Nel panorama cinematografico degli anni Ottanta e Novanta, pochi attori hanno incarnato il mito del guerriero invincibile come Steven Seagal. Vestito di nero, sguardo imperturbabile e movenze fluide, Seagal ha rappresentato per molti l’archetipo del maestro di arti marziali moderno. Tuttavia, dietro la patina dorata del cinema e le sue dichiarazioni spesso controverse, resta una domanda cruciale: Steven Seagal è davvero un esperto di arti marziali?
Sul fronte delle credenziali tecniche, le prove sono difficili da contestare. Steven Seagal detiene un 7° dan in Aikido, un grado che solo pochissimi stranieri hanno raggiunto, e che gli è stato conferito dopo decenni di pratica costante. Ancora più significativo, negli anni Settanta fu il primo occidentale a dirigere un dojo in Giappone, paese notoriamente conservatore quando si tratta di affidare la trasmissione delle proprie tradizioni marziali a stranieri. A Yokohama, sotto il nome di Tenshin Dojo, Seagal formò anche allievi giapponesi, guadagnandosi il rispetto di un ambiente che non concede riconoscimenti con leggerezza.
Il suo stile di Aikido è spesso definito "duro", meno coreografico di quello tradizionale e più orientato alla realtà del combattimento. A differenza di molti interpreti marziali hollywoodiani, Seagal non si è formato su un set cinematografico ma sul tatami, sviluppando una pratica capace di affrontare le sfide reali che, negli anni Settanta, non mancavano nei quartieri meno turistici del Giappone.
Ma accanto alla solida reputazione tecnica, si affastellano elementi che gettano ombre sulla sua credibilità. Steven Seagal ha spesso alimentato la propria figura pubblica con racconti che oscillano tra l’aneddotica fantasiosa e la pura invenzione. Uno degli esempi più noti riguarda il presunto incontro con Bruce Lee in Giappone: un dettaglio impossibile, considerando che Bruce Lee morì nel 1973 e Seagal si trasferì stabilmente in Giappone solo l’anno successivo. Allo stesso modo, ha dichiarato più volte di aver lavorato per la CIA o in operazioni speciali delle forze armate statunitensi—affermazioni mai suffragate da documenti, testimonianze ufficiali o elementi credibili.
Queste esagerazioni hanno spesso minato la percezione pubblica del suo talento autentico, attirandogli l'accusa di essere, più che un artista marziale, un abile mitomane. Ma sarebbe ingiusto ridurre la figura di Seagal a quella di un semplice impostore.
Va ricordato che gli anni successivi alla morte di Bruce Lee furono dominati da un’intensa competizione tra scuole, maestri e discipline. I dojo, specialmente in Giappone, erano spesso messi alla prova da sfidanti locali — veri e propri teppisti o praticanti rivali — che volevano testare la validità delle tecniche. In un simile contesto, se Seagal non avesse avuto abilità marziali concrete, difficilmente avrebbe potuto sopravvivere — tanto meno dirigere un dojo, formare allievi e, infine, emergere a livello internazionale.
Le critiche rivolte all’Aikido come arte poco applicabile nel combattimento reale trovano in Seagal un’eccezione: il suo approccio diretto e il suo fisico imponente (1,95 m di altezza) gli permettono di applicare le tecniche con una forza e un’efficacia che, in altri contesti, possono apparire meno convincenti. In effetti, molte tecniche che su un avversario comune potrebbero fallire, nel suo caso sono amplificate dalla mole fisica e dalla competenza motoria maturata in decenni di pratica.
Il caso di Steven Seagal resta emblematico: un artista marziale di comprovata abilità che ha, per motivi forse di vanità o di marketing personale, offuscato la propria immagine con affermazioni non verificabili e, talvolta, risibili. Ma sarebbe riduttivo ignorare il suo contributo alla diffusione dell’Aikido in Occidente e il suo ruolo pionieristico nella comunità marziale giapponese.
In definitiva, Steven Seagal non è un ciarlatano. È un artista marziale dotato, forse vanesio, talvolta mendace, ma pur sempre capace di compiere un’impresa che, per un americano negli anni Settanta, aveva del miracoloso: essere accettato, e rispettato, dai maestri giapponesi nel cuore della loro tradizione.
Il problema, semmai, è che ha scelto di scrivere il proprio mito con la penna dell’esagerazione. E quando la leggenda si scontra con i fatti, questi ultimi — come ammoniva John Ford — andrebbero comunque pubblicati. Ma nel caso di Seagal, ciò che resta è una figura affascinante e controversa, sospesa tra l'effettiva maestria e la costruzione di un personaggio larger than life.
Se la verità è la prima vittima della guerra, è anche spesso la prima vittima della celebrità. E Steven Seagal lo sa bene.
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