venerdì 26 agosto 2016

Daitō-Ryū Aikijūjutsu

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Il Daitō-Ryū Aikijūjutsu (大東流合気柔術 = Grande Scuola d'Oriente dell'Aikijujutsu) o brevemente Aikijujutsu è considerato, in Giappone, come una delle più antiche e nobili scuole di bujutsu. Sarebbe stata fondata nel 1087 da Shinra Saburō Minamoto no Yoshimitsu (新羅 三郎 源 義光, 1045–1127), samurai del clan Minamoto, terzo figlio di Yoriyoshi Minamoto, discendente della quinta generazione dell'imperatore del Giappone, della dinastia Minamoto, Fujiwara Seiwa (850-881), e la sua evoluzione si sarebbe svolta in parallelo con la storia del Giappone.



Storia

Il clan Minamoto era uno dei maggiori del Giappone e Yoriyoshi Minamoto, principe militare ereditario (Daimyō) della provincia di Chinjufu era stato inviato dall'imperatore a sedare una rivolta del clan Abe. La guerra durò per 11 anni (1051-1062) sino a quando Sadatou Abe fu sconfitto nella battaglia di Yakata Koromogawa.
Successivamente i figli di Yoriyoshi combatterono nella guerra Gosannen (1083-1087) contro il clan Kiyohara. Minamoto Yoshiie (uno dei figli) era in difficoltà, fu raggiunto dal fratello Yoshimitsu e insieme espugnarono la fortezza di Kanazawa. Yoshimitsu era il signore del castello di Daitō (da cui deriva poi il nome dell'arte), ma il figlio Yoshikiyo al termine della guerra si trasferì a Takeda nella provincia di Kai dove assunse il nuovo nome di Yoshikiyo Takeda, dando così origine al Clan Takeda.
Gli insegnamenti marziali sarebbero stati trasmessi in segreto presso il clan Takeda, che le avrebbe tramandate fino ai giorni nostri.
Nel 1674 alcuni documenti segnalano che l'influenza del Nishinkan del clan Takeda si è espansa su tutto il territorio d'Aizu, intorno al quale fioriscono molte scuole marziali principali che insegnano solo ai bushi del clan Aizu. Si contano 5 stili di scherma, 2 di ju jitsu (la famosa Mizu no Shinto-ryu e Shinmyo-ryu) proprie del clan Aizu più una miriade di scuole private che insegnano anche ai samurai di minor rango: 22 di scherma, 16 di jujutsu, 16 d'armi da fuoco, 14 d'estrazione della spada, 7 di tiro con l'arco, 4 di lancia e 1 d'alabarda, falcetto con catena, bastone, lotta con l'armatura senza armi.
Per due delle scuole citate vige il divieto di fornire dimostrazioni in pubblico. Sono le due scuole segrete del clan Aizu - l'Oshikiuchi (già Aiki-in-yo-ho, poi Daito-ryu Aikijujutsu) del clan Takeda e il kenjutsu di Misoguchi-ha Itto-ryu del clan Aizu.
Nel periodo Edo (1600-1868) la città d'Aizuwakamatsu nel distretto di Aizu era nota per la potenza del castello Tsurugajo, fatto costruire nel 1384 (periodo Ashikaga) da Ashina Naomori (all'epoca daimyoo d'Aizu), e al tempo della rivolta guarnito dalle truppe del clan Aizu, addestrate dal clan Takeda che forniva anche i migliori samurai per la guardia dello shogun. Nel 1868 il nerbo delle forze bene resiste alle forze nemiche, contro cui combattono anche due formazioni di giovani Takeda addestrati nell'Oshikiuchi (il futuro Daito-ryu Aikijujutsu): la squadra Byakkottai (Tigri Bianche) e la squadra Joshigun (l'una maschile e l'altra femminile, entrambe formate da giovani tra i 15 e i 17 anni). Quando le armate Meiji si avvicinano al castello Tsurugajo difeso dal daimyoo d'Aizu Matsudaira Katamori, le due squadre accorrono in suo aiuto. Vedendo la struttura assediata e avvolta dal fumo e, pensando al peggio, essi compiono l'unico atto degno del bushido: il seppuku. Alle porte della città oggi sorge un monumento in memoria dei giovani Takeda suicidi.
La battaglia, benché ormai persa, in realtà continua altre quattro settimane, e il castello, che non era in fiamme come avevano creduto i giovani, è ancora in mano degli Aizu-Takeda. I superstiti, nell'esempio dell'eroismo delle giovani squadre scelgono di continuare a combattere sino alla morte, e come in passato, le famiglie commettono seppuku così che i loro mariti e padri non debbano preoccuparsi di loro in quanto la sconfitta è ormai inevitabile. Quando le armate dell'imperatore entrano nel castello non vi è un sol uomo vivo. In casa del capo-clan Takeda trovano 21 donne e bambini morti suicidi. Terminava così l'egemonia degli shōgun. Ma termina anche un'era, quella dei veri samurai.
Inizia infatti il periodo Meiji (1868-1912), la rivoluzione sociale che ne segue stravolge il concetto di caste e nessuno può più portare in pubblico il daishō (le due spade, lunga e corta, simbolo della classe militare dei bushi).
Pochi anni prima era nato un bimbo: Sokaku Takeda (1860-1943), che all'epoca aveva solo otto anni. Il padre, Takeda Soikichi, discendente della stirpe Takeda nel feudo di Aizu, lo aveva nascosto al sicuro, e ben presto il giovane Takeda oltre a studiare l'arte di famiglia, l'Oshikiuchi, inizia il suo musha shugyo (pellegrinaggio d'apprendistato): crescendo con quell'educazione era divenuto, senza volerlo, un rōnin, ovvero un bushi senza padrone - il nuovo governo aveva abolito le classi e tutta la struttura sociale dei buke. Studia in tutte le migliori scuole di spada, di lancia e di bastone del paese sino a divenire talmente abile che pur portando in pubblico sino alla morte le due spade simbolo della casta abolita dei samurai, nessuno ebbe mai il coraggio di disarmarlo.
Takeda Sokaku fu molto criticato per il carattere irascibile e scontroso, per i modi altezzosi e arroganti, e per il disprezzo che pubblicamente nutriva nei confronti del nuovo ordine sociale. La sua figura va però misurata nel contesto di un paese che soffriva d'una profonda rivoluzione, dove i valori radicati da millenni nell'animo dei bushi vennero gettati alle ortiche in pochi anni. Essi vedevano il mondo crollare sotto i loro piedi. Adeguarsi non era facile, soprattutto per le convinzioni morali e i condizionamenti così forti che avevano subito sin dall'infanzia. Alcuni reagirono.
Takeda Sokaku volle rinominare l'arte della scuola e la chiamò Daito-ryu Aikijujutsu per richiamarsi ai nomi e luoghi d'origine dell'arte e del suo clan: Il castello di Daito del principe Shinra Saburo Yoshimitsu Minamoto e la particella "Aiki" che derivava dall'antico nome "Aiki-in-yo-ho" dell'arte in epoca Edo.
Takeda Sokaku fu l'uomo che fece uscire l'arte dal riserbo e dal segreto secolare in cui si era tramandata, e la insegnò a moltissimi allievi. Benché analfabeta, teneva corsi e registrava tutto in appositi registri che faceva compilare e firmare direttamente agli allievi (registri conservati presso l'honbu dojo di Abashiri) con minuziosità impressionante, che oggi ci permette di ricostruire molti eventi con un dettaglio incredibile.
Ebbe molti allievi importanti: ministri, ammiragli, generali, magistrati, potenti magnati dell'economia d'inizio secolo, forze di polizia e anche futuri maestri d'arti marziali tra i quali: Matsuda Hosaku, Takuma Hisa, Yoshi Sagawa, Yamamoto Kakuyoshi, Taiso Horikawa, Kodo Horikawa, Yoshita Kotaro, Morihei Ueshiba (fondatore dell'aikido) e suo figlio Takeda Tokimune (1915-1993).
Il 36° Soke, Takeda Tokimune (1915-1993), decise di far conoscere al mondo le tecniche di difesa proprie di quest'arte marziale solo nel 1990, accettando i primi allievi stranieri e dando così il via alla sua diffusione nel mondo. Tutte le tecniche di Aikijūjutsu praticate all'interno della scuola costituirebbero l'eredità delle tecniche praticate dai bushi del clan Minamoto (XII secolo), poi dal clan Takeda (XVI secolo) e per ultimo (fino al 1868) dal Clan Aizu.

