venerdì 27 agosto 2010

Sankukai

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Karate Sankukai (in giapponese 三空会) è uno stile di karate codificato da Yoshinao Nanbu nel 1970. Esso è basato su tecniche estrapolate dall'Aikidō, dal Judo, dal karate Shitō-ryū e dal karate Shūkōkai. Il suo simbolo è costituito da tre cerchi (due rossi ed uno bianco), che rappresentano (dal più interno al più esterno): la Terra, la Luna ed il Sole.

Kaiten
I Kaiten geri (calcio) e tsuki (pugno) vengono introdotti dal M°. Nanbu per portare un concetto innovativo nel suo stile di karate. L'attacco non deve necessariamente essere frontale, ovvero portate sull'asse longitudinale dell'avversario. I Kaiten sono pugni e calci circolari che hanno le caratteristiche peculiari di penetrare nella guardia dell'avversario da una direzione diversa, tra i 30° e i 45°.

Tenshin
Parimenti agli attacchi il Sankukai ha le parate circolari, ovvero tecniche create per evitare di ricevere un colpo. Non a caso di parla di evitare perché i tenshin apportano una grandissima innovazione: invece di bloccare l'attacco dell'avversario il Tenshin permette di evitarla e nel contempo di preparare un contrattacco che penetri la guardia ad un angolo diverso dall'asse longitudinale (0°).

Randori
Mutuandoli direttamente dallo Judo il M° Nanbu introduce i Randori come base del kumite (combattimento). I Randori sono sequenze di 7 attacchi e corrispondenti 7 parate che introducono gli atleti ai concetti basilari del kumite: tempo, distanza, velocità.
In particolare gli attacchi sono sempre gli stessi per tutti i Randori: oi-tsuki destro e sinistro, mae-geri destro e sinistro, mawashi-geri destro e sinistro, ultimo attacco di oi-tsuki destro (per i primi 3 Randori).
Le difese sono
- di pugno (tsuki) per il 1° Randori (Randori ichi-no-kata)
- di calcio (geri) per il 2° Randori (Randori ni-no-kata)
- di proiezione a terra (ashi waza) per il 3° Randori (Randori san-no-kata)
- di leva articolare per il 4° Randori (Randori yon-no-kata)
- di bastone (bo) per il 5° Randori (Randori go-no-kata)

Kata
Kata Shitei:
Taikyoku Shodan, Taikyoku Nidan, Taikyoku Sandan
Heiwa Shodan, Heiwa Nidan, Heiwa Sandan, Heiwa Yondan, Heiwa Godan

