lunedì 19 agosto 2019

Kali

Le materie che vengono studiate nell’arte marziale filippina sono diverse: si va dalle scuole che insegnano solo una materia a quelle, di solito le più moderne, che hanno incluso tutte le discipline di combattimento. Normalmente si considera completa una scuola che comprende il seguente programma:
Settore armi
• singolo olisi (bastone);
• doppio olisi (due bastoni);
• singolo bolo (macete);
• doppio bolo (due macete);
• bastone e coltello o macete e coltello;
• daga (coltello);
• doppia daga (due coltelli);
• bastone lungo;
• bastone medio;
• lancia;
• armi da getto: dal coltello da lancio, alla cerbottana, all’arco eccetera.
Mani nude
• panantukan (chiamata in numerosi altri modi): boxe che include colpi di gomito
• sikaran: arte di calciare, ma molti includono nella disciplina anche colpi con gli arti superiori;
• dumog: l’arte del corpo a corpo; in altre zone dell’arcipelago la lotta si chiama buno o buno brazo;
• cadena de mano o hubud lubud: esercizi di sensibilità e per lo sviluppo delle abilità. Questi possono derivare dalla cadena con le armi o dagli esercizi di sensibilità adottati nel silat indonesiano. Probabilmente si tratta di una fusione dei due sistemi.
Quale relazione esiste tra kali e jeet kune do?
Dal punto di vista storico, assolutamente nessuna. La popolarità delle arti marziali filippine la si deve soprattutto ai praticanti di jeet kune do, che da una posizione privilegiata (grazie alla fama di Bruce Lee) hanno avuto modo di diffondere con relativa facilità le idee e le pratiche marziali proprie in tutto il mondo. Tuttavia c’è da chiedersi: come mai questo grande interesse per le arti marziali filippine da parte dei seguaci di Bruce Lee?
Possono essere 3 le ipotesi e nessuna esclude l’altra:
• dato che il principale esponente della scuola di Bruce Lee, Dan Inosanto, si è dedicato alla riscoperta delle discipline marziali del sua terra (le Filippine), le ha conseguentemente incluse nel programma di jeet kune do;
• le arti marziali filippine hanno completato il metodo di Bruce soprattutto nel combattimento con le armi, nel quale il jun fan kung fu è assolutamente carente;
• i concetti di economia, mobilità e versatilità tanto propugnati dal jeet kune do sono già da molti anni caratteristiche delle arti marziali del Sud-est asiatico.

La terminologia del kali filippino
Tutti coloro che hanno provato a cimentarsi con i termini che connotano le tecniche filippine sono presto entrati in confusione. Infatti la nomenclatura usata risente della zona d’origine, nonché di tale o tal'altra scuola o maestro. Si deve considerare che nell’arcipelago filippino si parlano numerose lingue diverse e spesso gli usi e i costumi locali cambiano molto. A volte anche le scuole sulle stesse isole usano termini diversi per definire la stessa tecnica o metodo di allenamento. Probabilmente la lingua più corretta è la lingua ispanica, con la quale tutti i maestri, almeno quelli residenti nella parte a Nord dell’arcipelago, definiscono le loro attività marziali. Ovviamente in questi ultimi anni, grazie a una maggiore facilità di scambio di informazioni, si usano indifferentemente termini diversi per indicare la stessa azione tecnica. Addirittura le più moderne organizzazioni stanno ricostruendo ex novo il sistema, inventando una nomenclatura più fantasiosa.
Perché studiare il bastone?
A un osservatore esterno il kali potrebbe sembrare l’arte di combattere con i bastoni; niente di più errato! Apprendere l’arte del bastone serve non solo a imparare a difendersi con un attrezzo naturale, ma anche ad acquisire quelle abilità fondamentali per manovrare il coltello, il macete o altre armi simili. Anche le mani nude e i sistemi di allenamento derivano dall’uso delle armi: la famosa forma di pugilato filippina conosciuta ai più col nome di panantukan deriva strettamente dall’uso dei due bastoni. La capacità di colpire in modo efficace con serie di colpi dalle traiettorie sorprendenti, la si coltiva imparando a usare il bastone singolo o i due bastoni. Purtroppo questo discorso viene solo apparentemente accettato da molti allievi, i quali continuano a operare una sostanziale differenza tra il lavoro a mani nude e il lavoro con le armi. In sintesi, possiamo dire che maggiori saranno le abilità acquisite nel maneggio delle armi (scoperta delle traiettorie, vie di accesso al bersaglio, combinazioni di colpi, mobilità, parate, schivate, eccetera), maggiori saranno le abilità nel lavoro a mani nude. E’ dunque per questa capacità di trasportare da un’area all’altra le abilità acquisite che l’esperto di arti marziali filippine può cimentarsi con successo in diverse discipline, poiché è lo studio del principio marziale che conta e non il mezzo con cui tale principio si esprime.

domenica 18 agosto 2019

I 5 ANIMALI NEL KUNG FU GAR

Alla base di qualsiasi stile di kung fu, ritroviamo sempre il concetto di principio tecnico filosofico, che spiega in che modo il metodo marziale interpreta e utilizza i vari movimenti energetici presenti in natura. Gli animali sono sempre stati fonte di ispirazione per molti stili di kung fu. Dall'osservazione delle loro abitudini quotidiane e del loro comportamento durante la caccia, l'accoppiamento, la lotta per il territorio, è possibile individuare quali sono gli istinti prevalenti, le strategie di combattimento, i tratti caratteriali più tipici e gli aspetti fisici più distintivi di ogni animale.
L'Hung Gar, in quanto stile Shaolin, studia 5 animali di base: drago, tigre, gru, leopardo, serpente.

Il drago (Loong) è un animale mitologico di grandi dimensioni e rappresenta lo spirito. Sfrutta movimenti sia diretti che circolari, sia duri che morbidi, con un bagaglio tecnico completo e un atteggiamento sempre imprevedibile. Una delle sue principali caratteristiche è l'uso della respirazione e dei suoni energetici, che accrescono il potenziale del Ch'i (energia vitale) canalizzandolo nelle tecniche.

