Il nō (能
lett. "abilità")
è una forma di teatro sorta in Giappone nel XIV secolo che
presuppone una cultura abbastanza elevata per essere compreso, a
differenza del kabuki che ne rappresenta la sua volgarizzazione. I
testi del nō sono costruiti in modo da poter essere interpretati
liberamente dallo spettatore, ciò è dovuto in parte alla
peculiarità della lingua che presenta numerosi omofoni. È
caratterizzato dalla lentezza, da una grazia spartana e dall'uso di
maschere caratteristiche.
Storia
Si evolse, insieme alla strettamente
correlata farsa kyōgen, da varie forme d'arte popolari ed
aristocratiche, tra cui il dengaku, lo shirabyoshi e il
gagaku. Kan'ami e suo figlio Zeami portarono il nō alla sua forma
presente durante il periodo Muromachi. A sua volta il Nō influenzò
successivamente altre forme d'arte teatrali come il kabuki e il butō.
Durante la restaurazione Meiji il nō ed il kyōgen vennero
riconosciuti ufficialmente come due delle tre forme teatrali
tradizionali.
Inizialmente faceva parte, insieme al
kyōgen, di una forma drammatica nota come sarugaku. Mentre il nō
era centrato sulla danza e sul canto il kyōgen era soprattutto
basato sui dialoghi e sull'improvvisazione che seguiva canovacci
predeterminati. In realtà, Zeami utilizza i termini "nō"
e "sarugaku" indistintamente. Egli stesso ha creato
l'etimologia della parola sarugaku. Per "saru" egli non
utilizza il kanji tradizionale di scimmia, ma usa quello di scimmia
dello zodiaco. Quest'ultimo tra l'altro, è presente anche nella
parola "kami" che significa Dio e che ritroviamo anche in
"kagura". Il secondo kanji è quello che si legge "gaku"
in "sarugaku", e quindi il sarugaku può essere inteso come
parte del kagura. Infine, i due caratteri che compongono la parola
"sarugaku", possono anche essere letti come "tanoshimi
wo mōsu", cioè "comunicare la gioia".
A partire dal XVI secolo i due generi
si diversificarono. Il nō veniva recitato da attori in maschera ed
era basato su testi scritti. I primi risalgono al XV secolo ma la
maggior parte fu composta nel XVI. Il Kyōgen invece continuava a
basarsi in gran parte sull'improvvisazione. I personaggi principali
di un nō sono esseri soprannaturali (divinità, spiriti) oppure
personaggi storici o leggendari. Anche in questo si differenziava dal
kyōgen i cui protagonisti erano gente comune.
Il primo autore di nō fu Kan'ami
Kiyotsugu (1334-1384). Insieme a suo figlio Zeami Motokiyo
(1363-1443) e al nipote Motomasa Jūrō (1394-1431) formano la triade
della scuola Kanze. Zeami è forse l'autore più importante di ogni
epoca con all'attivo oltre duecento opere, che vengono tuttora messe
in scena, e molti scritti sul teatro e sull'esecuzione delle opere.
Va comunque considerato che il nō è
una forma teatrale antica tuttora in vita, caso piuttosto raro, e che
anche in tempi moderni ci sono stati autori che hanno scritto per
questo genere. Uno fra tutti Yukio Mishima (Kindai nogaku shu,
Cinque nō moderni, 1956).
L'okina o kamiuta è una
forma di rappresentazione unica che combina la danza con rituali
shintoisti. Viene considerata la più antica rappresentazione nō.
L''Heike monogatari, un racconto
medievale dell'ascesa e della caduta del clan Taira, cantata
originariamente da monaci ciechi che si accompagnavano con il biwa, è
un'importante fonte di materiale per il nō (e per successive forme
teatrali), particolarmente per rappresentazioni di guerrieri.
Un'altra fonte importante è il Genji monogatari, un lavoro dell'XI
secolo, definito a volte il primo romanzo del mondo. Gli autori si
ispirarono anche a classici del periodo Nara e del periodo Heian ed a
fonti cinesi.
Al giorno d'oggi ci sono in Giappone
circa 1500 attori professionisti di nō e la forma d'arte continua ad
esistere. Le cinque scuole esistenti di nō sono la Kanze (観世),
la Hosho (宝生), la Komparu
(金春), la Kita (喜多)
la Kongo (金剛). Ognuna ha a
capo una famiglia conosciuta come sō-ke e solo il
capofamiglia di questa ha il diritto di creare nuove rappresentazioni
o modificare quelle esistenti. La società degli attori nō è ancora
abbastanza feudale e protegge strettamente le tradizioni dei propri
antenati.
