Joe Rogan, noto podcaster ed ex commentatore UFC, ha spesso sollevato un punto provocatorio ma interessante: la boxe sarebbe più sicura se si combattesse a mani nude.
Una frase che, presa fuori contesto, può sembrare assurda o addirittura irresponsabile. Eppure, se si va oltre la superficie, c’è una logica che affonda le radici nella biomeccanica, nella storia del pugilato e nei dati sui traumi cerebrali. Vediamo perché.
I guantoni da boxe sono nati con un duplice intento: proteggere le mani del pugile e rendere lo sport visivamente meno cruento. Ma attenzione: non servono a proteggere la testa dell’avversario. Anzi, paradossalmente, i guantoni permettono di infliggere più colpi alla testa, più duri, più spesso, senza che il pugile si ferisca le mani.
Il risultato? Un incremento nei traumi cranici. Colpi ripetuti alla testa, anche se non tutti portano al knock-out, provocano danni cumulativi al cervello. È il fenomeno tristemente noto come encefalopatia traumatica cronica (CTE), una malattia degenerativa che ha colpito molti ex pugili, ma anche giocatori di football e lottatori.
Colpire qualcuno in testa a mani nude è rischioso — per chi colpisce. La scatola cranica è dura, piena di angoli ossei resistenti. Il pugno umano, al contrario, è fragile: le fratture alla mano (note anche come Boxer's fracture) sono frequenti nei combattimenti a mani nude.
Di conseguenza, prima dell’introduzione dei guantoni nel pugilato moderno (fine '800), i pugili a mani nude adottavano stili molto diversi: colpi più al corpo, posizioni più protettive, meno combinazioni alla testa. I match duravano molto più a lungo, spesso venivano decisi ai punti o per abbandono, non per KO.
Nel pugilato bare-knuckle (a mani nude), il KO non era lo scopo primario. I pugili combattevano con più cautela, si esponevano meno, usavano di più la strategia. I colpi alla testa c'erano, certo, ma erano più selettivi e meno devastanti. Le lesioni erano più visibili e sanguinose, ma i danni interni al cervello erano in media inferiori a quelli subiti oggi dagli atleti che ricevono centinaia di colpi alla testa protetta solo da una spugna.
Non necessariamente. Nessuno propone seriamente di abolire i guantoni nel pugilato sportivo. La provocazione di Rogan serve a evidenziare una verità scomoda: la moderna estetica della sicurezza può ingannare. Un pugile con guantoni sembra protetto, ma la realtà neurologica racconta un’altra storia.
La soluzione non è eliminare i guantoni, ma forse cambiare il regolamento per ridurre il numero di colpi alla testa, favorire l’arbitraggio più rapido, migliorare le protezioni e — soprattutto — istituire protocolli medici obbligatori, come le pause forzate dopo un KO o una commozione.
Un’ultima considerazione: Rogan (e molti esperti di autodifesa) sottolinea che in un combattimento reale, colpire a mani nude può essere pericoloso anche per chi lo fa. Ma non solo: un vero scontro non sportivo è imprevedibile, spesso letale. Per questo la strategia più intelligente rimane sempre la de-escalation o la fuga. La forza bruta è sempre l’ultima opzione.
Joe Rogan non dice che combattere a mani nude sia meno doloroso o meno violento. Dice che potrebbe essere paradossalmente più sicuro, perché induce cautela, limita i colpi alla testa e riduce il rischio di lesioni cerebrali a lungo termine. Non è un invito a tornare indietro nel tempo, ma un invito a riflettere su quanto davvero sicuro sia uno sport in cui si può colpire alla testa senza conseguenze immediate.
Un pugno ben assestato con un guantone può non far sanguinare, ma può cambiare una vita.
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