martedì 28 gennaio 2020

Tumi

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I tumi erano delle sorte di coltelli delle civiltà precolombiane, per la precisione dei popoli che abitavano la zona dell'attuale Perù. Sono stati ritrovati tra gli oggetti dei Sicán e degli Inca.
Erano formati da una lama a mezzaluna molto affilata attaccata ad un manico metallico spesso abbellito con figure animali o umane che venivano utilizzati durante i sacrifici o cerimoniali.
Il tumi era anche una sorta di coltellaccio, in dotazione a tutti i reparti inca e veniva considerato un'arma ausiliaria.
Era anche usato per operazioni chirurgiche (vedi Storia della chirurgia precolombiana).
Questi utensili sono stati raffigurati, dipinti o incisi, sui vasi della civiltà Mochica nel nord del Perù (III e VI secolo d.C.). In Perù si appendono ai muri perché considerati portatori di buona fortuna. Il tumi è il simbolo nazionale del Perù ed è utilizzato nella pubblicità nel settore del turismo peruviano.


domenica 26 gennaio 2020

Caestus

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Il caestus è un antico guanto da combattimento, qualche volta usato nel pancrazio. Si tratta, in sostanza, dell'equivalente nel mondo classico dell'odierno tirapugni.
La parola latina caestus (pl. caestūs) deriva dal verbo caedere, che significa colpire e non è correlata alla parola simile cestus che indica un tipo di cintura indossato dalle donne dell'Antica Grecia.
La prima versione di un caestus per combattere era costituita da una serie di cinghie di cuoio che venivano allacciate sulla mano. I greci lo usavano nei loro combattimenti corpo a corpo, nei quali l'unico risultato che contava era il fuori combattimento.
I romani ne modificarono la struttura aggiungendovi delle parti di metallo, incluse punte, borchie e placche di ferro. Delle varianti di questa arma fanno parte il myrmex, che causava molte lesioni agli arti, e lo sphairai, originariamente greco, costituito da sottili cinghie di cuoio provviste di lame taglienti.
Il caestus fu usato frequentemente nei combattimenti gladiatorii romani, dove contendenti senza altre armi - soprattutto degli schiavi – lottavano fino alla morte. Questa forma di pugilato divenne sempre più sanguinosa finché il caestus fu proibito ufficialmente nel I secolo a.C.
Il combattimento corpo a corpo fu bandito nell'anno 393. La rappresentazione più famosa del caestus nella scultura è il Pugilatore a riposo; la statua è chiamata anche Pugilatore del Quirinale, in quanto scoperta nel 1885 su un versante del Quirinale, ed è raffigurata seduta con alle mani i caestūs.
La statua si trova a Palazzo Massimo alle Terme, Museo Nazionale Romano, a Roma.


sabato 25 gennaio 2020

Utsurobune

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Utsurobune (anche Utsuro-bune) è un oggetto misterioso, simile a una nave, arrivato sulle coste giapponesi nel 1803 e descritto in alcuni testi giapponesi: Toen shōsetsu (1825), Hyōryū kishū (1835) e Ume-no-chiri (1844).
Nel libro Hyōryū kishū (diario e racconti dei naufraghi) sono descritte storie di naufraghi giapponesi su altre spiagge o di naufraghi stranieri su quelle del paese del Sol Levante. Una tra queste è proprio quella di una "straniera" la cui "nave" sarebbe approdata sulle coste della provincia di Hitachi (nell'odierna periferia di Ibaraki); i locali la descrivono come una nave cava (utsuro-bune), lunga 5,4 metri e alta 3,3 metri, di color legno di sandalo rosso e ferro, con finestre di cristallo e vetro.
Secondo la leggenda una donna attraente arrivò a bordo della nave e venne interrogata da pescatori ma la donna non parlava giapponese e i pescatori la riaccompagnarono quindi all'imbarcazione che lasciò poi la costa.
Storici, etnologi e fisici come Kazuo Tanaka e Yanagita Kunio hanno esaminato il racconto e lo hanno giudicato come versione di una più antica tradizione del folclore giapponese. In alternativa alcuni ufologi affermano che la storia mostra elementi tipici di un incontro ravvicinato del terzo tipo.




