Xuánzàng (玄奘,
Xuánzàng), al secolo Chén Huī (陳褘)
detto Sanzang (giapponese Sanzō, coreano Samjang)
dal nome dei sutra che portò con sé dal suo viaggio (sanscrito
Tripitaka, "tre canestri") (Luoyang, 602 – Yu Hua
Gong, 664) è stato un monaco buddhista, esploratore e traduttore
cinese, che intraprese un pericoloso viaggio lungo la via della seta,
ed è per questo spesso paragonato a Marco Polo.
Biografia
Infanzia
Nacque nel 602 a Luoyang in Henan
durante la dinastia Sui con il nome di Chen Yi (陳褘),
nipote di un professore dell'Accademia Imperiale e figlio di un
filosofo confuciano, ultimo di quattro figli; il padre si prese cura
dell'istruzione dei figli, e insegnò loro tutti i testi canonici del
confucianesimo ortodosso. Nonostante la formazione confuciana, però,
già uno dei suoi fratelli maggiori era diventato monaco buddhista, e
Xuanzang espresse il desiderio di seguirne l'esempio. Dopo la morte
del padre nel 611, andò a Luoyang dal fratello, nel monastero di
Jingtu (淨土寺),
finanziato dall'imperatore; qui studiò testi del Buddhismo dei
Nikaya e del Mahāyāna, schierandosi con questi ultimi insegnamenti.
Alla caduta dei Sui nel 618, i due
fratelli fuggirono prima a Chang'an, la nuova capitale dei Tang, poi
a Chengdu, nel Sichuan, dove trascorsero due o tre anni nel monastero
di Kong Hui. Nonostante Xuanzang seguisse la vita monastica già da
diversi anni, fu ordinato monaco solo nel 622; insoddisfatto delle
molte contraddizioni nelle versioni cinesi dei testi, decise di
lasciare il fratello e di tornare a Chang'an, dove studiò il
sanscrito e forse anche il tocario, e si interessò di metafisica
Yogācāra.
Viaggio
Nel 629 disse di aver avuto un sogno
che lo spingeva a recarsi in India; la decisione fu probabilmente
motivata dal desiderio di studiare i testi originali direttamente in
sanscrito, e di avere accesso a molti più testi di quelli
disponibili in Cina. Al tempo però l'imperatore Tang Taizong era in
guerra con i Göktürk (turchi orientali), e l'espatrio era proibito:
Xuanzang riuscì a convincere delle guardie buddhiste alle porte di
Yumen e fuggì verso Nord-Ovest, attraverso le province di Gansu e
Qinghai. Attraversò il deserto del Gobi fino all'oasi di Hami,
costeggiò la catena montuosa del Tien Shan verso occidente e nel 630
arrivò all'oasi di Turfan, dove il re buddhista gli diede un
passaporto e alcuni oggetti di valore per pagare le spese del
viaggio.
Continuando il suo cammino verso
occidente riuscì ad evitare i briganti e raggiunse Yanqi, poi visitò
i monasteri Sarvastivada di Kucha, passò Aksu e deviò a Nord-Ovest
per attraversare il valico di Bedal nell'odierno Kirghizistan. A
Tokmok, nell'odierno Kirgiziskistan, il re turco era in buone
relazioni con i Tang e gli offrì un banchetto; da qui proseguì per
Tashkent e poi Samarcanda, in un'area di influenza persiana, dove
avendo visto diversi templi buddhisti abbandonati impressionò il re
locale con la sua predica. Ripartendo verso Sud, attraversò il Pamir
e l'Amu Darya per giungere a Termez, dove incontrò un'ampia comunità
di monaci buddhisti.
