di lotta vennero sperimentate è applicate soprattutto dai nanushi(gestori) delle case di prostituzione. Il cliente ubriaco che diventata molesto veniva reso innocuo dai “gestori” i quali applicavano tecniche di difesa personale.
La frammentazione di molti di questi ryu offrì alla gente, anche di ceto medio, di conoscere diverse scuole e metodi di combattimento “disarmato”, inoltre, le leggi che proibivano l’uso delle armi, e la presumibile carenza di metallo per fabbricare armi, fecero il resto.
Il combattimento a mani nude proveniente da una sola via si diramò in due tronconi ben distinti: il primo si prestava principalmente alla vita quotidiana, contadina e del ceto medio, indi vide alla luce anche l’utilizzo delle armi più comuni dei contadini come il bo(bastone lungo circa cm180), il tonfa(attrezzo utilizzato per piantare le patate nel terreno), il nunchaku ( due bastoni legati tra loro da una funicella, veniva usato per battere il riso), i kama( una specie di falcetto con una lama molto tagliente utilizzato per falciare l’erba); l’altro di chiara derivazione militare e marziale, attraverso ex samurai e soldati continuò, anche se in modo meno predominante, a tenere d’occhio tutti quelli aspetti legati alla strategia militare e all’uso delle armi classiche, naginata, katana e Kyudo(arco).
Poiché l’obiettivo degli abitanti delle isole ryu kyu era quello di accrescere gli scambi commerciali, quasi tutta quest’attività “ marziale” avveniva di nascosto, i Meikata (una danza popolare che racchiudeva le abilità combattive del popolo di okinawa) servivano proprio a camuffare le attitudini guerriere degli okinawesi.
Il popolo okinawese poteva indurre in inganno: all’occhio dello straniero riusciva a nascondere bene la radicata cultura marziale e la incline natura combattiva, tant’è che nel 1800, circa, un certo Basil Hall di ritorno da Okimawa ebbe un incontro con Napoleone, al quale raccontò degli abitanti di quest’isola che non possedevano nessun tipo di arma, ma che preferivano risolvere i loro problemi in modo pacifico.
Tutto questo era decisamente curioso, per l’epoca e fece sogghignare Napoleone, dato che in tutta Europa vi era un continuo esplodere di cruenti guerre e qualsiasi problema veniva affrontato con grandi spargimenti di sangue.
Attualmente molte arti marziali o sistemi di combattimento a mani nude stanno subendo un’ulteriore trasformazione, una parte di esse si avvicina concettualmente sempre più ai sport da combattimento, tralasciando l’efficacia e la filosofia, col mero fine agonistico e sportivo.
L’altra parte incoraggia la ricerca personale e la crescita fisica- spirituale, desistendo dall’aspetto per cui sono nate le arti marziali “l’autodifesa”, ma allo stesso tempo prevede competizioni di Kata (forma) e kumite shiai(combattimento agonistico) al puro fine di pubblicizzare il movimento karate-sport e attrarre adulti e bambini verso la pratica del karate.
Esiste una terza corrente che caldeggia la difesa personale disinteressandosi delle medaglie, della filosofia e della spiritualità, ponendo come fine ultimo la sopravvivenza ad eventuali aggressioni.
Questo movimento sorto dalla realtà attuale ha sempre più proseliti trasferiti dalle altre arti marziali classiche, giacchè l’ obiettivo di quest’ultime è andato, nel corso degli anni, via a via modificandosi spostandosi sempre più verso lo sport o verso la filosofia.
La scelta di un percorso è strettamente soggettivo, ogni praticante può decidere legittimamente quali strade imboccare per le proprie esigenze personali, verosimilmente, a mio avviso l’una non preclude l’altra.