La tigre (Fu) rappresenta la fierezza, la forza, l'irruenza, il coraggio, il radicamento a terra, e rinforza l'apparato osseo e la massa muscolare. La sua caratteristica è di non retrocedere mai di fronte al pericolo.

La gru (Hoc) è elegante, morbida in apparenza ma dura all'impatto, sempre in perfetto equilibrio, e rinforza l'apparato tendineo. E' specializzata nell'attacco ai punti vitali del corpo, nell'uso delle schivate e delle azioni di controllo sugli arti dell'avversario.

II leopardo (Pao) potenzia lo scatto muscolare e tendineo, essendo un animale molto veloce ma di modeste dimensioni. Non potendo contare su una grande forza fisica né su una particolare resistenza, pianifica strategie adeguate e intelligenti per procurarsi il cibo sfruttando al massimo la sua velocità. E' un felino audace ma molto cauto.

Il serpente (She) nella filosofia del pensiero cinese rappresenta il Ch’i (energia vitale) e il sangue. E' un animale riservato e paziente, astuto e preciso. Il suo movimento sinuoso e avvolgente si concretizza in strategie di azione volte a schivare, avvolgere e controllare il nemico, ad attaccare con tecniche velocissime i punti vitali del corpo.

A prescindere dalla trattazione teorica, solo una pratica costante e protratta nel tempo può indurre a percepire nel corpo la sensazione e l'attitudine tipica di ogni animale, ed è attraverso la scoperta e l'esperienza di queste sensazioni che si riesce a penetrare anche nei segreti del suo spirito.
Gli animali forniscono al praticante un modello di comportamento intelligente cui attingere in combattimento, un sistema per potenziare e proteggere il proprio corpo, un bagaglio filosofico ricco di simbologie e di concetti basilari del pensiero cinese, e una metafora dei suoi stessi atteggiamenti, bisogni, istinti che caratterizzano la personalità di qualsiasi combattente e che trovano espressione nella pratica marziale.

sabato 17 agosto 2019

Le 8 diverse forme di Arti marziali in India

Risultati immagini per Arti marziali in India


Kalarippayattu: Kalarippayattu è una famosa arte marziale indiana nonchè uno dei più antichi sistemi di combattimento esistenti. E' praticata nella maggior parte del sud dell'India. Comprende colpi, calci e la pratica con armi di base, le tecniche di Footwork sono la chiave più importante della pratica del Kalarippayattu. Quest'arte marziale indiana è stata usata in molti film per renderla popolare, come Ashoka e il mito.


Silambam: una grande varietà di armi vengono utilizzate nel silambam, alcune delle quali non si trovano in nessun'altra parte del mondo. Nell'arte del Silambam vengono usati anche i movimenti di animali quali il serpente, la tigre, l'aquila, gli schemi di footwork svolgono un ruolo chiave anche qui. Un'altra parte del Silambam è il Kuttu Varisai, un tipo di arte marziale disarmata.


Gatka: i metodi di attacco e di difesa si basano sulle posizioni dei piedi e delle mani e dalla natura delle armi usate. E' anche praticato pubblicamente durante le differenti celebrazioni o in occasione di fiere nel Punjab.


Musti yuddha: arte marziale praticata nella città più antica dell'India " Varanasi ". Le tecniche utilizzate in quest'arte marziali sono i pugni, i calci, le ginocchiate e le gomitate. Questo stile è un'arte completa per lo sviluppo fisico, mentale e spirituale del praticante. Quest'arte marziale è molto rara da vedere in occasioni pubbliche.


Thang Ta: Thang Ta è il termine popolare per l'antica arte marziale Manipuri nota anche come Huyen LALLONG. Manipuri è un'arte marziali praticata con spade e lance, è un'arte che richiede forza fisica ma con una grazia sofisticata.


Lathi: Lathi è un'antica arte marziale dell'India. Si riferisce anche a una delle più antiche armi del mondo, usata in tutte le arti marziali. Il Lathi (bastone) viene praticato in Punjab e Bengala, regione dell'India. Il Lathi rimane ancora uno sport popolare in molti villaggi indiani.


Mardani Khel: Mardani Khel è un metodo armato di arte marziale creata dal Maratha. Quest'arte marziale tradizionale del Maharashtra viene praticata in Kolhapur.


Pari-khanda: Pari-khandaa stile di combattimento con spada e scudo di Bihar. Quest'arte venne creata dal Rajput. Alcuni passaggi e tecniche del Pari-khanda vengono utilizzate anche nella danza Chau.