venerdì 24 gennaio 2020

Aikido: tecniche di base

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L’Aikido è una disciplina marziale nata in Giappone all’inizio degli anni trenta dello scorso secolo. Il suo fondatore, Morihei Ueshiba, si ispirò ai principi del “Budo” giapponese (disciplina basata sul concetto di “non-resistenza”) e del “Daitō-Ryū Aikijūjutsu” (combattimento “senza armi” praticato nel periodo feudale giapponese). Grazie però alle influenze della religione Ōmoto-kyō, Ueshiba arrivò a sviluppare un concetto di “applicazione pratica” dei doni provenienti dalla natura proprio attraverso le tecniche dell’Aikido. Il significato dei termini giapponesi è il seguente: “Ai” vuol dire “unione”, “Ki” esprime l’idea del “soffio vitale” e “Do” significa “percorso”. Traslitterando in italiano i termini, la parola Aikido prende quindi il significato di “percorso verso l’unione col soffio vitale”. In questa guida analizzeremo le tecniche di base di questa disciplina che sta avendo, in questi anni, una grande diffusione in tutto il mondo.
Iniziamo dalla difesa in cui si utilizzano principalmente schivate, sbilanciamenti e distanze. In questa fase, tutti gli eventuali “colpi” inferti, servono solamente a distrarre l’avversario e non sono mai portati a termine. Le principali tecniche difensive dell’Aikido comprendono sia proiezioni (i nage-waza), sia immobilizzazioni (i katame-waza). Tra le proiezioni, ricordiamo per prima la “shiho-nage”. Questa tecnica consiste nel ruotare il corpo facendo perno su di un piede, “tagliando” in una delle quattro possibili direzioni. È considerato un po’ il movimento “base” dell’Aikido ed è fondamentale per imparare tutte le altre mosse. La seconda proiezione è denominata “irimi-nage”. L’obiettivo è di uscire dalla linea di attacco dell’avversario ed entrargli successivamente dal fianco, lanciandolo a terra. L’ultima tecnica di proiezione è chiamata “kote-gaeshi” e consta in una torsione esterna del polso dell’avversario che viene così scaraventato a terra. L’immobilizzazione più importante è la “ikkyo”, con cui si tiene l’avversario a terra facendo pressione su di un gomito senza piegargli il braccio. Data la sua importanza, la “ikkyo” viene anche denominata “prima tecnica”. Vi è poi la “nikyo”, una immobilizzazione praticata con una torsione sul polso, tendendo poi il braccio precedentemente piegato. Le ultime tecniche sono la “sankyo”, attraverso cui si torcono sia il braccio, sia il polso, ed infine la “yonkyo” in cui l’immobilizzazione avviene con una pressione di un particolare punto del braccio.
L’attacco comprende molti colpi e prese. I colpi principali sono il “shomenuchi”, un colpo verticale dall’alto verso il basso alla testa, lo “yokomenuchi”, colpo sempre inferto alla testa o al collo ma partendo da un punto laterale all’avversario ed il “munetsuki”, cioè un pugno. Tra le prese più importanti possiamo citare il “ryotetori”, una presa effettuata con entrambe le mani e il “katatori” una presa fatta alla spalla dell’avversario. Nell’Aikido possono anche essere impiegate delle armi: il “tanto” (cioè il pugnale), il “jo” (bastone) ed il “bokken” (la caratteristica spada di legno). Quando si combatte con il “tanto”, si utilizzano le tecniche illustrate prima (valide per scontri a mani nude). L’importante è che alla fine del combattimento, l’avversario non abbia più in mano il suo pugnale. Con il “jo” si possono usare (in aggiunta alle precedenti) le tecniche del “choku tsuki” (una entrata con l’obiettivo di sferrare un colpo all’addome), del “kaeshi tsuki” (un colpo inferto alla tempia facendo ruotare il bastone) e la “furi komi” (colpire l’avversario alla gola). Gli attacchi che si possono fare con il “bokken” sono invece l’”hume no tachi” (rapido movimento dal basso verso l’alto), ed il “matsu no tachi” (dall’alto verso il basso).
Nell’Aikido è poi molto importante il saluto iniziale tra i due combattenti. Viene fatto per dimostrare il grande rispetto che si ha per l’avversario e per la tradizione di questa nobile disciplina. Molti lo utilizzano anche per trovare la concentrazione necessaria ad iniziare il combattimento, lasciando da parte tutte le distrazioni che potrebbero “inficiarne” il risultato. Per imparare bene le tecniche di questa arte marziale è importantissimo un allenamento costante e di buona qualità. Solitamente ci si allena a coppie, dove una persona sferra l’attacco (“uke”) e l’atra (“nage”) tenta di difendersi. Scambiandosi reciprocamente i ruoli, sotto il costante monitoraggio di un maestro, gli aspiranti aikidoisti possono apprendere le varie tecniche di attacco e difesa, senza mai perdere di vista il fondamento di questa disciplina: individuare un personale percorso verso l’unione col proprio soffio vitale e con tutta la creazione.