Secondo Zeami (attore e autore di
questa forma d'arte nel XIV secolo) tutte le rappresentazioni nō
dovrebbero creare un ideale estetico chiamato yugen, che
significa uno spirito profondo e sottile e di hana, che
significa novità. Il nō rappresenta davvero la cultura giapponese
di ricercare la bellezza nella sottigliezza e nella formalità.
Caratteristiche
La scena
Palco di un teatro nō- 1: Kagami-no-ma (Stanza degli specchi)
- 2: Hashigakari (Ponte)
- 3: Palcoscenico
- 4-7: Quattro colonne chiamate rispettivamente Metsuke-Bashira, Shite-Bashira, Fue-Bashira e Waki-Bashira.
- 8: Jiutai-za. Jiutai (i componenti del coro) siedono qui.
- 9: I suonatori siedono qui. Dalla sinistra verso destra: Kue-za (suonatore di flauto traverso chiamato No-kan), Kotsuzumi-za (un piccolo tamburo), Ohtsuzumi-za (un tamburo di medie dimensioni) e occasionalmente Taiko-za (un largo tamburo).
- 10: kohken-za (suggeritore)
- 11: Kyogen-za (Kyogen-shi, un attore comico, appare in alcune opere)
- 12: Kizahashi (scalini)
- 13: Shirazu (sabbia bianca)
- 14-16: Pini (Rispettivamente il primo, secondo e il terzo)
- 17: Gakuya (Backstage)
- 18: Makuguchi (L'entrata principale al palcoscenico. Kagamino-ma e Hashigakari sono circondate da una tenda chiamata Agemaku. Agemaku è colorata in tre o cinque colori. Gli attori e i suonatori passano attraverso questa entrata.)
- 19: Kirido-guchi. Entrata per le cantanti del coro (Jiutai) e gli assistenti di scena (Kohken).
- 20: Kagami-ita. Il disegno di un rigoglioso pino verde, nello stile della scuola Kano
La scena è molto semplice e ridotta
anch'essa all'essenziale. La rappresentazione Nō ha luogo su un
palco fatto di Hinoki (cipresso giapponese). Il palcoscenico è
completamente vuoto a parte il "kagami-ita", un dipinto di
un pino, realizzato su un pannello di legno, posto sul fondo del
palco. Ci sono molte spiegazioni possibili per la scelta di questo
albero, ma una tra le più comuni è che simboleggia il mezzo con cui
le divinità scendevano sulla terra, secondo il rituale shintoista.
In contrasto con il palco completamente
disadorno, i costumi sono estremamente ricchi: Molti attori, in
particolari quelli Shite, sono vestiti con abiti di broccato di seta.
Gli attori, per salire alla ribalta,
percorrono una passerella posta a sinistra del palcoscenico detta
Hashigakari. Questa soluzione fu poi trasposta nel Kabuki,
dove viene denominata Hanamichi, cioè ponte dei fiori.
Il butai, cioè lo spazio scenico, viene considerato come un mondo
intermedio in cui si incontrano il mondo divino e quello umano. Ciò
è dimostrato dalla sua stessa struttura architettonica che ha
valenze cosmologiche: il tetto che lo ricopre lo definisce in quanto
spazio sacro, e i pilastri che lo sostengono sono considerati tramiti
tra il mondo umano e il mondo sovrannaturale. L'honbutai, cioè la
parte centrale dello spazio scenico è collegato alla camera dello
specchio (kagami no ma) da un corridoio detto hashigakari.
L'hashigakari si immette nella kagami no ma da occidente, così come
a occidente, nell'immaginario comune, si trova il paradiso della
Terra Pura buddhista. Infine il ponte presente sul palcoscenic può
essere considerato come il tramite tra il nostro mondo, rappresentato
dal palco, e l'altro mondo, rappresentato dalla camera dello
specchio.Gli attori
Nel nō i movimenti degli attori sono estremamente stilizzati e ridotti all'essenziale. Piccoli cenni del capo o movimenti del corpo hanno significati ben precisi. I ruoli sono fissi: esistono quattro tipi principali di attori: shite, waki (comprimario), kyogen, e hayashi.- Gli Shite sono gli attori più comuni, recitano molti ruoli tra cui:
- "Shite" (primo attore)
- "Tsure" (compagno dello shite)
- "Jiutai" (coro, solitamente di 6-8 membri)
- "Koken" (assistenti di scena, di solito 2-3 attori).
- I kyogen rappresentano alcuni interludi durante le rappresentazioni.
- Gli "hayashi" sono i musicisti che suonano i
quattro strumenti del teatro nō.
