domenica 5 giugno 2016

Le Sang

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Lê Sáng (Hanoi, 1920 – Ho Chi Minh, 27 settembre 2010) è stato un artista marziale vietnamita, presidente della federazione mondiale di Vovinam viet vo dao.
Allievo del Maestro Fondatore Nguyễn Lộc, sin dai primi anni partecipò pienamente alla codifica del Vovinam, che avvenne nel 1938. Divenne Patriarca di seconda generazione nel 1960, alla morte di Nguyen Loc, perché allievo più anziano e più preparato tecnicamente che fin dall'inizio aveva seguito il Maestro. Era diventato parte della famiglia, e quindi gli venne riconosciuto questo importante ruolo alla morte del fondatore.
Al Maestro Le Sang si devono molte cose, e non solo il programma tecnico, ma prima di tutto il nome che più è conosciuto nel mondo, Viet vo dao. Lui inserì tutta la parte filosofica, legando all'arte marziale tutta la parte spirituale, per questo creò "la via dell'arte arte marziale vietnamita" (viet vo dao in vietnamita), che da quel giorno incominciò a chiamarsi Vovinam viet vo dao, indicando così nel nome la parte tecnica e la parte spirituale, nonostante in Vietnam ancora adesso venga chiamata solamente Vovinam. Una grande innovazione venne data sotto l'aspetto tecnico. Il Maestro Le Sang decise che il Vovinam doveva essere di più che solo una disciplina da combattimento, doveva avere tutte le caratteristiche di arte marziale tradizionale, quindi Quyen, Song Luyen, e tutto il lavoro di base che un'arte marziale vera debba avere perché sia riconosciuta come tale. Fu il Maestro Le Sang ad adottare la divisa ora utilizzata, il Vo Phuc azzurro, prima la divisa ufficiale del Vovinam erano solamente dei pantaloncini corti con i colori delle attuali cinture.
Non fu inserito tutto da lui, già con il maestro fondatore questo lavoro era stato portato avanti, ma lui con l'aiuto dei suoi collaboratori più stretti lo completò, dando così al Vovinam l'impostazione attuale.
Il Maestro Le Sang dopo la guerra del Vietnam venne incarcerato per 13 anni, venne sostituito dal Maestro Trần Huy Phong (1938-1997), che per un certo periodo fu il maestro Patriarca di terza generazione, e che apportò altre novità nel programma, rendendolo sempre più completo.
Nel 1987 il maestro Le Sang uscì dal carcere, e tornò all'opera e continuò lo sviluppo del Vovinam, spingendo perché il Vovinam si distribuisse nel mondo. Il maestro ha vissuto gli ultimi anni di vita in Vietnam, ad Ho Chi Minh presso il To Duong, la sala dell'altare dove ogni mattina si allenava lavorando pazientemente il programma di energia interna del Vovinam, i Nhu Khi Cong Quyen.
Il 27 settembre dopo un lungo periodo di malattia alle 3 di notte è morto nella città di Ho Chi Minh.

sabato 4 giugno 2016

Yajurveda

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Lo Yajurveda (devanāgarī यजुर्वेद, sostantivo maschile sanscrito composto da yajus, "formula sacrificale", e veda, "sapienza" o "conoscenza": "Veda delle formule sacrificali") è una delle suddivisioni canoniche dei Veda. Lo Yajurveda è a sua volta distinto in Kṛṣṇa Yajurveda (Yajurveda nero) e Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco).

Generalità

Nello Yajurveda, più precisamente nelle sue Saṃhitā, sono raccolte le formule sacrificali (yajus) nonché i mantra già presenti nel Ṛgveda mormorati dal sacerdote officiante il sacrificio vedico (yajña) indicato come adhvaryu.

Suddivisione

Le due collezioni in cui lo Yajurveda è tradizionalmente distinto sono:
  • il Kṛṣṇa Yajurveda (Yajurveda nero), la parte più antica detta "nera" (kṛṣṇa) forse perché considerata meno 'pura', in quanto nei testi ivi raccolti sussiste una confusione fra i contenuti delle Saṃhitā e dei Brāhmana;
  • lo Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco), più recente del Kṛṣṇa Yajurveda, detta "bianca" in virtù della distinzione effettuata sui contenuti e sul differente ordine a essi dato.

Kṛṣṇa Yajurveda

Nel Kṛṣṇa Yajurveda troviamo tre raccolte di formule, tre Saṃhitā cioè: la Kaṭhaka Saṃhitā o Kapiṣṭhala-Kaṭha Saṃhitā, la Maitrāyaṇi Saṃhitā e la Taittirīya Saṃhitā; a quest'ultima è associato il Taittirīya Brāhmaṇa; da cui il Taittirīya Āraṇyaka; infine troviamo ben sei Upaniṣad, tutte ben note e importanti: la Taittirīya Upaniṣad, la Kaṭha Upaniṣad, la Mahānārāyaṇa Upaniṣad, la Maitrī Upaniṣad, la Prāṇāgnihotra Upaniṣad e la Śvetāśvatara Upaniṣad.

Śukla Yajurveda

Nello Śukla Yajurveda abbiamo un'unica Saṃhitā, la Vājasaneyī Saṃhitā; un Brāhmaṇa molto noto, il Śatapatha Brāhmaṇa; un Āraṇyaka, il Bṛhad Āraṇyaka; e cinque Upaniṣad. Le prime quattro sono: la Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad (la più antica fra le Upaniṣad canoniche), la Jābāla Upaniṣad, la Paiṅgala Upaniṣad e la Sūrya Upaniṣad. A queste va considerata aggiunta la Īśā Upanisad, testo anch'esso molto noto, costituito dalle ultime sei strofe del primo terzo della quattordicesima sezione della Vājasaneyī Saṃhitā, e che quindi è da ritenersi precedente alla Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad.

venerdì 3 giugno 2016

Hatakeyama Yoshitsuna

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Hatakeyama Yoshitsuna (畠山義綱; 1536 – 1594) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku, appartentente al ramo Noto-Hatakeyama della provincia di Noto.