giovedì 23 gennaio 2020

Judo: tecniche di colpo

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Il Judo è un' arte marziale di difesa nata nella fine dell'800 in Giappone, che richiede una grande forza sia fisica che mentale. Gli addestramenti portano ad una perfetta conoscenza dell' Io, fino ad ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Questa disciplina si suddivide in tre grandi gruppi, NAGE WAZA (tecniche della proiezione), KATAME WAZA (tecniche di controllo) e ATE WAZA (tecniche per colpire), anche se quest'ultima non è consentita nei combattimenti sportivi e, addirittura, nell'antichità non veniva insegnata ai principianti, poiché la sua finalità era quella di andare a colpire organi vitali. Con gli approfondimenti odierni, l'ATE WAZA può essere integrato negli allenamenti solo dopo aver trovato il giusto equilibrio tra le altre due tecniche e dopo aver perfezionato i colpi d'attacco con tutti gli arti. Nella pratica di questa antica disciplina, si distinguono due figure: Tori (colui che esegue il movimento) e UKE (il bersaglio su cui migliorare la tecnica). Di seguito troverete alcune metodologie sulle tecniche di colpo .
L' ATE WAZA si divide in due gruppi: UDE-ATE (colpi con gli arti superiori) e ASHI-ATE (colpi con arti inferiori). Questi due gruppi si suddividono a loro volta a seconda della parte utilizzata per attaccare. Per la parte superiore: YUBI-SAKE-ATE (punta delle dita), KOBUSHI-ATE (il pugno), TEGATANA-ATE (con il taglio della mano), HIJI-ATE (il gomito) e per la parte inferiore: HIZAGASHIRA-ATE (ginocchio), SEKITO-ATE (la pianta del piede) e KAKATO-ATE (il tallone).
Come visto prima, in questa tecnica si utilizzano molte parti del corpo per colpire l'avversario, bisogna però fare attenzione che, dopo ogni colpo effettuato, l'arto in questione torni alla posizione iniziale; in caso contrario, infatti, il vostro attacco non risulterà efficace. Si possono utilizzare diversi metodi sia con UKE in piedi, sia a terra. Tra le varie modalità riscontriamo UTO: colpire l'avversario tra gli occhi usando il pugno, con la sua sommità, o con il suo fianco. JINCHU: picchiare con il pugno o il gomito sotto il naso. KASUMI: battere con il taglio della mano sulla tempia, colpo che, qualora venisse eseguito correttamente, comporta lo svenimento dell'avversario. TSURIGANE: colpire con un calcio, o una ginocchiata, le parti basse di UKE. MYOJO: impattare violentemente con un calcio appena sotto l' ombelico. DENKO e TSUKIKAKE: con un calcio di precisione, colpire subito sotto l'ultima costola destra o sinistra. SUIGETSU: assestare un colpo subito sotto lo sterno (plesso solare) con il pugno, il gomito o un calcio frontale, facendo attenzione a sollevare le dita del piede al momento dell'impatto per colpire con la pianta.
Queste sono tecniche molto complicate che, come tali, hanno quindi bisogno di tanto allenamento e di parecchia concentrazione. Per questo, consigliamo di rivolgersi a persone esperte che possano seguirvi nel modo giusto. Detto ciò, buon allenamento (Yoi torēningu)!.