giovedì 11 aprile 2019

Jiji

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Jiji (技击, maestria nel colpire o nell'attaccare) è un termine delle arti marziali cinesi che viene utilizzato già dal periodo delle primavere e degli autunni. Viene anche tradotto con Scienza del Combattimento e indica la pratica del combattimento a mano nuda e della scherma. È apparso per la prima volta nello Xunzi (荀子) in cui si può leggere che gli uomini del regno di Qi (in una parte dell'attuale provincia di Shandong) stimavano moltissimo l'arte del combattimento (Jiji, appunto) e quelli tra di loro che vi si distinguevano erano riccamente ricompensati (Qi ren long jiji , qi ji ye, de yi shou zhe ze qi shu zi jin, wu ben shang yi 齐人隆技击,其技也,得一首者则赐赎锱金,无本赏矣). Nel Wushu Moderno o sportivo si riferisce all'applicazione marziale in opposizione allo Yangsheng, cioè l'insieme di tecniche per la salute. Moltissimi libri di applicazione , anche degli stili tradizionali, menzionano nel loro titolo il termine Jiji.

mercoledì 10 aprile 2019

Tiet Sid Kuen – Forma del filo d'acciaio


La Tiet Sid Kuen, è la forma più considerata nel sistema Hung Gar.
La forma è così chiamata perché si dice che sia duro come l'acciaio e soffice come il cotone.
Si compone di cinque elementi e di cinque emozioni che si accoppiano con la tensione dinamica.
La forma del filo d'acciaio utilizza un solo animale, il mitico drago, dei cinque animali utilizzati nel sistema Hung.
Il drago è un prodotto delle credenze spirituali cinesi e lo troviamo rappresentato in antichi testi buddisti come un animale che può apparire e scomparire a suo piacimento, cambiare la sua dimensione, volare nel cielo, o tuffarsi nelle profondità dell'oceano.
Dal momento che è un animale spirituale, la sua energia può essere acquisita attraverso la respirazione (Chi Kung). Come il serpente e la gru (progettati per formare i tendini o il respiro) il Drago è interno. Tuttavia, solo il Drago combina la potenza pura dei colpi esterni con l'energia interna per produrre un'artista marziale invincibile. Il drago è il più grande contributo alla forma del filo di acciaio, è la sua energia interna, lo spirito, condiziona e sviluppa attraverso la sua pratica l'aumento del Ch'i nel praticante. Quando questo potere viene sviluppato completamente e raffinato, associato alla forza fisica del praticante, produrrà effetti devastanti. L'animale Drago utilizzato nell'Hung Gar, aumenta principalmente la resistenza interna.
La forma è stata creata da Tid Ku Sarm, uno dei migliori artisti marziali nella storia della Cina. E' stato uno delle più famose Dieci Tigri di Kwangtung e nel corso degli anni ha passato la sua conoscenza ai suoi studenti: Won Fei Hung, Lum Fook Canta e Lam Sai Wing che è stato il maggiore responsabile per la divulgazione didattica dello stile Hung Gar in epoca contemporanea. Yee Gee Hai, un allievo del grande Lam Sai Wing, ha detto di avere scritto il libro: Tiet Sid Kuen. Questa forma è il livello più alto insegnato nel sistema Hung Gar e porta lo studente nel regno della formazione interna del kung fu che è l'obiettivo ultimo delle arti marziali cinesi.
Il filo d'acciaio è caratterizzato da:
Il gioco di gambe è limitato, è basata esclusivamente sui movimenti e lo spirito del drago che emettendo "strani suoni vibranti" e intonazioni diverse controllano il respiro, associati ai movimenti di torsione che stimolano gli organi interni. Per un'osservatore, la forma non è spettacolare e sembra avere poca se non nessuna somiglianza con la dinamica delle forme di boxe di altri sistemi che potremmo essere abituati a vedere. Il prerequisito per l'apprendimento di questo modulo è Sup Ying Kuen. Anche se è stata modellata sui cinque elementi, l'altra metà del Tiet Sid Kuen è ancora più astratta – è basata su cinque emozioni umane: felicità, rabbia, tristezza, dolore e paura. Ogni emozione deve essere tradotta in un tono di respirazione, producendo diverse vibrazioni che interessano diversi organi. Questa forma è insegnata sotto la supervisione costante del proprio insegnante perché se viene eseguita in modo errato, lo studente può ferire se stesso internamente e irreparabilmente. Dal respiro si trae un tipo di potere forte, che viene emesso dal di dentro, così, abbiamo la designazione, interna.
Si dice che ci siano dodici principi contenuti in questa forma:
duro
morbido
lineare
contrazioni isometriche
collegando
dividere
sostegno
fermo
transizione circolare
determinazione
rigore
immobilizzazione.
Questi dodici principi sono stati progettati per controllare e migliorare le funzioni degli organi interni. Un esercizio di tensione dinamica viene utilizzato per aumentare il flusso del Ch'i in tutto il corpo e in particolare nelle mani e nelle braccia. Il filo d'acciaio è una forma riservata ai praticanti avanzati nello stile Hung Gar, ed è un mezzo efficace per la costruzione del proprio corpo, sviluppa resistenza e mette alla prova la propria costituzione fisicamente, mentalmente e spiritualmente. Anche se lo stile Hung Gar comincia come uno stile esterno diventa uno stile interno con questa forma.