Biografia

Yoshitsuna succedette al padre Hatakeyama Yoshitsugu all'età di 16 anni. In quel periodo si era formato un consiglio di sette servitori del clan Hatakeyama e questi cercarono di usare Yoshitsuna come un burattino. Yoshitsuna e Yoshitsugu lavorarono in silenzio per creare frizioni all'interno del consiglio. Trovarono un alleato in Igawa Mitsunobu che avevano nominato al consiglio nel 1554 a seguito della morte di un membro iniziale. La guerra civile scoppiò nuovamente lo stesso anno con l'effetto di migliorare la posizione di Yoshitsuna. Yoshitsuna non fu comunque in grado di mantenere il controllo sui suoi servitori e fu costretto a fuggire nella provincia di Ōmi attorno al 1566. Il figlio Yoshitaka fu rovesciato da quegli stessi servitori nel 1574, spingendo Uesugi Kenshin ad attaccare successivamente la provincia di Noto. Yoshiharu, fratello di Yoshitsuna, servì il clan Uesugi e divenne successiamente noto come come Jōjō Masashige.

giovedì 2 giugno 2016

Kimura lock

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La Kimura lock è una mossa di sottomissione usata nel ju-jitsu e nel pro-wrestling, resa famosa in quest'ultima dal lottatore Brock Lesnar, fu inventata nel 1935 dal lottatore di ju-jitsu giapponese Masahiko Kimura e mostrata in molti film di arti marziali e MMA.

Esecuzione

La Kimura lock si "chiude" portando il proprio braccio sinistro sulla spalla del braccio destro avversario facendolo passare sotto il gomito dello stesso braccio; col braccio destro bisogna afferrare il polso destro avversario e finalizzare la mossa mantenendo il vostro braccio sinistro con il vostro avambraccio destro e tirare l'arto avversario verso l'alto.
Ci sono vari modi per eseguire questa mossa, la si può fare da sdraiati, mantenendo il corpo dell'avversario con le gambe evitando di perdere la presa, oppure in piedi mettendo la testa dell'avversario sotto il vostro braccio destro.



Effetti

La Kimura lock è una mossa molto potente quanto facile da eseguire, gli effetti che comporta per l'avversario è un forte dolore alle ossa perché la cartilagine della spalla e i muscoli iniziano a contrarsi in maniera dannosa e se accompagnata da bruschi movimenti verso l'alto i muscoli e/o la cartilagine possono strapparsi oppure rompere direttamente la giuntura tra la clavicola e il braccio.



mercoledì 1 giugno 2016

Acinace






Dario I di Persia con una acinace in grembo





Un membro della Guardia reale esibisce una acinace al suo fianco. Da un bassorilievo da Persepoli.



Acinace, scritto anche akinakes (greco ἀκινάκης) o akinaka (da un ipotetico e non attestato termine persiano *akīnakah) è termine usato per indicare un tipo di spada o daga usata dagli antichi persiani.




Origine e disegno

Il disegno dell'arma ha un'origine scita, anche se a renderla famosa furono i persiani grazie ai quali l'arma ebbe una rapida diffusione nel mondo antico, tanto che una sua influenza può essere rintracciata perfino nel disegno della antiche armi cinesi. L'acinace è lunga, tipicamente, 36–46 cm, con due bordi affilati, un pomolo diviso, e una guardia cruciforme a forma di B o anche rettangolare o arrotondata, che, sebbene profonda, non si protende molto dalla lama.
È interessante notare che ciò che più di ogni altra cosa permette di identificare l'acinace è la sua fodera, di solito sospesa con un unico aggancio su uno dei lati, in modo da pendere in maniera asimmetrica, in diagonale sull'anca destra.
Poiché l'acinace sembra essere stata un'arma da stoccata, e siccome era indossata generalmente sulla destra, l'inclinazione in avanti doveva servire probabilmente a permetterne la rapida estrazione, in una posizione molto favorevole per portare assalti a sorpresa, trovandosi infatti impugnata con la lama inclinata verso il basso e in avanti.


Testimonianze testuali ed artistiche

Cavaliere dei Parti di scorta a una carovana di cammelli (dettaglio), con una daga (acinace) plurilobata sulla destra. Riproduzione da un bassorilievo da Palmira.

Acinaci d'oro, da Tillia Tepe, I secolo d.C.



I testi antichi ci dicono veramente poco di quest'arma, al di fuori del fatto, abbastanza scontato, che era una spada persiana. Per questo motivo, gli autori latini che ne hanno scritto nel tempo, hanno usato il termine acinace per indicare indistintamente qualsiasi altra arma usata dai persiani nel corso dei secoli. Così è frequente, nel latino medioevale, che si indichi con il termine acinace la scimitarra o altre simili, una consuetudine linguistica che ha lasciato un'evidente traccia in alcune nomenclature binomiali di specie animali o botaniche.
Paulus Hector Mair, esperto tedesco di arti marziali e scherma storica vissuto nel XVI secolo, si spinge ancora più in là, arrivando a tradurre con acinace il tedesco dussack, un termine usato per indicare un'arma da addestramento, che aveva la caratteristica di esibire, nel disegno, una curvatura simile a quella della scimitarra. Allo stesso modo, nelle descrizioni di autori Gesuiti riguardanti il Giappone, il termine veniva utilizzato per indicare la katana.
I persiani dell'era achemenide facevano uso di più di un tipo di spada: l'arte dell'epoca achemenide ci offre tipiche raffigurazioni di guardie del corpo del re o importanti dignitari che indossano spade ornate sospese in diagonale. L'arte greca, d'altro canto, mostra spesso soldati persiani armati di kopis, un'arma ricurva dotata di un unico filo. Ci vuole un fiuto da detective per riuscire a discernere che tipo di arma fosse davvero l'acinace.
È utile notare che nei testi greci e romani, l'acinace viene talvolta menzionata quale oggetto di dono regale corrisposto in segno di favore. Questo farebbe propendere per la daga.
In un passo di Erodoto un acinace d'oro è ritualmente offerta da Serse al mare, nella cerimonia riparatrice che fece seguito al curioso episodio noto come flagellazione dell'Ellesponto.
Un passaggio rivelatore lo si rinviene in Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche, 20.186), in cui le armi usate dai sicari sono così descritte:

«E a quel tempo i cosiddetti sicari, una sorta di banditi, stavano raggiungendo il loro maggior numero, facendo uso di piccole spade, che per grandezza erano simili all'acinace persiana, ma curve come la romana sica, alla quale quei banditi debbono il loro nome.»
Ciò sembra anche indicare che è la daga ad essere propriamente chiamata acinace, sebbene vi sia chi sostiene il contrario, traducendo il passaggio precedente in: «convessa come la romana sica».



martedì 31 maggio 2016

Hatakeyama Yoshinari

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Hatakeyama Yoshinari (畠山 義就; 1437? – 21 gennaio 1491) è stato un daimyō giapponese del periodo Muromachi, appartenente al ramo Kawachi-Hatakeyama della provincia di Kawachi.