mercoledì 22 gennaio 2020

Arti marziali cinesi: stili di combattimento

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Quando si parla di arti marziali cinesi, ci si riferisce a quell'insieme di stili di combattimento, eredità e patrimonio del popolo cinese, che nel corso dei secoli ha sviluppato in questo settore, una tradizione tale, da identificare nella pratica di questi metodi di combattimento e difesa, un vero e proprio emblema del popolo orientale. In questo post andremo ad analizzare nello specifico i vari stili di combattimento che costituiscono le arti marziali cinesi.
L'insieme delle arti marziali, viene comunemente chiamato Wushu, e all'interno di questo grande gruppo, è stata effettuata una suddivisione tra le differenti scuole di combattimento; si parla spesso infatti di stili interni e stili esterni. I primi sono quelli che prediligono una tecnica finalizzata alla difesa e ai colpi effettuati sui punti vitali, i secondi invece convogliano i propri sforzi in una manovra aggressiva ed impetuosa, votata all'attacco frontale. Tra gli stili di combattimento maggiormente diffusi troviamo il Tai Ji Quan, una forma di lotta, appartenente al gruppo degli stili interni, basata sul controllo dell'avversario secondo i principi Taoisti dell'alternanza tra Yin e Yang. In questo tipo di lotta, viene particolarmente ricercata la fluidità del movimento ed evitato il contrasto.
Tra gli stili esterni ricordiamo lo Shaolinquan, uno dei più antichi e famosi delle arti marziali cinesi. Questo stile praticato dai monaci del tempio di Shaolin, ha influenzato gran parte degli stili successivi ed è caratterizzato da tecniche circolari ed esplosive sulla lunga distanza. A proposito di Shaolin, dal tradimento del monaco Pak Mei al monastero di Shaolin, nacque il Baimeiquan, uno stile improntato su rapide scivolate all'interno della guardia avversaria e colpi mirati alle articolazioni al fine di destabilizzare la guardia avversaria.
Altro stile molto conosciuto e rispettato tra gli esperti di arti marziali cinesi è il Bajiquan, che nella traduzione letterale significa boxe delle 8 direzioni, e che è caratterizzato da calci bassi, posizione bassa e calci esplosivi. Ecco dunque riportati alcuni tra i maggiori stili di arti marziali cinesi. Non possiamo riportarli tutti, in quanto sono centinaia, tra stili, e vere e proprie correnti che da essi si diramano, ma una cosa li accomuna, la profonda spiritualità ad essi connessa, la ricerca della perfezione spirituale e tecnica, e il rispetto dell'avversario che si ha di fronte. Sono questi i fondamenti che costituiscono la tradizione delle arti marziali cinesi, sviluppatesi secondo le prime testimonianze nell'anno 728 come esigenza di legittima difesa, addestramento militare e caccia, e giunto ai nostri giorni come elemento caratterizzante della cultura cinese

martedì 21 gennaio 2020

Waidblatt

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Il Waidblatt è un grosso coltello da caccia, disegnato per assolvere la funzione di coltello da caccia, coltello da fascina, paloscio e Praxe. Il coltello ha una lunghezza di circa 30 cm, largo e pesante, con lama leggermente smussata o arrotondata. Può essere usato nella caccia grossa.
Il Waidblatt può essere usato per la caccia direttamente solo da persone esperte.
In combinazione con un coltello nicker viene conosciuto come Waidbesteck.