martedì 9 aprile 2019

Boxare

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Di tutti gli sport, la boxe è probabilmente quello che richiede lo sforzo fisico più intenso. Richiede un mix di potenza e velocità, abbinata a una resistenza eccellente. I pugili professionisti migliorano costantemente la loro tecnica mentre cercano di scalare le classifiche e incontrare avversari più quotati. Se vuoi diventare un pugile, segui queste linee guida.


1 Impegnati a sostenere un regime di addestramento rigoroso e completo. Alcuni esperti di pugilato sostengono che i principianti dovrebbero allenarsi per 3-6 mesi prima di entrare nel ring. Questo consente ai novizi di raggiungere il massimo della forma e di perfezionare le tecniche di base prima di incassare il primo colpo. La maggior parte dei programmi di preparazione fisica per i pugili possono essere divisi in tre categorie: cardiovascolare, esercizi di base ed esercizi con i pesi.

Esercizi cardiovascolari: i combattenti affaticati hanno la tendenza ad abbassare le mani e non
proteggere la testa. Non riescono neppure a imprimere la giusta forza ai pugni nelle riprese finali di un incontro. Ecco perché i migliori pugili professionisti corrono per centinaia di chilometri. I pugili non hanno bisogno di spiccate capacità di resistenza, ma devono essere in grado di scatenare moltissima forza nei momenti decisivi di un incontro. Per ottenere questi requisiti fisici, i pugili variano i loro allenamenti. Ad esempio, inserendo nelle loro corse di resistenza dei brevi scatti alla massima velocità. Questo serve a stimolare lo sforzo compiuto in un combattimento.

Esercizi di base: i pugili generano la loro potenza dalla parte centrale del corpo. Compiendo esercizi che coinvolgono molti gruppi di muscoli, un pugile può costruire un tronco solido e potente che farà lavorare all'unisono tutte le parti del corpo. Tra gli esercizi più efficaci ricordiamo trazioni alla sbarra, addominali, squat e affondi. Esegui tre serie di ognuno di questi esercizi, con pause di un minuto tra gli esercizi. Dovresti eseguire le trazioni alla sbarra finché non riesci più a eseguirne. Fai 20 ripetizioni degli altri esercizi.

Allenamento con i pesi: il sollevamento pesi aiuta i pugili principianti ad acquisire forza e potenza nei pugni. Sono particolarmente importanti il petto, le spalle e le braccia. Gli esercizi per la parte alta del petto comprendono le distensioni su panca e i fly con i manubri. Puoi allenare i muscoli delle spalle con dei military press con i manubri e sollevamenti laterali. I curl con i bicipiti e le estensioni con i tricipiti possono aiutarti a rinforzare i muscoli della parte alta delle braccia e a imprimere più forza ai tuoi pugni. Tutti gli esercizi con i pesi che svolgono i pugili sono volti a creare forza esplosiva. Questo significa fare 6-8 ripetizioni di ogni esercizio con il massimo peso che riesci a sostenere, eseguendo ogni movimento alla massima velocità (es: squat esplosivi con salto). Esegui tre serie di ogni esercizio e varia gli esercizi in modo che i tuoi muscoli continuino a progredire. Alterna quotidianamente tra l'allenamento di base e quello con i pesi.

