Il pugilato o boxing (talvolta chiamato “boxe“, alla francese) è uno sport da combattimento in cui due persone, che di solito indossano guantoni e altri dispositivi di protezione come fasce per le mani e paradenti, si scambiano pugni a vicenda per un periodo di tempo predeterminato su un ring.
Un bassorilievo sumero in Iraq dell III millennio a.C. è la prima prova storica della pratica del pugilato. In seguito alcuni bassorilievi ittiti ed assiro-babilonesi riportano prove della sua esistenza: una scultura ritrovata a Tebe, in Egitto datata circa 1350 a.C. raffigura due pugili e degli spettatori.
Placca di terracotta di lottatori e pugili – Khafaji, Tempio Nintu, Periodo Protodinastico, circa 3000 – 2340 prima di Cristo, Iraq Museum, Baghdad
Numerosi reperti storici ritrovati tra Egitto e Vicino Oriente rappresentano in forma testuale o pittorica dei combattimenti dove gli atleti si affrontavano con pugni nudi o a mani bendate.
Risale invece al 1650 a.C. circa la prima prova storica dell’utilizzo di guantoni: in un affresco sono rappresentati due pugili che combattono con le mani coperte da quelli che sembrano guantoni.
Nell’India antica esistevano numerose discipline da combattimento assimilabili al pugilato, come il musti-yuddha. Il Mahabharata, uno dei più grandi poemi epici indiani, descrive chiaramente un combattimento tra due persone con pugni stretti, anche se la pratica ricorda quella del pancrazio poiché prevedeva calci, colpi con le dita, ginocchiate e testate. Si trattava di duelli (chiamati niyuddham) che si potevano spingere fino alla morte di uno dei due avversari.
Rudraman è stato un governante dell’epoca dei satrapi occidentali che è passato alla storia come un eccellente pugile: in seguito ci sono reperti storici che descrivono il musti-yuddha, come il Gurbilas Shemi, un testo sikh.
Il pugilato moderno
Il match viene combattuto da due atleti avversari detti pugili su una struttura quadrata sopraelevata delimitata da quattro corde chiamata ring, accompagnati da un arbitro, unica persona sul ring assieme agli atleti durante il combattimento.
Ha una durata variabile tra 5 ed un massimo di 12 riprese da 3 minuti inframmezzate da pause da 1 minuto. Il numero di riprese massime scese da 15 a 12 negli anni ’80 in seguito a frequenti morti sul ring.
Al termine delle riprese viene dichiarato vincitore il pugile che abbia portato i colpi più significativi (vittoria ai punti), decisione che può essere unanime tra i giudici presenti a bordo ring, oppure che abbia mandato “al tappeto” (KO) l’avversario.
Un pugile può perdere anche per evidente KO tecnico (incapacità di continuare il combattimento) solitamente decretato dall’arbitro, per abbandono (spontaneo o deciso dall’angolo gettando “la spugna” a terra) o per stop medico.
La vittoria può essere decretata anche se l’arbitro decreta una squalifica nei confronti di uno dei due pugili.
In caso di conclusione dell’incontro e di punteggio identico la vittoria viene decretata comunque sulla base di un giudizio tecnico se si tratta di un incontro tra dilettanti (ad esempio nelle Olimpiadi) mentre viene decretato un pareggio nel caso di un match tra professionisti.
Sono note evidenze storiche di incontri sportivi di pugilato in Levante attorno al III millennio a.C. mentre la prima documentazione di un regolamento di pugilato risale ai Giochi Olimpici Antichi del 688 a.C.. In seguito la pratica pugilistica continuò ad evolversi conoscendo il successo tra il XVI ed il XVIII secolo in Gran Bretagna, con match sui quali era comune scommettere, fino all’introduzione delle Regole del Marchese di Queensberry (John Sholto Douglas) nel 1867 che assieme al pugile John Graham Chambers elaborò una serie di regole utilizzate nei combattimenti tra pugili amatoriali a Londra presso il Lillie Bridge. Tali regole avrebbero costituito in seguito il regolamento tradizionale del pugilato.
La tecnica pugilistica consiste in una posizione di guardia dalla quale si intercettano, si deviano, si parano e si tirano colpi con gli arti superiori utilizzando i pugni (colpire con i gomiti è severamente vietato).
I tipi di colpo ammessi sono quattro: jab, cross, hook ed uppercut. Una particolare variazione dell’uppercut è il “Bolo punch” (“colpo machete“: il “Bolo” è il machete filippino utilizzato per farsi spazio nella giungla) utilizzato anche nella Muay Thai e nella kickboxing.
Questi diversi tipi di colpo possono essere eseguiti in rapida successione per formare combinazioni o “combo“. La più comune è la combinazione jab e cross, chiamata spesso “uno-due“, dove il jab serve per bloccare la vista ed aprire lo spazio al più potente e risolutivo cross.
Esistono inoltre numerose schivate di tronco per evitare i colpi dell’avversario, che si combinano con l’altro elemento fondante la pugilistica, ossia il footwork.