domenica 19 gennaio 2020

Yamato-damashii

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Lo Yamato-damashii (Giapponese 大和魂) è un termine della lingua giapponese che indica un concetto spirituale originario del Giappone antico rappresentante l'orgoglio e la persistenza del popolo del Giappone di fronte ad un grave pericolo.
Il termine fu coniato nel periodo Heian per descrivere lo spirito innato del popolo indigeno del Giappone o i suoi valori culturali in opposizione a quelli delle nazioni straniere quali quelli conosciuti attraverso il contatto con la Cina della dinastia Tang . Più tardi, si venne ad esprimere col termine un contrasto qualitativo tra spirito cinese e giapponese. Durante il periodo Edo, scrittori e samurai lo usarono per sottolineare e promuovere i concetti di onore e valore tipici del Bushido. i promotori del Nazionalismo giapponese propagandarono lo ''Yamato-damashii'' – "il coraggioso, audace, indomito spirito del popolo giapponese" – come una delle chiavi della dottrina politico militare del periodo Shōwa. In Occidente ''Yamato-damashii'' viene per lo più tradotto come Spirito giapponese, Anima giapponese, spirito Yamato , o L'anima dell'Antico Giappone.

Origine
La locuzione usa il nome della antica provincia di Yamato, sede dei primi Imperatori, usata per indicare per sineddoche l'intero Giappone
Originalmente ''Yamato-damashi'' non veicolava una ideologia pesantemente orientata in senso militare che divenne più tardi abitualmente associata al termine nel moderno Giappone prebellico. Appare per la prima volta nel capitolo 21 Otome(乙女) del ''Romanzo di Genij'' come una virtù innata che fiorisce soprattutto - e quindi non in contrasto con una civiltà straniera - in coloro che sono stati educati nella cultura cinese (confuciana).
''No, la miglior cosa è fornirgli un solido fondamento di cultura. Dove si trova una solida base di cultura cinese (zae ), là lo spirito del Giappone (yamato-damashii 大和魂) è rispettato nel mondo'' (Murasaki Shikibu, ''Romanzo di Genij'')


sabato 18 gennaio 2020

Arti Marziali: le parate

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Nelle arti marziali, le parate rappresentano l'azione di bloccare i colpi dell'avversario per la propria tutela. Una parata è essenzialmente costituita dall'opposizione di un braccio o una gamba ad un colpo di attacco eseguito dall'avversario. Proprio come per i colpi di attacco o difesa, anche le parate hanno molti stili e tipologie e, a seconda che si tratti di karate o di altre arti marziali, anch'esse assumono nomi e termini molto differenti.
Una parata è sempre una vera e propria risposta ad un attacco. Si tratta quindi di una reazione quasi spontanea che tutti siamo portati ad effettuare nel momento in cui qualcuno cerca di colpirci. Nelle arti marziali si sfrutta questo riflesso mettendo in pratica dei colpi decisamente mirati. Si tratta di un colpo non preventivo ma specifico, perché si esegue in funzione del colpo che si rischia di ricevere, in base alla traiettoria dell'attacco e alla distanza dall'avversario. Ultima, ma non meno importante caratteristica, è l'intercettazione dell'attacco. La mossa di difesa deve infatti avvenire a metà strada tra la partenza dell'attacco e l'arrivo sul bersaglio.
Per eseguire una parata che risulti efficace, hai bisogno di essere preciso, in modo da andare ad impattare sull'arto dell'avversario in maniera netta e decisa, impedendogli di mettere a segno il colpo. Un'altra caratteristica essenziale è la velocità, che ti permette di intervenire tempestivamente con migliori risultati. Qualunque sia la disciplina orientale, la cosa certa e uguale per tutte è che, per ottenere ottimi risultati è necessario un allenamento lungo e costante. Si tratta infatti di tanti colpi diversi da usare in base alle diverse situazioni. Non si tratta solo di eseguire bene il colpo, ma soprattutto di capire, nel giro di frazioni di secondo, quale usare e metterlo a segno.
Generalmente le parate prendono il nome di Uke, ragion per cui si associa questo termine ad altri che ne specificano meglio il tipo. Per esempio, nel k arate troviamo la parata Soto-uke che è la parata dall'esterno all'interno. Per eseguirla in modo efficace, devi parare in avanti in modo da intercettare il colpo in arrivo, così da riuscire ad occupare la parte centrale e deviare il colpo, senza però esagerare, per non rischiare di dare all'avversario l'opportunità di dare vita ad un altro colpo. Il Gedan-barai comprende le parate discendenti a mani chiuse, mentre la Mawashi-uke è la parata circolare.  Ricorda che, qualunque sia il tipo di parata a cui scegli di ricorrere, dovrai sempre fare attenzione a sfruttare la forza di tutto il corpo. Devi perciò assumere una posizione che sia ben stabile e bassa, per poter sfruttare l'energia trasmessa dalla pressione dei piedi poggiati a terra. Se usi le braccia devi sfruttare una buona rotazione del polso al momento dell'impatto, perché ti aiuterà ad allontanare l'arto avversario. Anche la respirazione è molto importante perciò, se accompagnerai il colpo con l'espirazione, gli darai maggiore energia.