venerdì 16 agosto 2019

ALLE ORIGINI DELLO SHOTO-KAN



Sarebbe stato difficile per chiunque prevedere la vastità della catastrofe che colpì Tokyo il primo giorno di settembre del 1923. Fu quello il giorno del Grande Terremoto di Kanto. Tutte le costruzioni della zona erano fatte di legno, e nelle ore di fuoco furibondo che seguirono il sisma, la grande capitale fu ridotta in rovina. Il mio dojo, fortunatamente, scampò alla distruzione, ma molti dei miei allievi semplicemente svanirono nell'olocausto di edifici caduti e bruciati.
Noi che sopravvivemmo facemmo tutto il possibile per soccorrere i feriti e i senzatetto nei giorni immediatamente successivi al terribile disastro. Con quelli dei miei allievi che non erano stati mutilati o uccisi, mi unii ad altri volontari per aiutare a procurare cibo per i profughi, per rimuovere macerie e per assistere nell'opera di sistemazione dei corpi dei defunti.
Naturalmente, l'insegnamento del karate era stato temporaneamente rinviato, ma salvare una vita non poteva esserlo altrettanto. Dopo poco, una trentina di noi trovò lavoro al ciclostile della Banca Daiichi Sogo. Non ricordo più quanto fossimo pagati né quanto tempo lavorammo, ma, mi ricordo, quel viaggio quotidiano dal dojo di Suidobata alla banca di Kyobashi sembrava non finisse mai.
Mi ricordo un particolare di quel pendolarismo quotidiano. A quei tempi, pochissima gente indossava scarpe nelle strade delle città giapponesi; ognuno calzava sandali o zoccoli di legno chiamati "geta". C'è un tipo di questi ultimi chiamato "hoba no geta", che sotto ha due denti estremamente lunghi e talvolta uno solo, ed io calzavo sempre questi ultimi per rafforzare i muscoli delle gambe.
Lo facevo da giovane ad Okinawa, e non vedevo alcun motivo per cambiare ora che facevo il pendolare per il mio lavoro alla banca. I "geta" ad un dente che calzavo erano tagliati in legno molto duro e facevano un gran rumore ad ogni passo, forte quanto quello dei "geta" di metallo di alcuni di coloro che si allenano nel karate oggi. Indubbiamente i passanti nelle strade mi guardavano ridendo fra sé e sé, divertiti dal fatto che un uomo della mia età dovesse essere così vanitoso da voler aumentare la sua altezza. Dopo tutto, avevo ben più di cinquant'anni all'epoca. Assicuro comunque i miei lettori che il mio scopo non era la vanità, consideravo i miei "geta" ad un dente una necessità per il mio allenamento quotidiano.
Col passare delle settimane e dei mesi, Tokyo cominciò ad essere ricostruita, ed alla fine arrivò il momento in cui ci rendemmo conto che il nostro dojo era in uno stato di vera rovina. Il Meisei Juku era stato costruito intorno al 1912 o 1913, e niente gli era stato fatto per molto tempo. Fortunatamente, ci fu concesso del denaro dal governo prefettizio di Okinawa e dalla Società di Cultura di Okinawa per attuare le riparazioni più urgenti.
Ma naturalmente dovevamo trovare nuovi ambienti mentre il Meisei Juku fosse stato rimesso a nuovo. Avendo sentito che avevo bisogno di locali per l'allenamento, Hiromichi Nakayama, grande istruttore di scherma e buon amico, mi offrì l'uso del suo dojo quando non era usato per la pratica della scherma. Inizialmente affittai una piccola casa vicino al dojo di Nakayama , ma presto potei affittarne una più grande con un vasto cortile dove io e i miei allievi potevamo allenarci.
Venne comunque, il giorno in cui questa sistemazione divenne inadeguata. Il numero dei miei allievi cresceva, ma così pure il numero degli allievi di scherma. La conseguenza era che io recavo disturbo al mio benefattore. Sfortunatamente, la mia situazione finanziaria era ancora precaria e non potevo fare ciò che era logicamente desiderabile, costruire un dojo specificatamente per il karate.
Fu intorno al 1935 che un comitato nazionale di sostenitori del karate sollecitò abbastanza fondi per il primo dojo di karate mai eretto in Giappone. Non fu senza un minimo di orgoglio che, nella primavera del 1936, entrai per la prima volta nel nuovo dojo(a Zoshigaya, quartiere Toshima) e vidi sulla porta un'insegna recante il nuovo nome del dojo: Shotokan. Era questo il nome che aveva deciso il comitato; non pensavo mai che esso volesse scegliere lo pseudonimo che usavo da giovane per firmare i poemi cinesi che scrivevo.
Ero triste, anche perché avrei voluto sopra a ogni cosa che i miei maestri Azato e Itosu venissero ad insegnare nel nuovo dojo. Ahimè!, nessuno dei due era più su questa terra, così il giorno che il nuovo dojo fu aperto ufficialmente, bruciai dell'incenso nella mia stanza e pregai per le loro anime. Agli occhi della mia mente, quei due grandi maestri sembravano sorridenti, mentre dicevano: " Buon lavoro Funakoshi, buon lavoro! Ma non fare l'errore di compiacerti di te stesso, poiché hai molto da fare. Oggi, Funakoshi, è solo l'inizio! " .
L'inizio? Avevo allora quasi settant'anni. Dove avrei trovato il tempo e la forza per fare tutto ciò che ancora doveva essere fatto? Fortunatamente non vedevo né sentivo la mia età, e decisi, come i miei insegnanti mi chiedevano, di non cedere. C'era ancora, mi avevano detto, molto da fare. In un modo o nell'altro, l'avrei fatto.
Uno dei miei primi compiti, con il completamento del nuovo dojo, fu di preparare una serie di regole da seguire ed un programma di insegnamento. Formalizzai anche i requisiti per i gradi e le classi ( " dan " e " " kyu " ). Il numero dei miei allievi cominciò a crescere di giorno in giorno, così che il nostro nuovo dojo, che era sembrato più che adatto ai nostri bisogni all'inizio, ora lo diventava sempre meno.
Benché, come dico, non sentissi la mia età, mi resi conto che non potevo assolutamente adempiere a tutti i doveri che si stavano costantemente accumulando. Non solo c'era il dojo da dirigere, ma anche le università di Tokyo stavano ora formando gruppi di karate nelle loro sezioni di educazione fisica, e questi gruppi avevano bisogno di istruttori. Chiaramente, era troppo per un uomo sovrintendere al dojo e viaggiare da università a università, così incaricai gli allievi anziani di insegnare nelle oro università al posto mio. Nello stesso tempo, assunsi il mio terzo figlio come assistente, delegandogli i compiti quotidiani di amministrazione del dojo, mentre io sovrintendevo l'insegnamento sia li che nelle università.
Dovrei puntualizzare che le nostre attività non erano limitate a Tokyo. Molte cinture nere del mio dojo come molti karateka delle università si impegnarono nei centri e nelle cittadine della provincia, con il risultato che il karate divenne noto in tutto il paese e furono costruiti un gran numero di dojo. Ciò mi conferì ancora un'altra missione, poiché col diffondersi del karate io ero costantemente assillato da gruppi locali per spostarmi qui e là a tenere conferenze e dimostrazioni. Quando ero via per qualche tempo, lasciavo la direzione del dojo nelle buone mani dei miei allievi più anziani.
Mi è stato spesso chiesto come è successo che io scegliessi lo pseudonimo di Shoto, che divenne il nome del dojo. La parola " Shoto " in giapponese significa letteralmente " onde di pino " e così non ha un grande significato arcano, ma vorrei dire perché la scelsi.
La città fortificata di Shuri dove sono nato è circondata da colline con foreste di pini delle Ryu kyu e vegetazione sub-tropicale, fra cui il Monte Torao, che appartenevaal Barone Chosuke ( il quale, di fatto, divenne uno dei miei primi mecenati a Tokyo ). La parola "torao " significa " coda di tigre " ed era particolarmente appropriata poiché la montagna era molto stretta e così foltamente boscosa che vista da lontano sembrava piuttosto la coda di una tigre. Quando aveva tempo, solevo passeggiare sul Monte Torao, talvolta di notte quando la luna era piena o quando il celo era così limpido che si stava sotto una volta di stelle. A quei tempi, se accadeva che ci fosse anche un po' di vento, si poteva udire lo stormire dei pini e sentire il profondo, impenetrabile mistero che si trova all'origine di tutta la vita. Per me il mormorio era una specie di musica celestiale.
Poeti di tutto il mondo hanno cantato le loro canzoni sul mistero che si trova nei boschi e nelle foreste, ed io ero attratto dalla seducente solitudine di cui essi sono il simbolo. Forse il mio amore per la montagna era intensificato poiché io ero stato figlio unico e fragile fanciullo, ma penso che sarebbe stato esagerato definirmi un "solitario". Tuttavia, dopo un'intensa seduta di pratica di karate, volevo solo uscire e passeggiare in solitudine.
In seguito, quando fui ventenne e lavoravo come maestro a Naha, andavo frequentemente in una stretta, lunga isola nella baia che vantava uno splendido parco naturale chiamato Okunoyama, con maestosi alberi di pino e un grande stagno con fiori di loto. La sola costruzione sull'isola era un tempio Zen. Anche qui solevo venire frequentemente a passeggiare da solo fra gli alberi.
Da quell'epoca ho praticato karate per alcuni anni, e divenendo più familiare con l'arte sono ora più conscio della sua natura spirituale. Godere la solitudine ascoltando il vento fischiare attraverso i pini era, mi sembrava, un'eccellente maniera per raggiungere la pace della mente che il karate richiede. E dato che ciò è stato parte del mio modo di vivere dalla più tenera fanciullezza, decisi che non c'era nome migliore di Shoto con cui firmare le poesie che scrivevo. Col passare degli anni, questo nome divenne, ritengo, meglio conosciuto di quello che i miei genitori mi diedero alla nascita, e spesso mi sono accorto che se non avessi scritto Shoto accanto a Funakoshi la gente non sarebbe stata portata a sapere chi fossi.