Biografia

Noto per la sua disputa con Hatakeyama Masanaga per il ruolo di Kanrei, la loro rivalità crebbe fino a dar inizio alla guerra Ōnin.

lunedì 30 maggio 2016

Hatamoto

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Gli hatamoto (旗本 "sotto le insegne") erano samurai sotto il diretto controllo dello Shogunato di Tokugawa nel Giappone feudale. Tutti e tre gli shogunati della storia del Giappone avevano dei referenti diretti, soltanto che in quelli precedenti tali personaggi venivano chiamati gokenin. Comunque, nel periodo Edo, gli hatamoto erano i vassalli di grado più elevato della dinastia Tokugawa, e i gokenin erano i vassalli minori. Non c'era nessuna differenza di censo tra i due, ma gli hatamoto avevano la possibilità di farsi ascoltare direttamente dallo Shogun, possibilità negata ai gokenin. La parola hatamoto significa letteralmente "alla base dello stendardo" e spesso viene tradotto come "alfiere". Un altro termine usato per indicare gli hatamoto durante la dinastia Edo era jikisan hatamoto (直参旗本), che si può tradurre come "hatamoto sotto il diretto controllo dello Shogun", usato per illustrare la differenza tra loro e i loro predecessori che servivano i vari signori.

Storia

Il termine hatamoto è originario del periodo Sengoku. Il termine era usato per lo staff del signore; come d'altronde, il nome suggerisce, "Alla base dello stendardo". Molti signori avevano alle proprie dipendenze hatamoto, ma, quando il Clan Tokugawa prese il potere nel 1600, il suo sistema di hatamoto fu ufficializzato ed è principalmente a tale sistema che ci riferiamo oggi con questo termine.
Nell'ottica dello shogunato di Tokugawa, gli hatamoto erano coloro che avevano sostenuto la famiglia sin da quando essa era nella provincia di Mikawa. Comunque, il rango di hatamoto spesso includeva anche personaggi al di fuori della nobiltà ereditaria della casata Tokugawa. Furono inclusi, infatti, i leader e i generali delle provincie sconfitte, come da esempio membri del clan Takeda, del clan Hōjō e del Imagawa. Furono anche inclusi gli eredi dei terreni confiscati dallo shogun (per esempio, Asano Daigaku, il fratello di Asano Naganori), figura di grande potere locale, che tuttavia non divenne mai daimyo, e le famiglie del periodo Kamakura e Muromachi; Divennero hatamoto anche alcuni tra gli Shugo (Governatori), tra cui gli Akamatsu, i Besshō (un ramo della famiglia Akamatsu), gli Hōjō, gli Hatakeyama, i Kanamori, gli Imagawa, i Mogami, i Nagai, gli Oda, gli Ōtomo, i Takeda, i Toki, i Takenaka (un ramo dei Toki), i Takigawa, i Tsutsui, e gli Yamana. L'investitura (per usare un termine occidentale) degli hatamoto veniva chiamata bakushin toritate (幕臣取立て).
Molti degli hatamoto combatterono nella guerra Boshin nel 1868, su entrambi i fronti.
Gli hatamoto rimasti seguaci del clan Tokugawa dopo la caduta dello shogunato nel 1868, seguirono i Tokugawa nel loro nuovo dominio di Shizuoka. Gli hatamoto persero il loro status insieme a tutti gli altri samurai in Giappone in seguito all'abolizione del sistema han nel 1871. Tale privazione dei privilegi fu tra le cause della rivolta di Satsuma del 1877.

Ranghi e ruoli

La differenza tra hatamoto e gokenin, specialmente tra hatamoto di rango inferiore, non era rigida, e il titolo di hatamoto aveva più a che fare col rango che con il censo. All'interno di un esercito la posizione di un hatamoto potrebbe essere paragonata a quella di un ufficiale. Per tutto il periodo edo, gli hatamoto mantennero il privilegio qualora fossero di alto rango, di avere diritto ad udienza personale presso lo shogun (questi erano conosciuti come ome-mie ijō). Tutti gli hatamoto potevano essere suddivisi in due categorie, i kuramaitori, che traevano il loro reddito direttamente dai granai Tokugawa, e i jikatatori, che mantennero possedimenti in tutto il Giappone. Un altro livello distintivo dello status tra gli hatamoto era la classe dei kōtai-yoriai, uomini che erano capi di famiglie di hatamoto e possedevano feudi provinciali, e avevano funzioni alternative (sankin kotai) ai daymio. Tuttavia, come i kōtai-yoriai, erano uomini con reddito molto alto a livello degli stipendi hatamoto, e non tutti i jikatatori hatamoto avevano il dovere di attendere a funzioni alternative. La linea di demarcazione tra gli hatamoto più bassi e i fudai daimyo —signori feudali vassalli della casa Yokugawa - era di 10.000 koku.
Ad alcuni hatamoto poteva essere concesso un incremento del reddito, potendo essere promosso al livello fudai daimyo. Ad ogni modo, questo non accadeva di frequente. Un esempio di questo tipo di promozione fu il caso della famiglia Hayashi di Kaibuchi (più tardi conosciuto come Jozai han), che cominciò come jikatatori hatamoto e divenne fudai daimyo, continuando a svolgere un ruolo prominente nella Guerra Boshin, a dispetto del fatto che il loro dominio era valutato per la quantità di 10.000 koku.
Il termine per un hatamoto con un reddito fondiario di 8.000 koku o superiore era taishin hatamoto ("maggiore hatamoto").
Gli hatamoto che vissero in Edo risiedevano nei propri distretti privati e supervisionavano la propria polizia e la sicurezza. Uomini hatamoto potevano servire in una varietà di ruoli nella amministrazione Tokugawa, incluso il servizio nelle forze di polizia degli ispettori yoriki, come magistrati cittadini, magistrati o esattori delle tasse dei territori della casa Tokugawa, membri del consiglio wakadoshiyori, e in altre posizioni.
L'espressione "ottantamila hatamoto" (旗本八万旗 hatamoto hachimanhata) fu nell'uso popolare impiegata per indicare i loro ranghi, anche se una indagine del 1722 fisso la loro consistenza a 5.000. Unitamente ai gokenin il loro numero raggiungeva le 17.000 unità.