2 Impara i fondamentali della boxe.
Posizione: una posizione stabile e comoda ti consentirà di sferrare pugni potenti ed evitare rapidamente i colpi del tuo avversario. Se sei un pugile destro, dovrai tenere il piede sinistro di fronte a te, a un angolo di 45° dal tuo avversario. Il tuo tallone sinistro dovrebbe essere allineato con l'alluce destro. La maggior parte del tuo peso dovrebbe essere sostenuto dal tuo piede posteriore. Tieni i gomiti verso l'interno e le tue mani sollevate, la sinistra sotto la guancia e la destra sotto il mento. Tieni sempre il mento verso il basso.

Gioco di gambe: rimani sulle punte e muoviti sempre. Non offrire mai un bersaglio fermo. Se stai affrontando un avversario destro, muoviti alla tua destra. Se stai affrontando un mancino, muoviti verso sinistra. Questo servirà ad aumentare la distanza tra te e la mano dominante del tuo avversario. Non incrociare mai il passo. Potresti trovarti in una posizione sbilanciata e con la difesa scoperta.

3 Esercitati nei pugni. I pugili di successo si esercitano nelle tecniche di pugilato molto prima di entrare nel ring. Quando si allenano con il sacco o con l'istruttore, i pugili principianti devono concentrarsi su sferrare i colpi con la tecnica corretta. Quando padroneggiano i diversi tipi di pugno, i pugili passano allo studio delle combinazioni, durante le quali scaricano una devastante raffica di colpi sul loro avversario. Alcuni dei pugni più efficaci della boxe sono:
Jab: portato solitamente con la mano frontale e debole, il jab riesce a tenere i tuoi avversari distanti da te. Il jab è un pugno corto. Per massimizzare l'effetto di un jab, i pugili professionisti ruotano il loro braccio e il polso prima di incontrare il loro avversario.

Diretto: diversamente dal jab, che è tirato direttamente di fronte al corpo, questo pugno è portato dalla mano dominante con un leggero movimento verso l'alto e "attraversando" il corpo. La spalla aiuta a dare forza a questo colpo.

Gancio: il gancio può essere portato alla testa o al corpo dell'avversario, per colpire il punto in cui la sua difesa è sguarnita. E' spesso usato in combinazione agli altri pugni. Il movimento ampio che richiede è il suo difetto principale, perché potresti esporti a un contrattacco.

Montante: è un colpo verso l'alto, portato da una delle braccia, molto efficace a distanza ravvicinata.

Combinazioni: quando avrai padroneggiato le tecniche per portare i colpi, puoi lavorare sulle combinazioni. La prima combinazione che imparano i pugili è il classico 1-2, un jab seguito da un diretto. Un'altra combinazione efficace prevede l'aggiunta di un gancio all'1-2. (Se sei destro, dovrai portare un jab sinistro seguito da un diretto destro e un gancio sinistro.)

4 Impara a incassare e bloccare i colpi. Un bravo pugile non sa solo portare i colpi, si allena duramente anche per evitare i colpi dell'avversario. Alcune delle tecniche di difesa tradizionali includono:

Parata: dopo aver imparato a tenere su i guantoni e il mento verso il basso, la parata è la tecnica difensiva più semplice della boxe. Per parare, usa le tue mani per deviare i pugni degli avversari quando arrivano.

Schivata: la schivata è eseguita ruotando velocemente le anche e le spalle mentre il tuo avversario cerca di colpire la tua testa.

Blocco: quando blocchi un colpo, non fai un movimento per evitare il contatto. Dovrai assorbire l'impatto con il guantone e non con il tuo corpo.