Kata Sentei:
Hiji no kata, Jiin, Annanko, Shinsei, Bassai Dai

Kata Superiori:
Matsukaze, Hyakuhachi (Kururunfa), Kosokun Dai, Seipai, Seienchin, Tajima, Goju yon, Ten ryu no kata
  • Video dei Kata Sankukai, su m.youtube.com.
Le origini
Tratto da "Karate Sankukai" di Yoshinao Nanbu
Il Maestro Yoshinao Nanbu è nato a Kobe in Giappone nel febbraio 1943. Appartiene ad una vecchia famiglia di budoka. Il nonno era lottatore di Sumo, molto famoso; suo padre (5º dan), teneva corsi di Judo al Dojo di polizia della città di Kobe. Sotto la direttiva del padre, il maestro Nanbu cominciò a praticare il Judo a soli cinque anni. Quando entrò nella scuola comunale, imparò il Kendo sotto la guida di suo zio. Negli Anni Cinquanta, sia il Karate che l'Aikido erano vietati (infatti il generale Mac Arthur, comandante delle forze di occupazione degli Stati Uniti in Giappone, aveva proibito la pratica di queste due discipline). Così Nanbu dovette cominciare a praticare queste arti sotto la direzione del maestro Someka, che era direttore di un club "amichevole". Egli cominciò a leggere con avidità i libri di suo padre su tutte le arti marziali: Tonfa, Nuntchaku, Tambo, Sai, eccetera, cui si dedicò ben presto nei Dojo del vicinato. A diciotto anni il maestro Nanbu entrò alla facoltà di Scienze Economiche di Osaka, dove ebbe come maestro Tani, 8º dan, che professava lo Shito-Ryu. Fu ben presto promosso capitano della squadra di Karate della sua università, titolo questo che ha molto valore, data l'importanza dei karateka universitari giapponesi. Nel 1963 divenne campione universitario del Giappone (c'erano allora 1250 concorrenti). Per questa vittoria Yoshinao Nanbu ricevette ufficialmente la "medaglia al valore" (mandata da tutti i Karateka giapponesi) dalle mani del direttore dell'università di Waseda, Ohama, promotore dell'organizzazione dell'Associazione degli studenti dell'università. Nel 1964 ricevette l'invito da Plee, allora promotore del Karate in Francia, a partecipare come invitato alla coppa di Francia; la vinse combattendo individualmente. Partecipò anche alla coppa internazionale di Cannes (sette Paesi: Gran Bretagna, Germania, Italia, Norvegia, Stati Uniti, Svizzera e Francia), e vinse anche qui il combattimento individuale. Da questo momento il maestro Nanbu cominciò a considerare la sua arte come una professione, e così di conseguenza modificò i suoi programmi. Nel 1968 andò a trovare tutti i maestri giapponesi, invitandoli l'uno dopo l'altro, per imparare tutti i tipi di tecniche; ufficialmente però si trovava ancora sotto le direttive del maestro Tani e cioè del Shukokai - Shito-Ryu. Lo stesso anno, proprio su richiesta del maestro Tani (che diceva di lui che aveva il genio del Karate), Nanbu si diede da fare per mettere in piedi l'organizzazione mondiale di Shukokai. La sua riunione ebbe successo grazie alle numerose dimostrazioni da lui date in parecchi Paesi, come la Scozia, la Gran Bretagna, la Francia, la Norvegia, la Germania, l'Italia, il Belgio e la Jugoslavia. Aprì in seguito dei "club Nanbu" a Parigi e in provincia, e divenne allenatore della squadra francese. (I suoi nuovi allievi da quel momento hanno cominciato a vincere i campionati di Francia e d'Europa). In seguito ai suoi duri sforzi per promuovere il Shukokai, il maestro Nanbu venne nominato presidente della federazione scozzese di karate, consigliere e direttore tecnico della federazione belga di karate, presidente della federazione norvegese di karate, consigliere e direttore tecnico della squadra di Karate Jugoslava. Nel 1969 il maestro Nanbu giunse per la prima volta in Canada, per salutare dei suoi discepoli; e lo stesso anno il maestro Tani gli propose di occuparsi dell'organizzazione del terzo campionato del mondo di Karate che avrebbe avuto luogo a Parigi nel mese di ottobre. Il giorno dopo il campionato, il maestro Nanbu ruppe definitivamente con lo stile Shukokai, poiché si era accorto che, essendo uno stile essenzialmente competitivo, i suoi seguaci finivano per praticare solamente le tecniche più redditizie per la competizione, e, cioè lo Tsuki (pugno diretto) e il Mae-Geri (calcio frontale), lasciando da parte le altre tecniche come il Yoko-Geri (calcio laterale) e il Mawashi-Geri (calcio circolare) più difficili da applicare durante una gara. Questo modo di combattere era divenuto così rigido e schematico che un esperto di Shukokai poté un giorno dire: "Questo metodo, in sé eccellente purtroppo non ha saputo fare altro che fabbricare handicappati". Cosciente dei limiti del Shukokai, il maestro Nanbu riparti per il Giappone, e dopo lunghi mesi di riflessione e di meditazione trovò la soluzione dei suoi problemi, fondando la sua tecnica personale, che chiamò SANKUKAI.
Quando il Sankukai prese la sua fisionomia definitiva, il maestro Nanbu sottopose le sue conclusioni a un istituto riconosciuto ufficialmente, che ne studiò i rapporti di forza e la dinamica dell'energia. Le conclusioni che gli esperti trassero furono ottime; infatti essi approvarono la nuova tecnica poiché questa mostrava chiaramente che si potevano migliorare in maniera considerevole: la parata del colpo avversario; la velocità di esecuzione; la forza con la quale si porta la risposta; la ricchezza di spostamenti e schivate al posto dei bloccaggi classici; il modo (molto diverso) di portare gli atemi.
Grazie all'inesauribile energia e alla serenità del maestro Nanbu, il Sankukai mise radici rapidamente in Giappone, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, in Germania, in Norvegia, in Marocco, in Svizzera, in Belgio, in Messico, in Guatemala e in Canada.
  • Bushi Karate-do, scuola di karate sankukai tradizionale
  • British Sankukai Karate Association, su karatesankukai.co.uk.
  • Sankukai - Scuola Italiana Budo, su scuolaitalianabudo.it.
  • Federation Sankukai Karate-do Scotland, su fsks.net. URL consultato l'11 gennaio 2010 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2010).
  • Federazione FEKDA Sankukai Karate-do Italy, su fekda.eu.


La Forza Silenziosa dell'Aikido: Armonia e Difesa

 

L’Aikido è un’arte marziale unica, che si distingue per la sua filosofia di non-aggressione, l’uso dell’energia dell’avversario e la ricerca di armonia, piuttosto che di conflitto. Sebbene meno conosciuta rispetto ad altre discipline giapponesi come il Karate o il Judo, l'Aikido sta crescendo rapidamente in popolarità, attirando sempre più praticanti in tutto il mondo. La sua filosofia di pace e l'approccio innovativo al combattimento fanno di questa arte marziale un’affascinante combinazione di forza, grazia e autodisciplina.