Gichin Funakoshi "Shoto" 

giovedì 15 agosto 2019

Kuji kiri

Risultati immagini per Kuji kiri



Kuji Kiri 九字切り (taglio dei nove caratteri) sono una sequenza di particolari mudra (posture delle mani) aventi significati mistico/esoterici in alcune discipline e religioni orientali.
Il suo nome (in lingua giapponese) deriva dai termini ku nove, ji carattere e kiri taglio (5 orizzontali e 4 verticali alternati).
La sua rappresentazione classica viene riportata sopra un carattere che rappresenta l'oggetto d'interesse del praticante.

Kuji Kiri e arti marziali
Il Kuji Kiri è compreso sia nella scuola Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu (dichiarata Tesoro Nazionale Vivente del Giappone) che tra le arti del Ninjutsu, l'insieme di tecniche di combattimento praticate nel Giappone feudale dai ninja.
Ai nove segni, spesso differenti, e segreti, nelle varie scuole, veniva attribuita la capacità di influenzare le condizioni personali, il comportamento degli avversari e persino e l'ambiente circostante.

Kuji Kiri e religione
La prima citazione del Kuji Kiri la troviamo nel libro fondamento della corrente Mahayana del Buddismo, al capitolo XXVI: Dharani - Formule Magiche.
Ulteriormente, secondo i principi del Taoismo, le dita delle mani corrispondono ognuna ad uno dei meridiani considerati dalla medicina cinese e la pratica del Kuji Kiri costituisce una sorta di stimolazione di tutto il sistema energtico corporeo.
Nella visione religiosa i nove segni vengono creati dalla gestualità di entrambe le mani, la mano sinistra "Taizokai" possiede una valenza ricettiva (Yin), e la mano destra "Kongokai" emettitrice (Yang). I nove tagli praticati con la mano destra stanno ad enfatizzare il taglio dell'ignoranza del Velo di Maya (ovvero il mondo sensoriale ingannevole) tramite la Spada della Saggezza. In questo modo, secondo la dottrina del Mikkyo, branca dell'esoterismo buddhista giapponese (sette Tendai e Shingon), si verrebbe a creare una sorta di "porta" nel mondo quotidiano che servirebbe ad accedere ad un diverso stato di coscienza, indispensabile ad una giusta concentrazione ed un giusto utilizzo delle proprie risorse energetiche.

Esecuzione dei Kuji Kiri
I Kuji Kiri venivano eseguiti con una posizione precisa delle mani; ognuna con un significato ed uno scopo ben precisi ed erano i seguenti:
  • Rin - La forza della mente e del corpo
  • Kyo - Direzione dell'energia
  • To - Armonia con l'universo
  • Sha - Guarire se stessi o gli altri
  • Kai - Premonizione del pericolo
  • Jin - Lettura dei pensieri altrui
  • Retsu - Padronanza del Tempo e dello Spazio ( in clan Shingan ryù Yagiu è al sesto posto e definisce la padronanza del dolore fisico)
  • Zai - Controllo sugli elementi della Natura
  • Zen - Illuminazione
Secondo le diverse scuole, formando ognuno dei Mudrā, il praticante può rimanere in silenzio o pronunciare il solo nome del mudra stesso (come nel Ninjutsu), oppure recita uno specifico Mantra come nella Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu e nelle discipline religiose tutte. In alcune scuole Retsu è il sesto kuji kiri (shingan ryù) e definisce anche la padronanza del dolore fisico.





