lunedì 1 aprile 2019

Natura, una scuola


L'antica memoria dell'uomo parla di una remota età dove si viveva in perfetto contatto con la natura vicini alla divinità

In quell'era non esisteva la morte, né malattia, odio, delitti e incomprensioni.
Questa era l'epoca che poi verrà ricordata come paradiso terrestre, età dell'oro, pace dell'uomo perfetto. Poi, qualcosa venne a spezzare questa idilliaca situazione e il mondo precipitò in una condizione di conflitto e miseria, dove ancora si trova.
Leggende altrettanto antiche narrano dei vari motivi che causarono questa rottura dell'armonia
innata e incorrotta. Tutti parlano dt un'azione umana dettata dall'orgoglio e dall'egoismo, celata sotto il falso motivo della ricerca della conoscenza.
Diversi testi attribuiscono all'invenzione del linguaggio la causa di questa disarmonia catastrofica.
Sostituendo le parole a uno stato di comunicazione diretta e istintiva, l'uomo causava non solo la sua esclusione dal resto della natura, non solo creava un abisso comunicativo tra i suoi stessi simili, dato che ogni linguaggio aveva, e ha, forti variazioni dettate dalla singola personalità, ma anche dissacrava e diminuiva il potere delle cose, attribuendo a esse un nome che, raffigurandole in un soggetto espresso, assicurava magicamente il potere sopra di esse. Possiamo definire il linguaggio la "prima tecnologia egoistica"? La tecnologia, da quella prima generazione, è aumentata e cresciuta a dismisura. Oggi siamo dipendenti dalla tecnologia, condizionati e regolati da essa, con il risultato che assicurarsi il suo possesso appare come un vero innalzamento della propria capacità individuale. Ma se pensiamo alla tecnologia per quello che è per noi, si rivela solo una scorciatoia che ci permette di fare un'azione in un modo veloce e apparentemente perfetto, ma in realtà carente. Non diciamo forse "fatto a macchina" per indicare una cosa in fondo dozzinale, poco accurata, senz'anima e senza quelle doti che costituiscono il risultato dell'opera precisa di un bravo artigiano o di un artista? La nostra "fuga in avanti" tecnologica ha cancellato, sotto i possenti colpi dell'industrializzazione, delle catene di montaggio e del benessere, moltissime conoscenze. Conoscenze che la nostra cultura aveva accumulato pazientemente nei suoi millenni di storia.
E adesso che ci siamo accorti, almeno alcuni, di quanto è stato perso e di quanto stiamo ancora per perdere, ci muoviamo con amarezza e passione per cercare di salvare, per recuperare questo patrimonio e riconquistare i tempi rotondi e remoti di vita, associati alle conoscenze perdute. Così è nelle arti marziali, travolte dal progresso tecnologico, dall'affermazione delle armi che uccidevano sempre più lontano, dall'imborghesimento della società. La logica borghese è solidamente protesa verso le logiche commerciali del profitto e del guadagno, logiche che ostacolano e aborriscono i sentimenti eroici, il comportamento improduttivo, l'esistenza dell'eroe e del poeta.
Le arti marziali sono state quasi uccise dallo sport agonistico, che corrompe l'aspirazione umana al confronto cavalleresco, trasformandolo in un gioco mascherato dove il fine, dopo tutto, è ancora una forma di profitto, di resa egoistica, di perdita dell'immagine di se stessi. Perso, per noi questo patrimonio in occidente, ci siamo rivolti all'oriente. L'Oriente misterioso ed esotico, uscito solo da poco, e non del tutto, dal Medio Evo, e in alcuni casi ancora non contagiato completamente dal morbo del progresso tecnologico.
Oriente ancora saturo di quella filosofia che permette di giudicare le cose per quello che sono e il progresso tecnologico per quello che è, un giocattolo lucente, ma vuoto. Oriente che ci da materiale per trovare un'ancora, per interpretare i segni rimasti del nostro antico patrimonio e ricomporlo con pazienza, Nelle arti marziali con una storia e un cuore, una via da seguire, noi possiamo trovare ancora molte delle cose che l'uomo primigenio, l'uomo dorato, ha lasciato di se stesso in eredità. Questo rapporto diretto e vero che, entrando negli esercizi e nelle forme, ci riporta di nuovo in diretta comunicazione, senza l'affanno deviante della parola, con il mondo, la natura, noi stessi, gli altri, nella ruota in moto perenne delle energie in movimento.