Hatamoto Famosi

Alcuni tra i più famosi hatamoto sono Ōoka Tadasuke, Tōyama Kagemoto, Katsu Kaishu, William Adams, Enomoto Takeaki, e Hijikata Toshizō.

Gli hatamoto e le arti marziali

Gli hatamoto incoraggiarono lo sviluppo delle arti marziali nel periodo Edo; un buon numero di essi si occupavano personalmente della gestione e dell'insegnamento delle arti marziali nei dojo, principalmente nella provincia di Edo e in alcune altre zone. Due hatamoto, in particolare, sono stati importanti sviluppatori di nuove tecniche di arti marziali:Yamaoka Tesshū e Yagyū Munenori, il quale era, oltre che maestro del proprio dojo, capostipite degli insegnanti di scherma dello shogun (tradizionalmente, infatti, l'insegnante di spada era un Munenori)



domenica 29 maggio 2016

Ban Naoyuki

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Ban Naoyuki (塙 直之; 26 maggio 1567 – 1615), conosciuto anche come Ban Dan'emon (塙 団右衛門), è stato un samurai del tardo periodo Sengoku e del primo periodo Edo.
Servì inizialmente come vassallo di Katō Yoshiaki, una delle "sette lance di Shizugatake", che diventò in seguito padrone del dominio Aizu, presso Mutsu. Naoyuki servì Katō come comandante d'artiglieria (teppō-taishō).
Naoyuki seguì il suo signore durante l'invasione giapponese della Corea intorno al 1590, e per le sue azioni in combattimento in quella circostanza gli fu dato uno stipendio di 350 koku. Comunque, nella battaglia di Sekigahara nel 1600, si oppose agli ordini di Yoshiaki e conseguentemente lasciò il servizio. Dopo questi avvenimenti, servì numerosi signori, inclusi Kobayakawa Hideaki, Matsudaira Tadayoshi, e Masanori Fukushima; comunque, poiché il suo signore precedente, Yoshiaki, era d'impaccio, Naoyuki diventò monaco per un certo tempo.
Servì il clan Toyotomi nella campagna invernale dell'assedio di Osaka nel 1614. Comunque, durante la campagna estiva dell'anno seguente, fu ucciso in azione mentre combatteva le forze di Asano Nagaakira nella provincia di Izumi.

sabato 28 maggio 2016

Arma inastata






Truppa di alabardieri scozzesi in una rievocazione storica.






Un'arma inastata è un'arma per il combattimento ravvicinato nella quale la parte deputata all'uso bellico è collocata al termine di un'asta, solitamente di legno duro, al fine di estendere il più possibile il raggio d'azione di colui che la brandisce e di amplificare il momento angolare onde ottenere più danno nel momento in cui la sommità giunge a contatto con il bersaglio. L'origine delle armi inastate è antichissima, basti considerare la stretta relazione tra la zagaglia ed il coltello di selce dell'Età della Pietra, ed ha portato allo sviluppo di una notevole quantità di tipologie di armi (picca, alabarda, berdica, azza etc.) sia in Europa che in Asia.

Storia

Nativo americano della tribù Hupa con la sua lancia - 1923.





Lance con lama di selce - Parco nazionale di Mesa Verde.






La storia delle armi inastate comincia nell'Età della pietra, quando i primi uomini legarono ad un lungo manico di legno un coltello di selce ed ottennero la prima forma di lancia a noi nota. La lancia e le armi inastate in generale sono state impiegate in ogni guerra prima della supremazia delle armi da fuoco, passando dai cacciatori preistorici agli opliti dell'Antica Grecia fino ai picchieri dell'età moderna.
Lo studio e la classificazione della armi inastate sono però, come già osservava lo storico britannico Oakeshott, materia incredibilmente complessa. La grande diffusione di questa tipologia di armamento nel Basso e Tardo Medioevo portò ad un fiorire di nomi e definizioni che, già nel XVII secolo rendeva difficile evincere le effettive differenze correnti tra l'uno e l'altra tipologia di arma. I tentativi di classificazione operati nel XIX secolo finirono ulteriormente con il complicare le cose. Ad oggi, in buona sostanza, esistono più nomi indicanti armi inastate che armi vere e proprie.

Antichità



















Lame di varie armi inastate dei Daci - Museo transilvanico di Cluj-Napoca (Romania).












La creazione dei primi eserciti stabili e la nascita dei primi grandi imperi (Sumeri, Egizi, Ittiti) incentivò lo sviluppo della metallurgia e degli armamenti, apportando massicce evoluzioni alle armi precedentemente in uso presso le popolazioni di cacciatori-raccoglitori dell'età della pietra. Mentre si diffondeva l'uso della spada e dello scudo, dalla lancia, originariamente arma versatile, atta sia alla mischia che al lancio, svilupparono due forme distinte di arma: l'arma inastata da mischia, pesante ed atta a prolungare il campo d'azione del combattente, ed il giavellotto, evoluzione della zagaglia primitiva unicamente atto all'uso come proiettile.
Con la nascita della fanteria pesante, tradizionalmente esemplificata dall'oplita dell'Antica Grecia, protetto da elmo, corazza, schinieri e scudo di bronzo, si codifica il modello della lancia pesante (dory in greco antico), con asta in legno duro lunga 2-3 metri, lama massiccia di metallo e sauroter pure di metallo. Le successive evoluzioni delle armi inastate non sono caratterizzate, nel periodo ellenistico e durante l'Impero romano, da una particolare fantasia nelle forme o nell'utilizzo: la sarissa degli opliti del Regno di Macedonia (v. falange macedone) ed il contus dei nomadi Sarmati sono semplicemente delle lance con lama ed asta più lunghe rispetto allo standard della dory greca. Il sistematico diffondersi della cavalleria pesante, cominciato con gli hetairoi di Alessandro Magno e confermato poi dai successi dei cavalieri ostrogoti a partire dal III secolo, gettò però le basi della successiva, massiccia evoluzione e diversificazione delle armi inastate in epoca medievale.
Menzione particolare merita una forma particolare di arma inastata sviluppatasi nei Balcani presso i Traci: la falce da guerra, ottenuta inastando la lama della falce (attrezzo), arma da taglio da brandire a due mani con l'intento di vanificare l'eventuale superiorità dell'apparato difensivo del nemico.