venerdì 17 gennaio 2020

Le principali arti marziali giapponesi

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Le arti marziali giapponesi sono moltissime e si distinguono tanto nello scopo cui mirano quanto nella maniera per raggiungerlo. In questa guida cercheremo di capire la loro storia, le loro origini culturali e le fondamenta su cui nacquero e crebbero, in maniera tale da comprendere le principali differenze fra di esse.
Le arti marziali giapponesi si dividono in due principali categorie, in base alla loro finalitá preminente:
Al primo gruppo appartengono quelle scuole che tendono in primo luogo al miglioramento personale e secondariamente alla vittoria in combattimento (piú caratteristico delle arti marziali moderne). Gendai budo è il termine utilizzato per le scuole moderne, quelle create dopo gli anni 1866-1876, ma è anche impiegato per definire e riferirsi ad arti marziali che sono orientate all’automiglioramento. Un’ulteriore differenza viene determinata dal suffisso “do” – che significa “la via”.
Alla seconda categoria appartengono le discipline il cui scopo prioritario è la vittoria in combattimento e quello secondario il miglioramento personale. Koryu è il termine usato per definire le scuole tradizionali di arti marziali, quelle create prima degli anni 1866-1876, ma puó anche essere impiegato per identificare questo tipo di orientamento. Un’ulteriore differenza è riscontrabile nell’utilizzo del termine “jutsu”- che significa abilitá, capacitá. Alla luce di ció possiamo ulteriormente specificare che “Bujutsu” è l’arte della guerra, e “Bugei” l’arte marziale. Entrambe i termini sono usati per le arti designate specificamente alla vittoria in combattimento. Bujutsu è l’effettiva teoria sottostante l’arte marziale. Bugei invece rappresenta l’insieme delle tecniche di allenamento. “Budo”, la via delle arti marziali, viene impiegato per descrivere le arti marziali orientate all’evoluzione del sé; tutto ció che comprende la crescita personale.
Storicamente le arti marziali giapponesi si distinguono da quelle del resto del mondo tanto per ragioni geografiche (a causa dell’isolamento parziale delle isole che costituiscono il Giappone), quanto per la maniera particolare in cui le loro armi si sono evolute. Gli anni compresi fra il 646 ed il 702 furono fondamentali per il loro sviluppo. Fu in quel periodo che il governo imperiale tentó di formare un esercito organizzato, sul modello di quello cinese. In questi anni la classe guerriera era definita “samurai” e lo sviluppo delle arti marziali tutt’oggi praticate ebbe inizio con essi (a parte il sumo, che nacque come sport e non come combattimento). I primi guerrieri samurai venivano addestrati in combattimento a cavallo e tiro con l’arco. Essi iniziarono ad usare la spada come loro arma principale solo durante il Medioevo. Fu nel 14° secolo che un fabbro dal nome Masamune creó la struttura della Katana – la spada giapponese, quella che conosciamo oggi. Il fatto che i metodi di lotta giapponesi si evolverono attorno al mondo dei samurai ha due importanti implicazioni.