Sono le arti marziali create da uomini che nel vortice sanguinoso e caotico del combattimento trovarono la verità della vita e della quiete e, arrivati fino al cuore della violenza, scoprirono in quel luogo oscuro che l'estremo di un'energia desta e genera il suo opposto luminoso, crescente, potente. Ora, una scuola di arti marziali, classica o d'ispirazione classica, vive questa nascosta realtà e cela in se stessa le intuizioni del proprio fondatore. Chi si avvicina a un'arte marziale spesso non ha idee chiare o, avendole, rincorre all'inizio fini secondari e svianti, come possono essere la vittoria in una gara, il grado e la cintura nera, la forma fisica, l'invincibilità, l'esotismo.
Poi, per chi scava sotto la superfìcie, si trovano sensazioni che colpiscono l'ignaro principiante che non se le aspetta, celato sotto la maschera l'aspetto profondo e terribile. Caso o intuizione guidano gli adepti verso le discipline che più loro si confanno, più vicine al loro carattere e pensiero.
Questo caso e quest'intuizione mi hanno portato lungo le strade della arti marziali, sotto il cui già affascinante aspetto esterno c'è quanto cercavo. Il ricordo del linguaggio remoto della prima alba, la possibilità di sentirsi ancora uniti all'ambiente che ci circonda.
Molte arti marziali, come il tai chi chuan, il pa kua, l'i chuan, stili di ju jutsu e altre forme di combattimento, cercano il coinvolgimento globale del corpo nell'azione, unificando i tre aspetti che noi occidentali tendiamo a separare: corpo, mente, spirito.
Altre metodiche si avvalgono del movimento detto "onda-choc", all'inizio prevalentemente fisico, poi sempre più globale. Questo movimento scioglie e rende consapevoli le nostre catene muscolari, nel loro insieme di sostanza, impulsi e intenzione. Risuona una vibrazione, infine, che è armonica con quelle della natura e mette in comunicazione sfera personale e sfera universale.
Il rapporto con la natura è un punto importante, che si sviluppa in vari modi; oltre che col movimento ondulatorio, attraverso il raggiungimento della maestria nella pratica di un'arte marziale.
Tale cammino non è un punto comune, è piuttosto patrimonio delle discipline di contenuto tradizionale. Non è un sentimento new age o un'esaltazione passeggera, E' quel tipo di rapporto di cui parlava Morihei Ueshiba nei suoi discorsi. La sensazione della comunione delle, cose in un unico, un continuo vuoto-pieno, materia-energia, dove tutto in maniera alchemica si trasforma l'uno nell'altro in un ciclo senza sosta.
E' vero che l'esperienza delle arti marziali è un qualcosa di personale,
Ognuno si trova coinvolto in un ballo, all'inizio caotico, dove si cerca pian piano di dipanare i movimenti fino a descrivere un disegno ordinato e armonico. Per qualcuno, entrato col ritmo della danza fino al cuore del disegno, l'esperienza è di tale portata che non è più possibile continuare normalmente la vita precedente; occorre goderne, viverla e, per dividerla con altri, cercare di insegnarla. Spesso, in film o fotografie, si vede raffigurata l'immagine dell'anziano maestro o del
forte atleta in una fase di meditazione o in una di pratica, in ambedue i casi svolta davanti a uno scenario naturale. A volte l'aspetto di tale immagine è fortemente retorico, ma veritiero.
Se un dojo è un posto irrinunciabile, l'espressione del "luogo", della radicazione dello spinto e della consacrazione della pratica, al luogo chiuso è bene avere un'alternativa, uno o più luoghi naturali, tranquilli per posizione, ricchi di energie, dove rifugiarsi ogni tanto.
La pratica delle arti marziali cambia l'adepto.
Almeno, ciò succede se quest'ultimo ha la pazienza di perdurare nell'attività oltre le difficoltà iniziali, non accontentandosi delle glorie esteriori dei successi sportivi o dei gradi vissuti come gratificazione personale.
Qualcosa di diverso comincia a formarsi nel profondo del proprio abisso, fisico e non fisico.
Spesso, all'inizio è un malessere, dove la sensazione è l'inadeguatezza, superata temporaneamente da apparenti nuove conquiste d'abilità.