Tornando leggermente ad Est passò da
Kunduz, dove si fermò brevemente per assistere ai funerali del
principe Tardu, morto di avvelenamento; qui incontrò il monaco
Dharmasimha, poi riprese il viaggio a Ovest verso Balkh (odierno
Afghanistan), dove visitò siti e reliquie buddhisti, e specialmente
il Nava Vihara, o Nawbahar, che descrisse come l'istituzione
monastica più occidentale del mondo. Qui Xuanzang trovò più di
3.000 monaci probabilmente lokottaravada, tra cui Prajnakara, un
monaco con cui anni prima aveva studiato le scritture del Buddhismo
dei Nikaya; e qui trovò anche una copia del Mahāvibhāṣa
Śāstra, un testo dell'Abhidharma Sarvāstivāda che
avrebbe poi tradotto in cinese (Canone cinese). Prajnakara lo
accompagnò per un breve tratto a Sud a Bamyan, dove Xuanzang fu
ricevuto dal re e ebbe l'occasione di osservare le decine di
monasteri lokottaravada e soprattutto i due Buddha di Bamiyan scavati
nella parete di roccia, distrutti dai talebani nel 2001. Per
proseguire dovette poi tornare leggermente a Est e attraversare il
passo di Shibar per entrare a Kapisi (circa 60 km a Nord
dell'odierna Kabul), parte del famoso regno greco-buddhista di
Gandhara, e nella quale trovò più di cento monasteri e 6.000
monaci, prevalentemente del Mahāyāna. Qui Xuanzang incontrò i
primi giainisti e induisti, e prese parte ad un pubblico dibattito
religioso, dimostrando la sua conoscenza di molte scuole buddhiste.
Proseguì per Nagarahāra (odierna Jalalabad) e Laghman, dove
concluse di aver raggiunto l'India (la città infatti era situata
sulla via commerciale che collegava il subcontinente a Palmira, ed
era forte l'influenza indiana). L'anno era il 630.
India
Xuanzang attraversò quindi il fiume
Hunza e il passo di Khyber, raggiungendo Purushapura (odierna
Peshawar), dove vide molti stupa, deducendo dal numero di fedeli che
il buddhismo nella regione stava cominciando il suo declino; uno
degli stupa che descrisse, chiamato Kanishka Stupa, fu
riscoperto solo nel 1908 da D.B. Spooner proprio grazie alla sua
descrizione. Lasciando Purushapura viaggiò verso Nord-Est
attraversando la valle di Swat e raggiungendo Udyana, dove trovò
circa 1.400 antichi monasteri, che in passato avevano ospitato 18.000
monaci ma ora erano custoditi solo da una piccola comunità di monaci
del Mahāyāna; continuò a Nord nella valle di Buner, poi attraversò
l'Indo a Hund, quindi si diresse a Takshashila (oggi Taxila), che si
trovava all'interno di un regno buddhista vassallo del Kashmir; la
città ospitava un'importante università, e all'epoca raccoglieva
5.000 monaci in circa 100 monasteri. Qui Xuanzang incontrò
importanti esponenti del buddhismo del Mahāyāna e si fermò a
studiare con loro per un paio d'anni; nell'università trovò anche
importante materiale sul Quarto Concilio Buddhista tenutosi in
Kashmir intorno al I secolo sotto l'egida del re Kanishka di Kushan.
Nel 633, Xuanzang lasciò il Kashmir e
viaggiò a Sud verso Chinabhukti (forse l'odierna Firozpur), dove
studiò per un altro anno con il principe Vinitaprabha.
Nel 634 si rivolse a Est verso
Jalandhara, nel Punjab orientale, poi visitò i monasteri theravādin
della valle di Kullu, quindi andò a Sud a Bairat e Mathura, sul
fiume Yamuna; Mathura ospitava circa 2.000 monaci di entrambe le
scuole, nonostante la popolazione fosse prevalentemente induista.
Xuanzang risalì il fiume verso Srughna, poi attraversò il Gange e
nel 635 arrivò a Matipura. Da qui, si incamminò verso Sud per
visitare Sankasya (Kapitha), proseguì verso Kanyakubja (Kannauj).
Qui, nel 636, Xuanzang incontrò 100 monasteri e 10.000 monaci tra
Mahāyāna e Theravāda, e fu colpito dal patrocinio offerto dal re
Harsha a entrambe le scuole buddhiste. Trascorse un po' di tempo in
città per studiare le scritture theravādin, poi ripartì verso Est
per Ayodhya (Saketa), terra natale della scuola Yogācāra; quindi
proseguì a Sud per Kausambi (Kosam), dove si fece fare una copia di
un importante e famoso dipinto raffigurante il Buddha.
