La storia della Naginata dalle origini
all’età moderna
Origini che si perdono
nella notte dei tempi
Sebbene la
naginata
sia probabilmente la più
antica arma del Giappone, non ne abbiamo tracce storiche sino al VIII
secolo d.c. L’alabarda giapponese
fa la sua prima apparizione
ufficiale tra le pagine del Kojiki di O no Yasumaro, pubblicato del
712 d.c.. Prima di questa data, non vi sono dati certi, e possiamo
solo fare delle supposizioni in merito alle origini e all’utilizzo
di quest’arma bianca.
Alcuni storici ritengono che la
naginata sia l’evoluzione
di uno strumento agricolo,
una specie di lunga zappa,
che venne adoperata a partire dal III secolo a.C. dai
contadini giapponesi
non solo per la coltivazione dei
campi, ma anche per la difesa dai predoni. Altri ritengono che
quest’arma sarebbe una diretta evoluzione della spada giapponese,
avvenuta dopo l’introduzione dell’acciaio in Giappone dall’Asia.
Il nuovo materiale, che venne a sostituirsi nella costruzione delle
lame al bronzo, permise l’invenzione di nuove armi, più lunghe e
più robuste. Tra queste annoveriamo la naginata e lo
yari
(la picca giapponese). Infine c’è
chi ritiene che l’alabarda giapponese sia discesa direttamente
dalle alabarde cinesi, giunte in Giappone durante le prime grandi
migrazioni, attorno al 200 a.C.
Nessuna delle tre teorie sembra
predominare sulle altre, ma la
storia della Naginata
in Giappone si estende per più di
duemila anni.
La Naginata come contromossa all’uso della cavalleria
L’adozione della
naginata come arma da guerra
va di pari passo con l’avvento
della cavalleria nelle grandi battaglie.
Per un guerriero
appiedato, che non possegga un cavallo, fronteggiare un avversario
montato a cavallo è un’impresa pressoché impossibile.
Il samurai a cavallo si trova
naturalmente in una posizione privilegiata: è più in alto –
difficile da raggiungere -, è più veloce ed ha la possibilità di
colpire in favore di gravità – dall’alto verso il basso. In uno
scontro di questo tipo, con la sola
katana
in mano, il guerriero appiedato è
pressoché spacciato. Il cavaliere, invece, probabilmente ne uscirà
indenne.
L’uso massiccio della cavalleria
nelle guerre dell’epoca Nara (VIII secolo) e Heian (VIII – XII
secolo), portò allo sviluppo e alla diffusione di tutti quegli
strumenti che permettevano di spostare su lunghezze più ampie la
distanza di combattimento: gli archi e, ovviamente, la naginata e lo
yari. Grazie alla sua
lunghezza infatti e alla sua particolare conformazione, la naginata
si prestava a un compito prima impossibile: l’azzeramento del
fattore ‘cavallo’, che tanto vantaggio dava alla cavalleria
giapponese. Un
Bushi
addestrato all’uso della
naginata poteva facilmente recidere, con la sua arma, i tendini delle
gambe dei cavalli, rendendoli inservibili. Il cavaliere, una volta
azzoppato il cavallo, veniva inevitabilmente scaraventato a terra,
diventando un facile obiettivo di un avversario armato di naginata o
di
yari, che grazie alla lunga
distanza consentita da queste armi, riusciva a colpire il
Bushi
atterrato, mantenendosi fuori
portata dai suoi eventuali fendenti. Inoltre le naginata, in mancanza
di
yari, potevano essere
utilizzate come picche, opponendo ad una carica di cavalleria un muro
di lame innestate, difficilmente superabile anche dal più agile dei
cavalli.
Un’arma tutta al
femminile?
Fino a qualche anno fa, si tendeva a
considerare, anche in Giappone,
la naginata un’arma
principalmente femminile, ma non è sempre stato così…
Nel periodo di maggior utilizzo della
naginata (e cioè tra VIII e il XVII secolo), quest’arma era
ampiamente utilizzata dai
Bushi
e dai fanti – maschi. Vi sono
state, sebbene non molte, donne samurai (le onna-bugeisha), in questo
arco di secoli. Benché molte donne samurai di quest’epoca siano
tradizionalmente raffigurate con la naginata in mano, non è
storicamente provato che preferissero l’utilizzo dell’alabarda
giapponese
ad altre armi. La notissima
Tomoe Gozen, che partecipò
alla guerra Genpei (1180 – 1185), ci viene, per esempio, tramandata
tramite le pagine del Heike Monogatari come una guerriera indomita (e
bellissima) armata di arco e di katana…
Con l’avvento delle armi da fuoco
(XVII secolo), gioco forza, lo stile di guerra cambiò e la Naginata
perse parte della sua utilità nelle battaglie in campo aperto.