L’Aikido è stato fondato all'inizio del XX secolo da Morihei Ueshiba, un maestro di arti marziali giapponese che cercò di unire i principi delle tradizionali tecniche di combattimento giapponesi con un approccio spirituale profondo. Ueshiba, influenzato da filosofie e religioni orientali, in particolare lo Shintoismo e il Buddhismo, concepì l’Aikido non solo come una tecnica di difesa personale, ma come un mezzo per raggiungere l’armonia interiore e il miglioramento del carattere.

L’obiettivo dell'Aikido non è distruggere o sopraffare l’avversario, ma guidarne l'energia in modo tale da disarmarlo o metterlo fuori gioco senza infliggere danni. Le tecniche di Aikido sono basate sull’idea che, attraverso il movimento fluido e l’utilizzo dell'energia altrui, sia possibile neutralizzare un attacco in modo efficiente e pacifico.

L’aspetto distintivo dell’Aikido rispetto ad altre arti marziali è la sua enfasi sull'armonia e sul flusso. Il termine "Aikido" stesso è una fusione di tre parole giapponesi: "Ai" (armonia), "Ki" (energia) e "Do" (via), e significa letteralmente "la via dell'armonia con l'energia". L'arte marziale insegna che, piuttosto che opporsi alla forza di un attacco, è possibile armonizzarsi con essa, utilizzando il movimento e la direzione dell’avversario a proprio favore.

Invece di cercare di vincere una lotta attraverso la forza bruta, il praticante di Aikido apprende come assorbire, deviare e redirigere l'energia del proprio aggressore. Questo approccio basato sulla fluidità e l’equilibrio è tanto una lezione di combattimento quanto un’opportunità di crescita personale. Attraverso la pratica, l’individuo impara a restare calmo, centrato e controllato anche di fronte alla violenza.

Una delle tecniche più iconiche dell’Aikido è il irimi-nage, in cui il praticante si avvicina rapidamente al proprio avversario per immobilizzarlo, utilizzando il movimento del corpo per deviare e neutralizzare l'attacco. Al contrario, nelle tecniche di kaiten-nage si fa uso di rotazioni del corpo per proiettare l'avversario a terra. In entrambi i casi, l’obiettivo non è mai danneggiare l’altro, ma piuttosto ripristinare l'equilibrio e la pace attraverso un movimento fluido.

L’Aikido si distingue anche per l’importanza dell’autocontrollo e della consapevolezza di sé. Ogni pratica non è solo una sequenza di movimenti fisici, ma anche una riflessione interna sul proprio comportamento, sulle emozioni e sulla propria percezione. Il miglioramento delle capacità fisiche è solo una parte del percorso: un altro aspetto cruciale è la crescita emotiva e mentale.

I praticanti di Aikido apprendono a "sentire" l'intenzione dell'avversario, attraverso il contatto fisico, la postura e il movimento, sviluppando una sensibilità che va oltre il combattimento. La concentrazione mentale, la respirazione e la centratura sono essenziali per eseguire correttamente le tecniche e per mantenere una calma assoluta durante la pratica. Questo significa che, più che una tecnica di difesa personale, l'Aikido è un’opportunità per sviluppare una profondità di pensiero e di azione che si riflette anche nella vita quotidiana.

Anche se tradizionalmente l’Aikido è stato praticato come arte marziale per la difesa personale e lo sviluppo spirituale, negli ultimi anni ha visto una crescente diffusione a livello mondiale. Le persone si avvicinano all’Aikido non solo per imparare a difendersi, ma anche per sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, una mente calma e una migliore gestione dello stress.

L’interesse per l’Aikido è in aumento anche nel contesto delle aziende e delle organizzazioni, dove i suoi principi di armonia, gestione del conflitto e lavoro di squadra sono diventati argomenti di grande rilevanza. Alcuni programmi di formazione aziendale hanno adottato tecniche di Aikido come strumento per migliorare la comunicazione interpersonale, la leadership e la gestione dei conflitti. Il concetto di "muovere con l’energia", che implica non solo il corpo ma anche le emozioni e la mente, ha trovato applicazione nel miglioramento delle dinamiche lavorative e della produttività.

Inoltre, l'Aikido si sta adattando alle nuove tecnologie e all’era moderna, con l'introduzione di pratiche online e corsi virtuali che consentono a chiunque, indipendentemente dalla posizione geografica, di avvicinarsi a questa arte marziale. Sebbene la pratica online non possa sostituire l’esperienza diretta del tatami, sta comunque ampliando l'accesso alla disciplina, favorendo una maggiore diffusione della filosofia dell’Aikido nel mondo contemporaneo.

L’Aikido è un’arte marziale che si distingue per la sua filosofia di non violenza e il suo approccio all’armonia. Piuttosto che cercare la distruzione dell'avversario, l’Aikido insegna a proteggere se stessi mantenendo la pace, sia nel corpo che nella mente. La sua crescita in popolarità è un riflesso della sua proposta di un mondo più equilibrato, dove il conflitto non è affrontato con la forza, ma con l’intelligenza, il rispetto e la consapevolezza. In un’epoca segnata da stress e conflitti, l'Aikido offre una via di salvezza, mostrando che la vera forza risiede nella capacità di mantenere la calma e l'armonia, anche nei momenti di tensione.