mercoledì 14 agosto 2019

VUOI RICEVERE LA NOSTRA NEWSLETTER

Risultati immagini per VUOI RICEVERE LA NOSTRA NEWSLETTER




Iscrizione: 5 € l'anno
Email: bloodsport1437@protonmail.com

Tutti gli stili e le scuole di arti marziali originatesi in Asia analizzate e rivelate.
Una newsletter affascinante, risultato di ricerche sui più famosi maestri di Arti marziali.
Verranno analizzati i più importanti aspetti tecnici di ciascuno stile illustrando come questi stili oggi insegnati in tutto il mondo — possano essere fatti risalire alle proprie origini perse nella nebbia della leggenda.
La parte dedicata alle tecniche segrete illustra metodi di attacco e difesa, come anche esercizi di respirazione, rilassamento e circolazione dell'’energia.
Per favore evitate di contattarci se non realmente interessati. Grazie!



martedì 13 agosto 2019

Bloodsport cerca nuovi redattori! Ecco i requisiti


I-want-you2

Siamo nuovamente in cerca di redattori che ci aiutino a rispondere alle esigenze del crescente numero di lettori e all’aumento di notizie, di giorno in giorno più interessanti, provenienti dal mondo. Abbiamo in programma di aggiungere al team due o tre articolisti che possano scrivere almeno un post al giorno, sempre informatissimi sulle ultime notizie, con grande spirito di collaborazione e, preferibilmente, con qualche pregressa esperienza in questo campo.
Il redattore – per noi – ideale deve:
  • Saper scrivere bene, rispettando le regole della punteggiatura, delle maiuscole, ecc.
  • Analizzare e studiare lo stile di scrittura di bloodsport ed essere in grado di replicarlo nel migliore dei modi.
  • Essere sveglio e veloce, è fondamentale!
  • Essere sempre connesso (anche da mobile) e rintracciabile.
  • Essere molto motivato, appassionato e informatissimo prima degli altri.
  • Saper usare WordPress e un minimo di programmi di editing grafico (Photoshop, ecc.).
  • Avere almeno l’ABC della SEO.
Remunerazione: 1700 € mensili

Se pensate di avere le carte in regola, potete segnalarci il vostro interesse tramite la nostra  mail bloodsport1437@libero.it ; raccontateci qualcosa di voi e proponeteci uno o più articoli da scrivere per prova: valuteremo il più interessante e vi chiederemo di preparare un post su quel tema. Ci teniamo a specificare che saper scrivere è il principale requisito per entrare nel team di bloodsport: non barate e non fatevi aiutare in alcun modo, i nodi vengono al pettine.
Al di là delle severe regole sopra citate, entrare nella famiglia di bloodsport significa anche tanto divertimento, nuove amicizie in tutto il mondo e anche opportunità di allenarsi a porte chiuse con maestri di comprovate capacità, magari da soli. Dateci dentro!




lunedì 12 agosto 2019

Inviateci i vostri video e li pubblicheremo sul nostro canale youtube Bloodsport!

Risultati immagini per martial art video




Invateci i vostri video con le immagini o gli highlights delle gare!
Continua ad espandersi il pacchetto all'interno del blog sempre più multimediale. Aspettiamo dunque i vostri video, che già in tanti ci inviate!
Mandateci i contributi filmati, interviste video o direttamente come file (.mp4) oppure tramite il canale Youtube e verranno inseriti e apprezzati da tutto il pubblico ...

Inviate tutto a bloodsport1437@libero.it e attendete la pubblicazione!

domenica 11 agosto 2019

Pancrazio: il Vale Tudo degli antichi



Combattere senza regole non è una novità
Quando parliamo di combattimento senza regole parliamo di qualcosa che é stato ben presente nella cultura occidentale. La nuova onda dei  tornei di Vale Tudo, UFC, Pride o Cage Fight, nulla apportano di nuovo, se non diversi nomi, ad uno sport che nel mondo antico era universalmente conosciuto come Pancrazio
(dal greco Pan = tutto e Kratos = forza , ovvero tutta la forza) anzi… a dirla tutta il Pancrazio era molto più duro.

La tradizione europea del combattimento
Per qualche strano motivo (soprattutto in Italia) esiste la convinzione radicata che le arti marziali e i sistemi di combattimento possano essere solo di matrice orientale. Questa convinzione, davvero fedele al detto "l'erba del vicino é sempre più verde", ha fatto tabula rasa della tradizione bellica italiana ed europea. Chi ha avuto modo di vedere gli occidentalissimi Savateur in azione sa bene che non hanno nulla da invidiare alla thai boxe, chi conosce le scuole francesi di "canne de combat" sa che il combattimento col bastone non ha dovuto aspettare la diffusione del Kali filippino per essere praticato.
Si potrebbe continuare, andando avanti nel tempo, citando le scuole popolari di coltello, così come quelle di pugilato detto "dei vicoli" o l'arte "de abracar" (così come vediamo nel Flos Duellatorum) una forma di lotta in piedi in cui erano concesse anche le percussioni.

La lotta (Orthopale, Alindissis, Acrochirismos)
Combattere nel mondo antico era pratica comune. Ancora oggi diciamo palestra per indicare il luogo dove si svolgono gli allenamenti, dimentichi del fatto che il termine deriva da quello greco che sta per lotta, "pale".
L'attività, considerata per i giovani preparatoria alla guerra, era anche praticata per tenersi in forma e come attività ricreativa.
Diversamente da come si può pensare guardando ciò che la cinematografia realizza sull'argomento, i combattimenti di lotta erano tutt'altro che uno scontro di forza bruta tra giganteschi atleti.
Ci sono arrivati tramite autori classici descrizioni di tecniche, indicazioni di tattica e strategia del combattimento, sino ai precetti sulla tipologia dell'allenamento e della dieta da seguire.
La lotta stessa (pale) era divisa in tre specialità:
L'orthepali: la lotta in piedi che vedeva vincitore chi per tre volte fosse riuscito a mettere al suolo l'avversario.
L'alindissis, in cui la lotta continuava anche a terra e si vinceva solo alla resa dell'avversario (una versione molto simile alla moderna submission wrestling)
L'acrochirismos, forma di lotta in piedi che partendo dalle mani intrecciate con l'avversario vedeva la vittoria di chi riuscisse a mettere in leva le braccia o anche le dita.