Tecniche

Livello Tecniche
1 Elenco Segreto (秘伝目録 o 秘傳目録 Hiden Mokuroku) 118
2 L'arte di unire lo spirito (合気之術 Aiki-no-jutsu) 53
3 Misteri interni (秘伝奥義(の事) Hiden Ōgi (no Koto)) 36
4 Tecniche di auto difesa (護身用の手 Goshin'yō-no-te) 84
5 Spiegazione dell'eredità (解釈相伝 Kaishaku Sōden) 477
6 Licenza di trasmissione completa (免許皆伝 Menkyo Kaiden) 88
Totale 856
Di quasi ogni tecnica esistono le varianti omote, frontale o esterno (), e ura, posteriore o interno (), più alcune variazioni a seconda delle leve articolari apportate o delle tecniche di proiezione. In giapponese, significa anche "esplicito", e quindi mostrato in pubblico, e "segreto", e quindi non mostrato in pubblico. Le tecniche ura, quindi, venivano raramente mostrate in esibizioni pubbliche. La scuola Takumai aggiunge altre tecniche dette Daito-ryu Aiki Nito-ryu Hiden. La Takumai si basa anche su video e foto riprese durante degli stage di Tokimune e Ueshiba, un suo allievo che fonderà poi l'Aikido, nel dojo della sede del quotidiano Asahi: I documenti sono riuniti in undici manuali detti Sōden. Il numero complessivo di tecniche documentate dall'ammiraglio Isamu Takeshita è di 10.987. Questi diari sono attualmente conservati presso l'Hombu Dojo (lo Shimbukan Dojo) del Maestro Kondo Katsuyuki, il successore designato dall'ultimo soke Tokimune Takeda, a Tokyo.

Classificazione delle tecniche

  • Atemiwaza: calci, pugni, gomitate, ecc.
  • Nagewaza: proiezioni
  • Shimewaza: strangolamenti
  • Kansetsuwaza: leve articolari
  • Kyushuwaza: pressioni sui punti vitali del corpo umano
  • Aikinojutsu: proiezioni mediante l'uso dell'aiki
Modalità di esecuzione:
  • idori: shite e uke lavorano in ginocchio
  • hanza handachi: shite è in ginocchio, uke in piedi.
  • tachiai: shite e uke lavorano in piedi
  • ushiro dori: uke attacca dalle spalle di shite che si difende (in piedi



Insegnamento

  1. SHODEN, l'insegnamento di base. 2. CHUDEN, l'insegnamento mediano. 3. SOUDEN, l'insegnamento superiore

La successione di Tokimune

Scopo originale della scuola è di trasmettere fedelmente gli insegnamenti ricevuti da Takeda Tokimune (武田 時宗), che a sua volta ricevette da suo padre Takeda Sōkaku (武田 惣角), 35º Sōke (宗家) della scuola Daitō. Alla morte di Tokimune, tuttavia, vi fu una bagarre tra le correnti, caratterizzata da fratture dei praticanti. La corrente principale, l'unica riconosciuta ufficialmente dalla Traditional Martial Arts (Nihon Kobudo Kyokai) e dalla Association for the Promotion of Japanese Traditional Martial Arts (Nihon Kobudo Shinkokai) come "mainline", è quella del Maestro Kondo Katsuyuki, il solo cui Takeda Tokimune ha rilasciato il menkyo kaiden (免許皆伝 licenza di successione completa), la cui sede attuale è a Tokyo. Ad agosto 2014 Alex Muracchini e Luca Canovi sono stati insigniti del grado 3° dan dal Maestro Katsuyuki Kondo, ottenendo il titolo di Branch Chiefs. Tale titolo eleva il gruppo di studio italiano a Branch, cioè succursale diretta dell'Hombu Dojo.
Vi sono inoltre altre branche non ufficialmente riconosciute dalla Traditional Martial Arts (Nihon Kobudo Kyokai) e dalla Association for the Promotion of Japanese Traditional Martial Arts (Nihon Kobudo Shinkokai), fondate da alcuni allievi di Takeda Tokimune distaccatisi in origine dalla branca principale.
Oggi la Scuola Daito è quindi suddivisa in queste associazioni fondate da allievi di Takeda Sokaku e di Takeda Tokimune. In Italia sono presenti oltre alla corrente principale (Carpi Branch, Reggio Emilia Branch, Milano e Torino Study Group) anche:
  • La European Daito Ryu Aikibudo Daito Kai, che segue gli insegnamenti dell'allievo di Tokimune Katô Shigemitsu
  • La Hakuho-ryu Aikibudo della Nihon Koryu Bujutsu Renmei che fa riferimento agli insegnamenti dell'allievo di Hisa Takuma e di Tokimune, Shogen Okabayashi
  • La Daito-ryu Aikibudo Shiseikan Europe, che segue gli insegnamenti dell'allievo interno e intimo amico di Tokimune Sano Matsuo Sensei, attualmente guidata in Giappone (Kitami Hokkaido) da Sasaki Masami Sensei e Sato Norio Sensei.

