Il
Cha no yu (茶の湯,
"acqua calda per il tè"), conosciuto in Occidente anche
come
Cerimonia del tè, è un
rito sociale e spirituale praticato in Giappone, indicato anche come
Chadō
o
Sadō
(茶道,
"via del tè").
È una delle arti tradizionali zen più
note. Codificata in maniera definitiva alla fine del XVI secolo dal
monaco buddhista zen Sen no Rikyū (千利休,
1522-1591), maestro del tè di Oda Nobunaga (織田信長,
1534-1582) e successivamente di Toyotomi Hideyoshi (豊臣秀吉,
1536-1598). Il cha no yu di Sen no Rikyū riprende la tradizione
fondata dai monaci zen Murata Shukō (村田珠光,
1423-1502) e Takeno Jōō (武野紹鴎,
1502-1555). La cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha (侘茶).
Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo
stili diversi e in forme diverse.
A seconda delle stagioni cambia inoltre
la collocazione del bollitore (釜
kama): in autunno e inverno è posto in una buca di forma
quadrata (爐, ro, fornace),
ricavata in uno dei tatami (畳)
che formano il pavimento, mentre in primavera ed estate è in un
braciere (furo, 風爐)
appoggiato sul tatami. La forma più complessa e lunga (茶事,
chaji) consiste in un pasto in stile kaiseki (懐石),
nel servizio di tè denso (濃茶,
koicha) e in quello di tè leggero (薄茶,
usucha).
In tutti i casi si usa in varie
quantità il matcha (抹茶), tè
verde polverizzato, che viene mescolato all'acqua calda con
l'apposito frullino di bambù (茶筅,
chasen). Quindi la bevanda che ne risulta non è un'infusione, bensì
una sospensione: questo significa che la polvere di tè viene
consumata insieme all'acqua. Per questo motivo e per il fatto che il
matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la
bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva e viene
ancora utilizzata dai monaci zen per rimanere svegli durante le
pratiche meditative (zazen, 坐禅).
Il tè leggero usucha, a seguito dello sbattimento dell'acqua col
frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma
di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona con i
colori della tazza.
«Il cuore della cerimonia
del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè;
disporre il carbone in modo che riscaldi l'acqua; sistemare i
fiori come fossero nel giardino; in estate proporre il freddo; in
inverno il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la
pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione.»
|
(Sen no Rikyū) |
L'origine di una cerimonia formale che
accompagnasse e regolasse il consumo del tè è sicuramente cinese.
Anche questo evento, come la stessa scoperta del tè, è tuttavia di
difficile datazione. Si può però presumere che l'esigenza della
formazione di un cerimoniale sia correlata alla notevole diffusione
di questa bevanda nelle classi aristocratiche durante la dinastia
Song (960-1279), anche se il Canone del tè, il Chájīng (茶経,
nel sistema pinyin), redatto da Lù Yǔ (陸羽,
733-804), è databile intorno al 758.
Sempre al periodo della dinastia Song
si può far risalire la diffusione nei monasteri del buddhismo chán
(禅宗, chán zong) dell'uso
collettivo di bere da una singola tazza del tè di fronte a una
statua di Bodhidharma (菩提達磨,
483-540). La bevanda del tè, contenendo infatti una buona dose di
caffeina, era un valido sostegno alle estenuanti pratiche meditative
dello zuòchán (坐禅),
proprie delle scuole del buddhismo chán.
Una leggenda, nata in ambito chán,
attribuisce allo stesso leggendario fondatore di questa scuola,
Bodhidharma, la "generazione" della pianta del tè: questi,
addormentatosi incautamente durante lo zuòchán, al momento del
risveglio si strappò le palpebre per impedire nuovamente
l'assopimento e le gettò via. Da queste nacquero le prime piante del
tè. È comunque comprensibile che in un ambito fortemente normativo
della vita quotidiana, come quello dei monasteri chán, dove ogni
momento della quotidianità veniva formalizzato ai fini
dell'esercizio della presenza mentale, anche il consumo di tè
seguisse delle precise regole di condotta.