Bushido – “la via del guerriero” – era un codice comportamentale su cui si basava la vita dei samurai. In particolare definiva uno specifico stato mentale durante la battaglia. Tracce di tale codice mentale e di comportamento si possono ritrovare facilmente in tutte le arti marziali giapponesi.


Combattimento armato – dato dal fatto che i samurai erano protetti e coperti da un’armatura. Questi concetti hanno influenzato lo sviluppo del combattimento a mani nude. Le arti marziali giapponesi sono rinomate per i loro ”joint locks” (blocchi congiunti) e “submission holds” (prese di sottomissione). Il Jiu-jitsu è considerato la madre di tutte le discipline di combattimento a mani nude. Questa tecnica mira a risolvere la situazione in cui un samurai viene lasciato senza armi e deve affrontare un nemico armato. Il Buddismo Zen, religione e filosofia molto diffusa in Giappone, è un’altro fattore molto importante nello sviluppo delle arti marziali. Questa forma di pensiero venne adottata dai praticanti come parte fondante dello stile di vita, indipendentemente dall’evoluzione che l’arte conobbe, fosse essa orientata al combattimento come alla crescita personale.
Vediamo ora alcuni fra i principali stili delle arti marziali giapponesi. Arti moderne:
• Karate (significa svuotare la mente, sgomberare i pensieri negativi), strumento di autodifesa e filosofia di vita;
• Aikido (significa armonia dello spirito), tecnica che mira a soggiogare l’avversario attraverso il completo controllo del proprio corpo e mente;
• Kendo (significa “via della spada”) combattimento con lo Shinai, spada in bambú ed armatura Bogu;
• Judo (significa via della cedevolezza), combattimento a mani nude, teso a soggiogare l’avversario con prese. Arti tradizionali:
• Sojutsu (significa arte della lancia), combattimento con la Yari, lancia, principale arma dei fanti dell’esercito;
• Ninjutsu (significa arte dell’invisibilitá), tecniche di guerriglia, nei nostri giorni la disciplina associata ai ninja
• Ju jitsu (significa arte gentile), mira ad immobilizzare il nemico ed ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo;
• Sumo (mai concepito per il campo di battaglia), lotta corpo a corpo.










giovedì 16 gennaio 2020

Arti marziali: kung fu

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Quanti di noi, pensando alla Cina, associano a questo bellissimo paese un arte antica, che comunemente chiamiamo Kung Fu? Vi sorprenderà scoprire che in realtà in Cina questo termine non viene mai utilizzato per descrivere tale tipo di lotta, ma che il nome originario è Wu shu, termine che significa letteralmente "Arti Marziali", mentre il "kung fu" indica un'abilità che è stata appresa con fatica, e quindi può non necessariamente riferirsi al contesto in questione. In questo post potrete ritrovare qualche cenno storico del Kung fu, nonché gli aspetti tradizionali dell'arte stessa, e i diversi stili che si ritrovano nella regione.
Sembra che i natali del Wu shu kung fu affondino nel 621 a.C., quando un gruppo di monaci di Shaolin-sì parteciparono alla battaglia di Holu. Tali monaci avevano appreso un arte di combattimento che era molto diversa dalla lotta xiangpu praticata dai soldati del periodo feudale. In particolare erano noti per la destrezza con cui utilizzavano il bastone - successivamente l'alabarda - per poter attaccare e difendersi dagli attacchi avversari. Benché molti studiosi non siano convinti che questo sia il passato più remoto del Wu shu, molti continuano ad appoggiare questa tesi. Con l'arrivo delle armi da fuoco, ben presto le arti marziali furono scartate come metodo di combattimento, e vennero impiegate solo come sport o come tecniche da apprendere per l'autodifesa.
E' sicuramente doveroso dire che l'arte messa a punto dai monaci di Shaolin, e poi tramandata fino ai giorni nostri, non indica solo un tipo di tecnica, ma una serie di abilità confluite nel corso dei secoli e che hanno visto ulteriori modifiche ed aggiunte nel corso degli anni. Con Wu shu tradizionale si intende proprio questo insieme di tecniche, che ormai sono confluite nella maggior parte delle scuole cinesi per lo scopo ginnico, mentre molti istruttori continuano ad insegnarlo per delle peculiarità psicofisiche che aiuterebbero "pazienti" troppo stressati a rilassarsi e a riottenere la concentrazione giusta per affrontare la vita. Dalla differente posizione geografica - a nord o a sud del Fiume Azzurro - sembra che siano sviluppati due differenti modi di combattimento.
"Calci a nord, pugni al sud" dice un vecchio detto cinese, che si riferisce a quanto detto prima. Sembra, infatti, che durante l'andare dei secoli si siano formate due diverse scuole: quelle settentrionali infatti prediligerebbero movimenti più sciolti e sinuosi, con l'uso frequente di salti e di calci; le scuole meridionali invece preferirebbero un ridotto uso di salti, per lo più posizioni ferme e colpi decisi e statuari, con il grande impiego di pugni potenti. Due stili diversi vengono concepiti anche quando si parla di scuola "esterna" e scuola "interna". La prima sembra si riferisse alla tecnica dei monaci di Shaolin, decisamente offensiva, mentre la seconda a quella del maestro Wang Zhengnan. Si tratta comunque di confini labili che molte volte passano anche inosservati.
Il wu shu con il passare del tempo si è ramificato in una moltitudine di forme interne a se stesso, tutte diverse tra di loro per pochi tratti distintivi. Anche a livello sportivo, benché il kung fu non sia uno sport olimpionico, si può distinguere in Taolu e Sanda. L'arte marziale è, però, molto prolissa: vi invitiamo dunque a riscoprirla più da vicino, magari con un bel viaggio in Cina, o consultando il web. Dalla nostra, speriamo che il nostro post sia stato quanto più chiaro e che vi abbia fatto apprezzare il fascino del Wu shu kung fu.  

