giovedì 25 agosto 2016

Hanburi

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Hanburi (anche Hachi gane o Hitai ate) era una particolare tipologia di elmetto giapponese deputato alla protezione della fronte del guerriero. Il vocabolo indica in realtà uno svariato insieme di apparati difensivi di fogge abbastanza diverse, a volte rassomiglianti la cervelliera a volte un casco formato dalla sovrapposizione di più lamine, tutte però non confondibili con le tipologie di elmo nipponico più classiche: il kabuto ed il jinkasa. Al hanburi potevano essere aggiunte parti di rinforzo (protezioni per il collo, gorgiere di cuoio/maglia di ferro, in alcuni casi addirittura la maschera da guerra mempo) e la sua superficie poteva essere coperta da decorazioni pittoriche e/o stoffe decorate. Veniva portato a diretto contatto con il corpo o poteva essere portato/agganciato ad una cuffia di maglia metallica.
Si tratta della tipologia di armatura giapponese più difficilmente classificabile.

mercoledì 24 agosto 2016

Yau Kung Moon

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Yau Kung Moon (柔功门, Traducibile con Scuola dell'abilità morbida, Rougongmen in Pinyin) è una scuola di arti marziali cinesi classificabile come Nanquan.

Storia

Nonostante alcuni allievi rivendichino un'origine nel periodo dell'epoca della dinastia Tang sembrerebbe uno stile composito di recente formazione, frutto dell'unione di Baimeiquan, Cailifo, e Liuhe Tanglangquan. Secondo la trasmissione orale della Scuola lo stile sarebbe originario di Shaolin e sarebbe stato trasmesso durante il secolo scorso nel Tempio Baimiao Jiuyuansi (白庙九源寺) nel Guangdong da un anziano monaco. Questo monaco avrebbe trasmesso lo stile a Chenglai (乘来) e a Jielai (杰来). Il secondo a sua volta lo insegnò a Tie Yin (铁隐), un monaco Buddista. Tie Yin trasmise lo stile a Xia Hanxiong (夏汉雄,1892-1962) una persona originaria di Gaoming (高明) in Guangdong. Nel 1924 Xia Hanxiong ha fondato nel porto Liwan di Canton (广州) l'Associazione Sportiva Xia Hanxiong (夏汉雄体育会, Xia Hanxiong Tiyu Hui). Il figlio di Xia Hanxiong, Xia Guozhang (夏国璋), ha appreso dal padre lo stile. Xia Hanxiong ricevette anche gli insegnamenti del fratello Ha Sang nel Cailifo e di Cheung Lai Chun (张礼泉, Zhang Liquan) nel Baimeiquan. Il Rougongmen è oggi diffuso negli Stati Uniti, in Canada, in Australia ed altri paesi. Oltre al figlio sono citati come allievi di Xia Hanxiong, Lai Zuying 赖祖英, Liang Shaohai 梁少海, Guo Qitai郭其泰, Huang Yaowei 黄耀威, ecc.


martedì 23 agosto 2016

Hasekura Tsunenaga

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Tsunenaga Hasekura Rokuemon (支倉·常長 Hasekura Tsunenaga; 1571 – 7 agosto 1622) è stato un samurai giapponese e servitore di Date Masamune, il daimyo di Sendai.
Condusse un'ambasciata in Messico e in seguito in Europa tra il 1613 e il 1620, dopodiché ritornò in Giappone. Fu il primo ufficiale giapponese mandato in America ed il primo esempio documentato di relazioni tra Francia e Giappone.
Si conosce poco sulla vita precedente di Hasekura Tsunenaga, eccetto il fatto che fu un samurai veterano della invasione Giapponese della Corea sotto il Taiko Toyotomi Hideyoshi nel 1592 e nel 1597.

Approccio spagnolo

Gli Spagnoli iniziarono i viaggi attraverso il Pacifico tra il Messico ("Nuova Spagna") e la Cina, attraverso la loro base territoriale nelle Filippine, a seguito dei viaggi di Andrés de Urdaneta nel XVI secolo. Manila diventò la loro base definitiva per la regione Asiatica nel 1571.
Le navi spagnole naufragavano periodicamente sulle coste del Giappone a causa del cattivo tempo, iniziando contatti con il paese. Gli Spagnoli speravano di espandere la fede Cristiana in Giappone. I tentativi di espandere la loro influenza in Giappone incontrarono una forte resistenza da parte dei Gesuiti, che avevano iniziato l'evangelizzazione del paese nel 1549, nonché dei portoghesi e degli olandesi che non si auguravano di vedere la Spagna commerciare con i Giapponesi.
Nel 1609 il galeone Spagnolo San Francisco incontrò cattivo tempo sulla sua via da Manila a Acapulco, e naufragò sulla costa Giapponese a Chiba, vicino Tokyo. I marinai furono salvati e accolti, e il capitano della nave, Rodrigo de Vivero, incontrò Tokugawa Ieyasu.
Un trattato fu firmato il 29 novembre 1609, in base a cui gli Spagnoli avrebbero potuto costruire un'industria nell'est del Giappone, specialisti in mineraria sarebbero stati importati dalla Nuova Spagna, alle navi spagnole sarebbe stato permesso di visitare il Giappone in caso di necessità e un'ambasciata Giapponese sarebbe stata mandata alla corte Spagnola.

Il progetto dell'ambasciata

Un frate francescano chiamato Luis Sotelo, che stava facendo proselitismo nella zona di Tokyo, convinse lo Shogun ad inviarlo come ambasciatore in Nueva España (Messico). Nel 1610 egli navigò verso il Messico con i marinai spagnoli di ritorno e 22 giapponesi, a bordo della San Buena Ventura, una nave costruita dall'avventuriero inglese William Adams per lo Shogun. Una volta in Nuova Spagna, Luis Sotelo si incontrò con il viceré Luis de Velasco, che accettò di inviare un ambasciatore in Giappone, nella persona del famoso esploratore Sebastian Vizcaino, con la missione aggiuntiva di esplorare le "Isole di oro e argento" che si pensava si trovassero a est delle isole giapponesi.
Vizcaino arrivò in Giappone nel 1611 ed ebbe molti incontri com lo Shogun e i signori feudali. Questi incontri vennero macchiati dal suo scarso rispetto per le usanze giapponesi, dalla montante resistenza dei giapponesi verso il proselitismo cattolico, e dagli intrighi degli olandesi contro le ambizioni spagnole. Vizcaino alla fine partì alla ricerca dell'"Isola d'argento", nel corso della quale incontrò brutto tempo, che lo costrinse a tornare in Giappone con gravi danni.
Lo Shogun decise di costruire un galeone in Giappone, allo scopo di riportare Vizcaino in Nuova Spagna assieme ad una missione giapponese.
Il Daimyo di Sendai, Date Masamune, venne incaricato di condurre il progetto. Egli nominò uno dei suoi inservienti, Hasekura Tsunenaga, a capo della missione. Il galeone, chiamato Date Maru dai giapponesi e successivamente San Juan Bautista dagli spagnoli, richiese 45 giorni per la costruzione, con la partecipazione di esperti tecnici dal Bakufu, 800 operai navali, 700 fabbri, e 3.000 carpentieri.