In Giappone la pianta del tè, nel suo
utilizzo matcha, fu importata dal monaco tendai Eisai (栄西,
1141-1215) che, nel 1191, riportò da un suo pellegrinaggio in Cina
sia gli insegnamenti chán Línjì (臨済,
in giapponese Rinzai) del ramo Huánglóng (黃龍,
in giapponese Ōryū), sia alcune piante di tè. Così nel 1282 si
tenne nel tempio Saidai-ji (西大寺)
di Nara il primo Ōchamori (大茶盛),
in cui venivano evidenziati gli aspetti spirituali della Cerimonia
del tè.
Tuttavia la pratica mondana del Tōcha
(闘茶), passatempo
aristocratico fondato su sfarzose gare in cui i partecipanti dovevano
indovinare il luogo di origine delle foglie di tè che consumavano,
prevalse presto in Giappone sull'Ochamori e la decadenza spirituale
della pratica del tè legata ai principi chán e zen seguì tutto il
XIV e XV secolo.
Fu il monaco zen rinzai Murata Shukō
(村田珠光, 1423-1502) a
elaborare, sotto la guida del maestro Ikkyū Sōjun (一休宗純,
1394-1481) il cerimoniale del chadō. Ikkyū Sōjun rivestiva in
quegli anni il ruolo di abate dell'importantissimo monastero zen
rinzai, il Daitoku-ji (大徳寺)
di Kyōto.
Il chadō di Murata Shukō e Ikkyū
Sōjun si fondava sul principio di "leggere il Dharma del Buddha
anche nella bevanda del tè", eliminando ogni ostentazione di
ricchezza tipica della cerimonia del tōcha e riportando la cerimonia
del tè in un ambito di semplicità e sobrietà.
Nel 1489 l'ottavo shōgun del clan
Ashikaga, Yoshimasa (足利義政,
1435-1490), dopo essersi ritirato dall'incarico di governo, si
trasferì in una villa-tempio fatta da lui costruire nel 1473 a
nord-est di Kyōto, residenza denominata Jishō-ji (慈照寺)
e conosciuta anche come Ginkaku-ji (銀閣寺,
"Padiglione d'argento"). Yoshimasa trascorse in questa
villa il resto dei suoi giorni, promuovendo incontri di poesia e di
arti tradizionali. Venuto a conoscenza del cha no yu elaborato da
Murata Shukō, lo invitò a mostrargli le nuove regole cerimoniali.
Affascinato dalla nuova arte
tradizionale zen, Yoshimasa divenne subito un attivo promotore della
Cerimonia del tè. Per questa ragione il Ginkaku-ji è considerato,
tradizionalmente, il luogo di nascita del cha no yu. Murata Shukō fu
anche il primo ad accentuare l'impronta di semplicità di questa
cerimonia, a cominciare dall'oggettistica, che riprende forme della
stessa cultura contadina. Fu lui a ideare il chashaku (茶杓)
in bambù e a ridurre la stanza del tè a quattro stuoie (tatami) e
mezza, in modo da diminuire gli utensili. Fu sempre Murata Shukō a
esporre dei rotoli che riportavano disegni o scritture (kakemono, 掛物)
dei maestri zen all'interno della stanza e a privilegiare gli oggetti
carichi di tempo rispetto a quelli di nuova fattura (concezione dello
hiesabi, ひえさび).
Con la morte di Murata Shukō, avvenuta
nel 1502, la pratica del chadō ebbe un arresto di alcuni decenni,
determinato anche dalle feroci guerre civili. Occorre aspettare un
altro monaco zen, Takeno Jōō (武野紹鴎,
1502-1555), allievo dei discepoli di Murata Shukō, Sochin e Sogo,
perché lo sviluppo della cosiddetta "via del tè"
riprendesse. Takeno Jōō gettò le basi della concezione wabi-cha
(侘茶), studiando con Sochin e
Sogo sia la poesia waka (和歌)
sia la "via dell'incenso" (in giapponese 香道,
Kōdō). Modificò il cha no yu eliminando gli scaffali per gli
utensili e disponendo questi ultimi direttamente sui tatami e
utilizzando solo legno grezzo per il tokonoma (床の間).
Takeno Jōō ideò anche l'usanza di porre il ro (il focolare sopra
il quale veniva poggiato il bollitore per l'acqua per il tè)
direttamente nella stanza della cerimonia, ereditando questa usanza
dalla cultura contadina.