Abbassamento e scarto laterale: l'abbassamento è eseguito piegando le gambe per evitare un colpo alto, come un gancio alla testa. Spesso segue a questo movimento uno scarto laterale. Devi eseguire questa mossa arcuando il corpo appena fuori dalla portata del tuo avversario.

Rolling: questa è una tecnica che veniva usata spesso dal campione dei pesi massimi Muhammad Ali. Premi i guanti contro la fronte, tieni i gomiti contro il corpo, e tieni il mento sul petto. In questo modo avrai poca copertura contro i colpi al lato del corpo, ma è una difesa molto efficace contro un assalto frontale, perché assorbirai la maggior parte dell'impatto con i guantoni e gli avambracci.

Consigli
Combatti con lottatori esperti. Probabilmente ti farai male, ma esercitarti contro un pugile superiore a te ti aiuterà a migliorare.
Rimani al centro del ring. Non lasciarti intrappolare nell'angolo o contro le corde.
Fasciati le mani ogni volta che ti alleni sul ring. Per fasciarti le mani, avvolgi il pollice con una fascia e poi passa tre volte intorno al polso. Poi passa la fascia tre volte attorno alla mano. Riporta la fascia sotto il pollice. Disegna delle X negli spazi tra le dita. Inizia da mignolo e anulare. Tira la fascia negli spazi, poi ruotala sotto la mano e ripeti il processo per gli altri spazi. Quando hai completato questa fase, avvolgi la benda intorno al pollice una volta e poi attorno al dorso della mano. Ripassa sul pollice una volta e poi passa la benda sul palmo. Da qui, avvolgi le nocche tre volte e termina avvolgendo una volta il polso.

Cose che ti Serviranno
Guantoni
Pantaloncini
Casco
Paradenti
Sacco
Bende per le mani

Stivali da boxe


lunedì 8 aprile 2019

Wong Fei Hung – Le 10 mani che uccidono


Tra le molte leggende che nel corso della storia delle arti marziali si sono sviluppate e sono state tramandate, non possono mancare quelle sul grande Maestro Wong Fei Hung.
Nell'arco della sua vita (1850-1933) Wong Fei Hung si guadagnò una reputazione in quanto ad abilità marziali e per le sue imprese. La sua vita e le sue imprese sono state alla base della sceneggiatura di ben oltre 100 film, ove di solito il protagonista era il defunto e venerato Kwan Tak Hing.
Wong Fei Hung iniziò il suo apprendistato del kung fu all'età di cinque anni sotto la guida di suo padre, Wong Kay Ying. Egli era un discepolo diretto di Maestro Lum Sil Luk Ah Choy, di conseguenza Wong Kay Ying aveva molto da offrire al suo giovane figlio.
Da suo padre, Wong Fei Hung apprese le tecniche del Gong Dan e il Kuen Gong, Fok Fu Kuen , il Mo Gi, Man Fu Kuen, Ng Gwa Gwun, Tong Fei, e il Fu Hak Kuen (pugno della tigre nera).
Ma Wong Fei Hung, non padroneggiava ancora il suo kung fu fino a quando non incontrò il celebre Sifu Tit Kiu Sam che riformò e raffinò l'Hung Kuen meridionale che conosciamo oggi.
Entrambi i maestri si scambiarono le loro tecniche, conoscenze ed esperienze, in quanto il loro lignaggio risaliva al Tempio Nam Siu Lam e più precisamente ad un singolo monaco, Gok Yuen.
Con le conoscenze di Sifu Tit Kiu Sam e le sue tecniche di combattimento, Wong Fei Hung creò la FU HOK KUEN YING, il marchio di fabbrica dello stile. E'stata questa forma che ha fatto di Wong Fei Hung uno dei più famosi Sifu del Kuen Nam in Cina.
La sao juet sup (uccidere con dieci mani) proviene dalla Hok Fu Ying Kuen.
La sao juet sup è una serie di dieci principi che secondo Wong Fei Hung sono tra i più efficaci metodi per uccidere un avversario. A causa della sua efficacia e praticità, il maestro Hung divenne un eroe in Cina perché non fu mai battuto in combattimento.
I principi fondamentali sono:
colpire gli occhi
fermare il respiro
rompere la faccia
far esplodere le orecchie
schiacciare l'inguine
torcere i tendini
rottura delle dita
dislocazioni delle articolazioni
rompere il gomito
dim mak (punti nervosi).
Si deve notare che senza l'apprendistato corretto e la comprensione dello stile, le dieci mani che uccidono sarebbero semplicemente ridotte a tecniche di base, colpi e leve.
Le tecniche che accompagnano questo post dimostrano alcuni dei modi più comuni per ottenere
le dieci mani che uccidono.