Viaggio attraverso il Pacifico

Dopo il suo completamento, la nave salpò il 28 ottobre 1613 per Acapulco in Messico, con circa 180 persone di equipaggio, tra cui 10 samurai dello Shogun (forniti dal Ministro della Marina Mukai Shogen), 12 samurai di Sendai, 120 tra mercanti, marinai e servi giapponesi, e circa 40 tra spagnoli e portoghesi.
La nave arrivò ad Acapulco il 25 gennaio 1614 dopo tre mesi di navigazione, e all'ambasciata fu dato il benvenuto con una grande cerimonia. Prima del previsto viaggio in Europa, l'ambasciata trascorse del tempo in Messico, visitando Veracruz per poi imbarcarsi da quella città sulla flotta di Don Antonio Oquendo. Gli emissari partirono per l'Europa sulla San Jose il 10 giugno, e Hasekura dovette lasciare la gran parte del gruppo di mercanti e marinai asiatici ad Acapulco, città dove l'ambasciata sarebbe tornata dopo la missione oltremare.

Missione in Europa

Spagna

La flotta giunse a Sanlucar de Barrameda il 5 ottobre 1614.
"La flotta infine arrivò integra, dopo qualche pericolo e alcune tempeste, al porto di Sanlúcar de Barrameda il quinto giorno di ottobre, dove il Duca di Medina avvisò Sidonia del loro arrivo. Vennero mandate delle navi per onorarli e accoglierli, e fece preparare una sontuosa residenza per alloggiare l'Ambasciatore e i suoi onorevoli uomini." (Scipione Amati "Storia del Regno di Voxu").
"L'ambasciatore giapponese Hasekura Rokuemon, inviato da Joate Masamune, re di Boju, entrò a Siviglia il giorno di mercoledì 23 di ottobre del 1614. Era accompagnato da 30 giapponesi con le spade, il loro capitano della guardia, e 12 arcieri e alabardieri con lance pittate e spade da cerimonia. Il capitano della guardia era cristiano e fu chiamato Don Tommaso, il figlio di un martire giapponese" (Biblioteca Capitular Calombina 84-7-19 "Memorias...", fol.195).
L'ambasciata giapponese incontrò il re di Spagna Filippo III a Madrid il 30 gennaio 1615. Hasekura consegnò al sovrano una lettera da Date Masamune, e l'offerta di un trattato. Il re rispose che avrebbe fatto quello che sarebbe stato in suo potere per venire incontro alle richieste.
Hasekura fu battezzato il 17 febbraio dal cappellano personale del re, e rinominato Felipe Francisco Hasekura.


Francia

Dopo il viaggio attraverso la Spagna, l'ambasciata salpò nel Mar Mediterraneo a bordo di tre fregate spagnole verso l'Italia. A causa del cattivo tempo, le navi restarono alla fonda nella baia francese di Saint Tropez, dove furono ricevute dalla nobiltà locale, e dove la loro presenza incontrò per molti aspetti lo stupore della popolazione.
La visita dell'ambasciata giapponese è registrata nelle cronache della zona come una delegazione guidata da "Filippo Francesco Faxicura, Ambasciatore presso il Papa, da Date Masamunni, Re di Woxu in Giappone".
Vennero ricordati molti dettagli pittoreschi del loro comportamento e del loro aspetto:
"Non toccano mai il cibo con le mani, ma usano due sottili bacchette che tengono con tre dita".
"Si soffiano il naso in soffici fogli setosi della grandezza di una mano, che non usano mai due volte, e che quindi buttano per terra dopo l'uso, e furono deliziati nel vedere che le persone attorno a loro si precipitavano a raccoglierli".
"Le loro spade tagliano così bene che possono tagliare un sottile foglio di carta appoggiandovelo sul bordo e soffiandoci sopra."
("Relazioni di Mme de St Troppez", ottobre 1615, Bibliothèque Inguimbertine, Carpentras).
La visita di Hasekura Tsunenaga a Saint Tropez nel 1615 è il primo esempio documentato di relazioni tra Francia e Giappone.

Italia

L'ambasciata giapponese arrivò in Italia, dove riuscirono ad ottenere udienza da Papa Paolo V a Roma, nel novembre 1615. Hasekura consegnò al Papa una preziosa lettera decorata d'oro, contenente una formale richiesta di un trattato commerciale tra Giappone e Messico, oltre che l'invio di missionari cristiani in Giappone.
Il Papa accettò senza indugio di disporre l'invio di missionari, ma lasciò la decisione di un trattato commerciale al Re di Spagna. Il Papa scrisse poi una lettera per Date Masamune, della quale una copia è a tutt'oggi conservata in Vaticano.
Il Senato di Roma conferì a Hasekura il titolo onorifico di Cittadino Romano, in un documento ch'egli successivamente portò in Giappone e che oggi è ancora visibile e conservato a Sendai.
Lo scrittore italiano Scipione Amati, che accompagnò l'ambasceria nel 1615 e nel 1616, pubblicò a Roma un libro intitolato "Storia del regno di Voxu".
Nel 1616, l'editore francese Abraham Savgrain pubblicò un resoconto della visita di Hasekura a Roma: "Récit de l'entrée solemnelle et remarquable faite à Rome, par Dom Philippe Francois Faxicura" ("Racconto della solenne e notevole entrata fatta a Roma da Don Filippo Francesco Faxicura").