mercoledì 15 gennaio 2020

Panna Rittikrai

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Panna Rittikrai (พันนา ฤทธิไกร, spesso traslitterato come Panna Ritthikrai), alla nascita Krittiya Lardphanna (กฤติยา ลาดพันนา) (Provincia di Khon Kaen, 17 febbraio 1961 – Bangkok, 20 luglio 2014) è stato un artista marziale, regista, attore, stuntman, sceneggiatore e coreografo delle arti marziali thailandese.
Leader della Muay Thai Stunt, è meglio conosciuto come coreografo delle arti marziali in film come Ong-Bak - Nato per combattere e The Protector - La legge del Muay Thai, e tra i responsabili del lancio di Tony Jaa a star internazionale.
Come regista ha avuto un buon successo con film come The Bodyguard - La mia super guardia del corpo (co-regia con Petchtai Wongkamlao) (2004), Born to Fight - Nati per combattere (2004), Ong-Bak 2 (co-regia con Tony Jaa) (2008), Ong-Bak 3 (co-regia con Tony Jaa) (2010) e Bangkok Knockout (2010).
Rittikrai è morto all'eta di 53 anni in ospedale a Bangkok per complicazioni al fegato e insufficienza renale il 20 luglio 2014 e prima di morire aveva scoperto che era anche affetto da un tumore al cervello.


martedì 14 gennaio 2020

Tridente

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Il tridente è un'arma inastata composta da una lancia con tre rebbi. Nato come molte armi bianche per derivazione da un utensile agricolo (la forca o forcone), fu utilizzato durante i giochi gladiatorii, dove il reziario era dotato di rete e tridente (che in questo caso è chiamato anche fuscina). Anche le arti marziali orientali hanno numerose armi derivate dal tridente.

Mitologia
Il tridente era l'arma di Poseidone, con il quale poteva generare nuove sorgenti d'acqua e cavalli (dalla schiuma del mare). Poseidone, oltre ad essere il dio del mare, era anche famoso per provocare maremoti quando si arrabbiava, colpendo la terra con il suo tridente e provocando mari tempestosi e terremoti.
Il tridente è pure l'arma-simbolo del dio indù Shiva e di Nettuno nella mitologia romana.