martedì 22 luglio 2025

SCANDALO A SHAOLIN: L'ABATE DEL TEMPIO ACCUSATO DI SESSO, SOLDI E POTERE

Non sono bastati i secoli di sacralità, le leggende dei monaci guerrieri o la fama planetaria acquisita dal Tempio Shaolin come culla del buddismo zen e delle arti marziali cinesi: un terremoto morale ha scosso dalle fondamenta il monastero più celebre del mondo orientale. Shi Yongxin, fino a poche settimane fa abate del Tempio Shaolin e figura simbolica del buddismo cinese contemporaneo, è stato sospeso dalle autorità con accuse gravissime che vanno dall’appropriazione indebita di fondi pubblici a comportamenti in totale violazione dei precetti monastici.

Secondo quanto riferito da fonti governative cinesi, Shi Yongxin è ora sotto indagine formale per "aver utilizzato risorse del tempio per fini personali, incluse relazioni con più donne, figli illegittimi e lussi privati incompatibili con la vita ascetica imposta dalla regola buddista". Un quadro che mette a dura prova la credibilità dell'istituzione religiosa più iconica della Cina e rischia di infrangere per sempre l'immagine del monaco-manager che ha trasformato Shaolin in un impero globale.

Conosciuto nel mondo per aver portato Shaolin sotto i riflettori internazionali, Shi Yongxin è stato spesso definito dai media come "l'amministratore delegato del buddismo cinese". Sotto la sua guida, il monastero di Dengfeng, nella provincia di Henan, si è trasformato in un polo turistico, commerciale e mediatico da milioni di dollari l'anno. Dal merchandising dei monaci-guerrieri, alle accademie internazionali, fino a film e spettacoli itineranti: Shaolin non era più solo un luogo di meditazione, ma un brand riconoscibile e redditizio.

La visione di Shi Yongxin era tanto pragmatica quanto controversa: modernizzare il messaggio buddista attraverso strumenti economici. Eppure, fin dalle prime mosse imprenditoriali, molti all'interno della comunità monastica e accademica avevano espresso dubbi sulla compatibilità tra pratica spirituale e logiche di profitto. Non è un caso che già nel 2015 fosse emersa un'accusa pesantissima da parte di un ex monaco, che denunciava l’abate per condotte immorali, auto di lusso, amanti e figli nascosti. Le accuse furono inizialmente respinte come calunnie, ma oggi ritornano con forza nel cuore di un'inchiesta ufficiale.

L'indagine condotta dal Dipartimento per gli Affari Religiosi del Partito Comunista Cinese ha rivelato una rete complessa di operazioni finanziarie illecite, riconducibili all’abate e a una cerchia ristretta di collaboratori. Gli inquirenti parlano di milioni di yuan sottratti ai fondi destinati al restauro dei templi, alle attività caritatevoli e all'accoglienza dei pellegrini. Quei soldi, secondo i documenti interni trapelati alla stampa cinese, sarebbero stati dirottati verso conti privati, investimenti immobiliari e il mantenimento di una vita parallela lontana dall'austerità monastica.

Oltre all'aspetto finanziario, la parte più esplosiva del dossier riguarda la condotta personale di Shi Yongxin. Le autorità parlano esplicitamente di relazioni sentimentali con più donne, alcune delle quali avrebbero avuto figli da lui. Una situazione che, se confermata, configura una violazione clamorosa dei voti di castità previsti dal Vinaya, il codice disciplinare dei monaci buddisti.

Fonti vicine all’inchiesta raccontano di appartamenti privati nella capitale, dove l’abate si sarebbe recato con regolarità, e di viaggi all'estero motivati più da interessi personali che religiosi. Alcuni documenti parlano anche di accordi economici con aziende occidentali per lo sfruttamento commerciale del marchio Shaolin, contratti stipulati all'insaputa della comunità monastica.

La direzione temporanea del Tempio ha diffuso un comunicato in cui si afferma che l’istituzione è "profondamente addolorata" per gli eventi emersi e che "collaborerà pienamente con le autorità per fare luce su ogni responsabilità". Non mancano i toni concilianti: "Il Tempio Shaolin è più antico di ogni singolo abate. Le sue fondamenta morali non dipendono dalle azioni di un uomo solo".

Al momento, l’accesso ai documenti contabili del tempio è stato sospeso, mentre un team speciale del governo ha assunto il controllo amministrativo. Si prevede che, a conclusione dell’inchiesta, venga nominato un nuovo abate ad interim, forse proveniente da una delle accademie secondarie meno esposte al clamore mediatico.

L'opinione pubblica cinese è profondamente spaccata. Se da un lato molti denunciano l’ipocrisia di una leadership religiosa più attenta al profitto che alla fede, altri continuano a difendere Shi Yongxin, definendolo un riformatore travolto dalla propria ambizione. Sui social network, censurati a intermittenza, si moltiplicano i commenti indignati: "Era tutto finto, anche la sua compassione", scrive un utente su Weibo. Ma c'è anche chi minimizza: "Il mondo cambia, anche i monaci devono adattarsi".

Questa ambiguità riflette una tensione più profonda tra modernità e tradizione. La Cina contemporanea, sempre più orientata alla performance economica e alla visibilità internazionale, sembra aver proiettato anche sulle sue istituzioni religiose le logiche del branding e del marketing. Ma quando a cadere è un simbolo spirituale come l'abate di Shaolin, le ferite si allargano.

La vicenda riapre un dibattito antico: è possibile conciliare la spiritualità con l'economia globale? E dove finisce il confine tra innovazione e corruzione dei valori? Per anni, Shaolin è stato l'esempio vivente di questa sfida: monaci in abiti arancioni che eseguono acrobazie in tour mondiali sponsorizzati, mentre nei cortili del tempio si gira merchandising per milioni di yuan.

Ora, quel modello mostra tutte le sue crepe. Non è escluso che il Partito Comunista cinese, sempre più attento al controllo ideologico delle religioni, possa approfittare dello scandalo per ridefinire il rapporto tra culto e potere. Una possibilità concreta, visto che il buddismo resta una delle poche fedi tollerate ma non pienamente integrate nella narrazione ufficiale dello Stato.

In attesa di chiarimenti, resta il silenzio delle mura millenarie del Tempio. E resta la sensazione che, dietro l'apparente calma degli incensi accesi, qualcosa si sia rotto. Forse per sempre.


 

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