Continuò però a essere tramandata e insegnata come parte della
cultura del Bushi
del suo addestramento, all’interno
del bujutsu. Durante l’era Takugawa la naginata perse la sua
importanza come arma da campo, e venne riconfigurata come arma da
duello e da difesa delle fortezze e degli edifici privati. Ma chi
restava ‘a casa’ a difendere le fortezze, le case e i monasteri
quando i
Bushi
e i guerrieri erano impegnati
nelle non rare battaglie? A chi spettava l’onore e l’onere e
difendere gli averi e gli abitanti in assenza dei grandi guerrieri?
Spettava alle donne della classe samurai, le onna-bugeisha, e ai
monaci guerrieri, i temibili sohei. Fu così che la naginata, poco
alla volta, passò di mano divenendo un’arma femminile. L’alabarda
giapponese
infatti è l’arma che – grazie
alla maggiore distanza tra i contendenti e quindi alla minor
probabilità del contatto diretto – permette di neutralizzare
eventuali squilibri di forza, di altezza e di peso e quindi la più
adatta ad essere maneggiata da una
donna samurai
che si trovi a dover combattere
contro un uomo.
Le ultime battaglie e
l’esercito delle donne di Takeko Nakano
Le ultime battaglie che videro sul
campo dei reparti di
Naginata
avvennero nella seconda metà
dell‘800, durante la guerra dei Boshin e la rivolta di Satsuma. Nel
primo caso si fronteggiarono le forze fedeli allo shogun Tokugawa e
le forze fautrici della restaurazione dell’imperatore Meiji, nel
secondo, invece alcuni ex samurai fautori della restaurazione
insorsero contro il governo Meiji, a causa della cancellazione della
classe dei samurai e dell’eccessiva occidentalizzazione promossa da
tale governo. In entrambi i casi le sorti delle guerre furono
favorevoli alla fazione imperiale.
Nella guerra dei Boshin, e nello
specifico nella battaglia di Aizu, ricordiamo l’impresa dello
Joshitai – l’esercito femminile. Lo Joshitai, era un reparto non
ufficiale composto da una ventina di donne samurai armate di naginata
e guidate da
Nakano Takeko. Queste
onna-bugeisha scesero in campo di fianco alle truppe dello shogun per
difendere dall’assedio il castello di Aizu-Wakamatsu, affrontando
all’arma bianca le forze imperiali, soverchianti in numero e armate
di fucili. La battaglia andò come si può facilmente immaginare, e
Nakano Takeko, ferita a
morte, pur di non cadere nelle mani nemiche, si suicidò con l’aiuto
della sorella Yuko. Il castello cadde poco tempo dopo.
Takeko Nakano è
normalmente considerata l’ultima donna samurai della storia
giapponese.
La sua figura, come quella di tutto lo
Joshitai, è oggetto ancora oggi di grande rispetto e di
rievocazioni.
La storia moderna della
Naginata
La storia moderna della Naginata,
segue per lo più, il destino di tutte le altre arti marziali
giapponesi. Con la restaurazione Meji, e con la cancellazione
della classe samurai
la Naginata passò dall’essere
una disciplina marziale in senso stretto, ad essere una disciplina
pedagogica riservata alle ragazze nipponiche.
La Naginata venne introdotta nelle
discipline scolastiche agli inizi del ‘900 come alternativa
femminile al Judo e al Kendo praticato dai ragazzi. Tale prassi
proseguì per tutto il periodo Showa (sino cioè al 1989), con la
sola pausa dell’occupazione alleata e della proibizione delle arti
marziali in Giappone.
Durante la seconda guerra mondiale e
con la fondazione della All Japan Naginata Federation (1955) si
procedette ad una standardizzazione della disciplina della Naginata,
cercando di integrare in un’unica forma il contributo di tutte le
antiche scuole (ryu) giunte sino all’epoca moderna. Il processo di
uniformazione è terminato con gli anni cinquanta con la creazione
dell’Atarashii Naginata, la Naginata moderna. Al giorno d’oggi,
grazie all’AJNF in tutto il mondo si pratica la Naginata Atarashii,
normalmente chiamata semplicemente “Naginata”.
Al pari del Kendo, la
Naginata moderna è un’arte di combattimento a due, che può essere
praticata anche a livello agonistico sia dagli uomini che dalle
donne.