venerdì 19 aprile 2019

Le caratteristiche della pratica dello Shitò-ryu

La molteplicità dei kata


Vi sono dunque da quaranta a cinquanta kata nella scuola Shitò-ryù contemporanea; alcune correnti ne contano anche più di sessanta. E' un vantaggio o uno svantaggio? È certamente un vantaggio, in funzione della possibilità di fare confronti di forma e di significato all'interno della gestualità dei kata di karaté, che costituisce una particolare grammatica di segni del corpo. Per un lavoro di ricerca, è utile e allo stesso tempo indispensabile avere un repertorio sufficiente di sequenze gestuali per decodificare, a partire da una messa in relazione, i l senso nascosto dei kata. Questo repertorio
facilita anche l'esame critico dei kata che vengono praticati, e la riflessione sul modo di trasmissione dei kata.
Tuttavia, un numero elevato di kata non significa obbligatoriamente una superiorità quanto alla pratica dell'arte. Un insieme di dodici kata, come nella scuola Gòjù-ryù, è ampiamente sufficiente per assicurare la perpetuazione di una scuola. Padroneggiare questi dodici kata e approfondirli è molto difficile, e ben pochi vi arrivano. In tutte le scuole di karaté, in generale, ogni adepto concentra, seguendo un ciclo che può andare da qualche mese a parecchi anni, i propri sforzi su un certo kata che ha scelto per approfondirlo particolarmente. Fino all'inizio del secolo, ben pochi
maestri conoscevano più d i tre o quattro kata; ogni kata dava luogo a un lavoro profondo e reiterato. Come può, oggigiorno, un adepto ordinario conoscere dieci volte più kata e, al tempo stesso, ricercare la qualità? È innegabile che esiste i l rischio di perdersi nella quantità e di restare a un livello superficiale.
Benché K. Mabuni si sia riallacciato, per un certo tempo, alla scuola Gòjù-ryù fondata dal suo collega Miyagi, quando osserviamo oggi il modo di praticare è molto netta la differenza tra le due scuole Gòjù-ryù e Shitò-ryù. Un esperto qualificato nel karaté non può mancare di constatare una differenza nell'esecuzione di uno stesso kata del loro comune repertorio.
A mio avviso, i gesti del kata dello Shitò-ryù sono più eleganti, più scorrevoli, ma manca loro qualcosa di essenziale in rapporto al Gòjùryù; è come u n formaggio non stagionato, di aspetto forse più pulito, ma al quale manchi la parte cremosa. Durante l'esercizio di un kata, gli adepti della scuola Gòjù-ryù cercano di acquisire una specie di viscosità o d i elasticità con ogni movimento tecnico. Essi chiamano muchimi la sottigliezza di questi movimenti delicati, che è la fonte dell'efficacia tecnica. Diventare capaci di esprimere i l muchimi in ogni gesto è il principale obiettivo dell'allenamento per gli adepti della scuola Gòjù-ryù. L'allenamento fatto a questo scopo non è per loro compatibile con la pratica di un gran numero di kata. La differenza fondamentale tra i kata di queste due scuole consiste nella nozione pratica di muchimi.
Queste particolarità dello Shitò-ryù, possono spiegarsi con la difficoltà di integrare due tendenze tanto divergenti come quelle di Higaonna e di Itosu. Un primo ragionamento ci porta a pensare che, fondendo i contributi di due maesti, i migliori della loro epoca, sia possibile pervenire a una grande maestria. Questo sarebbe vero se la differenza tra questi due maestri consistesse nel repertorio delle tecniche, ma essa verte sulla concezione del corpo. E, anche se si comprendono queste due concezioni del corpo, non è facile far coabitare in uno stesso corpo queste due maniere di sentire e di agire. È altrettanto difficile quanto, per una persona, avere spontaneamente due andature differenti.
Quindi, nello Shitò-ryù, è l'andatura derivata da Itosu che ha predominato.
Le due eredità sono presenti, ma i kata comuni al Gòjù-ryù sono eseguiti alla maniera di Itosu; quindi la qualità del Naha-te non è vissuta come tale. E ciò che spesso succede quando si cerca di mescolare il karaté con l'arte cinese del combattimento, procedendo per accostamenti. Per esempio, quando un karateka pratica il tai ji quan, rischia di far semplicemente dei movimenti di karaté rallentati. E quando un adepto di taiji quan pratica il karaté, ha spesso difficoltà a realizzare la sensazione del kime. La complementarità non può essere effettiva, e condurre a un arricchimento,
se non si parte da ciò che genera i movimenti e dà loro un senso, vale a dire la concezione del corpo, e se vi è convergenza a questo livello. L'arte del combattimento non può essere sviluppata a partire da un mosaico di movimenti; il corpo umano, che è vivo, manifesta le proprie resistenze. Così, la scuola Shitò-ryù trova la sua unità nella predominanza della discendenza da Itosu. Significativo è il fatto che uno dei discepoli di Mabuni, R. Sakagami, abbia chiamato la propria scuola Itosu-ryù, sebbene pratichi l'insieme dell'eredità dello Shitò-ryù, che include i dodici kata del Gòjù-ryù.

La tecnica
La tecnica della scuola Shitò-ryù è contrassegnata dalla sottigliezza. In confronto ad altre, può mancare talvolta dell'espressione di potenza, ma la compensa ampiamente con la velocità e la sottigliezza tecnica. Gli adepti di questa scuola eccellono spesso nelle tecniche che si basano sulla mobilità del bacino, gli spostamenti del corpo e le tecniche di deviazione degli attacchi. Durante gli incontri universitari, le correnti Shitò-ryù e Wadòryù ottenevano spesso i migliori risultati. L'abilità tecnica dello Shitò-ryù è a volte qualificata come superficiale dagli adepti dello Shòtòkan, che cercano l'efficacia con posizioni più basse.

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