Pugilatus
L'arte del colpire si accompagna di pari passo a quella del lottare.
Il pugilato greco prima, etrusco e romano poi, era qualcosa di molto più cruento rispetto a quello odierno. Si poteva colpire su tutto il corpo e i pugni dei due combattenti erano fasciati da strisce di cuoio che terminavano sulle nocche con grosse borchie metalliche.

Il Pancrazio
Tutta la forza. Tutto permesso fuorché colpire agli occhi e ai genitali.
Il Pancrazio era la forma più dura di combattimento sportivo conosciuto in antichità (a Sparta era permesso anche graffiare e mordere). Alla lotta, percussioni con i pugni, con i gomiti e con la testa si univano ai calci e alle ginocchiate. Si vinceva per k.o. o per resa dell'avversario.
Gli atleti vincitori diventavano, un pò come oggi, delle vere e proprie celebrità. Alcuni, il cui nome ci é pervenuto, sono stati consacrati alla storia e straordinariamente, segno che il pancrazio come la lotta e il pugilato era praticato in tutto il bacino mediterraneo molti dei campioni non sono greci.
Oggi lo spirito degli antichi pancrazisti rivive nei moderni combattenti di Vale Tudo. Così, se é vero che i tempi sono cambiati, e adesso si cerca con più attenzione di preservare l'incolumità degli atleti, rimane intatto le spirito di chi decide di combattere oltre i propri limiti: con "tutta la forza".

sabato 10 agosto 2019

Aperture



E' forse la caratteristica principale del buon lottatore. Si possono conoscere anche 1000 tecniche, ma se non si possiede una buona stabilità (dovuta essenzialmente alla struttura della postura o dallo stile del movimento), non c'è efficacia.
Nel Wing Chun tradizionale si distribuisce sempre il peso 70/30 sulle gambe. Si cerca sempre di attaccare l'equilibrio dell'avversario o di approfittare nelle occasioni in cui si squilibra.
Le gambe ben piegate, busto eretto (non inclinato all'indietro o in avanti) e piedi ben poggiati al suolo.

Aperture: Imparare a sfruttare tutti i momenti in cui l'avversario per attaccare si scopre.
Inoltre imparare a creare aperture con finte e falsi attacchi.
Attraverso l'esercizio del Chi Sao si apprende ad essere ponderati ed ad attaccare sulle aperture appena se ne scorge l'occasione.

Gomito: Proteggere il proprio gomito e controllare quello dell'avversario. Il gomito ci copre il centro ed evita gli attacchi a livello medio. Applicare la forza in modo adeguato per non offrire aperture all'avversario.

Braccia incrociate: Se l'avversario cerca di bloccare il nostro contrattacco, mentre abbiamo il suo gomito sotto controllo, egli tenderà ad incrociare le braccia. Approfittare di ogni occasione per intrappolare con Lap Sao o Pak Sao le braccia incrociate.

venerdì 9 agosto 2019

LA POSIZIONE NEL KUNG FU HUNG GAR


Con il termine "posizione" nel kung fu ci riferiamo essenzialmente all'impostazione delle gambe. Le posizioni costituiscono le fondamenta di ogni stile, e per una serie di parametri che le caratterizzano, vengono considerate l'elemento più importante per lo sviluppo di un buon movimento e di una tecnica efficace.
Innanzitutto, partendo dal livello di analisi più tecnico, bisogna impostare bene i piedi, direzionare le punte (frontalmente, lateralmente o in diagonale), far aderire al suolo la pianta, afferrare con le dita il terreno per una maggiore stabilità. Le ginocchia devono flettersi o distendersi a seconda del tipo di posizione ma sempre con la massima cura per non danneggiare l'articolazione. Le anche, qualsiasi sia la loro impostazione (frontale, laterale, semilaterale, incassata, verso l'alto, verso il basso, in chiusura o in apertura), sono il punto di raccordo fra la parte superiore del corpo e quella inferiore, attingono energia vitale dalla terra e la canalizzano nelle tecniche, rendendole esplosive e piene. Senza l'uso del tantien (area energetica compresa nella zona fra le anche), anche l'azione marziale più corretta perde molto del suo potenziale energetico. La postura del busto rispetta alcune regole essenziali, basate sulle conoscenze anatomiche e bioenergetiche del corpo umano. Che preservano la colonna vertebrale da possibili danni e favoriscono l’uso più appropriato di ogni specifica tecnica, specialmente attraverso l'apertura dei canali energetici che scorrono paralleli al tronco spinale. Le braccia che durante una certa azione non stanno lavorando direttamente, devono controbilanciare il movimento del corpo o proteggerlo da eventuali attacchi. Lo sguardo è lo strumento che direziona la volontà interiore, che aiuta a mantenere alta la concentrazione e che consente di analizzare costantemente la situazione.
In sintesi, da una corretta posizione dipende una tecnica efficace e una migliore circolazione del Ch'i (energia vitale) nel corpo. Infatti, conosciamo l'uso terapeutico di certe posizioni non solo nella pratica marziale, ma anche in altre forme di ginnastica morbida e di esercizi medici. Da un punto di vista psicologico, la posizione esprime alcuni tratti caratteriali del praticante, del suo modo di porsi nel rapporto con gli altri e di fronte a certe situazioni della vita, e se è vero che lavorando sulla personalità si riscontrano cambiamenti anche nella postura e nel movimento, è altrettanto vero che, modellando la posizione. si possono osservare cambiamenti anche a livello caratteriale (il processo attraverso cui questo accade è dettagliatamente descritto e spiegato da molte teorie psicologiche). Infine. la posizione nel kung fu ha anche un suo significato simbolico e filosofico che può illustrare un atteggiamento, una scelta morale, un principio energetico legato al mondo fenomenico (animali, elementi e cicli naturali), al quale il kung fu attinge da sempre. ponendo l'uomo in costante relazione e interazione con l'universo.

giovedì 8 agosto 2019

Kusari-fundo

Risultati immagini per Kusari-fundo




Il kusari-fundo è un'arma tradizionale giapponese composta da una catena corta appesantita alle estremità da dei corpi contundenti di forma sferica o parallelepipoidale.