Terzo grande maestro del tè fu un
altro monaco zen, Sen no Rikyū (千利休,
1522-1591), che iniziò lo studio del cha no yu a diciassette anni
con il maestro Kitamuki Dochin (北向道陳,
1504-1562), divenendo due anni dopo diretto discepolo di Takeno Jōō,
a cui rimase vicino per i successivi quindici anni. Dal 1578 al 1582,
Sen no Rikyū ricoprì l'incarico di funzionario dello shōgun (将軍)
Oda Nobunaga e, dopo la morte, probabilmente per seppuku (rituale del
suicidio), di questo shōgun, ricoprì lo stesso incarico per il suo
successore, Toyotomi Hideyoshi.
Tra il nuovo shōgun e il maestro del
tè nacque subito un rapporto di rispetto reciproco, che consentì la
diffusione di questa pratica nell'ambiente dei samurai e persino
presso la corte imperiale, dove nel 1585 il monaco Sōeki (宗易)
(questo era il nome religioso di Sen no Rikyū, il suo precedente
nome laico era Yoshirō) ottenne la possibilità di organizzare un
incontro del tè. Nel 1587, sempre con l'aiuto di Toyotomi Hideyoshi,
Sen no Rikyū organizzò un'importante riunione sulla Cerimonia del
tè presso il Kitano Tenman-gū (北野天満宮,
un tempio shintoista a Kamigyō-ku nei pressi di Kyōto), invitando
centinaia di persone di ogni estrazione sociale e consentendo ai meno
abbienti l'utilizzo del più economico riso tostato al posto del tè.
Il grande ricevimento del 1587 fu uno degli ultimi episodi
dell'amicizia tra lo shogun Hideyoshi e il maestro del tè. Da quel
momento l'amicizia si incrinò e tuttora non si conoscono i veri
motivi del dissapore tra i due, che si conclusero nel 1591 nel
drammatico ordine dello shōgun Hideyoshi a Sen no Rikyū di compiere
lo seppuku (切腹).
Tra le ragioni che all'epoca furono
adombrate vi erano l'accusa, rivolta a Sen no Rikyū, di aver posto
nel tempio Daitoku-ji una propria statua all'ingresso di modo che
persino lo shōgun vi dovesse passare sotto. Un'altra accusa
riguardava il fatto di essersi arricchito con la compravendita di
oggetti per la Cerimonia del tè. Ambedue le accuse si mostrarono
presto infondate e di certo lo stesso Hideyoshi ebbe motivo di
ricredersi se, a distanza di due anni dal tragico evento, decise di
riabilitare con tutti gli onori la famiglia di Sen no Rikyū.
Toyotomi Hideyoshi nominò erede del maestro del tè da lui costretto
al suicidio proprio Furuta Oribe (古田織部,
o Furuta Shigenari, 古田重然,
1545-1615), l'unico degli allievi di Sen no Rikyū a rendergli
pubblicamente omaggio nel momento della sua maggiore disgrazia. Lo
stesso Oribe fu poi costretto al seppuku nel 1615 da un altro shōgun,
Tokugawa Ieyasu (徳川 家康,
1542-1616).
Erede di Oribe fu Kobori Enshu (小堀遠州,
anche Kobori Masakazu, 小堀政一,
1579-1647), che diffuse il cha no yu presso l'aristocrazia
giapponese, fondando il lignaggio della scuola di cha no yu
(denominata Oribe-ryū, 織部流).
L'eredità della casa di Sen no Rikyū
fu assegnata invece a suo genero, Shōan Sōjun (少庵宗淳,
1546-1614), a cui seguì il figlio Genpaku Sōtan (元伯宗旦,
1578-1658). Fu Genpaku Sōtan a rivalutare l'ideale wabi della
Cerimonia del tè e il suo stretto legame con lo zen del tempio
Daitoku-ji, fondando le basi del cha no yu insegnato dalla famiglia
Sen.
Genpaku Sōtan divise nel suo
testamento i beni immobili fra tre dei suoi quattro figli, essendo il
primogenito Sosetsu deceduto nel 1652. Il gruppo delle case
principali della famiglia Sen fu diviso tra il terzogenito Koshin
Sōsa (江岑 宗左,
1613-1672), che ebbe la parte anteriore (Fushin-an, 不審庵)
e il quartogenito Sensō Soshitsu (仙叟宗室,
1622-1697) che ebbe la parte posteriore (Konnichini-an, 今日庵).