Per chi cerca un’arte marziale che non solo sviluppi la difesa personale ma che insegni anche a vivere in equilibrio con se stessi e con gli altri, l’Aikido è una strada da percorrere, una via silenziosa ma potente che guida verso una vita di serenità e forza interiore.



giovedì 26 agosto 2010

Ishikawa Goemon

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Ishikawa Goemon (石川 五右衛門; Iga, 24 agosto 1558 – Castello Fushimi, 9 ottobre 1594) è un leggendario guerriero ninja e bandito, che rubava oro e oggetti preziosi per darli ai poveri.

Biografia
Si hanno poche informazioni circa la vita di Ishikawa Goemon, che è diventato oggi una figura simbolo del folklore giapponese. È stato ucciso, bruciato nell'olio bollente, per aver tentato di uccidere Toyotomi Hideyoshi.
In una delle tante versioni della leggenda, Ishikawa attentò alla vita di Toyotomi per vendicare la morte della moglie e la cattura di suo figlio, Gobei. Quando entrò nella stanza di Toyotomi, però, provocò un rumore che svegliò le guardie e venne così catturato. Fu condannato a morte con il giovane figlio, che riuscì però a salvarsi, poiché il padre lo tenne sopra il livello dell'olio bollente.
In un'altra versione, Ishikawa voleva uccidere Toyotomi perché era un despota. Quando entrò nella stanza di Toyotomi, venne scoperto grazie ad un incensiere mistico. Venne giustiziato tramite bollitura a morte il 24 agosto 1594, con l'intera famiglia.

Nei media
Manga e anime
  • Goemon Ishikawa XIII della serie manga e anime Lupin III, creata da Monkey Punch, è un discendente diretto di Ishikawa Goemon. Il suo antenato compare di fatto nell'episodio 120 dell'anime Le nuove avventure di Lupin III, nello special televisivo Lupin III - Spada Zantetsu, infuocati! e nel capitolo La maledizione degli Ishikawa del manga Lupin III Millennium.



Viaggio nel Karate Giapponese: Tradizione e Nuove Tendenze

Il karate è una delle arti marziali giapponesi più diffuse e riconosciute a livello globale, una disciplina che ha radici antiche e una tradizione profondamente radicata nella cultura giapponese. Con il passare dei decenni, il karate si è evoluto, integrando nuove tendenze e adattandosi ai cambiamenti della società. Questo articolo esplora le origini del karate, il suo sviluppo attraverso i secoli, e come la disciplina stia affrontando le sfide del mondo moderno, mantenendo il rispetto per le tradizioni pur aprendo la porta a nuove possibilità.

Il karate ha una lunga e affascinante storia che affonda le sue radici nell’isola di Okinawa, una regione del Giappone che ha da sempre giocato un ruolo centrale nella formazione delle arti marziali giapponesi. Sebbene le origini precise siano oggetto di dibattito, molti storici ritengono che il karate si sia sviluppato dalla fusione di tecniche marziali native di Okinawa e influenze cinesi, risalenti al periodo tra il XIV e il XVI secolo.

Inizialmente conosciuto come te (mano), il karate era una forma di combattimento a mani nude utilizzata per l’autodifesa. Con il tempo, questa arte marziale si è affinata, integrando tecniche di percussione, calci e parate, e acquisendo una struttura più definita. Durante il periodo Edo (1603-1868), il karate si diffonde in tutto Okinawa, ma rimane principalmente praticato in modo clandestino, poiché il governo giapponese impone restrizioni sulle armi e sulle tecniche di combattimento.

Fu solo all'inizio del XX secolo che il karate cominciò a essere formalizzato come disciplina e a guadagnare riconoscimento al di fuori di Okinawa. Il maestro Gichin Funakoshi è spesso accreditato come colui che ha portato il karate giapponese sulla scena internazionale, quando nel 1922 lo introdusse a Tokyo e negli anni successivi contribuì alla creazione delle prime scuole e alla codifica dei suoi principi fondamentali.

Al cuore del karate giapponese ci sono tre componenti fondamentali che strutturano l'intera disciplina: kihon (fondamentali), kata (forme) e kumite (combattimento). Questi elementi sono intimamente legati non solo alla pratica fisica, ma anche alla filosofia e alla spiritualità che permeano l'arte marziale.

Kihon, le tecniche di base, costituiscono la base di qualsiasi pratica marziale. Ogni movimento, che si tratti di un pugno, un calcio o una parata, è eseguito con la massima precisione e controllo. Il kihon non è solo un allenamento fisico, ma un'opportunità per il praticante di sviluppare concentrazione, forza interiore e autocontrollo.