Storia
Il kusari-fundo sarebbe stato "inventato" da una guardia del Castello di Edo, tale Masaki Toshimitsu, per disarmare, immobilizzare o uccidere gli intrusi nel castello senza spargere sangue, preservando così la sacralità del luogo.
Come per il kusari-gama e il kyoketsu-shoge, gli attacchi usano le punte appesantite in movimento così da avere il massimo momento per l'impatto. Le traiettorie d'impatto includono:
  • "Tenchi furi": colpi dall'alto o dal basso
  • "Yoko furi": colpi in dentro o in fuori orizzontalmente
  • "Happo furi": colpi in dentro o in fuori diagonalmente
  • "Naka furi": colpi dritti davanti
Costruzione
Quest'arma è molto simile al kusarigama in quanto ad utilizzo, infatti è un'arma a corto raggio, circa 46–76 cm di lunghezza totale. È generalmente composto da una catena di acciaio inciso non riflettente o corda spessa per ragioni di allenamento, con due pesi identici o asimmetrici, di solito non appuntiti, alle due estremità. L'arma può essere usata per colpire, accalappiare o intrappolare un avversario o la sua arma.


mercoledì 7 agosto 2019

Difesa personale

Quando si parla di difesa personale, bisogna subito capire che la strada non è la palestra. In palestra si affrontano due persone che indossano guantoni, parastinchi, corpetti, paradenti e conchiglie. In strada non è quasi mai uno contro uno, non esistono protezioni e se si cade lo si fa sull'asfalto e non su di un morbido tatami.
Quando apprendiamo la difesa personale una delle cose principali da capire è che non bisogna sentirsi invincibili. Si deve cercare di risolvere le situazioni critiche prima diplomaticamente o andandosene. Se entrambe le soluzioni non sono applicabili, allora la difesa personale è un valido strumento per non restare offesi.
Tre sono i concetti fondamentali della difesa personale:
Non mostrare paura;
Non dare informazioni all'avversario;
Essere risoluti.
Quando ci si trova in situazioni critiche è fondamentale non mostrare paura. Tale sentimento in tali situazioni è del tutto naturale e legittimo. E' sciocco non aver paura. Una tigre che non sapesse cosa sia la paura morirebbe nel giro di poco tempo. La cosa fondamentale è il non farsi bloccare dalla paura, ma anzi sfruttare l'adrenalina che essa provoca a proprio vantaggio.
Come ho già detto è fondamentale non mostrare paura, infatti un cane attacca solo l'avversario che mostra paura. Non lasciamoci attaccare.
La paura si percepisce. La si percepisce nella mimica facciale, nello sguardo, nel linguaggio non verbale del corpo. L'avversario riconoscerà senz'altro le nostre esitazioni e le userà a suo vantaggio. In inglese si dice che un animale davanti ad un pericolo abbia due reazioni: flight or fight. Che si decida di andarsene o di attaccare, l'importante e che lo si faccia a mente aperta, libera, non offuscata dalla paura.
Il secondo punto fondamentale della difesa personale è quello di non dare informazioni all'avversario. Quando si combatte in palestra si sa chi si ha di fronte, quanti anni di pratica marziale ha sulle spalle e quali sono i suoi punti deboli. Ma quando si combatte per strada non si sa nulla dell'altro.
Un avversario che si mettesse in guardia mi darebbe un grandissimo vantaggio. Vedendo la sua guardia capirei che ha pratica con il combattimento e che devo prestare ancora più attenzione. Se mai ci si dovesse trovare in combattimenti di strada non bisognerà mai far capire all'altro avversario le proprie conoscenze marziali prima di fargliele vedere con i fatti. Questo non vuol dire solo evitare di mettersi in guardia, ma anche non tradirsi con lo sguardo. Quando si combatte, e questo è vero sia in palestra che in strada, non si deve mai guardare dove si vuole colpire o il pugno o la gamba dell'avversario.
Questo fa si che non si diano informazioni sul dove si vuole colpire e permette inoltre di avere una visione più completa e globale dell'avversario.
Passiamo ora al terzo punto: la risolutezza. Arrivare al combattimento vuol dire che non ci sono altre vie d'uscita da quella situazione. E' per questo che quando si combatte bisogna essere risoluti e non pensare a nulla se non alla salvaguardia della propria persona. Bisogna essere rapidi semplici ed efficaci. Un colpo non va portato solo per intimorire l'avversario, va portato per metterlo in condizione tale da non offendere.
Non bisogna avere scrupoli, perchè l'unico fine è quello di uscire dal combattimento e di uscirne riportando i minori danni possibili. Per questo nella difesa personale vengono insegnate mosse semplici, di facile e rapido utilizzo, ma molto efficaci. Il combattimento va chiuso in fretta, per evitare danni maggiori e magari la comparsa di qualche arma. Quando si decide di combattere, bisogna scordarsi di tutto il resto e focalizzarsi solo sull'avversario, renderlo inoffensivo il più in fretta possibile. Mi rendo conto che queste parole possano risultare dure, ma questa è la difesa personale.
Mentre in palestra si combatte per un punto e per vincere un incontro, per strada si combatte per non essere feriti e in alcuni casi, per fortuna rari, per la salvaguardia della propria vita.