Seconda visita in Spagna

Per la seconda volta in Spagna, Hasekura si incontrò col re, che declinò l'offerta di un trattato commerciale, sul presupposto che l'ambasceria giapponese non sembrava una delegazione ufficiale del sovrano del giappone Tokugawa Ieyasu, il quale, al contrario, aveva promulgato un editto nel gennaio 1614 ordinando l'espulsione di tutti i missionari dal Giappone, e aveva cominciato la persecuzione della fede cristiana nel Paese.
L'ambasceria lasciò Siviglia per il Messico nel giugno 1616 dopo un periodo di due anni in Europa. Alcuni dei giapponesi restarono in Spagna, più precisamente in un villaggio vicino a Siviglia (Coria del Río), dove i loro discendenti oggi sono riconoscibili dall'uso del cognome Japón.

Ritorno in Giappone

Nell'aprile 1618 la San Juan Bautista giunse nelle Filippine dal Messico, con Hasekura e Luis Sotelo a bordo. La nave fu acquistata lì dal governo spagnolo, con l'obiettivo di costruire difese contro gli olandesi. Hasekura ritornò in Giappone nell'agosto 1620.
Quando Hasekura fece ritorno in patria, si accorse che il Giappone era cambiato abbastanza drasticamente: la persecuzione dei cristiani nello sforzo di eradicare il Cristianesimo dall'arcipelago era in corso dal 1614, e il Giappone tutto stava muovendosi verso il periodo "Sakoku", caratterizzato da un imperante isolazionismo. A causa di queste persecuzioni, gli accordi commerciali col Messico ch'egli aveva cercato di stabilire furono negati, e gran parte degli sforzi in questo senso erano stati vani.
Un'analisi storica successiva mostra che l'ambasciata rappresentata da lui abbia avuto pochi risultati, anche se sembra che le sue testimonianze sul potere spagnolo e sui metodi coloniali abbiano accelerato la decisione dello Shogun Tokugawa Hidetada di cancellare le relazioni commerciali con la Spagna nel 1623, e quelle diplomatiche nel 1624.
Cosa fu di Hasekura dopo l'avventura diplomatica è ignoto, e le storie sui suoi ultimi anni sono numerose. Alcuni sostengono ch'egli abbia abbandonato di sua volontà il Cristianesimo, altri che difese la sua fede così profondamente da diventare un martire, e altri che sia rimasto cristiano nell'intimità, professando la sua fede in segreto. Hasekura morì nel 1622, e la sua tomba è ancora oggi visibile nel tempio buddista di Enfukuji (giapponese: 円長山円福寺) nella prefettura di Miyagi.




lunedì 22 agosto 2016

Bhuj

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Il bhuj (anche noto come kutti) è un'arma bianca originaria dell'India settentrionale. Esso è anche detto "pugnale dell'elefante" poiché solitamente è presente un'incisione a forma di testa d'elefante sul tallone della lama. La lunghezza totale dell'arma è di circa 60 cm, di cui circa 25 spettano alla lama, la quale, larga e pesante, è interamente affilata da una parte, e presenta sul dorso non tagliente un contro-taglio ricurvo e affilato per circa un terzo della lunghezza della lama. Il manico è in metallo e può essere cavo in modo tale da permettere di alloggiare al suo interno un piccolo pugnale. Solitamente è dotato, all'estremità, di un bottone decorativo. Il fodero è, il più delle volte, in rame decorato a sbalzo. Sia l'impugnatura che la lama del bhuj possono essere incise o intarsiate d'oro o argento a scopo decorativo.

domenica 21 agosto 2016

Varuṇa

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(SA)
«amī ya ṛkṣā nihitāsa uccā naktam dadṛśre kuha cid diveyuḥ adabdhāni varuṇasya vratāni vicākaśac candramā naktam eti»
(IT)
«Le stelle che in alto si vedono la notte, di giorno vanno da altre parti. Non si possono trasgredire le leggi di Varuṇa, la luna si muove ogni notte vedendo ovunque.»
(Ṛgveda, I, 24-10)



Varuṇa (वरुण, sanscrito vedico Váruṇa) è una delle più antiche e importanti divinità vediche. Corrisponde all'avestico Ahura Mazdā. Nei Veda, è il garante dell'Ordine cosmico (Ṛta), Asura del cielo, della pioggia e dei fenomeni celesti, ma anche della Legge e del mondo sotterraneo. È quindi il più importante Asura nel Ṛgveda, e sovrano degli Aditya. Successivamente fu considerato re dei naga.

Nome

Come teonimo, Varuna ha radici nei popoli indoeuropei. Conserva dei collegamenti con la cultura dei Mitanni dove, nella iscrizione di Boğazköy risalente al XV secolo a.C., compare il nome del dio Uruvannassil. Ambedue sembrerebbero collegati al greco antico Ouranos.
La parola Varuna sembra derivare dalla radice proto-indoeuropeo *wer- o *wel-, che significa "coprire" (vedi anche "vala", "vrtra").
Sono state suggerite parentele con altri nomi di divinità indoeuropee, ma le connessioni sono incerte: in particolare Urano, dio del cielo nella mitologia greca, Perun, la principale divinità dei pantheon slavi, Vörnir, gigante della mitologia norrena (da *verunyos?), il dio della mitologia slava Veles, e velnias, che in lituano significa "diavolo". Molte di queste associazioni sono state contestate dai linguisti, soprattutto la connessione con Urano.
Varuna corrisponde a Poseidone nella mitologia greca o Nettuno nella mitologia romana, e il pianeta Nettuno è chiamato Varuna nell'astrologia hindu.
Il nome del dio ha dato origine al nome proprio indiano Varun.

Nei Veda

Varuṇa sembra essere una replica del più antico deva-asura del cielo, Dyaus. Ma nelle sue prime espressioni è il deva-asura del cielo notturno dove le stelle e la luna rappresentano i suoi occhi. Egli giudica il comportamento umano, punendo i malvagi. Varuṇa è l'unica divinità dei Veda che osserva un comportamento severo ed etico. I suoi occhi sono denominati spaśa che significa "guardare" ma anche "spiare". Nei medesimi testi egli è spesso indicato come samrāj (sovrano) epiteto usato solo raramente per Indra. Nella solenne cerimonia del varuṇapraghāsa, i partecipanti erano tenuti a confessare i loro peccati al sacerdote officiante.
Come capo degli Aditya, Varuna ha aspetti di una divinità solare; come il più importante Asura, però, è più legato a problemi morali e sociali che alla deificazione della natura. Insieme a Mitra — originariamente personificazione del giuramento — è maestro di rta, supremo custode dell'ordine e dio della legge; Varuna e Mitra sono spesso fusi in Mitra-Varuna (uno dvandva). Varuna è anche legato a Indra nel Rigveda, e fuso in Indra-Varuna.
Come dio del cielo, Varuna corrisponde a, o regna su, la metà oscura del cielo — o oceano celeste (Rasā), da cui il legame con acqua e pioggia — o il lato oscuro del Sole, che viaggia da Ovest a Est durante la notte. Lo Atharvaveda descrive Varuna come onnisciente, e punitore dei bugiardi: le stelle sono i suoi mille occhi, che osservano l'uomo.
Nel Rigveda, Indra, capo dei deva, è sei volte più presente di Varuna, che pure è nominato 341 volte; questo può indurre in errore sulla reale importanza di Varuna nell'antica società vedica, ma è dovuto alla concentrazione del Rigveda sui rituali a base di fuoco e soma, entrambi strettamente associati a Indra; Varuna con la sua onniscienza e onnipotenza nelle questioni umane ha invece tutti i tratti di una divinità dominante.