Al secondogenito, Ichiō Sōshu (一翁宗守,
1593-1675), che si era allontanato dalla famiglia per un certo
periodo di tempo, fu assegnata una abitazione situata su una strada
vicina, Mushanokoji, denominata Kankyu-an (官休庵).
Da ciascuno di questi figli di Genpaku Sōtan ebbe origine una
differente scuola di cha no yu, che si affianca a quella che ha
origine da Furuta Oribe (Oribe Ryū): da Koshin Sōsa ha origine la
scuola Omotesenke (表千家),
da Sensō Soshitsu ha origine la scuola Urasenke (裏千家)
e da Ichiō Sōshu, la Mushanokōjisenke (武者小路千家).
Tutte e tre le scuole sono a tutt'oggi esistenti.
La Cerimonia del tè è qualcosa che va
molto al di là della semplice preparazione di una bevanda. È forse
l'espressione più pura dell'estetica zen, tanto che un adagio
giapponese dice: cha zen ichimi (茶禅一味),
cioè "tè e zen un unico sapore.
Entrando nella stanza da una
porticina bassa (nijiriguchi, 躙口)
che costringe a piegarsi in segno di umiltà, l'ospite entra in uno
spazio piccolo, a volte minimo, dove equilibrio e distacco dal mondo
sono procurati da gesti che richiamano costantemente la presenza
mentale in un ambito di naturalezza e spontaneità, in una sequenza
di interazioni codificate e circondata da oggetti semplici ma di
grande forza espressiva.
La stanza, detta chashitsu (茶室),
può essere anche di pochi tatami, le finestre sono schermate e la
luce filtra sommessa conferendo un alone di particolare fascino a
ogni elemento. Da un lato c'è il tokonoma, una piccola nicchia in
cui è appeso uno scritto eseguito da un calligrafo esperto di shodō
e una piccola composizione simile all'ikebana (生花)
particolarmente adattata alla circostanza e con grande coerenza con
la stagione in corso, detta chabana (茶花),
cioè "fiori per il tè". Il tokonoma ha da un lato un
pilastro, detto toko-bashira (床柱),
formato da un palo di legno appena sgrossato, a cui di solito è
appeso il chabana costituito da un piccolo vaso e spesso un unico
fiore, in modo che tutta l'attenzione sia attratta dalla sua
bellezza.
Il particolare significato che viene
attribuito al cha no yu si percepisce anche dal fatto che per
indicare l'atto del preparare il tè si usa il verbo tateru, che
solitamente ha il significato di "celebrare" e non il più
normale suru (為る), cioè
"fare" o "eseguire". Dopo che gli invitati si
sono accomodati, in ordine rigorosamente precostituito, con la
persona più importante (shōkyaku, 正客)
o particolarmente prediletta posta al primo posto, si apre la porta
scorrevole (shōji 障子) e
appare il teishu (亭主, "chi
prepara il tè") inginocchiato in posizione seiza (正座),
cioè con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno.
Nella forma più semplice della
cerimonia (usucha) essa prosegue con il posizionamento dei vari
utensili e con la preparazione del tè nella tazza (chawan, (茶碗).
Ogni commensale (cominciando da quello principale) viene invitato a
consumare il dolce con la formula rituale: «okashi o dōzo» (in
italiano "servitevi del dolce, prego").
Successivamente gli viene posta dinanzi
la chawan. Il primo invitato si scusa col vicino e gli chiede il
permesso di servirsi per primo: «osakini», prende la tazza la fa
ruotare per esporre lo shōmen (正面,
cioè la parte di finitura che fa da riferimento) in direzione del
teishu, dopodiché beve con brevi sorsi esprimendo il suo gradimento.
Poi pulisce il bordo della tazza e la posa dinanzi a sé. La tazza
viene ripresa dal teishu e lavata. La cerimonia procede con gli altri
ospiti, finché al termine, quando tutti hanno bevuto il tè, il
primo ospite (shōkyaku) pronuncia la frase di rito: «onatsume to
ochashaku no haiken o», cioè chiede il permesso di esaminare gli
utensili: il contenitore del tè (natsume) e il cucchiaino di bambù
(chashaku). Il permesso viene accordato e a turno gli ospiti prendono
gli utensili e li osservano attentamente. Per ultima viene osservata
la tazza, rigirandola tra le mani e chiedendo informazioni sul
maestro che l'ha creata, l'epoca e lo stile. All'ospite poi può
venir richiesto se intenda dare un nome poetico (mei) al chashaku e
lui a questo punto può citare una poesia o un verso o semplicemente
fare un riferimento alla stagione in corso. Molto indicati sono i
kigo (季語), cioè i
riferimenti stagionali contenuti nell'ultimo verso di un haiku,
quindi frasi come aki no kure ("sera d'autunno") oppure
momono hana ("fiori di pesco") e così via.