Medioevo

L'adunanza cittadina di Zurigo del 1º maggio 1351; le guardie impugnano alabarde ed azze. (Dipinto di Diebold Schilling il Giovane, 1513)



Picchieri svizzeri nella battaglia di Morgarten del 1315. (Tratto dallo Tschachtlanchronik di Bendicht Tschachtlan del 1470)
Illustrazione da Sir Gawain e il Cavaliere Verde, uomo armato di bardica in primo piano.




Esercizi con armi inastate dal Flos duellatorum di Fiore dei Liberi.









La fondazione del Sacro Romano Impero e la diffusione del feudalesimo, unitamente alle particolari caratteristiche orografiche del territorio francese, culla della civiltà medievale, portarono ad un radicale mutamento nell'arte della guerra europea: l'esito delle battaglie non venne più deciso dalle forze di fanteria, com'era valso ai tempi dei greci e dei romani, ma da quelle di cavalleria.
In un panorama bellico dominato dalla figura del soldato a cavallo protetto da un pesante usbergo in maglia metallica, poi irrobustito da piastre di metallo, e da uno scudo sempre più massiccio ed allungato, le armi inastate si trovarono a dover soddisfare i bisogni di due utenze ben distinte: il cavaliere, deciso a sfruttare la propria posizione di vantaggio sia nello scontro con il fante che contro altro cavaliere, ed il fante, deciso a ridurre il vantaggio tattico garantito al cavaliere dalla sua posizione sopraelevata e dalla maggior velocità garantitagli dalla cavalcatura.
Il contus della cavalleria pesante tardo-antica si evolse nella lancia da giostra, con padiglione paramano e lunghezza fino a 5 metri, gestibile dal cavaliere con una sola mano grazie all'invenzione della resta (XV secolo). Parallelamente, a partire dal XIII secolo le forze di fanteria, principalmente costituite da leve cittadine, ricorsero all'uso della picca, in buona sostanza un'evoluzione della sarissa caduta in disuso nel II secolo a.C.
Particolare forma di armi inastate, sviluppatasi nei territori occupati dai Vichinghi (Scandinavia, Ucraina ed Inghilterra), furono le scuri in asta. L'ascia danese, la cui lama era montata al vertice di un'asta lunga fino a 2 metri, differisce infatti notevolmente dalla normale ascia da battaglia. Dal modello della scure danese, diffusasi nell'Europa del Nord intorno all'XI secolo, originò in epoca più tarda la berdica, una sorta di ibrido tra la scure vichinga inastata e la primitiva alabarda.
Il bisogno di difendersi dai soprusi dei cavalieri e la proibizione, per i plebei, di possedere e mantenere equipaggiamento e cavallo al di fuori del seguito di un signore feudale, spinse inoltre verso lo sviluppo di nuove armi inastate dalle fogge fantasiose, spesso derivate dagli attrezzi agricoli, capaci sia di offendere un bersaglio a cavallo sia di agganciarlo per strapparlo dalla sella. Esempio classico di queste nuove armi, diffusesi a partire dal XII secolo, furono l'azza ed il roncone, poi sviluppate in armi più raffinate e maneggevoli come l'alabarda, la partigiana, la corsesca.
Originatesi in ambiente plebeo, queste nuove armi da mischia, non sempre dotate di un'asta eccessivamente lunga (quella un'alabarda, di norma, misurava non più di 2 metri, ben lontani dai 4 metri di una picca!), vennero anche brandite dai cavalieri. Le grandi evoluzioni tattico-strategiche imposte dalle Crociate (XI-XIV secolo) avevano costretto la casta guerriera europea a superare il semplicistico concetto della cavalcata come manovra risolutiva degli scontri. Già durante le operazioni di sbarco a Damietta (Egitto) nel corso della Settima crociata (1249), Luigi IX di Francia aveva fatto ricorso a cavalieri riconfigurati in picchieri per respingere le cariche della cavalleria egiziana durante lo scarico dei cavalli e del resto delle truppe dalle navi cristiane. L'uso dell'azza, dell'alabarda e di altre armi inastate figurò così a pieno titolo tra le lezioni descritte nel manuale di scrima (scherma tradizionale italiana) Flos Duellatorum in armis, sine armis, equester et pedester del maestro Fiore dei Liberi (1350-1420), a conferma di una tradizione bellica ormai ben radicatasi nel corso del Trecento.
I grandi successi militari dei picchieri dei corpi di mercenari svizzeri, cominciati nel XIV secolo e poi ratificati dalle pesanti sconfitte inferte alla cavalleria pesante del duca di Borgogna Carlo il Temerario nelle battaglie di Grandson, Morat (1476) e Nancy (1477), confermarono il ritorno della fanteria ad elemento determinante nello stabilire l'esito delle battaglie.





Evo Moderno

La mischia dei picchieri lanzichenecchi (XVI secolo) - Hans Holbein il Giovane.
Picchiere inglese del 1668.