Il kata, che può essere tradotto come "forma" o "sequenza", è uno degli aspetti più distintivi del karate. Si tratta di una serie di movimenti precisi e codificati, che simulano un combattimento contro più avversari. Ogni kata ha un significato profondo e simbolico, con movimenti che riflettono il fluire dell’energia, la difesa, e l’attacco. La pratica del kata aiuta i praticanti a perfezionare le proprie abilità, ma è anche vista come un mezzo per raggiungere l’autodisciplina e l’armonia interiore.

Infine, il kumite, o combattimento, è la forma di allenamento più dinamica del karate. Può essere praticato in diverse modalità, dal combattimento a contatto leggero all'allenamento a contatto pieno. Il kumite non è solo una dimostrazione di forza fisica, ma anche di controllo mentale, poiché il praticante deve essere in grado di reagire rapidamente alle azioni dell’avversario, mantenendo al contempo la calma e l'autocontrollo.

Nel corso del tempo, il karate ha evoluto il suo stile e la sua pratica, adattandosi alle esigenze del mondo moderno. Uno degli sviluppi più significativi è l'integrazione del karate nei contesti competitivi internazionali. Nel 2020, il karate è stato incluso nel programma delle Olimpiadi di Tokyo, segnando un importante passo verso il riconoscimento globale della disciplina come sport a sé stante. Questo ha portato ad un crescente interesse per il karate a livello competitivo, e ha dato vita a nuove modalità di allenamento che enfatizzano l’aspetto atletico della disciplina.

L’ingresso del karate nelle competizioni internazionali ha anche spinto alcuni praticanti a sviluppare approcci più dinamici e innovativi, soprattutto nel kumite, dove la velocità, l’agilità e la strategia sono diventati aspetti cruciali. La competizione olimpica ha messo in risalto l'importanza della preparazione fisica e mentale, spingendo molti scuole di karate a integrare metodi di allenamento moderni, come il potenziamento muscolare, la preparazione psicologica e le tecniche di recupero.

Tuttavia, nonostante queste innovazioni, molti maestri di karate sono attenti a preservare gli aspetti tradizionali della disciplina. Il karate continua ad essere, per molti, una via per lo sviluppo del carattere, dell’autodisciplina e della spiritualità. Alcuni stili, come lo Shotokan e il Goju-Ryu, enfatizzano ancora oggi l’aspetto filosofico e educativo del karate, mantenendo una forte connessione con le tradizioni di Okinawa. Questi stili, pur evolvendosi, pongono l’accento sulla pratica della mente tanto quanto sul corpo, invitando i praticanti a riflettere sulla propria crescita personale.

Oggi, il karate è praticato da milioni di persone in tutto il mondo. La sua diffusione è un fenomeno che non riguarda solo gli appassionati di arti marziali, ma anche coloro che cercano una via per migliorare se stessi, sviluppare la propria salute e imparare valori di rispetto e autodisciplina. La presenza di scuole di karate in quasi ogni angolo del pianeta è testimone della sua universalità e della sua capacità di unire le persone al di là delle differenze culturali.

Molti praticanti di karate oggi non sono solo atleti, ma anche insegnanti, mentori e leader nelle loro comunità. Le lezioni apprese attraverso la pratica del karate vanno ben oltre le tecniche di combattimento e sono spesso applicabili alla vita quotidiana. La disciplina, il rispetto, l’umiltà e la ricerca dell’armonia interiore sono principi che possono influenzare positivamente ogni aspetto della vita di un praticante, sia che si tratti di relazioni personali, professionali o spirituali.

Il karate giapponese continua a prosperare come una disciplina che unisce la tradizione con l'innovazione. Sebbene le competizioni internazionali e le nuove tecniche moderne abbiano dato nuova linfa al karate, esso rimane fedele alle radici che ne hanno forgiato la filosofia. La disciplina, l'autocontrollo, il rispetto e la crescita personale continuano a essere i pilastri fondamentali di questa arte marziale, che continua a evolversi mantenendo intatti i suoi principi originari.

In un mondo che cambia rapidamente, il karate dimostra che è possibile rimanere fedeli a una tradizione mentre si abbracciano le opportunità del futuro. Il viaggio del praticante di karate, che inizia con l’apprendimento delle tecniche di base e culmina con una comprensione profonda del proprio io, è uno dei più potenti esempi di come le arti marziali possano trasformare la vita, non solo sul tatami, ma anche nella vita di ogni giorno.



mercoledì 25 agosto 2010

Il Cuore del Budo: Un'Introduzione Filosofica alle Arti Marziali

Le arti marziali, in molte delle loro forme e tradizioni, vanno ben oltre il semplice combattimento. Mentre l'aspetto fisico e tecnico è fondamentale, le discipline marziali abbracciano anche una dimensione profondamente filosofica ed etica, che guida l'individuo non solo nell'affrontare l'avversario, ma anche nel confrontarsi con se stesso. La filosofia delle arti marziali, nota come budo in Giappone, si fonda su principi che mirano a formare un individuo completo, non solo un combattente, ma anche un essere umano migliore. In questo articolo, esploreremo le radici filosofiche che uniscono diverse tradizioni marziali, come il Karate, il Judo, l'Aikido, il Kung Fu e il Taekwondo, e come questi principi possano essere applicati nella vita quotidiana.