La cerimonia si conclude col teishu che
ritorna alla posizione iniziale, si inchina profondamente all'unisono
con gli ospiti e richiude la porta scorrevole. Quella descritta è la
cerimonia più semplice, cioè il servizio di usucha (tè leggero),
ma ve ne sono di assai più lunghe e complesse, come quella del
servizio di koicha (tè denso), che richiede anche utensili diversi
(chaire e kobukusa). Le varie procedure di preparazione e svolgimento
sono dette temae (手前 secondo
la scuola Urasenke; 点前 secondo
la scuola Omotesenke).
La stanza del tè è il luogo fisico
dove si svolge la cerimonia, ma è anche luogo "spirituale".
In essa sono stati trasfusi gli ideali dell'estetica zen. Ai concetti
precedenti di yūgen (幽玄) e
di sabi (寂), Sen no Rikyū
evidenziò quello di wabi (侘).
Se lo yūgen era l'incanto sottile, collegato al mistero e alla
eleganza, impossibile da trasmettere con le parole, caro agli autori
del nō (soprattutto Zeami, 世阿弥
1363-1443) e il sabi, la patina sottile del tempo che rende
gli oggetti affascinanti e ispiratori di tranquillità e armonia, il
wabi di Sen no Rikyū introdusse qualcosa di eversivo: la povertà
ricercata e il rifiuto assoluto dell'ostentazione. Sen no Rikyū
amava lo stile semplice, cioè vedeva la stanza del tè come dimora
della creatività priva di attaccamenti quindi una dimora del vuoto.
Spogliata da ogni possibile orpello, con pareti grezze e praticamente
priva di alcun contenuto che non fosse il vissuto libero dagli
attaccamenti della vita "mondana". I personaggi che si
muovono in essa sono usciti temporaneamente dal mondo e dai suoi
affanni per contemplare brevemente il vuoto. Il vissuto di mu-shin
(無心), cioè "non-mente",
quindi l'abbandonare il pensiero ruminante e giudicante per giungere
a un approccio spontaneo e totalizzante con gli oggetti e le persone
è rappresentato perfettamente dallo spazio racchiuso nella stanza
del tè. Al vuoto materiale deve corrispondere il vuoto "mentale",
inteso come vissuto di consapevolezza privo di preoccupazioni e
attaccamenti mondani. Fin dall'inizio della sua istituzione nella
stanza della Cerimonia del tè tutti dovevano entrare disarmati e
tutti erano uguali, tutti si dovevano inginocchiare e tutti dovevano
"subire" le stesse regole. È chiaro quale fosse il potere
destabilizzante di questa pratica e così Sen no Rikyū fu costretto
al seppuku in quanto un potere che viveva, come sempre, di
ostentazione e di forme vane, si sentiva minacciato dalla forza
silenziosa del maestro.
Il monaco buddhista zen Sen no Rikyū è
universalmente considerato il codificatore ultimo della Cerimonia del
tè, dopo i grandi maestri Murata Shukō e Takeno Jōō. La Cerimonia
del tè di Sen no Rikyū si fonda su quattro principi basilari a cui
fanno riferimento tutti i lignaggi scolastici che proseguono gli
insegnamenti di questo maestro del tè.
- Armonia (和, wa). Questa dimensione comprende la relazione ospite-invitato, gli oggetti scelti e il cibo servito. Queste relazioni devono riflettere il ritmo impermanente delle cose e della vita. L'effimero compreso in tutte le cose viene confermato infatti dal loro mutamento costante, ma essendo l'effimero l'impermanente, l'unica realtà in cui ci muoviamo esso assurge a realtà ultima. Ospite e invitato sono in realtà intercambiabili, in quanto agiscono coerentemente in questa dimensione di consapevolezza. Prima di offrire il tè l'ospite porge dei dolci all'invitato, a volte un pasto leggero. Tutto deve essere all'insegna della stagione in corso e al ritmo naturale della cose. Il principio dell'armonia significa dunque essere affrancati da ogni pretesa e da ogni estremismo, incamminati lungo la moderazione e la "via di mezzo" propria degli antichi insegnamenti buddhisti.
