Nel selvaggio mondo delle arti marziali miste, dove la tecnica si fonde con la strategia e la durezza mentale vale quanto la potenza fisica, pochi nomi hanno lasciato un’impronta tanto controversa quanto quello di Brock Lesnar. Wrestler professionista, ex campione NCAA di wrestling e meteora devastante nella UFC, Lesnar ha rappresentato un’anomalia atletica: un titano muscoloso, esplosivo e imprevedibile che ha diviso pubblico e critica. Ma qual è il vero bilancio delle sue forze e delle sue debolezze? E quanto sarebbe potuto durare il suo regno se non avesse incontrato i suoi limiti?
Il primo e più evidente punto di forza di Lesnar è sempre stato il suo corpo. Ma definirlo semplicemente "forte" è riduttivo. Brock non era solo un uomo muscoloso: era la manifestazione vivente della potenza esplosiva. La sua capacità di generare forza massima in un battito di ciglia – tipica degli atleti olimpici – gli permetteva di abbattere avversari con takedown violenti e di colpire con un’intensità che raramente si vede tra i pesi massimi, persino nell’era moderna. Non a caso, nel 2008, al suo terzo incontro in assoluto nelle MMA, distrusse il veterano Heath Herring e, solo pochi mesi dopo, conquistò il titolo mondiale UFC sconfiggendo Randy Couture.
Il suo background nella lotta libera, raffinato durante gli anni universitari, gli dava un vantaggio strutturale notevole: controllo a terra, dominanza nella clinch, e una pressione asfissiante quando riusciva a dettare il ritmo. Nel suo momento di massimo splendore, Lesnar non sembrava solo vincere: sembrava schiacciare.
Tuttavia, ogni colosso ha la sua crepa. E quella di Brock Lesnar si rivelò essere la tolleranza al dolore e alla pressione mentale sotto attacco. Il punto debole più discusso del suo arsenale non era tecnico, ma psicologico: Brock Lesnar non sopportava essere colpito al volto. Reagiva in modo viscerale, quasi fobico, interrompendo ogni piano tattico nel momento in cui l’avversario lo centrava con efficacia. Questo è emerso in modo drammatico nelle sue sconfitte contro Cain Velasquez e Alistair Overeem, in cui l’incapacità di restare lucido sotto fuoco ha compromesso completamente la sua prestazione.
La sua boxe rudimentale ha accentuato il problema. Lesnar non ha mai sviluppato un striking all’altezza dei suoi takedown, limitandosi a colpi dritti e prevedibili, spesso inefficaci contro avversari tecnici. Senza un jab incisivo, senza gioco di gambe, senza movimenti difensivi sofisticati, diventava una preda troppo facile una volta che la sua strategia iniziale falliva.
Ma forse il colpo più duro alla sua carriera è arrivato dall’interno. Afflitto da una forma grave di diverticolite, Lesnar ha subito un intervento chirurgico invasivo – un’emicolectomia – per rimuovere una parte del colon. Questa condizione ha inciso non solo sulla sua salute generale, ma anche sulla capacità di assorbire i nutrienti essenziali per sostenere un fisico da oltre 120 kg di muscoli. In un contesto di sport estremo come le MMA, dove la resistenza, il recupero e la digestione sono cruciali, questo deficit è stato decisivo.
Nonostante ciò, Lesnar è tornato a combattere dopo appena un anno e mezzo dall’operazione, affrontando un Alistair Overeem nel suo picco fisico – il famigerato “Ubereem”, che a quell’epoca sembrava più una divinità greca in carne e ossa che un combattente in carne e sangue. Il risultato fu brutale, e segnò la fine della sua carriera da contendente.
Avrebbe potuto battere Jon Jones? Probabilmente no. Jones, con la sua intelligenza tattica e il suo gioco a tutto campo, avrebbe saputo sfruttare ogni debolezza di Lesnar. Avrebbe avuto chance contro Daniel Cormier o Stipe Miocic? Anche qui, la risposta tende al negativo. Cormier avrebbe dominato nella lotta, Stipe nell’equilibrio generale. Brock era un esperimento riuscito solo a metà: letale contro chi non poteva opporsi fisicamente, vulnerabile contro chi aveva pazienza, resistenza e una difesa solida.
Eppure, il valore di Lesnar non va misurato solo nei risultati tecnici. Va misurato nel suo impatto culturale, nella sua capacità di attrarre milioni di spettatori, e nell’aver dimostrato che un outsider assoluto – proveniente dal wrestling spettacolare – poteva diventare campione del mondo nella disciplina più dura e cruda che esista. Con appena otto incontri ufficiali, è riuscito a lasciare un segno indelebile, qualcosa che combattenti ben più longevi non hanno mai fatto.
Brock Lesnar è stato un colosso con piedi d’argilla, un gladiatore venuto da un altro mondo, che ha toccato la vetta e poi è precipitato altrettanto velocemente. Ma in quell’arco breve e infuocato, ha dimostrato che anche nella giungla delle MMA, a volte, la forza bruta può riscrivere le regole. Anche solo per un istante.
E in un'epoca in cui l’efficienza ha spesso sostituito il carisma, Brock Lesnar resta una leggenda per ciò che rappresentava: la paura primordiale, la potenza grezza, l’uomo che sfidava i limiti del proprio corpo – e spesso, li pagava a caro prezzo.
Nessun commento:
Posta un commento