Epoche successive

Varuna divenne poi dio dell'oceano e dei fiumi, oltre che custode delle anime degli annegati; in quanto tale, Varuna è anche un dio degli Inferi, re dei naga, e può garantire l'immortalità. È anche uno dei Lokapāla (लोकपाल), come Guardiano dell'Ovest.
L'arte più tarda rappresenta Varuna come divinità lunare, come un uomo pallido con un'armatura d'oro e un cappio o un laccio di pelle di serpente, a cavallo del mostro marino Makara.

sabato 20 agosto 2016

Clan Taira

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Il clan Taira (平氏 Taira-uji, lettura kun'yomi) o Heishi (lettura on'yomi dei kanji precedenti), anche Heike (平家 lettura on'yomi per "famiglia Taira"), fu un'importante famiglia discesa dall'Imperatore Kammu ed imparentata con diversi imperatori giapponesi, che esercitò un considerevole potere in Giappone durante il periodo Heian.
Il nome del clan nacque come un kabane, titolo onorifico concesso da alcuni imperatori ad alcuni discendenti della famiglia reale che non avevano diritto alla successione. Il primo a ricevere il kabane Taira no Ason fu nell'889 Taira no Takamochi, nipote dell'Imperatore Kammu, che è così ritenuto il fondatore della linea Kammu Heishi; a questi si aggiunsero i Nimmyō Heishi, i Montoku Heishi e i Kōkō Heishi. In realtà gli stessi Kammu Heishi erano discendenti da due linee, perché Kammu aveva concesso il titolo anche al suo altro nipote Takamune-ō.
Un pronipote di Takamochi, Taira no Korihira, divenne daimyō della provincia di Ise. Un suo pronipote, Taira no Kiyomori, sostenne l'Imperatore Go-Shirakawa contro l'Imperatore claustrale Sutoku, sostenuto da suo padre Tadamasa, nella ribellione di Hōgen (1156). Pochi anni dopo la sua vittoria si schierò contro il clan Minamoto e al fianco dell'Imperatore Nijō nella ribellione di Heiji (1160); dopo questa vittoria fu nominato Daijō-daijin (gran ministro dello Stato) e il clan Taira divenne il più potente del Giappone.
Sua figlia Tokuno sposò Takakura, 80º imperatore del Giappone (1169-1180). Nel 1180 Kiyomori influenzò così la successione imperiale mettendo sul trono suo nipote Antoku, che era ancora un bambino; questo scatenò la guerra Genpei, della quale Kiyomori non vide la fine, in quanto morì nel 1181, e che il clan nel 1185 perse nella decisiva battaglia di Dan-no-ura. Il potere passò così nelle mani del clan Minamoto e in particolare del suo capo Minamoto no Yoritomo. La storia di questi anni è narrata nello Heike monogatari ("storia della famiglia Taira"), un romanzo epico del XIV secolo.
Sebbene il clan Taira abbia considerevolmente perso di importanza con l'avvento del clan Minamoto, molti clan discendenti dei Kammu Heishi prosperarono; tra questi i clan Hōjō, Chiba e Miura, che essendosi alleati con i Minamoto nella guerra Genpei ottennero posizioni di estremo rilievo nello shogunato di Kamakura, e il clan Hatakeyama, che ottenne posizioni di prestigio nello shogunato Ashikaga.

Albero genealogico

Kammu (737-806), 50º imperatore (r. 781-806) della dinastia imperiale del Giappone
Katsurabara
Takami
Takamochi, il primo della casata a ricevere il kabane Taira no Ason da cui derivò il cognome del clan
Kunika (+ 935)
Sadamori
Korehira
Masanori
Masahira
Masamori
Tadamori (+ 1153)
Kiyomori (+ 1181), nominato Daijō-daijin (gran ministro dello Stato)
Shigemori (+ 1179)
Munemori (+ 1185)
Tokuno (+ 1213) = Takakura, 80º imperatore del Giappone (1169-1180)
Tomomori (+ 1185)
Norimori (+ 1185)
Koretoki, capostipite del clan Hōjō


venerdì 19 agosto 2016

Ditangquan

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Ditangquan (地躺拳) è un esercizio di arti marziali cinesi contenente numerose tecniche di caduta. Molti stili possiedono un esercizio con questo nome che però assume caratteristiche e sequenze diverse. Il wushu moderno o sportivo ha codificato diversi taolu sulla base del changquan. Secondo l'enciclopedia di Baidu questo stile è anche detto Digongquan 地功拳(Pugilato del Conseguimento al Suolo), Bazhequan 八折拳 (Pugilato degli Otto Cambiamenti di Direzione), o Ditangquan 地趟拳 (Pugilato Che si sposta al suolo). Qin Yanbo riporta anche il nome Jiudi Shiba Gun 就地十八滚 (Diciotto rotolamenti diretti al suolo)

Stili

Uno stile con questo nome sarebbe stato praticato durante il periodo della dinastia Song Meridionale nello Shandong, per poi diffondersi in ogni parte della Cina, esso viene chiamato anche digongquan (地功拳). Il nome antico è Jiugun shiba die (九滚十八跌). Se ne trovano tracce nel libro “Xu wenxian tong kao 续文献通考” scritto da Wang Qi (王圻) durante la dinastia Ming. Anche nel famigerato Jixiao Xinshu ci sarebbe un riferimento al Ditangquan, che viene visto nella frase: Shandong...Qiandie Zhang zhi die 山东...千跌张之跌, cioè Nello Shandong delle Cadute è Zhang detto Mille Cadute. Alcuni stili vanno sotto il nome generico di Ditangquan. Si tratta di:
  • dixingquan (地行拳)
  • gouquan (狗拳)

Genealogie

Il libro Ditangquan riporta un albero genealogico con cinque generazioni che si dipartono da Heng Daqiang 恒大枪 di Beiping in due ramificazioni, rispettivamente in Shandong ed Hebei. Alla seconda generazione nel ramo dello Shandong è posto Ba Douniu 霸斗牛 ed in quello dell'Hebei Su Guangtai 苏广泰.