- Rispetto (敬, kei). È il riconoscimento in ogni persona, ma anche nei più semplici oggetti, della presenza di una innata dignità. Coltivare questo vissuto nella Cerimonia del tè e nella vita permette di comprendere la comunione dell'essenza di tutto ciò che ci circonda.
- Purezza (清, sei). Va immediatamente precisato che in ambito zen questo non significa discriminare tra ciò che è "puro" e quello che è ritenuto "impuro", essendo il puro e l'impuro partecipanti insieme alla realtà ultima. Spazzare la stanza del tè significa occuparsi di disporre un mondo che accolga anche il "bello" e che consenta a ciò che è "bello" di esprimersi. Questa occupazione è anche una metafora nei confronti della nostra mente e dei nostri vissuti che vanno quotidianamente "spazzati" dai vincoli mondani e dalle loro preoccupazioni, per consentirsi esperienze altrimenti non esperibili. Mentre pulisce la stanza del tè, l'ospite riordina anche se stesso.
- Tranquillità (寂, jaku). Sōshistsu Sen (千宗室), XV iemoto (家元) del lignaggio Urasenke (裏千家), così esprime questo principio: «Seduto lontano dal mondo, all'unisono con i ritmi della natura, liberato dai vincoli del mondo materiale e dalle comodità corporali, purificato e sensibile all'essenza sacra di tutto ciò che lo circonda, colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina a uno stadio di sublime serenità». L'incontro con l'altro nella Cerimonia del tè amplifica questa dimensione, come ricorda sempre il XV iemoto dell'Urasenke: «Trovare una serenità duratura in noi stessi in compagnia d'altri: questo è il paradosso».
- Chaire (茶入): recipiente per il tè da usare per il koicha.
- Chaki (茶器): recipiente per il tè. Si suddivide in due tipi: chaire e natsume.
- Chakin (茶巾): salvietta in lino per asciugare la tazza dopo averla lavata con acqua.
- Chasen (茶筅): frullino di bambù, atto a mescolare il tè in polvere (matcha, 抹茶) con l'acqua bollente.
- Chashaku (茶杓): cucchiaino di bambù, utilizzato per prendere il tè dal chaki e metterlo nella tazza (chawan).
- Chashitsu (茶室): stanza del tè.
- Chawan (茶碗): la tazza dove si beve il tè nella Cerimonia del tè.
- Fukusa (袱紗): fazzoletto di seta utilizzato per pulire il chashaku e il chaki.
- Fukusa-basami (袱紗ばさみ, anche 帛紗ばさみ): astuccio in cui ogni ospite ripone il necessario (kaishi e kashi-yōji).
- Furo (風炉): braciere appoggiato sul tatami, in uso da maggio a ottobre.
- Futaoki (蓋置): appoggio per lo hishaku.
- Gotoku (五徳): treppiede di ferro su cui poggia il kama all'interno del ro.
- Hashi (箸): bacchette di legno utilizzate dall'invitato per servirsi il cibo o i dolci.
- Hibashi (火箸): grandi bacchette in metallo utilizzate per disporre i carboni nel braciere (furo o ro).
- Higashibon (干菓子盆): vassoio per dolci secchi (higashi, 干菓子) utilizzati nella cerimonia usucha.
- Hishaku (柄杓): mestolo di bambù utilizzato per prendere l'acqua bollente o fredda.
- Kaishi (懐紙): fogli di carta utilizzati dall'invitato come tovaglioli.
- Kashi-yōji (かしようじ): piccolo coltello di metallo per tagliare i dolci.
- Kama (釜): bollitore per l'acqua.
- Kensui (建水): recipiente per l'acqua di lavaggio.
- Kobukusa (古帛紗): piccolo fazzoletto su cui appoggiare la chawan.
- Koita (小板): tavoletta di legno posta alla base del furo.
- Kuromoji (黒文字): piccolo bastoncino di legno, a punta, con cui l'invitato si serve per prendere i dolci.
- Mizusashi (水差): recipiente per l'acqua fredda.
