sabato 5 marzo 2022

Perché così tanti pugili sembrano avere poca stima di chi pratica le arti marziali? Si può battere un praticante di arti marziali in una lotta senza avere alcuna preparazione specifica?

Innanzitutto, la disistima è figlia dell'ignoranza: non esistono discipline da combattimento migliori o peggiori di altre, esistono solo praticanti più o meno preparati.

Detto questo: la differenza di vedute tra marzialisti tradizionali e praticanti di sport da combattimento a contatto pieno (e non) ha radici storiche profonde.



Le arti marziali nascono come metodo di difesa ed offesa nella notte dei tempi e vengono codificate per poter essere tramandate da maestro a discepolo in periodi in cui la tradizione orale e la pratica fianco a fianco erano l'unico mezzo per diffondere il sapere.

La loro controparte sportiva, che all'epoca era costituita da esibizioni pubbliche (dall'antica Grecia al Giappone, alla Persia) è cominciata a diventare "antagonista" quando la pratica marziale si è ulteriormente scissa in due.

Gli antichi "marzialisti", civili o militari, hanno dovuto far evolvere le loro tecniche, a mano o all'arma bianca, per integrarle con l'utilizzo delle armi da fuoco e di strategie più complesse di squadra. Il concetto di scontro fisico "uno ad uno" o "uno a molti" è lentamente stato assorbito da una nuova concezione della pratica militare.

Ora i moderni marzialisti non sono più i monaci che dovevano sviluppare tecniche di difesa dai ladri ed assassini che infestavano i boschi, oppure i contadini che volevano difendersi dai soprusi dei samurai: oggi, con l'evolversi dell'etica, che bandisce lo scontro civile, gli unici a doversi realmente difendere con tecniche marziali atte ad uccidere o neutralizzare una minaccia sono i soldati che operano in squadre d'assalto, oppure personale addetto alla difesa di figure in vista.

Tutto quello che ruota attorno alla preparazione militare nel corpo a corpo è quello che è rimasto delle antiche pratiche marziali realmente applicate quotidianamente.

Di contro, la disciplina sportiva si è evoluta fino ad arrivare a livelli notevoli, godendo anche di un supporto economico derivante da introiti pubblicitari, sponsorizzazioni e vendite di biglietti, merchandise e via dicendo, consentendo ad atleti di sport da combattimento di diventare noti a livello mondiale e sviluppare la loro preparazione sul piano fisico, accompagnati da stuoli di tecnici come nutrizionisti, cutman, preparatori atletici, psicologi dello sport. Oggi un atleta di punta (prendiamo un Canelo, per dire) di uno sport da combattimento a contatto pieno può godere di una preparazione eccelsa in termini qualitativi rispetto ad un suo collega marzialista tradizionale.

Le antiche pratiche marziali invece, private della loro pratica quotidiana, restano come studio storico della disciplina, intesa come forma d'arte, spesso volutamente ancorate alla loro tradizione. La frammentazione in migliaia di federazioni e stili poi impedisce spesso di godere di un adeguato supporto economico, paragonabile alla loro controparte sportiva.

Alcune arti marziali hanno tentato una fusione con gli sport da combattimento a contatto pieno: Sanda, Kyokushinkai, la stessa Muay Thai hanno introdotto limitazioni e "correzioni" alle loro pratiche d'origine per poter essere praticate in sicurezza su un tatami o su un ring.

Nessuno oggi, ad esempio, può realmente praticare la Muay Boran, se non come studio di una antica arte marziale, per vari motivi: innanzitutto perché i suoi colpi sono effettivamente mortali, in secondo luogo perché sono anacronistici.

In questo contesto storico attuale i pugili (inteso come praticanti di uno sport da combattimento a contatto pieno) sono quelli, quindi, che esperiscono la versione più "dura" possibile della disciplina da combattimento, comprendente KO ed una iperspecializzazione della tecnica in funzione del risultato sportivo.

Dobbiamo aggiungere anche l'effetto negativo dato dalla narrativa costruita storicamente attorno alle arti marziali, nata ben prima della televisione ma da essa portata a livelli parossistici. Capita spesso che un praticante una arte marziale tradizionale si senta al riparo da ogni pericolo perché "forte" dello studio di antiche tecniche mortali di disarmo o di attacco: questo è fuorviante, tendenzioso e pericoloso.

Questo non significa ovviamente che un marzialista non sia "pericoloso" tout court, anzi: lo studio approfondito di tecniche potenzialmente mortali o invalidanti senza alcuna protezione può rendere il praticante una arma vivente. Un Taekwondoin esperto che dovesse tirare un Eeadan Dwi Chagi ("calcio girato saltato", equivalente di un Tobi Ushiro Geri per un Karateka) ad una persona potrebbe tranquillamente ammazzarla, considerando che si tratta di un calcio praticato migliaia di volte in palestra e per il quale si riesce ad ottenere una precisione notevole oltre che una forza nel colpo devastante.

Concludendo, la risposta all'ultima domanda è "normalmente no". Chiaramente le variabili sono tantissime e difficilmente un ragazzino di quindici anni che pesa 50 kg può pensare di avere la meglio contro un trentenne che ne pesa 100, a prescindere dalla preparazione, ma normalmente un marzialista sa esattamente come schivare, come fintare e dove colpire, quindi generalizzando ed assumendo che la situazione non sia impari, non c'è possibilità per chi non abbia una preparazione specifica.


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