Sequenze

La voce dell'enciclopedia dell'Istituto Confucio riporta questo elenco di taolu a mano nuda: Ditangquan 地趟拳, Jingang Ditang 金刚地趟, Digong Shiba Gun 地功十八滚, Baxian Digong 八仙地功, Shiba Lianzhu 十八连珠, Ditang Chang, Zhong e Duan 地趟长--, Bazhequan 八折拳, ecc. e questi con armi Digongdao 地功刀, Guntangdao 滚趟刀, Gunlongqiang 滚龙枪, ecc.

giovedì 18 agosto 2016

Torii Suneemon

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Torii Suneemon (鳥居 強右衛門; 1540 – 1575) è stato un samurai giapponese della famiglia Torii, conosciuto per il suo coraggio e per l'incredibile valore dimostrato nella battaglia di Nagashino (1575).

Biografia

Suneemon era onorario di Okudaira Sadamasa e membro della guarnigione di Nagashino quando la fortezza venne posta sotto assedio dalle forze di Takeda Katsuyori. Già distintosi per il coraggio e noto per la destrezza nel muoversi nella zona, si offrì volontario nella pericolosissima missione di spionaggio attraverso le linee degli assedianti, per chiedere rinforzi presso Tokugawa Ieyasu, a Okazaki. Dopo aver avvertito con successo Tokugawa, venne catturato da Takeda durante il viaggio di ritorno a Nagashino.
Torii venne quindi imprigionato e costretto ad urlare ai suoi compatrioti che non avrebbero ricevuto alcun rinforzo, incitandoli ad arrendersi. Egli invece iniziò ad incoraggiare la sua guarnigione, spiegando che l'armata di Tokugawa stava ormai arrivando e quindi li invitò a resistere al nemico ancora per poco.
C'è controversia riguardo al momento in cui Suneemon pronunciò queste parole: secondo alcuni prima di essere ucciso, secondo altri durante il suo supplizio, prima di morire. Venne comunque crocifisso per ordine di Takeda, indignato per il suo gesto.

Nella cultura

Suneemon divenne, grazie al suo sacrificio, uno dei più famosi esempi del coraggio samurai nella storia. Un onorario di Takeda, Ochiai Michihisa, a partire da quel momento, utilizzò una bandiera raffigurante Torii Suneemon appeso alla croce.
Nel 1923, una stazione ferroviaria sorta sul luogo in cui morì Suneemon prese il nome di stazione di Torii.

mercoledì 17 agosto 2016

Ashina Morikiyo

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Ashina Morikiyo (蘆名 盛舜; 1490 – 21 novembre 1553) è stato un daimyō giapponese del periodo Sengoku, quindicesimo capo del clan Ashina.
Morikiyo assunse il controllo del clan Ashina nel 1517 dopo che suo fratello Moritaka morì senza figli. Assistette Date Tanemune in un attacco contro la famiglia Kasai nel 1528 e si alleò con i clan Date, Ishikawa, e Iwase contro gli Shirakawa nel 1534. Gli succedette il figlio Ashina Moriuji.

martedì 16 agosto 2016

Biao

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Il biāo (, , biāo, piao) è un'arma da lancio cinese assimilabile ai coltelli da lancio. La traduzione letterale nel gergo marziale è "dardo". Frequentemente ci si riferisce a questa arma come fēibiāo (飛鏢, 飞镖, fēibiāo, fei piao), cioè "dardo volante".

lunedì 15 agosto 2016

Mitra

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Mitra è un'importantissima divinità dell'induismo e della religione persiana ed anche un dio ellenistico e romano, che fu adorato nelle religioni misteriche dal I secolo a.C. al V secolo d.C. Non è chiaro quanto vi sia in comune fra questi tre culti. Benché "Mitra" sia un nome di divinità molto antico, le notizie sui suoi culti sono scarse e frammentarie. Quello ellenistico/romano non ha lasciato alcun testo e sembra molto diverso dal Mitra dei Veda e dello zoroastrismo.
Anche l'Avesta, il testo fondamentale della religione persiana, non è giunto fino a noi integralmente e le parti sopravvissute sono costituite solo da inni, forse salvati tramite la tradizione orale. La religione persiana è nota principalmente tramite il Denkard, un compendio scritto solo nel IX secolo. La difficoltà di utilizzare testi tardivi è ben illustrata dal caso del principale testo escatologico persiano, lo Zand ī Wahman yasn, spesso ma erroneamente chiamato Bahman yašt. In questo testo Mitra conduce la battaglia finale contro i demoni. Esso, inoltre, presenta somiglianze con il Libro di Daniele e con gli Oracoli di Istaspe (un testo ellenistico del I secolo a.C.) e perciò i suoi rapporti col mondo ebraico ed ellenistico sono oggetto di accese discussioni. Oggi molti studiosi ritengono che il testo persiano porti i segni di ripetute revisioni e aggiunte a un non ben definito, e forse addirittura inesistente, "substrato avestano". Il testo originale, se è mai esistito, sembra ridursi ai soli capp. 3–5, in cui la battaglia escatologica di Mitra non compare.

Mitra nel mondo indo-persiano

Il culto di Mitra nasce nel 1200 a.C. e compare nei Veda come uno degli Aditya, una delle divinità solari e dio dell'onestà, dell'amicizia e dei contratti. Nella civiltà persiana, dove il suo nome veniva reso come Mithra, assunse anche le caratteristiche marziali che i Veda assegnano a Indra e acquistò col tempo sempre maggiore importanza fino a diventare una delle maggiori divinità dello zoroastrismo.
In entrambe le culture, si distingue per la sua stretta relazione con gli dei che regnano sugli Asura (ahura in iranico) e proteggono l'ordine cosmico (Ṛta per i Veda, asha in iranico): Varuna in India e Ahura Mazda in Iran. Mitra/Mithra, quindi, dovrebbe essere una divinità proto-indo-iranica il cui nome originario può essere ricostruito come Mitra.

Etimologia e origini

La parola mitra può avere due significati:
  1. amicizia
  2. patto, accordo, contratto, giuramento o trattato
Un significato generale di "alleanza" potrebbe accordarsi adeguatamente ad entrambi i significati. La prima alternativa è maggiormente enfatizzata nelle fonti indiane, la seconda in quelle iraniche.
Il più antico riferimento conosciuto del nome Mitra si trova su un'iscrizione di un trattato risalente approssimativamente al 1400 a.C., stipulato tra gli Ittiti e il Regno hurrita di Mitanni nell'area sud-occidentale del lago di Van. Il trattato è garantito da cinque dei indo-iranici: Indra, Mitra, Varuna e i due cavalieri, gli Ashvin o Nasatya. Gli Hurriti erano guidati da una casta aristocratica guerriera che adorava questi dei.