Una delle caratteristiche comuni di tutte le arti marziali è la costante ricerca di equilibrio tra corpo e mente. Nelle pratiche marziali, il corpo non è solo uno strumento di forza, ma un veicolo per la disciplina mentale. L'obiettivo è quello di sviluppare una consapevolezza totale di se stessi, attraverso una perfetta sinergia tra mente e movimento. Questo concetto si riflette in molte espressioni delle arti marziali. Ad esempio, nell'Aikido, l'armonia è una parte essenziale della pratica: l'arte si concentra sull'uso della forza dell'avversario a proprio vantaggio, senza contrastarla direttamente. L'idea è che, come nella vita, il conflitto può essere risolto non con la violenza, ma con la comprensione e l'adattamento.

Il termine budo deriva dal più ampio concetto di bushido, il codice etico dei samurai giapponesi, che stabiliva un insieme di virtù da seguire, tra cui lealtà, coraggio, onore, rispetto e autocontrollo. Il bushido ha influenzato profondamente tutte le arti marziali giapponesi e, per estensione, molte delle tradizioni marziali nel mondo. Sebbene nel corso dei secoli il bushido possa essere interpretato in modi diversi, le sue fondamenta restano invariabili: l’impegno nel perfezionamento del carattere attraverso la pratica marziale.

In questa visione, la vera forza non risiede solo nella potenza fisica, ma nella capacità di mantenere la propria integrità morale anche di fronte alla sfida. Per esempio, nel Karate, la pratica di kata – sequenze rituali di movimenti – non serve solo per migliorare la tecnica, ma per affinare la disciplina interiore e il rispetto verso il proprio maestro, gli altri praticanti e la tradizione stessa. Ogni movimento è quindi un atto di riflessione e di crescita personale.

Un altro principio fondamentale delle arti marziali è il rispetto per gli altri, che si manifesta in numerosi modi. In primo luogo, il rispetto per il proprio maestro e per gli altri praticanti è essenziale, non solo durante l'allenamento, ma anche nella vita quotidiana. Questo principio di rei (rispetto) non è solo un atto di cortesia, ma un vero e proprio atto di riconoscimento del valore dell'altro.

In Aikido, ad esempio, la pratica non è centrata sulla sconfitta dell'avversario, ma sullo sviluppo di una relazione di interazione reciproca. L'arte non mira a ferire, ma a neutralizzare l'avversario con grazia e minimizzando il danno. La compassione, quindi, diventa un aspetto essenziale, poiché si applica non solo al rispetto della propria forza, ma anche alla considerazione per l'avversario.

Un altro elemento centrale nella filosofia del budo è l'importanza della concentrazione sul momento presente. Molte pratiche marziali richiedono un’attenzione completa al qui e ora. Questo concetto, che ricorda la mindfulness, è un principio che si applica tanto nella pratica quanto nella vita quotidiana. Nelle arti marziali, ogni movimento deve essere eseguito con intenzionalità e consapevolezza totale: non ci sono movimenti automatici. Ogni gesto, anche il più semplice, è l'espressione di una mente vigile e presente.

Nel Kung Fu, per esempio, si dice che "un solo respiro può decidere la vittoria o la sconfitta". Questa frase sottolinea l'importanza di essere completamente consapevoli di ogni singolo respiro, di ogni singolo movimento, per agire nel momento giusto. In un mondo che spesso ci spinge a vivere tra passato e futuro, la pratica marziale ci insegna a radicarci nel presente, dove si trova la vera forza.

Le arti marziali non sono solo un percorso fisico, ma un cammino verso la trasformazione personale. La perseveranza nel superare le difficoltà, la pazienza nello sviluppare la tecnica e il controllo nell'affrontare il conflitto portano a una crescita profonda. Ogni fallimento durante l’allenamento diventa un’opportunità per migliorare, e ogni successo una conferma del progresso interiore.

Nel Taekwondo, la ricerca della perfezione dei movimenti attraverso il rispetto per le tecniche e la dedizione alla propria pratica diventa uno strumento per sviluppare il carattere e la resilienza. Con il passare degli anni, il praticante non solo acquisisce abilità fisiche, ma diventa più saggio, equilibrato e consapevole delle proprie emozioni, desideri e limiti.

Con il passare degli anni, il praticante non solo acquisisce abilità fisiche, ma diventa più saggio, equilibrato e consapevole delle proprie emozioni, desideri e limiti. Questa trasformazione interiore non avviene in modo immediato; piuttosto, è il frutto di un costante processo di introspezione e riflessione che accompagna ogni passo nel percorso marziale. Ogni sessione di allenamento diventa una lezione sulla vita, dove le difficoltà e gli ostacoli non sono mai visti come fallimenti, ma come opportunità di crescita. Questo approccio riflette una delle più profonde verità delle arti marziali: la vera vittoria è quella che si ottiene sulla propria natura, non sugli altri.