La stessa sensazione, poi, è ricorrente a cicli serrati o radi. Ci si ferma a guardare anche cose d'apparente infima importanza, o estranee al modo di vivere corrente. Il ritmo della vita è diverso, vano il tentativo degli altri: cercare di riportare chi è cambiato in termini per loro normali, modaioli, consumistici.
Così la pratica scopre la sfera esterna, l'uomo sente e si rivolge a guardare l'energia nelle sue forme e manifestazioni. L'esercizio stesso non è più un'azione per vincere, non è più un movimento, ma una ricerca continua e costante delle correnti e delle sfere, delle strade dove camminano, si oppongono e interagiscono yin e yang.
Chi lavora con me, lo stesso luogo, non sono più entità fisiche tridimensionali, corpi solidi compatti, ma un insieme di nastri di forze, con movimenti e scorrimenti. Si cerca di seguire, arrotondare e far adattare il movimento, con impalpabile dolcezza, ai propri intenti, oppure di tagliare con incisioni imperiose, laddove si vede già il germe dello sfilacciamento.
Queste sono cose che, prima o poi, si vogliono condividere. L'allievo ha compiuto un cammino, prima istruttore di modelli, ora maestro.
E' un'elezione o una predisposizione? Il maestro guarda le persone, le spinge a diventare istruttori, se ne hanno l'indole, per diffondere la pratica educativa e il patrimonio di cultura e conoscenza. Alcuni hanno qualcosa in più, entrano maggiormente nella pratica, diventano "viventi", persone in cui la disciplina, è in tutte le loro azioni. Sono, saranno, i maestri, guide e riferimento per tutti.
Qual è il rapporto tra maestro e allievo? Spesso, oggi, il confine tra l'uno e l'altro è molto sottile; ragazzi che intraprendono l'insegnamento dopo pochi anni, o addirittura dopo un corso di qualche fine settimana. Poi si fanno chiamare "maestri".
Non è il conoscere le teorie pedagogiche che fa l'insegnante, ma piuttosto l'apprendistato presso un vero maestro, che lo forgia attraverso l'imitazione imposta, comunica la sua vita, lo martella per formare e temprare. Il maestro è custode della disciplina.
Nella sua opera di testimone e trasmettitore, da una parte cerca di venire incontro all'allievo, dall'altra severamente s'impegna che le regole della scuola e il suo modello tecnico rimangano inviolati.
Non è facile insegnare, in generale, ed è diffìcile in modo particolare insegnare una cosa come le arti marziali.
Il maestro deve decidere se l'allievo è affidabile, quanto può insegnargli, deve capire quanto l'allievo può apprendere e quale sia la miglior maniera per farglielo imparare.
La gradualità dell'insegnamento, quando spingere e quando rallentare, i momenti .migliori per chiedere di più e quelli per accontentarsi.
Non sa, il maestro, se i suoi semi germoglieranno.
A volte sarà avaro d'acqua, a volte generoso di terra. Nessuno è uguale, e lui stesso cambia, nel tempo. E' difficile, però, che l'allievo oggi possa capire qual è il cammino e l'atteggiamento che gli è richiesto. All'interno di una scuola, quali devono essere i rapporti tra gli allievi perché, come gruppo, possano imparare meglio e assorbire con maggiore facilità gli insegnamenti?
In realtà, oggi, chi inizia è molto diverso rispetto a una volta. Nei tempi storici gli allievi di una scuola formavano un corpo, un clan, una famiglia trasversale con legami speciali. Allora, la vita di uno studente di arti marziali era vicina a quella di un monaco o di un soldato, quando non lo erano.
Si era un clan, in ogni caso. Oggi, nell'era delle palestre, con i corsi d'insegnamento spesso inseriti all'interno di strutture commerciali, chi fa le arti marziali ha spesso un'idea delle stesse pari a quella che avrebbe se andasse a fare tennis, fitness o a comprare un chilo di patate al supermercato.
Identifica direttamente la sua attività con un consumo. Al pari, i compagni del corso sono identificati come possibili amici, con cui svolgere attività di svago, venendo a mancare alcun tipo di concezione come unità di battaglia.
Tocca al maestro avere pazienza, distribuendo il suo cibo, guardando con attenzione se un seme germoglia. Ma è sbagliato pensare solo alla venuta di un nuovo predestinato.
La scuola vuole dare, a tutti, salute, capacità migliorate, senso del rispetto, l'amore per lo studio rigoroso. La scuola...

3 commenti:

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