Po Pai Sao
Questa tecnica enfatizza l'uso dell'artiglio di tigre (jut Fu Ming).
I punti chiave di questa tecnica sono: usare l'artiglio di tigre per bloccare e soffocare la gola (Hau Fung), per fermare il respiro; colpire il nostro avversario agli occhi, per causare la cecità.
Lo scopo del Pai Sau Po è bloccare e afferrare il pugno del nostro avversario mentre si fa un passo indietro in una posizione laterale, quindi, allo stesso tempo usare il tuo artiglio di tigre per colpire la gola o il mento.
Questi movimenti contengono due azioni - passo indietro e l'affondo - che tengono il corpo lontano dall'altra mano del tuo avversario. E afferrando il pugno dell'avversario e allo stesso tempo artigliando alla gola, si mantiene la posizione in modo che non possa muoversi né avanti né indietro.

Gwa Choy Faht - manrovescio doppio
L'enfasi è posta su un doppio pugno dall'alto verso il basso sulla faccia del nostro avversario, che provoca fratture multiple alla struttura facciale compreso lo zigomo, il ponte del naso e gli occhi. Come con tutte le tecniche di Hung gar funziona solo se usata in combinazione con il movimento di gambe.
I punti chiave di questa tecnica sono: ricorda di mantenere i pugni vicini tra loro. Questo aiuterà a colpire il bersaglio previsto; sarà garantita la massima efficacia solo se apriremo e chiuderemo il busto con velocità e potenza affondando la tecnica con un'esplosione di violenza associata alla giusta posizione.

Tong Tin Kuen Faht
Questa tecnica enfatizza l'uppercut alle costole fluttuanti.
Velocità, potenza e una violenta transizione aggressiva da posizione a posizione è essenziale per ottenere la massima efficacia del Tong Tin kuen Faht.
I punti chiave sono:
• Fermare il respiro attaccando le costole fluttuanti due pollici al di sotto del capezzolo.
• Per ottenere la massima potenza e garantire l'efficacia durante l'esecuzione di questa tecnica, è necessario tirare un pugno associato ad una presa. Inoltre, è necessario tenere il busto in posizione eretta, al momento dell'impatto, contemporaneamente avanzando con un passo di scorrimento.
• Adottando la posizione del cavaliere e, contemporaneamente, intrappolando il braccio avversario si porterà il vostro attaccante verso il basso per impostare la Gwa Choy Faht (manrovescio).
L'uso del footwork è essenziale per l'efficacia di questa tecnica.

Ngaw Fu Cum Yang
In questa tecnica, l'utilizzo dell'artiglio di tigre è sottinteso. Ciò è dimostrato dal come viene utilizzato per afferrare e schiacciare l'inguine e accecare gli occhi.
I punti importanti per quanto riguarda la tecnica Ngaw Fu Cum Yang sono:
• Il difensore deve posizionare le mani in modo da bloccare i colpi in arrivo.
• Entrambe le mani devono lavorare insieme all'unisono.
• Concentrarsi sul bersaglio.