La massiccia diffusione delle armi da fuoco negli eserciti del XVI secolo, sia nei corpi di fanteria (archibugieri e moschettieri) che di cavalleria (si pensi ai Reiter tedeschi armati di petrinale e pistola a ruota o agli harquebusiers armati di archibugio), ridusse il campo d'utilizzo delle armi inastate. La picca continuò ad essere ampiamente utilizzata nei quadrati di fanteria per tutta la Guerra dei Trent'anni ed ancora al tempo di Luigi XIV di Francia, mentre alabarde e partigiane divenivano armi da parata o deputate ai corpi incaricati di garantire la difesa personale dei sovrani. Sparirono invece abbastanza rapidamente ronconi, azze, mazzapicchi ecc.
Nel XVIII secolo, il ricorso alla baionetta negli eserciti europei rese, di fatto, inutili i corpi dei picchieri. Mentre la potenza delle armi da fuoco cresceva sistematicamente, rendendo primario per la fanteria l'addestramento all'uso di tali armi dei soldati appiedati, la cavalleria pesante sviluppava le tattiche seicentesche del caracollo e della carica alla sciabola fino alle loro estreme conseguenze e si diffondeva l'uso dei dragoni, corpi di fanteria montata. Le guerre di Federico II di Prussia (1740-1786) e di Napoleone segnarono la definitiva chiusura dell'epoca d'oro delle armi inastate nel teatro bellico europeo. L'ultima battaglia in cui l'uso della picca ebbe un ruolo determinante fu la Battaglia di Racławice combattuta il 4 aprile 1794 tra i ribelli polacchi di Tadeusz Kościuszko e le forze dell'impero russo risoltasi proprio con una vittoria dei picchieri polacchi.
La lancia da cavalleria, notevolmente alleggerita rispetto al modello medievale, continuò a restare in uso per tutto il XIX secolo, periodo in cui si diffusero negli eserciti europei i reggimenti di cavalleria indicati appunto come lancieri. Solo a seguito della prima guerra mondiale la lancia cadde definitivamente in disuso come arma d'ordinanza divenendo arma da parata.










Estremo Oriente

Samurai giapponesi con diverse armi inastate - ca. 1880.





Pratica

La foggia stessa del roncone o della corsesca suggerisce la versatilità d'uso cui le armi inastate del periodo medievale potevano essere deputate. La descrizione delle modalità di attacco e di parata con ronconi, alabarde e quant'altro, nei vari manuali di scrima pervenutici, conferma questa versatilità. La dove la picca era atta ad offendere principalmente di punta o al massimo per essere vibrata contro un cavaliere al galoppo, ronche, azze e corsesche permettevano di agganciare un avversario corazzato e trascinarlo a terra. I mazzapicchi potevano bucare con i loro aculei ricurve le piastre e gli elmi dei cavalieri, mentre la lama di scure di un'alabarda poteva colpirli anche in sella.
Nelle mischie tra fanti, le armi inastate tardo-medievali si scontravano le une contro le altre in una schermaglia che sviluppò notevolmente la scherma della lancia da fanteria dell'antichità. Oltre all'affondo ed al colpo di ritorno con la parte interiore dell'asta, spesso rinforzato da un supporto metallico simile al sauroter della dory greca, ronche, corsesche, azze ed alabarde potevano agganciarsi le une alle altre o aggirare la guardia dell'avversario per un colpo alle spalle grazie ai loro rebbi ed uncini.


  • Posizione di guardia, vista laterale.
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  • Posizione di guardia, vista frontale.

Elenco delle armi inastate

Antichità

  • Dory, la lancia da mischia degli opliti greci;
  • Falce da guerra;
  • Hasta, la lancia da mischia dei primi legionari romani, evolutasi dalla dory greca;
  • Romfaia, ibrido tra una spada a due mani ed una falce da guerra;
  • Sarissa, la lunghissima picca dei falangiti macedoni;
  • Tridente

Europa

Rastrelliera di armi inastate del Medioevo europeo - Museo delle armi Luigi Marzoli.

  • Alabarda, arma inastata per antonomasia, la cui testa metallica assommava la lama di una scura, di una lancia e di un uncino;
  • Alighiero
  • Ascia danese, lama di scure inastata su un manico di legno lungo fino a 2 metri, in suo presso i vichinghi;
  • Ascia Lochaber, variante scozzese della berdica;
  • Azza
  • Berdica, sorta di ibrido tra la mannaia e la scure danese a manico lungo;
  • Brandistocco, massiccia arma ibrida tra la lancia e la forca;
  • Buttafuori (arma), equivalente, per la lancia, del bastone animato;
  • Corsesca
  • Falce da guerra, elementare arma inastata ottenuta verticalizzando rispetto all'astile la lama della falce;
  • Falcione, versione più raffinata della falce da guerra;
  • Forca da guerra
  • Lancia da giostra, la lancia da cavalleria pesante per antonomasia, lunga oltre 4 metri, con padiglione paramano, punta cuspidata e gancio d'arresto da fissarsi alla resta assicurata alla corazza pettorale del cavaliere;
  • Lanzalonga, prototipo italiano della picca;
  • Mazzapicchio, evoluzione per il quadrato di fanteria del martello d'armi in uso alla cavalleria pesante;
  • Partigiana
  • Picca, l'enorme lancia da fante, lunga sino a 5 metri, discesa dalla sarissa;
  • Roncone
  • Spiedo da guerra
  • Spuntone, sorta di mezza-picca affine alla partigiana. Fu la più longeva delle armi inastate, scomparendo solo nel tardo XIX secolo;
  • Voulge, sorta di ibrido tra la mannaia ed il falcione.


Estremo Oriente

  • Bisento;
  • Guan dao, falcione cinese;
  • Gē, l'"ascia-daga" cinese, antica e particolarissima arma inastata dell'Età del Bronzo;
  • Ji, alabarda cinese;
  • Nagamaki, arma giapponese, sorta di ibrido tra una spada katana ed un falcione;
  • Naginata, falcione giapponese con lama simile a quella della spada katana;
  • Pudao, altra forma di falcione cinese;
  • Yari, picca giapponese con lunga lama diritta;
  • Yuèyáchǎn, "Vanga della Luna Crescente" o "Vanga del Monaco", strana forma di falcione cinese con lama di mannaia "a pennello" ad una estremità ed un forcone all'altra estremità.
  • Wol-do, o "Spada della luna crescente", variante coreana del guan dao cinese;
  • Zhua, letteralmente "Lungo artiglio d'acciaio", sorta di rastrello da guerra cinese;

giovedì 26 maggio 2016

Hayashi Hidesada

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Hayashi Hidesada (林 秀貞; ... – 21 novembre 1580) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku che servì il clan Oda. È conosciuto anche come Michikatsu (通勝). Il suo titolo di corte fu Sado no Kami..