A queste tecniche si aggiungono blocchi o parate, finte, clinch, deviate e numerose combinazioni delle precedenti.
Nella boxe sono ammessi solo colpi dalla cintura in su e portati frontalmente o lateralmente. Non sono ammessi colpi girati (con la rotazione del tronco a 360°) e con il dorso della mano, con la mano di taglio o con il palmo. É vietato colpire l’avversario a terra. Colpire sulle braccia o sui guantoni dell’avversario non è proibito, tuttavia non incrementa il punteggio. Sono ovviamente vietate testate, gomitate, morsi, così come il trattenere gli arti dell’avversario.
Il pugilato viene normalmente praticato all’interno di un ring: il ring è, a dispetto del suo nome, un quadrato rialzato per circa un metro, con un lato che va da 4,90 a 6,10 m e delimitato da quattro corde che formano i classici “angoli” dove il match inizia e dove si riposano gli atleti durante i minuti di pausa tra le riprese.
Le Regole del Marchese di Queensberry
Redatte a Londra nel 1865 e pubblicate nel 1867, le regole che guideranno il pugilato da quel momento in avanti vennero chiamate così quando il 9° marchese di Queensberry approvò pubblicamente il codice, sebbene fossero state scritte da uno sportivo gallese di nome John Graham Chambers. Le Regole del Marchese di Queensberry contengono il primo obbligo all’utilizzo dei guantoni nel pugilato.
Le “Queensberry Rules” sostituirono le London Prize Ring Rules (riviste nel 1853) e vennero destinate sia ai match di boxe professionistici che amatoriali, distinguendosi così dalle meno popolari American Fair Play Rules, che erano strettamente destinate agli incontri amatoriali. Nell’uso colloquiale il termine “Queensberry Rules” è talvolta usato per riferirsi a un senso di sportività e fair play.
Il pugilato è pericoloso?
Sono stati adottati numerosi accorgimenti per preservare la salute degli atleti mantenendo alto il livello sportivo e l’aspetto dello spettacolo. Negli anni ’80 le riprese vennero portate da 15 a 12 in seguito a numerose morti durante i match. Questo presumibilmente accade per due motivi: innanzitutto i pugili si stancano tantissimo e durante le ultime riprese tendono a tenere bassa la guardia (non riuscendo più a sollevare le braccia) scoprendosi e rischiando quindi di prendere colpi forti alla testa. In secondo luogo, soprattutto in alcuni casi (pesi massimi, oppure pesi leggeri che tendono a “scambiare” piuttosto che schivare e rimettere) la quantità e l’intensità dei colpi ripetuta per tutti quei round può essere fatale. Inoltre non si devono dimenticare i rischi derivanti dal taglio del peso eccessivo per restare in categoria e le possibili predisposizioni genetiche e problematiche fisiologiche nascoste.
Svezia e Norvegia abolirono addirittura il pugilato professionistico dagli anni 80 ad inizio 2000.
Onde evitare la cosiddetta encefalopatia traumatica cronica (detta anche demenza pugilistica) ci sono numerosi controlli da effettuare in caso di pratica agonistica e sono necessarie visite mediche approfondite per avere il nullaosta al combattimento.
In sede di allenamento sono utilizzate protezioni adeguate (caschetto imbottito anche con grata/barra para naso, guantoni da 16 once, protezioni inguinali) che servono a praticare in tutta sicurezza il pugilato ed esercitarsi limitando i danni. Inoltre la tecnica pugilistica si è evoluta da forme più “dure” dove i pugili si scambiavano colpi “alla corta” senza curarsi troppo di parare o schivare (testando la rispettiva resistenza) a strategie tecniche più raffinate oggi diffuse in tutte le categorie di peso, dove si “rischia” di meno, si subiscono meno colpi e le tecniche di schivata e rimessa, così come footwork, parate, shoulder roll e via dicendo aiutano a limitare il danno (tra i maestri indiscussi di questo stile Vasiliy Lomachenko, Floyd Mayweather Jr., Naseem Hamed). Alcuni atleti continuano a preferire tuttavia forme più “dure” del pugilato affidandosi a colpi fortissimi portati senza coprirsi troppo (Deontay Wilder).
Il pugilato in Italia
In Italia la F.P.I. è l’unica struttura responsabile dell’organizzazione dell’attività del pugilato – il cui contenuto agonistico è definito dalla stessa Federazione – della gestione degli aspetti tecnici e della promozione della disciplina che presiede nell’ambito dei confini nazionali, costituendo, altresì, l’esclusivo referente per l’A.I.B.A. a livello internazionale. Nessun’attività sportiva simile al pugilato può essere praticata in assenza delle tutele, garanzie e specifici protocolli tecnico-sanitari, propri della F.P.I.. Il CONI riconosce una sola federazione per ogni disciplina: ne consegue che nessun’altra federazione affiliata potrebbe praticare il pugilato.