Come allenare la difesa personale
Per allenare la difesa personale è fondamentale il lavoro di sparring.
Le tecniche vanno provate e riprovate fino a quando non le si sentono proprie e si riescono ad applicare senza pensare.
Per strada non si presenteranno mai le condizioni tali da poter applicare una tecnica tale e quale si è imparata in palestra. Per questo è fondamentale avere la completa padronanza delle tecniche: se le si conosce perfettamente, si possono trasformare ed adattare alla nuova situazione, se invece viceversa se ne ha solo una conoscenza sommaria non si riuscirà mai ad applicarle nel nuovo contesto. Per arrivare a tale livello di padronanza è necessario svolgere un lavoro di sparring sempre con persone diverse per potersi confrontare con situazioni sempre nuove e svolgere le tecniche in modo simmetrico, in modo da ottenere uno sviluppo omogeneo dell'abilità e non asimmetrico.
E' molto importante lavorare anche sul combattimento a terra. Un combattimento comincia in piedi e nel 90% dei casi finisce a terra, quindi non dobbiamo essere impreparati.
Nell'allenare la pratica della difesa personale è molto importante la psicologia dell'allievo. Le neuroscienze ci insegnano che le nostre risposte ad uno stimolo vengono mediate dal cervello, ovvero S-C-R. Noi dobbiamo rendere questa equazione più veloce, dobbiamo eliminare la mediazione del cervello, arrivare cioè a stimolo risposta: S-R. Questa capacità si ottiene con tanta pratica.
L'allievo che si dedicherà con costanza all'allenamento della difesa personale raggiungerà una grande consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti e ciò lo porterà ad una grande crescita interiore. Se una persona è sicura di sé non avrà paura e risolverà molte situazioni proprio grazie alla sua sicurezza.
E questo è vero sia per la strada che per la vita di tutti i giorni.

martedì 6 agosto 2019

Kuk sool won

Come già accennato, la maggior parte delle arti marziali coreane divenute famose nel mondo consiste in una codificazione recente sulla base dei metodi antichi, ricostruiti più o meno fedelmente. Uno di questi prodotti senz’altro tra i più interessanti, completi e diffusi è il kuk sool won (Associazione delle arti marziali nazionali coreane). Esso venne fondato nel 1961 da In Hyuk Suh, la cui famiglia, che oggi vive vicino a Daegu — nelle terre orientali della Corea del Sud — si distingueva nelle arti marziali da ben 16 generazioni. Il kuk sool won contiene più di 3600 tecniche, che In avrebbe tratto primariamente, nel corso di una ricerca durata più di 50 anni, dalle tre arti coreane storiche, il sahdo mu sool, il boolkyo mu sool e il koong joong mu sool.
Lo stesso fondatore racconta: “Quand’ero giovane, aprii i miei occhi al mondo delle arti marziali. Dimentico di ogni cosa che non fosse l’allenamento, a volte addirittura scordandomi di dormire e mangiare, viaggiai di provincia in provincia e di villaggio in villaggio, per essere istruito da più di un centinaio di maestri che rifiutavano di far sapere il loro nome. Mi insegnarono i segreti di generazioni di arti marziali uno per uno, a volte con qualcuno di questi maestri che mi trasmetteva soltanto una tecnica speciale, e dopo anni di apprendistato e di ricerca, esitavo a tenere per me tutte queste preziose arti dei miei antenati...”.
In effetti il kuk sool won spazia davvero in ogni settore delle arti marziali: calci, pugni, e altre tecniche di percussione, praticamente con ogni parte del corpo possibile (testa, spalle, gomiti, ginocchia, mani e piedi); inoltre leve articolari, proiezioni, spazzate, atterramenti e cadute. Si passa poi alla pratica armata, che include tutte le 24 armi tradizionali usate anticamente dai guerrieri del koong joong mu sool (tra cui bastoni e spade di varie fogge, la lancia e il ventaglio da guerra).
Un settore altrettanto ricco e interessante è quello delle pratiche interiori, con un numero consistente di tecniche di respirazione e di meditazione che consentono lo sviluppo di un’energia potente, presto utilizzabile. A livelli avanzati, questo tipo di insegnamenti comprende elementi di medicina orientale, come il massaggio, l’agopuntura e l’erboristeria. Tutto questo dà vita a un sistema che riesce a modulare egregiamente gli aspetti morbidi e duri del combattimento, l’interno e l’esterno, in base al motto “you won hwa” (morbidezza, circolarità, armonia).
I maestri di kuk sool won, infatti, tengono particolarmente alla filosofia dello stile, volta, in un’ottica moderna, a incrementare la forza e l’equilibrio della mente del discepolo; ciò non toglie che in quest’arte prevalga giustamente l’idea per cui i concetti filosofico-spirituali non sono granché utili finché non vengono applicati nella realtà: “La filosofia delle arti marziali è tutta nella tua pratica “, dichiara infatti il famoso maestro In Joo Suh, fratello minore del fondatore. Non poteva mancare, infine, l’ispirazione dei movimenti di combattimento al mondo animale, con il praticante di kuk sool che deve adattare al proprio corpo le caratteristiche dell’aquila (dok-soo-ri), della tigre (ho-rang-ee), della mantide (sama-gi) e poi ancora serpenti, leopardi, orsi e gru. Ciascun animale, oltre a suggerire diverse tipologie di movimento, trasmette al praticante, attraverso forme codificate all’uopo, le proprie caratteristiche. Anche il lato agonistico è molto sviluppato nell’arte di In Hyuk Suh, con gare di forme a solo a mani nude e con le armi, difesa da due e tre avversari e tecniche di rottura. Negli Stati Uniti, paese occidentale dove giunse nel 1974 e in cui si è maggiormente diffuso, il kuk sool won è ritenuto un’arte marziale che addestra gli allievi in una maniera il più possibile vicina al combattimento reale. Al contempo, però, tale arte è molto vasta, comprendendo un gran numero di aspetti. Queste due caratteristiche hanno fatto si che il kuk sool won venisse scelto per l’insegnamento ai cadetti della prestigiosa accademia militare statunitense di West Point; il che può costituire una buona testimonianza dell’efficacia di questo metodo coreano, perché l’approccio degli istruttori di West Point alle arti marziali parte dalla loro considerazione che esse nacquero in un contesto militare per permettere la vittoria in guerra sui nemici.
Prima dell’introduzione a West Point, l’arte era già stata insegnata ai militari americani durante la Guerra di Corea e in seguito al corpo dei marines e ad alcune forze speciali della Repubblica di Corea.