A questo punto Xuanzang ritornò a Nord
a Sravasti, attraversò il Terai (odierno Sud del Nepal), dove trovò
dei monasteri buddhisti abbandonati, e arrivò a Kapilavastu, la sua
ultima sosta prima di Lumbini, il luogo di nascita del Buddha. A
Lumbini, ebbe modo di ammirare la colonna posta dal re Aśoka nel
luogo in cui il Buddha nacque, e si fermò a pregare sotto di essa;
la colonna sarebbe stata riscoperta nel 1895 da A. Fuhrer.
Nel 637, Xuanzang lasciò Lumbini per
Kusinagara, luogo della morte del Buddha, poi si diresse verso il
parco di Sarnath, dove Buddha aveva tenuto il suo primo discorso, e
dove incontrò circa 1.500 monaci. Rivoltosi a Est, passando Varanasi
raggiunse Vaisali, Pataliputra e Bodh Gaya. I monaci locali lo
accompagnarono poi a Nālandā, la più grande università indiana
dell'epoca, dove trascorse i successivi due anni. Qui era in
compagnia di diverse migliaia di monaci e studiosi (si stima che
all'epoca fossero circa 10.000) con i quali approfondì i suoi studi
di logica, grammatica, sanscrito, e dottrina yogācāra.
Ebbe però difficoltà a inserirsi
nell'ambiente accademico, e nel 638 ripartì alla volta del Bengala,
ma pensò anche a un'altra destinazione, l'isola di Sri Lanka, sede
principale della scuola del Theravāda e depositaria di un'importante
reliquia, uno dei denti del Buddha ritrovato tra le ceneri della sua
pira funeraria. Dei monaci del Sud venuti in pellegrinaggio lo
convinsero a continuare per la via di terra e imbarcarsi più a Sud,
anziché a Tamralipiti (odierna Tamluk), perciò seguì la costa
orientale, attraversò Orissa, dove incontrò e descrisse delle tribù
aborigene poco indianizzate, poi attraversò Andhra, la prima regione
di lingua dravidica, e trascorse a Amaravati o Bezvada la stagione
delle piogge (639). Continuando il viaggio entrò nel regno di
Pallava fermandosi a Mahabalipuram e Kanchipuram, dove alcuni
religiosi singalesi in fuga dalla guerra civile che devastava l'isola
gli consigliarono di rinunciare; perciò controvoglia evitò di
visitare Tanjavur e Madurai e risalì invece lungo la costa
occidentale, attraversando Goa e Maharashtra, che allora formavano
l'impero Chalukya, e forse trascorse la stagione delle piogge del 641
a Nashik. Visitò le grotte di Ajanta, pur senza descriverle nei suoi
appunti, e sostò qualche giorno nel porto di Bharuch, la Barygaza
dei greci, un grande porto commerciale che collegava l'India
all'Egitto. Attraversò quindi il Gujarat, entrando nel Sindh, dove
prese qualche appunto sull'Impero sasanide che sarebbe stato presto
cancellato dalle invasioni arabe.
Stranamente, Xuanzang che visitava
coscienziosamente tutti i siti buddhisti indiani non fece alcun
riferimento a Sanchi, centro importante e attivo oltre che sede di
numerosi monumenti buddhisti, tra cui il Grande Stupa costruito da
Aśoka per contenere delle reliquie del Buddha.
A questo punto invece fece ritorno a
Nālandā, dove riprese parte alle dispute oratorie, in cui difese la
dottrina del Buddha contro quelle induiste dei brahmini, degli
Śivaiti e dei vaishnaviti. Il re Bhaskara Kumara di Assam, avendo
sentito parlare di lui, lo invitò nel suo regno; là, Xuanzang pensò
di tornare in Cina, data la vicinanza, ma rinunciò per la difficoltà
del terreno e dei rischi di malattie e bestie selvagge. Ricevette
invece un invito dall'imperatore Harsha, che lo invitava nella sua
capitale; malgrado la sua devozione alla scuola del Mahāyāna,
Harsha, come tutti i sovrani dell'India, non si pose mai contro le
scuole induiste, e desiderava perciò organizzare un'assemblea con
rappresentanti di tutte le confessioni religiose. Durante i primi
giorni del 643 l'imperatore l'accompagnò personalmente risalendo con
lui il Gange verso Kanauj; nell'assemblea il monaco si dimostrò
tanto abile da infastidire anche i monaci buddhisti di scuola
theravādin. Un santuario costruito da Harsha per ospitare una statua
del Buddha fu però bruciato, probabilmente da alcuni brahmini
scontenti, e l'imperatore stesso scampò a un tentativo d'omicidio,
forse da parte dello stesso gruppo: cinquecento brahmini furono
espulsi dall'India, una punizione considerata peggiore della morte
perché li costringeva a vivere nell'impurità. Xuanzang venne
invitato dall'imperatore a presenziare alla Kumbh Mela, di cui
Xuanzang fece la prima descrizione storica, a Prayag (odierna
Allahabad) assieme a 18 vassalli dell'imperatore, poi nonostante le
insistenze di questi decise di lasciare il Paese.