- Natsume (棗): recipiente laccato per il tè da usare per la cerimonia usucha.
- Ro (炉): buca quadrata in cui si pone la kama, in uso da novembre ad aprile.
- Sensu (扇子): ventaglio che viene usato per lo più come segna posto.
- Shifuku (仕覆): sacchetto di broccato entro cui si ripone il chaire.
- Shōmen (正面): punto grafico o segno della parte esterna della chawan che fa da riferimento per orientarla.
- Tatami (畳): stuoie che compongono il pavimento della chashitsu.
Frasario
Elenco di brevi frasi in giapponese da
utilizzare durante il cha no yu
Romanizzazione |
Italiano |
Uso |
Arigatō gozaimasu |
Grazie infinite |
|
Chōdai itashimasu |
Lo accetto umilmente |
Prima di prendere il tè e nel caso di accettazione di un dono |
Dozō |
Prego |
|
Gomen kudasai |
Mi scusi |
|
Hai |
Sì |
|
Haiken wo |
Posso vederlo? |
|
Hajimemashite |
Sono felice di incontrarla |
All'inizio della cerimonia |
Ikaga desu ka |
Come sta? |
|
Itadaki masu |
Lo accetto |
Simile a chōdai itashimasu, ma riferito al cibo |
Kekkō desu |
"Molto bene!" o anche "Ne ho avuto abbastanza" |
Nel caso di un complimento o come gentile rifiuto |
Konnichiwa |
Buongiorno |
|
Nan desuka |
Che cos'è questo? |
|
Omatase shimashita |
Mi perdoni per l'attesa |
|
Onegai shimasu |
Le chiedo umilmente |
Nel caso in cui si richiede un favore |
Osakini |
Mi perdoni se inizio prima di lei |
È la frase che l'invitato pronuncia nei confronti di chi viene
servito dopo di lui |
Oshōban itashimasu |
Prendo parte alla cerimonia |
Viene detto all'invitato che ci precede |
Sayōnara |
Arrivederci |
|
Shitsurei shimashita |
"Mi perdoni" oppure "Mi scusi per la mia
rudezza" |
|
La diffusione del principio del
wabi-cha di Sen no Rikyū sconvolse anche l'arte della ceramica
giapponese. Le ceramiche finissime di origine cinese furono scalzate
rapidamente da quelle di apparenza rozza che incarnavano l'ideale
estetico di semplicità e povertà che il maestro intendeva
affermare. Tutto iniziò quando a un certo Chōjirō (長次郎,
1515-1592), operaio, forse di origine coreana addetto alla produzione
di tegole, Sen no Rikyū chiese di realizzare una ciotola senza usare
il tornio né la sovrapposizione a spirale di un cordone di
materiale, ma semplicemente modellando la forma concava partendo da
un pezzo di argilla. Chōjirō eseguì la commissione e il risultato
fu talmente straordinario che Sen no Rikyū stesso giudicò la tazza
perfetta sia dal punto di vista estetico, poiché l'aspetto semplice
e rustico rispondeva a quell'esigenza di austerità che si
prefiggeva, ma anche da un punto di vista pratico in quanto la tazza
bassa e larga aveva una stabilità ideale ed era quindi adattissima
per l'utilizzo sul tatami senza pericolo che i numerosi spostamenti
cui era soggetta durante la cerimonia ne causassero il ribaltamento.
Anche lo shōgun Toyotomi Hideyoshi fu altrettanto entusiasta e
conferì al vasaio l'autorizzazione a fregiarsi, con tutti i suoi
discendenti, del sigillo raku (楽焼,
questo termine indica "comodo" o "maneggevole") e
da allora la sua famiglia e i suoi discendenti si fregiarono di
questo nome. Ancora oggi il quindicesimo e ultimo discendente dei
raku, Kichizaemon (吉左衛門,
1949-) produce, come i suoi antenati, tazze di grande bellezza.