- 1ª Categoria: Rappresentazioni sulle divinità.
- 2ª Categoria: Rappresentazioni sui guerrieri.
- 3ª Categoria: Rappresentazioni sulle donne.
- 4ª Categoria: Rappresentazioni varie.
- 5ª Categoria: Rappresentazioni sui demoni.
La musica
La musica di accompagnamento è eseguita con strumenti a fiato (fue, flauto) e a percussione (ōtsuzumi, kotsuzumi, tamburi).
Il nō è cantato, per questa ragione,
molte persone tendono pensare al nō come ad una forma di opera
giapponese. Ciò nonostante, il canto nel teatro nō sfrutta una
scala tonale limitata e presenta lunghi passaggi ripetitivi. La
chiarezza e la melodia non rappresentano l'obiettivo del canto nel
teatro Nō benché i testi siano poetici e le strofe riprendano
pesantemente il tipico ritmo giapponese sette-cinque, familiare a chi
conosce i waka o i più recenti haiku. Il canto del Nō nonostante
sia povero di espressioni risulta pregno di allusioni. In realtà la
musica nō e il kakegoe (lo strano suono gutturale delle voci
dei percussionisti) sono state ricalcate dai rituali sciamanici. I
tamburi sono tradizionalmente strumenti giapponesi per indurre la
trance, il flauto è uno strumento per evocare la discesa degli
spiriti, e i kakegoe sono parte dell'invito agli dei a
manifestarsi.
L'uso delle maschere
Lo shite recita in maschera il
che ovviamente toglie ogni possibilità di esprimersi con la mimica
facciale. Però la grande abilità degli attori produce quasi
espressività della maschera anche grazie al fatto che quest'ultima è
scolpita in modo tale che a secondo dell'orientamento e della diversa
incidenza della luce si producano mutamenti espressivi. Poiché i
buchi posti all'altezza degli occhi sono di ridottissime dimensioni,
per aumentare ulteriormente l'espressività, gli attori hanno a
disposizione una visuale limitatissima e si servono quindi di punti
fissi per orientarsi e di percorsi predeterminati. Tutte le maschere
del teatro nō (能面 nō-men
o 面 omote) hanno un
nome.
Di solito solo lo shite,
l'attore principale, porta la maschera. Può comunque accadere, che
in alcuni casi, anche gli tsure possano indossare una maschera, in
particolare per i personaggi femminili. Le maschere Nō sono di
solito ritratti di personaggi femminili o non umani (divinità,
demoni o animali), ci sono comunque anche maschere rappresentanti
ragazzi o vecchi. Gli attori senza maschera hanno sempre un ruolo di
uomini adulti di venti, trenta o quarant'anni. Anche il comprimario
waki non indossa maschere.
Usata da un attore capace la maschera è
in grado di mostrare differenti espressioni e sentimenti a seconda
della posizione della testa dell'attore e dell'illuminazione. Una
maschera inanimata può quindi avere la capacità di sembrare felice,
triste o una grande varietà di altre espressioni. Studi condotti da
Michael J. Lyons della ATR Intelligent Robotics and Communication
Labs a Kyōto, Giappone e Ruth Campbell della Università di Londra,
hanno esplorato questa particolare caratteristica delle maschere.
La maschera inoltre, ha una funzione mediatrice cioè può
incarnare entità superiori e costituire quindi un punto di incontro
tra il tempo mitico e il tempo storico. Essa ha anche la funzione di
richiamare i morti sulla terra: indossando la maschera del defunto,
l'attore ne incarna lo spirito. Ecco perché qualsiasi spettacolo è
preceduto da una sorta di venerazione nei confronti della maschera:
in questo modo l'attore pensa che potrà incarnare al meglio il
personaggio. Nei drammi più antichi le maschere erano addirittura
considerate delle divinità, ecco perché ogni spettacolo era
preceduto da preghiere rivolte a tali divinità.Famosi drammi nō
(Le categorie sono della scuola Kanze)- Aoi no uye -- "Court Lady Aoi" (Categoria 4)
- Dojoji -- "Dojoji" (Categoria 4)
- Hagoromo -- "Il mantello di piume" (Categoria 3)
- Izutsu -- "The Well Cradle" (Categoria 3)
- Matsukaze -- "Pining Wind" (Categoria 3)
- Sekidera Komachi -- Komachi a Sekidera (Categoria 3)
- Shakkyo -- "Il ponte di pietra" (Categoria 5)
- Shojo -- "L'Elfo che beve" (Categoria 3)
- Yorimasa -- "Yorimasa" (Categoria 2)
- Yuya -- "Yuya" (Categoria 3)
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