Man Fu Ha San
In questa particolare tecnica di grappling, l'artiglio di tigre viene utilizzato per esercitare una pressione sul gomito dell'avversario. Affondando la posizione, insieme con il blocco sul giunto, il gomito dell'avversario può essere seriamente e definitivamente distrutto.
I punti importanti da notare di questa tecnica sono:
• Il difensore deve intercettare l'attacco in arrivo.
• È necessario fare un passo avanti e adottare la posizione Ma Ging per esercitare una maggiore leva. Ricorda, questa tecnica può essere eseguita solo con una posizione corretta.

San Ban Dan Gwai
Questa tecnica pone l'accento sulla posizione adottata, utilizzando la trazione, torsione e affondamento. E' anche conosciuta come Dai ma Gwai cho (prendere il cavallo nella stalla).
I punti chiave di questa tecnica sono:
• Fermare il flusso di sangue al cervello comprimendo il collo.
• Dislocare o rompere il collo con un movimento rotatorio.
L'utilizzo del Gwai sau dan è quello di parare o bloccare il colpo avversario intervenendo per comprimere la carotide, l'apporto di ossigeno al cervello verrà interrotto.
Quando il vostro avversario si affloscia, fate un passo avanti e al tempo stesso eseguite la torsione e abbassate la posizione. Questa tecnica rompe o disloca il collo.

Won Won Bao Hok
In questa particolare tecnica, il becco della gru è destinato all'occhio dell'avversario.
Usando un movimento frustato del braccio attaccante, il "becco" trafigge la cavità oculare del cranio, distruggendo in tal modo l'occhio. E' importante notare che per eseguire efficacemente la tecnica won won bao hok (reincarnazione della gru soddisfatta), è necessario osservare quanto segue:
• L'energia frustata, o "bin Ging," deve essere eseguita contemporaneamente con la rotazione della vita, al fine di ottenere un maggiore impatto. Inoltre, la mano che colpisce deve essere tenuta rilassata per acquisire maggiore efficacia nel movimento frustato.

Hau Gi Tao Toe
Questa tecnica viene utilizzata per torcere i tendini e rompere le ossa (di solito le dita e le clavicole).
I punti chiave sono afferrare, stringere, torcere e agganciare il vostro avversario all'attacco. Afferrando le dita e torcendole su (chiamato anche la tigre si arrampica sulla montagna) si soggioga l'avversario e si spezzano le dita.
Quando si attacca la clavicola, utilizzare tutti e quattro i punti chiave, non solo causano la rottura dell'osso, ma causano anche gravi lesioni nervose ai tendini. Nell'Hung gar per formare l'artiglio di tigre le mani vengono condizionate per rendere questa tecnica efficace.

Fei Wu Dip
Questa tecnica viene utilizzata per causare danni e dislocare il coccige.
Doppie farfalle che volano (Fei Wu Dip) deve il suo nome al fatto che la mano e le posizioni dei piedi sono aperti e formano la figura di una farfalla.

Fu Pao Kuen
In questa tecnica, l'accento è posto sullo schiaffo alle orecchie con due colpi di zampa di leopardo. L'aria spinta a forza nei timpani, li fa esplodere e disorienta l'avversario.
È inoltre possibile utilizzare il fu pao kuen per attaccare gli occhi del vostro avversario.
I punti chiave di questa tecnica sono:
• È necessario affondare nella posizione del gatto e contemporaneamente eseguire la tecnica yan ngam fu (tigre nascosta) per creare un'apertura.
• L'uso del ging è estremamente importante per la massima efficacia.
• È possibile terminare l'avversario fermando il flusso di ossigeno al cuore e al cervello, avvolgendo il braccio intorno al collo dell'avversario.
• L'uso del footwork, così come la velocità e la potenza, è essenziale per il sao juet sup.

Wong Fei Hung ha dedicato la sua vita alla ricerca e allo studio di quest'arte. Di conseguenza, il gran maestro Wong non solo ha conservato lo stile tradizionale ma ha innalzato il livello per le generazioni successive. Il sao juet sup è una famosa serie di tecniche integrate, nella Hok Fu Ying Kuen. Altre tecniche e filosofie sono inserite nella struttura di questa famosa forma, come le10 tigri e le 8 tecniche della gru.