Attacco banzai (o carica
banzai) (玉砕 o バンザイ突撃
gyokusai o banzai totsugeki) era il nome dato durante la
seconda guerra mondiale ad assalti frontali di massa condotti dalle
forze di fanteria dell'esercito imperiale giapponese.
Questi attacchi avevano natura suicida,
ed erano effettuati per evitare il disonore della resa e della
prigionia in mano nemica, considerati dal codice d'onore vigente
allora come la peggiore sorte possibile.
Gli attacchi banzai non devono essere
confusi con gli attacchi kamikaze, la cui filosofia era dettata da un
preciso ragionamento strategico. Questi infatti erano freddamente
concepiti come un estremo tentativo di massimizzare le possibilità
di successo contro le forze alleate, solitamente superiori sia
tecnicamente sia numericamente. Gli attacchi banzai avevano - al
contrario - uno scopo solitamente etico-morale, anche se in alcuni
casi (per esempio durante la battaglia di Okinawa) si pensò anche di
sfruttare l'impeto dell'attacco banzai per scopi tattici.
In effetti gli attacchi banzai derivano
delle "onde umane" o attacchi in colonna aperta praticati
dai giapponesi nella guerra russo-giapponese e nella seconda guerra
sino-giapponese, ed in altri contesti, durante tutta la prima metà
del '900, talvolta anche con notevole successo tattico, sebbene a
costo di pesanti perdite. Si trattava di assalti alla baionetta in
ordine non troppo serrato, ma non come assalti infiltranti a squadre,
secondo la prassi divenuta norma durante la prima guerra mondiale e
diffusa anche in Giappone. Questo modello, antiquato, di assalto
riusciva ad ottenere risultati pratici buoni qualora il nemico fosse
carente di mitragliatrici ed armi automatiche e privo di artiglieria
campale (come sovente in Cina). Per questo motivo la carica alla
baionetta, in stile 1914, rimase molto praticata nell'esercito
giapponese tra le due guerre e si continuò ad insistere su questa
tattica in sede d'addestramento, ritenendo che i reparti in ordine
"quasi chiuso" riuscissero a dimostrare, anche a costo
della morte di buona parte degli assalitori, la superiorità morale
dei nipponici e la forza, anche psicologica, della baionetta.
Già durante la campagna di Guadalcanal
e quella sul fronte birmano nel 1942 fu evidente che queste tattiche
erano inadeguate verso eserciti ben provvisti di pistole
mitragliatrici, fucili automatici, mitragliatrici leggere e pesanti,
mortai ed artiglieria reggimentale, ovvero di un'elevata potenza di
fuoco che, quando si univa a reticolati anche molto semplici come in
Birmania e in Nuova Guinea, fermava le cariche con esiti disastrosi.
Rimase però la convinzione, soprattutto in ufficiali giapponesi
nazionalisti e subalterni, della superiorità della baionetta
rispetto alla potenza di fuoco e dell'opportunità di dimostrare al
nemico la propria superiorità nel coraggio e nell'onore che una
carica quasi in colonna, potenzialmente suicida nell'età delle
mitragliatrici, rappresentava. Tanto da spingere a riproporre, non
più come scelta tattica "reale", ma come azione
volutamente semi-suicida, questo tipo di operazioni, soprattutto
quando si riteneva la sconfitta molto probabile. Va anche
sottolineato che queste operazioni "obbligavano" i soldati
ad affrontare la morte praticando una sorta di coercizione
psicologica in cui l'unico modo per salvarsi era tradire ed
abbandonare i propri compagni di compagnia-plotone-squadra, e quindi
predisponevano la mentalità delle truppe al suicidio. Suicidio che
era considerato appropriato davanti alla sconfitta dalla maggior
parte degli ufficiali e sottufficiali professionisti giapponesi e il
cui dovere era considerato culturalmente scontato da una parte,
maggioritaria ma non totalitaria, delle truppe.