Un aspetto cruciale di questa evoluzione personale è la disciplina. Nelle arti marziali, la disciplina non è solo un imperativo esterno, ma una virtù che si sviluppa interiormente. Essa implica il controllo delle proprie azioni, pensieri e emozioni, soprattutto nelle situazioni di stress o di conflitto. Il praticante impara a dominare le proprie reazioni istintive, a non lasciarsi travolgere dalla rabbia, dalla frustrazione o dalla paura, ma a rispondere con lucidità e calma. Questo autocontrollo si riflette nelle dinamiche della vita quotidiana, dove le persone che praticano le arti marziali sono più in grado di affrontare le sfide con serenità e determinazione.

Il concetto di autocontrollo si manifesta in ogni movimento praticato, in ogni tecnica eseguita con precisione, senza mai cedere all’impulso di agire in modo impulsivo o disordinato. L’importanza di "fare e non fare" è una lezione fondamentale in molte scuole di pensiero marziali, dove ogni movimento è eseguito con intenzione e senza sprechi. In questo modo, il praticante non solo perfeziona la sua tecnica, ma impara anche ad affrontare la vita con la stessa calma e precisione.

L’umiltà è un altro principio che pervade tutte le arti marziali. Il vero maestro non è colui che si vanta delle sue capacità, ma chi riconosce i propri limiti e cerca sempre di migliorarsi. L’umiltà permette di rimanere aperti all'apprendimento, anche quando si raggiungono livelli avanzati di competenza. In molte scuole marziali, è tradizione che anche i praticanti più esperti siano sempre disposti a imparare dagli altri, riconoscendo che non esiste mai una fine al percorso di crescita.

Questa apertura mentale è cruciale, perché la conoscenza non è mai completa e la perfezione è sempre un obiettivo mobile. L’umiltà, in questo senso, non è solo una qualità morale, ma un atteggiamento che consente al praticante di mantenere la mente aperta e ricettiva, pronta ad apprendere ogni giorno. In un mondo che spesso premia l’arroganza e il desiderio di apparire superiori, l’umiltà nelle arti marziali è una forma di resistenza alle pressioni esterne, un modo per preservare l’autenticità e l’integrità del proprio cammino.

Molte arti marziali, in particolare quelle di origine orientale, sono intrinsecamente legate a una dimensione spirituale. Non si tratta di una spiritualità religiosa nel senso stretto del termine, ma di una ricerca di connessione con qualcosa di più grande di sé stessi. In questo contesto, la pratica marziale diventa un veicolo per una riflessione più profonda sulla propria esistenza, sul proprio ruolo nel mondo e sull'interconnessione tra tutte le cose.

Nel Karate, ad esempio, il concetto di ki (energia vitale) è centrale. Il ki rappresenta una forza invisibile che permea ogni aspetto della vita, e l’arte marziale diventa il mezzo per armonizzare e canalizzare questa energia in modo positivo. La consapevolezza del proprio ki aiuta il praticante a concentrarsi non solo sulle proprie capacità fisiche, ma anche sulle energie sottili che attraversano il corpo e la mente. In questa prospettiva, l'arte marziale non è solo una disciplina fisica, ma un cammino spirituale che aiuta a riscoprire la propria essenza profonda e a vivere in sintonia con l'universo.

Le arti marziali, infine, non solo formano individui, ma contribuiscono anche alla società nel suo insieme. Il praticante che sviluppa virtù come il rispetto, l'umiltà e l'autocontrollo diventa un esempio per gli altri, e può influire positivamente sull'ambiente in cui vive. La disciplina marziale non è confinata al dojo, ma trova espressione nel modo in cui il praticante interagisce con la sua comunità, nel modo in cui affronta le sfide della vita e nel modo in cui si comporta nei confronti degli altri.

Il valore delle arti marziali è anche nella loro capacità di promuovere un ideale di pace attraverso la forza. Le tecniche di combattimento, infatti, sono utilizzate non per causare danno o distruzione, ma per proteggere se stessi e gli altri, difendendo ciò che è giusto e onorevole. Questo approccio pacifico e difensivo è una lezione che può essere applicata in ogni ambito della vita, in particolare in un mondo spesso segnato da conflitti e divisioni.

Le arti marziali sono molto più che una semplice pratica fisica. Sono un percorso continuo di crescita, autocontrollo e perfezionamento che va ben oltre il dojo e il combattimento. Il praticante, col passare degli anni, diventa più che un maestro di tecniche: diventa un maestro di sé stesso, un essere umano che ha imparato a confrontarsi con le proprie ombre, a trovare l’armonia interiore e a vivere con onore e rispetto verso gli altri.