Nel 644 attraversò l'Indo, nel quale
perse una cinquantina di manoscritti. Il re del Kashmir, avendo
appreso che egli non avrebbe attraversato il suo regno, andò a
incontrarlo, forse cercando in lui un appoggio contro le orde turche
che premevano ai suoi confini allettati dalle ricchezze del regno, e
che spesso finivano per convertirsi al Buddhismo. Xuanzang però
insistette per tornare in patria, e del resto il suo aiuto sarebbe
stato superfluo, poiché non molto tempo dopo tali tribù si
sarebbero convertite all'Islam e avrebbero obliterato la civiltà
greco-buddhista tagliando ogni collegamento con il bacino
mediterraneo.
Xuanzang riprese perciò la strada del
Pamir, facendo a ritroso il cammino che lo aveva condotto in India.
Ritorno
Xuanzang ritornò nella Cina dei Tang
nel 645 portando con sé 657 sutra in sanscrito del Tripitaka, e
l'imperatore Tang Taizong gli accordò grandi privilegi ma gli chiese
di scrivere un resoconto di ciò che aveva visto nei suoi viaggi
(probabilmente considerando l'utilità di queste informazioni in
ottica espansionistica): l'opera che Xuanzang scrisse, Viaggio in
Occidente dal Grande Tang (大唐西域記,Dà
Táng Xīyù Jì), è oggi un documento storico molto importante, che
permette di ricostruire la situazione politica, sociale e religiosa
dell'India dell'epoca, lo stato del Buddhismo, descritto proprio
all'inizio della sua fase di declino nel subcontinente, ed è la
principale fonte di informazioni sull'imperatore Harsha. Le sue
descrizioni furono utili a molti archeologi per ritrovare i monumenti
da lui descritti, e dal 2005 una spedizione, condotta da Zemaryali
Tarzi, sta cercando di trovare un terzo Buddha nell'area di Bamiyan,
basandosi sulle due descrizioni di un Buddha sdraiato della lunghezza
di circa 300 metri.
Secondo la tradizione a lui si deve
anche il Cheng Weishi Lun, un commentario ai sutra.
A capo di un'accademia imperiale nella
capitale Chang'an (oggi Xi'an), per il resto della sua vita si dedicò
alla traduzione dei sutra in cinese. Il suo lavoro, oltre ad ampliare
enormemente il numero di testi disponibili al Buddhismo cinese,
preservò anche diversi testi andati perduti nella versione
originale.
La scuola di Faxiang, fondata dal suo
discepolo Fuiji, ebbe vita breve, ed il suo insegnamento sopravvisse
solo in Giappone nella scuola Hossō.
Durante la dinastia Yuan, Wu Changling
(吳昌齡)
mise in scena un'opera teatrale incentrata sul viaggio di Xuanzang
alla ricerca delle scritture. Il viaggio di Xuanzang, e le leggende
che lo circondarono, ispirarono poi il romanzo del XVI secolo Viaggio
in Occidente, considerato uno dei maggiori classici della
letteratura cinese. Nel romanzo Xuanzang è la reincarnazione di un
discepolo diretto di Gautama Buddha e al termine del viaggio diventa
un buddha a sua volta.
Reliquie
Un teschio che si dice fosse di
Xuanzang era conservato nel Tempio della Grande Compassione a Tianjin
fino al 1956, quando fu portato a Nalanda - sembra dal Dalai Lama - e
donato all'India: la reliquia è ora conservata nel museo di Patna.
Anche il Monastero Wenshu a Chengdu, nel Sichuan, sostiene di
conservare parte del teschio di Xuanzang.