Questo genere di attacchi, contro
statunitensi e britannici, produceva risultati pratici scarsi o
nulli, concludendosi nel massacro totale degli attaccanti a fronte di
scarsissime perdite fra i difensori. Nondimeno l'effetto psicologico
sugli Alleati fu estremamente grave: impressionati dalla furia di
questi assalti, i comandi statunitensi si risolsero ad annullare
l'Operazione Olympic e ad usare la bomba atomica per piegare il
Giappone senza ricorrere all'invasione. Altresì l'impressione fu
enorme anche fra la truppa, nella quale si diffuse la sensazione di
combattere contro un nemico cieco e selvaggio, col quale era
impossibile trattare. Inoltre nei pochi casi in cui la carica
riusciva ad avere effetto ed a spezzare la linea nemica, anche se
quasi sempre a costo di perdite doppie o triple per gli attaccanti, i
reparti di difensori sopravvissuti erano provati da un forte shock e
sconvolti dalla visione dei soldati giapponesi che avanzavano
incuranti delle perdite, sovente anche dopo essere stati gravemente
feriti, con conseguenti crolli psicologici e traumi, in maniera
simile a quanto accadde durante la guerra di Corea, quando l'esercito
cinese scagliò alcune cariche "ad onde umane" (ispirate da
quelle fatte dai giapponesi contro di loro negli anni '30) contro le
linee statunitensi, riuscendo però talvolta a spezzarle (ad esempio
il 25 novembre 1950, con l'inizio della controffensiva "a
tridente") e provocando ondate di panico e ritirate precipitose.
Gli attacchi banzai furono molto
frequenti, in particolare a partire dal 1943. Tali azioni erano
condotte da un numero molto variabile di uomini, a seconda delle
circostanze. Segue un elenco con alcuni di essi, particolarmente
significativi.
- 28-29 aprile 1943: battaglia di Attu. Nella notte, un migliaio di giapponesi si lanciò all'assalto delle linee statunitensi. Di tutta la guarnigione, che contava 2.380 uomini, solo 28 furono fatti prigionieri
- 15-16 giugno 1944: battaglia di Saipan. Ripetuti assalti frontali notturni condotti dai giapponesi per ordine del generale Saito. Gli attaccanti persero circa 1.000 uomini, senza conseguire alcun risultato.
- 7 luglio 1944: battaglia di Saipan. I comandanti della guarnigione, prima di compiere il suicidio rituale, per salvare l'onore avevano ordinato di effettuare un ultimo attacco banzai. Nelle prime ore del giorno, i giapponesi si lanciarono all'assalto contro le linee statunitensi. I nipponici, invano contrastati dall'artiglieria, riuscirono a rompere le prime linee dei Marines ed avanzarono fino alla tarda mattinata del giorno. Dopodiché, un contrattacco li respinse. La carica provocò 668 morti tra gli statunitensi ed oltre 4.200 tra i giapponesi. L'8 luglio i combattimenti sull'isola erano finiti.
- 25 luglio 1944: battaglia di Guam. 5.000 soldati giapponesi, in gran parte appartenenti alla XLVIII brigata, si lanciarono contro le linee statunitensi per ben sette volte. I risultati furono nulli, ed i nipponici persero 3.500 soldati tra morti e feriti.
- 25 luglio 1944: battaglia di Tinian. Per ordine del colonnello Ogata, i giapponesi attaccarono in tre ondate le difese statunitensi sulle spiagge. Gli attacchi furono effettuati alle 2:00, 2:30 e 3:30 (l'ultimo anche con l'appoggio di sei carri armati): furono tutti respinti. La mattina dopo, gli statunitensi contarono i corpi di 1.241 giapponesi, oltre alle carcasse di cinque carri. Il colonnello Ogata perse la vita durante un attacco notturno, il 31 luglio.
- Maggio 1945: battaglia di Okinawa. Ripetuti assalti contro le postazioni statunitensi durante l'avanzata nemica contro il castello di Shuri.
In generale, le cariche banzai furono
molto utilizzate dai comandanti giapponesi. Una significativa
eccezione è rappresentata dal generale Tadamichi Kuribayashi,
comandante della guarnigione di Iwo Jima. Egli infatti le vietò
perché preferiva aspettare il nemico in difesa, piuttosto che
sprecare soldati in attacchi notturni che, il più delle volte, si
rivelavano inutili. Tuttavia, la notte tra l'8 ed il 9 marzo 1945,
nonostante la proibizione del generale, 1.500 soldati giapponesi
ormai accerchiati, del capitano di vascello Samaji Inouye,
attaccarono invano con l'intento di rompere l'assedio statunitense.
L'attacco si risolse con un massacro: circa 800 giapponesi e 90
marines (oltre a 257 feriti) persero la vita. Si trattò della più
massiccia carica banzai di tutta la campagna di Iwo Jima (19
febbraio-26 marzo 1945).
Nessun commento:
Posta un commento