Il vero cuore del budo non è la vittoria su un avversario, ma il trionfo della mente e dello spirito su tutte le difficoltà della vita. Ed è proprio in questo viaggio, senza una meta definitiva, che risiede la bellezza delle arti marziali: un cammino che, ogni giorno, ci permette di diventare persone migliori, più sagge, più equilibrate, più consapevoli. Un cammino che non finisce mai, ma che ci insegna a vivere ogni passo con pienezza e significato.



Scottish Backhold





Lo Scottish Backhold è un tipo di lotta che ha origine in Scozia. I lottatori si abbracciano tenendosi dietro la vita, col braccio destro sotto il sinistro dell'avversario e il mento poggiato sulla spalla destra dello sfidante. Se il lottatore rompe la presa o tocca il terreno con qualsivoglia parte del corpo (piedi esclusi), perde.

Quali sono le similarità e le differenze tra le scuole degli anime e le vere scuole giapponesi


Codice di abbigliamento: la maggior parte se non tutte le scuole hanno un codice di abbigliamento standard che gli studenti devono seguire. Questo si riflette generalmente nella maggior parte degli anime della vita scolastica.




Cibo: in realtà non è troppo lontano. Gli anime scolastici con mense che vendono diversi tipi di cibo giapponese possono essere accurati. A volte gli anime possono esagerare, quindi direi che questa è una lieve somiglianza.


Tempo di pulizia: qualsiasi anime che mostri agli studenti che puliscono le loro classi o il bagno è in realtà accurato. Gli studenti sono responsabili di mantenere queste aree pulite e ordinate, che è probabilmente una delle cose più ammirevoli della cultura scolastica giapponese.


Pranzare in classe: alcuni anime che mostrano agli studenti che mangiano in classe sono in realtà accurati. Penso che questo sia vero soprattutto per gli studenti delle scuole elementari e medie.


Mangiare sul tetto della scuola: questo non è generalmente consentito nella maggior parte delle scuole (anche se ne ho sentito parlare di alcuni che apparentemente lo fanno?). Ad ogni modo, questo non è sicuramente così comune come si potrebbe pensare guardando un anime.


Capelli colorati: molte scuole in realtà vietano agli studenti di tingere i capelli (a meno che tu non li stia morendo di nero). Ciò ha effettivamente causato problemi agli studenti giapponesi che hanno i capelli naturalmente castani, poiché sono tenuti a tingerli di nero.


Tempo libero: a causa della natura degli anime, sembra che gli studenti giapponesi abbiano molto tempo libero per fare ciò che vogliono. Questo è certamente falso. Gli studenti giapponesi hanno a che fare con un curriculum rigido e Juku (scuola di matematica), che occupano la maggior parte del loro tempo. In ogni caso, non hanno tanto tempo libero quanto la maggior parte degli anime tende a ritrarre.



martedì 24 agosto 2010

Stav

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Stav è un'arte marziale norvegese insegnata da Ivar Hafskjold. Essa utilizza runes e mitologia nordica, venendo insegnata sulla base della tradizione orale che egli sostiene sia stata preservata nella sua famiglia.
Negli anni 1990, Ivar Hafskjold assunse quattro apprendisti personali e studenti; Shaun Brassfield-Thorpe, Kolbjorn Märtens, David Watkinson e Graham Butcher. Tutti i contemporanei insegnanti di Stav derivano dalla linea di insegnamento diretta di Ivar Hafskjold e/o da uno dei suoi primi quattro allievi, ognuno dei quali è riconosciuto come maestro.
Stav ricorda il T'ai chi, con gli allievi che iniziano con posizioni ritualizzate simili alle sedici rune del Younger Futhark.


lunedì 23 agosto 2010

Bake-kujira

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La Bake-kujira, Bakekujira (化鯨, letteralmente "Balena Fantasma") o Hone Kujira (Balena d'osso) è uno yōkai appartenente alla mitologia giapponese, tipico del Giappone Occidentale.
Ha l'aspetto di uno spettrale e colossale scheletro di balena e si dice sia accompagnata dall'apparizione di strani uccelli e pesci. Vaga malinconica sui mari che solcava in vita, emergendo ogni tanto come per respirare, e nelle notti piovose si manifesta nei pressi dei villaggi abitati da pescatori di balene.

Leggende
Una storia racconta le vicende di alcuni pescatori che, pensando di aver avvistato una balena, tentano di catturare una Bake-kujira, ma ogni arpione da essi scagliato attraversa il corpo dello yōkai da parte a parte, senza recargli alcun danno. Allora lo Yokai evoca il suo seguito di pesci e uccelli, che terrorizzano i pescatori, per poi sparire tra le onde. Molte storie raffigurano la Bake-kujira come uno spirito vendicativo, le cui apparizioni portano sfortuna e maledizioni ai villaggi presso i quali si manifesta.


domenica 22 agosto 2010

Suiren

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Suiren (cinese: 燧人; pinyin: suì rén), è lo scopritore del Fuoco, secondo l'antica mitologia cinese. Si dice inoltre che fosse uno dei Tre Augusti nell'antica Cina primitiva. Nelle sue raffigurazioni appare di solito con tre occhi.