Biografia

La famiglia Hayashi, un ramo del clan Inaba, era originaria del villagio di Oki nel distretto Kasugai dellea provincia di Owari. Michikatsu, nato nei primi decenni del XVI° secolo, servì il clan Oda, prima con Oda Nobuhide, e poi con il giovane Oda Nobunaga nel momento della sua assegnazione del castello di Nagoya. Hidesada era il principale Karō (ufficiale samurai di alto rango); assieme a Hirate Masahide servì come guardia di Nobunaga. Nel 1546 assisté Nobunaga alla cerimonia genpuku (cerimonia in cui si celebra la maggiore età).
Dopo la morte di Nobuhide nel 1551, Hidesada si preoccupò per il comportamento eccentrico di Nobunaga, e supportò segretamente Oda Nobuyuki, fratello di Nobunaga, come successore del clan. Nel 1555 Nobunaga uccise Oda Nobutomo e catturò il castello di Kiyosu; Hidesada fu messo a difesa del castello di Nagoya. Nobunaga unì l'intero clan Oda sconfiggendo tutti i contendenti, e prese il controllo della provincia di Owari. Tuttavia, Hidesada era ancora profondamente insoddisfatto di Nobunaga. Nel 1556, assieme a Hidesada, Shibata Katsuie raccolse truppe per cacciare Nobunaga e sostituirlo con Oda Nobuyuki. Vennero sconfitti nella battaglia di Inō ed una tregua temporanea fu mediata da Nobunaga, che non voleva continuare una lotta avrebbe potuto portare ad un'invasione di daimyō vicini. Hidesada e Katsuie furono entrambi graziati e mantennero le loro posizioni nel clan Oda. Due anni più tardi, Nobuyuki tramò ancora contro Nobunaga e questa volta fu ucciso.
Nel novembre 1575 dopo che Nobunaga decise di ritirarsi per mettere Oda Nobutada come capo del clan, Hidesada fu incaricato di prendersi cura di Nobutada. Nel mese di agosto 1580, Nobunaga decise improvvisamente di bandire Hidesada da tutte le posizioni per aver sostenuto Nobuyuki in passato. Il motivo sembra essere molto banale, ed è molto probabile che Nobunaga decise che Hidesada aveva esaurito la sua utilità e decise di tagliare dei servitori. Probabilmente da quel momento visse a Kyoto dove morì pochi anni dopo.



mercoledì 25 maggio 2016

Cinquedea

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La Cinquedea, detta anche Anelace o daga a lingua di bue, è un'arma bianca manesca del tipo spada corta (daga) originatasi nel XV secolo in area veneta, nei dintorni di Ferrara, e poi largamente diffusasi nell'Italia del Rinascimento. Si ritiene possa derivare dalla forma del parazonium romano.

Costruzione

Il nome deriva della misura della larghezza della lama ("cinque dita") nella parte più vicina all'elsa: tale dimensione, maggiore del consueto se rapportata alla modesta lunghezza (circa 45–55 cm), si restringe notevolmente verso la punta conferendo alla lama una forma triangolare.
Talvolta la lama molto pesante presenta una o più scanalature profonde (sgusci) che ne aumentano le caratteristiche meccaniche a parità di materiale utilizzato; spesso l'arma è inoltre abbellita da delle decorazioni di gusto tipicamente rinascimentale realizzate mediante le tecniche dell'ageminatura e della damaschinatura.
La decorazione spesso ricopriva anche l'elsa e l'impugnatura, che potevano essere ugualmente in metallo o anche in legno o avorio. Il guardamano era di tipica foggia medievale, cioè costituito da una barra di metallo concava orientata verso la punta.

Storia

Molto probabilmente il loro uso era limitato alle parate e alla esibizione da parte dei signori, potendo avere insieme le funzioni deterrenti del pugnale e della spada. A cagione della sua grande diffusione presso le corti rinascimentali italiane, è arma ampiamente rappresentata nei musei e nelle collezioni della Penisola, in particolare, e del mondo. Spiccano per il loro repertorio di cinquedee il Museo Stibbert di Firenze, il Museo Civico Medievale di Bologna, l'Armeria Reale di Torino, il Museo Correr di Venezia e il Museo Archeologico Alto Mugello di Palazzuolo sul senio (FI).

martedì 24 maggio 2016

Ebisu

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Ebisu (恵比須, 恵比寿, , ), talvolta trascritto come Yebisu, chiamato anche Hiruko (蛭子) oppure Kotoshiro-nushi-no-kami (事代主神), è il dio giapponese dei pescatori, della buona sorte e dei mercanti nonché il guardiano della salute dei bambini piccoli. È una delle Sette Divinità della Fortuna (七福神, Shichifukujin) ed il solo dei sette che ha origine giapponese.

Venerazione

Ebisu è una delle divinità maggiormente venerate in tutto il Giappone, in particolar modo dall'industria del pesce e dai villaggi di mare. Tradizionalmente raffigurato sotto forma di Ebisu Saburō, il kami ("divinità") indossa vestiti da campo o da pescatore e porta un alto cappello — il Kazaori Eboshi (風折烏帽子). In una mano tiene una canna da pesca e sotto l'altro braccio tiene un grosso tai (pesce simile all'orata). Qualche volta Ebisu viene rappresentato mentre tiene la sua canna da pesca con entrambe le mani, e tira su un grosso pesce impigliato all'amo. Le meduse vengono anche associate al dio.
La festa di Ebisu viene celebrata il ventesimo giorno del decimo mese, Kannazuki (il mese senza dei). Quando gli altri otto milioni di divinità del panteon giapponese si riuniscono al Santuario di Izumo, Ebisu non sente il richiamo ed è sempre disponibile per il culto.
Ebisu è spesso appaiato con Daikokuten, un altro dei Sette Dei della Fortuna. In certe versioni del mito, sono padre e figlio (o maestro e allievo). Questi due sono anche spesso associati a Fukurokuju e visti come i "Tre Dei della Fortuna".