Mitra nei Veda

Negli inni vedici, Mitra è sempre invocato insieme con Varuna, tanto che le due divinità sono combinate nel termine Mitravaruna.
Varuna è signore del ritmo cosmico delle sfere celesti, mentre Mitra genera la luce all'alba. Nel più tardo rituale vedico una vittima bianca viene prescritta per Mitra, una nera per Varuna.
Nel Shatapatha Brahmana l'Uno appaiato è descritto come "il Consiglio ed il Potere": Mitra rappresenta il sacerdozio, Varuna il potere regale.

Mitra nel mondo iranico

La riforma di Zarathustra mantenne molte divinità del più antico pantheon indo-iranico, riducendole di numero, in una complessa gerarchia, retta dagli Amesha Spenta. I "Benefici Immortali" i quali erano sottoposti alla tutela del supremo Ahura Mazda, il "Signore Saggio", come tutto il cosmo era parte del Bene o del Male.
In tarde parti dell'Avesta, Mithra si mette in luce tra gli esseri creati, guadagnandosi il titolo di "Giudice delle Anime". Come protettore della verità e nemico dell'errore, Mithra occupò una posizione intermedia nel pantheon zoroastriano come il più grande degli yaza ta, gli esseri creati da Ahura Mazda per aiutarlo nella distruzione del male e l'amministrazione del mondo. Egli divenne il rappresentante divino di Ahura-Mazda sulla terra ed era incaricato di proteggere i giusti dalle forze demoniache di Angra Mainyu. Era quindi una divinità di verità e legalità e, nel trasferimento al regno fisico, un dio dell'aria e della luce. Come nemico degli spiriti del male e delle tenebre, proteggeva le anime e, come psicopompo, le accompagnava in paradiso (concetto ed anche parola di origine persiana). Poiché la luce è accompagnata dal calore, era il dio della vegetazione e della crescita: ricompensava il bene con la prosperità e combatteva il male. Mitra era detto onnisciente, infallibile, sempre attento e che mai riposa. La nascita di Mitra veniva celebrata al solstizio d'inverno, chiamato in persiano Shab-e Yalda, come si addice ad un dio della luce. In Mesopotamia Mitra era facilmente identificato con Shamash, dio del sole e della giustizia.
Come dio che concede la vittoria, Mitra era una divinità preminente nel culto ufficiale del primo Impero persiano, dove erano a lui consacrati il settimo mese ed il sedicesimo giorno degli altri mesi. Mitra il "Grande Re" era particolarmente adatto come dio tutelare dei regnanti: nomi regali che incorporano il nome del dio (es. "Mitridate") compaiono nell'onomastica dei Parti e degli Armeni, nonché in Anatolia, Ponto e Cappadocia. Il suo culto si estese prima con l'impero dei Persiani in tutta l'Asia Minore, per poi propagarsi per tutto l'impero di Alessandro Magno e dei suoi successori.
I principi parti dell'Armenia erano sacerdoti ereditari di Mitra: molti templi furono eretti al dio in Armenia, che rimase una delle ultime roccaforti del culto zoroastriano di Mitra fino a quando divenne il primo regno ufficialmente cristiano.
Sotto gli achemenidi, a partire dalle iscrizioni di Artaserse II di Persia, la suprema terna divina Ahura Mazda-Mitra-Apam Napat venne spesso sostituita dalla terna Ahura-Mitra-Anahita grazie all'inserimento della divinità Anahita, che nella Persia occidentale corrispondeva alla mesopotamica Ishtar, il pianeta Venere. Talvolta Anahita sembra essere la consorte di Mitra. Non risultano, invece, fonti per affermare che Anahita ne fosse la madre, come afferma il noto polemista Acharya.

Mitra nel mondo greco-romano

Alla fine del XIX secolo il contenuto della religione mitraica dell'età imperiale fu ricostruito da Franz Cumont come una combinazione in culto sincretico del Mithra persiano con altre divinità persiane e probabilmente anatoliche. Dopo il congresso di Manchester del 1971, invece, gli studiosi si sono orientati a sottolineare le differenze fra il nuovo culto e quello indo-persiano.
Le origini del culto mitraico nell'impero romano non sono del tutto chiare e sarebbero state influenzate significativamente dalla scoperta della precessione degli equinozi da parte di Ipparco di Nicea. Mitra, appunto, sarebbe la potenza celeste capace di causare il fenomeno. Il culto si sviluppò forse a Pergamo nel II secolo a.C.; Ulansey, invece, ne localizza l'origine in Cilicia nei pressi di Tarso. Il dio entra nella storia greco-romana con in testa il berretto frigio sotto la protezione dei re del Ponto e dei Parti (molti dei quali ebbero il nome Mitridate = dono di Mitra) e delle armi dei pirati della Cilicia collegati a Mitridate VI del Ponto. Comunque questo nuovo culto non divenne mai popolare nell'entroterra greco, mentre si diffuse a Roma all'incirca nel I secolo a.C., si propagò attraverso tutto l'Impero romano e in seguito fu accolto da alcuni imperatori come una religione ufficiale. Nella cultura ellenistica Mitra era confuso con Apollo - Helios. Il sacrificio caratteristico di questo nuovo culto, assente nel culto indo-persiano, era la tauroctonia.

La tauroctonia

In ogni tempio romano dedicato a Mitra il posto d'onore era dedicato alla rappresentazione di Mitra nell'atto di sgozzare un toro sacro. Mitra è rappresentato come un giovane energico, indossante un cappello frigio, una corta tunica che s'allarga sull'orlo, brache e mantello che gli sventola alle spalle. Mitra afferra il toro con forza, portandogli la testa all'indietro mentre lo colpisce al collo con la sua corta spada. La raffigurazione di Mitra è spesso mostrata in un angolo diagonale, col volto girato.
Un serpente ed un cane sembrano bere dalla ferita del toro (dalla quale a volte sono rappresentate delle gocce di sangue che stillano); uno scorpione, invece, cerca di ferire i testicoli del toro. Questi animali sono proprio quelli che danno nome alle costellazioni che si trovavano sull'equatore celeste, nei pressi della costellazione del Toro, nel lontano passato ("era del toro"), quando durante l'equinozio di primavera il sole era nella costellazione del toro.