Ovviamente anche altri si cimentarono
in questo tipo di produzione e così nacquero altri capolavori sempre
coerenti con i principi estetici dello zen. Fra i più noti quelli di
stile Mino, Seto, Shino e Bizen. Particolarissime le tazze con smalti
color crema e soprattutto quelle con smalto nero. Il discepolo di Sen
no Rikyū, Furuta Oribe, dette origine a una serie di pezzi
straordinari per creatività e colorazione appunto noti da allora
come stile Oribe. Spesso i vasai lasciavano colature di smalto o zone
non coperte, imperfezioni e bolle; insomma l'ideale estetico del
wabi-cha si diffuse sempre più. Malgrado le intenzioni di Sen no
Rikyū, le ceramiche che dovevano esprimere il massimo dell'austerità
e della povertà raggiunsero presto prezzi elevatissimi ed erano
assai ricercate dalle classi più agiate. Si usava persino premiare i
combattenti samurai (侍) più
valorosi donando loro pezzi particolarmente pregiati o di maestri
celebri. Ora molte di queste opere sono conservate nei musei
possedendo un valore economico spesso incalcolabile, ma anche le
opere di maestri viventi, o del recente passato, eseguite con
tecniche immutate dai tempi di Sen no Rikyū, raggiungono quotazioni
notevoli.
Le tre scuole principali della
Cerimonia del tè giapponese, secondo lo stile wabi-cha, sono state
fondate dai figli del nipote di Sen no Rikyū, Genpaku Sōtan (元伯宗旦,
1578-1658):
- Da Sensō Soshitsu (仙叟宗室, 1622-1697), la scuola Ura Senke (裏千家)
- Da Koshin Sōsa (江岑 宗左, 1613-1672), la scuola Omote Senke (表千家)
- Da Ichiō Sōshu (一翁宗守, 1593-1675), la scuola Mushanokōji Senke (武者小路千家)
Il termine Senke (千家)
si compone di: Sen (千, da Sen
no Rikyū) e ke (家, "casa"
o "famiglia") e indica quindi "Case di Sen no Rikyū".
Oltre questi tre importanti lignaggi di
insegnamento, esistono in Giappone molte altre scuole che fanno
riferimento al wabi-cha, alcune di dimensioni molto piccole, in
questo caso si indicano come ryū (流),
ovvero "stile":
- Oribe-ryū 織部流 (fondata da Furuta Oribe)
- Anrakuan-ryū 安楽庵流
- Chinshin-ryū 鎮信流
- Edosenke-ryū 江戸千家流
- Enshū-ryū 遠州流
- Furuichi-ryū 古市流
- Fusai-ryū 普斎流
- Fujibayashi-ryū 藤林流
- Fuhaku-ryū 不白流
- Fumai-ryū 不昧流
- Hayami-ryū 速水流
- Higoko-ryū 肥後古流
- Hisada-ryū 久田流
- Hosokawasansai-ryū 細川三斎流
- Horinouchi-ryū 堀内流
- Kayano-ryū 萱野流
- Kobori-ryū 小堀流
- Kogetsuenshū-ryū 壺月遠州流
- Matsuo-ryū 松尾流
- Mitani-ryū 三谷流
- Miyabi-ryū 雅流
- Nara-ryū 奈良流
- Rikyū-ryū 利休流
- Sakai-ryū 堺流
- Sekishū-ryū 石州流
- Sekishū-ryū Ikeiha 石州流怡渓派
- Sekishū-ryū Ōguchiha 石州流大口派
- Sekishū-ryū Shimizuha 石州流清水派
- Sekishū-ryū Nomuraha 石州流野村派
- Sōwa-ryū 宗和流
- Uedasōko-ryū 上田宗箇流
- Uraku-ryū 有楽流
- Yabunouchi-ryū 薮内流 (fondata da Yabunouchi Kenchū Jōchi, 藪内, vissuto tra il 1536 e il 1627 e che, come Sen no Rikyū, fu un discepolo di Takeno Jōō).
- Dainippon chadōgakkai 大日本茶道学会
- Uno dei film più interessanti sull'argomento è Morte di un maestro del tè (1989), Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia, del regista Kei Kumai, con Toshirō Mifune, Eiji Okuda, Kinnosuke Yorozuya, Go Kato e Shinsuke Ashida. Il film rende in modo perfetto l'atmosfera del mondo del tè e narra la vicenda del maestro Rikyu e le problematiche abbastanza misteriose che lo condussero al suicidio nel 1591.
- Un altro film certamente da segnalare sulla storia della cha no yu è Rikyu (1991), del regista Hiroshi Teshigahara con Rentaro Mikuni, Yoshiko Mita, Tsutomu Yamazaki e Kyôko Kishida.