Hiruko e la leggenda di Ebisu

Una versione della storia di Ebisu racconta che egli era originariamente chiamato Hiruko, che significa "bambino sanguisuga". Fu il primo figlio di Izanagi e di Izanami, nato senza ossa (in alcune storie viene raccontato che non aveva né braccia né gambe) a causa di una trasgressione al rituale matrimoniale fatta da sua madre. Hiruko dovette lottare per sopravvivere e, siccome non poteva stare in piedi, fu mandato nel mare su una barca di giunchi prima del suo terzo compleanno. Il mare lo gettò a riva — su Ezo (蝦夷, l'antico Hokkaidō) — e fu raccolto e curato dall'Ainu Ebisu Saburo (戎三郎).
Il bambino debole superò molte prove, gli crebbero le gambe (e anche il resto dello scheletro) a tre anni e divenne il dio Ebisu. Rimase leggermente disabile e anche un po' sordo, ma il suo carattere allegro gli fu di buon augurio (viene anche chiamato "Il Dio Ridente").
L'identificazione di Ebisu con Hiruko sarebbe secondo alcuni testi un errore, in quanto Ebisu viene considerato il kami di Ikki, mentre Hiruko è il fratello minore della dea del sole Amaterasu Ōmikami. L'identificazione con Hiruko, inoltre, è rafforzata dalla lettura molto flessibile dei caratteri di "Hiruko" per "Ebisu", oppure, scrivendo la parola "Ebisu" utilizzando i caratteri di "Hiruko". È molto comune che questi due kami vengano confusi tra loro: a Nishinomiya, infatti, il kami del santuario viene venerato dai devoti sia con il nome di Ebisu che con quello di Hiruko.
Secondo alcune teorie il motivo per cui questi due kami vengono confusi lo si può rintracciare nei primordi della civiltà giapponese. Prima delle conquiste dell'imperatore Jimmu e dell'instaurazione dell'impero del Giappone, l'arcipelago giapponese era abitato da una razza barbarica che aveva molto in comune con quella che ancora oggi occupa le isole di Yazo e Tarakai. Queste popolazioni venivano generalmente conosciute come Ebisu o Emisu, che significava "barbaro". L'imperatore Jimmu, che per conquistare l'arcipelago giapponese aveva iniziato la sua campagna dall'isola del Kyūshū, giunse nella provincia di Settsu dove combatté e sconfisse gli abitanti, i Nagasume Hiko, chiamati anche Ebisu. Egli li sottomise e li pose sotto il suo controllo ed essi si mescolarono con gli invasori. L'origine di tale confusione fra i due kami è dovuta quindi alla sovrapposizione dei due nomi: Ebisu indicava le popolazioni di Settsu, che adoravano Hiruko no mikoto, la divinità reietta che, stando a quanto è riportato nel Nihongi, sarebbe giunta nelle loro terre.

lunedì 23 maggio 2016

Tempio Shaolin del Sud

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Il Tempio Shaolin del Sud (Nán Shàolín-sì 南少林寺) è il nome di un monastero buddhista la cui esistenza e collocazione sono tuttora discusse. Sarebbe situato nel Fujian in tre possibili siti: secondo alcuni sul monte Jiulian Shang, vicino a Putian, secondo altri ai piedi del monte Qingyuan shang nella regione di Quanzhou, mentre secondo altri ancora il terzo possibile sito sarebbe la zona di Fuqing). Tradizionalmente è considerato il luogo di nascita del Nanquan.

Arti marziali e Nan Shaolin Si

Molti stili di arti marziali del sud della Cina rifanno la propria origine al Tempio Shaolin fornendo versioni diversissime su quale fosse esattamente questo tempio. Alcuni riferiscono che era il tempio del Songshan in Henan, ma altri indicano dei templi sussidiari a questo in altre località della Cina. Gli stili praticati ad Okinawa provengono quasi completamente da stili Nanquan da cui hanno ereditato anche le leggende di fondazione, come l'arte dello Shōrei ryū. Quest'arte marziale diede vita ad un'altra arte marziale, praticata a Okinawa: il Naha-te. Quest'ultimo a sua volta diede vita a due stili di karate: il Goju-ryu e lo Uechi-ryū. Lo Shorei-ryu diede anche una leggera influenza ad un altro stile di karate: lo Shito-ryu. Esiste una leggenda che racconta che da questo tempio fuggirono 5 monaci, durante la distruzione del tempio stesso. Questa leggenda è conosciuta come La leggenda dei 5 Antenati. Questo tempio andato distrutto, è molto meno famoso del suo corrispettivo situato nel nord della Cina, il Tempio Shaolin Shorinji.

domenica 22 maggio 2016

Everard des Barres

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Everard des Barres (... – 1174) è stato un militare francese, Gran maestro dell'Ordine templare dal 1147 al 1151.

Biografia

Come Precettore dei Templari in Francia dal 1143, fu uno dei più alti dignitari dell'Ordine quando Robert de Craon morì nel 1147. Egli venne scelto come suo successore e venne presto eletto; egli accompagnò Luigi VII di Francia nella seconda crociata, e fu tra coloro che vennero mandati a Costantinopoli prima dell'arrivo di Luigi, in avanscoperta. Egli successivamente salvò il re Luigi durante la battaglia di Pisidia contro i turchi selgiuchidi.
Secondo le cronache di Odo di Deuil, Everard era estremamente pio e valoroso ed in particolare sembra aver avuto una grande influenza sul re Luigi di Francia, in particolare dopo gli avvenimenti descritti. Dopo il fallimento nell'assedio di Damasco nel 1148, Luigi ritornò in Francia, seguito da Everard, che venne incaricato della salvaguardia del tesoro reale. I Templari di Everard rimasero in Terra santa a difendere Gerusalemme dagli attacchi turchi del 1149.
Ritornato in Francia, Everard abdicò ufficialmente nel 1151 e divenne monaco a Clairvaux, malgrado la protesta dei Templari (formalmente l'abdicazione era stata proposta già dalla partenza dalla Terrasanta, nel 1149). Egli venne succeduto da Bernard de Tremelay e morì nel 1174.