Ānanda — sanscrito आनन्द
"beatitudine"; cinese Anando (阿難陀,
阿难陀,
Ānánduò) spesso abbreviato Anan (阿難,
阿难);
tibetano kun-dgà-bo (ཀུན་དགའ་བོ་)
(India, ... – India, ...) è stato un monaco buddhista indiano.
Fu cugino e uno dei principali
discepoli del Buddha storico Siddhartha Gautama, ed è oggi venerato
come Custode del Dharma. Nel Buddhismo Tiāntái (che segue lignaggio
riportato nel Fu fazang yinyuan zhuan, 付法藏因緣傳),
come nel Buddhismo Chán (che segue il lignaggio riportato nel Baolin
zhuan, 寳林傳), Ānanda è
considerato il secondo patriarca indiano, dopo Mahākāśyapa, e i
due sono spesso ritratti accanto al Buddha Shakyamuni.
Secondo la tradizione delle scuole del
Buddhismo dei Nikāya, Ānanda nacque nel clan degli Śakya, e poiché
la sua famiglia ripeteva che fosse "nato per portare felicità"
(ānanda), gli fu dato questo nome. Nelle sue prime biografie è
ricordato come uno dei "grandi discepoli" (mahasravaka) del
Buddha Shakyamuni.
Secondo la tradizione Mahāyāna e
quelle da questa derivate, prima della sua nascita storica Ānanda
risiedeva nel paradiso Tuṣita insieme alla precedente incarnazione
di Siddhartha Gautama, e i due sarebbero nati tra gli Śākya nello
stesso giorno. Era figlio di Mrgī e Amitodana, che era fratello di
Śuddhodana e quindi zio del Gautama; i suoi fratelli si chiamavano
Mahānāma e Anuruddha. Secondo un'altra tradizione invece il padre
era Suklodana e i fratelli Devadatta e Upadhāna.
Divenne monaco nel secondo anno di
predicazione del Buddha, insieme a molti altri giovani del clan
Śākya, e ricevette l'ordinazione dal Gautama stesso; gli fu
assegnato come upajjhāya (guida alla via monastica) Belatthasīsa, e
nel tempo ascese al grado di sotāpanna.
Dopo aver avuto per 20 anni come
assistenti vari monaci a turno, Gautama dichiarò davanti
all'assemblea di aver deciso di avere un attendente permanente
(upatthaka). Molti si offrirono candidati, tra cui Shariputra e
Mogallana, mentre Ānanda rimase in silenzio, seduto in disparte.
Allora si rivolse ad Ānanda chiedendogli perché non si fosse
candidato. Ānanda rispose che era interessato, ma solo a otto
condizioni che potevano essere riassunti in tre grandi punti: suo
cugino non doveva mai fargli doni o concedergli particolari benefici
che potessero far credere che avesse ottenuto il posto per quella
ragione; doveva concedergli invece piena discrezione nell'accettare
inviti al suo posto e nel presentargli visitatori venuti da lontano;
e doveva rispondere a tutte le sue domande e ripetergli tutti gli
insegnamenti che aveva prodigato in sua assenza. Gautama accettò.
Ānanda prese il suo incarico molto a
cuore e fu molto attento ai cambiamenti di tono o d'aspetto del suo
maestro, addirittura ammalandosi insieme a lui per empatia. In
un'occasione si pose davanti a lui per salvarlo da un elefante
infuriato lanciato contro di lui da suo cugino Devadatta, rischiando
la vita.
I monaci e i laici si confidavano con
lui e venivano spesso a chiedergli consigli, o chiarimenti sui
discorsi del Buddha; Ānanda era in grado anche di ripetere o
proseguire il sermone, e talvolta ne teneva di propri, approvato e
incoraggiato in questo dal Gautama. Buddhaghosa compilò una lista
dei discorsi a lui attribuiti: Sekha, Bāhitiya, Anañjasappāya,
Gopaka-Moggallāna, Bahudhātuka, Cūlasuññata, Mahāsuññata,
Acchariyabbhuta, Bhaddekaratta, Mahānidā-na, Mahāparinibbāna,
Subha e Cūlaniyalokadhātu, oltre a molti dialoghi con altro monaci.
In molti dei dialoghi tramandati nei
sutra, Ānanda ha il ruolo dell'interlocutore del Gautama.
Nell'Anguttara, che elenca i nomi di tutti i discepoli del Buddha e
le loro qualità, Ānanda è nominato più di ogni altro, cinque
volte; di lui si dice che eccellesse nella condotta, nell'essere di
servizio agli altri e nell'esercizio della memoria.
Dopo la morte del suo maestro nel primo
Concilio Buddhista gli anziani del sangha gli diedero l'incarico di
raccogliere e recitare tutti i discorsi del Buddha in quello che
divenne noto come il Sutta Piṭaka, una delle tre sezioni del Canone
pāli; oltre che per la grande fiducia ricevuta dal Gautama in vita,
ciò si deve anche al fatto che essendo stato per tanto tempo al
seguito del Buddha aveva memorizzato tutti i suoi discorsi.
La partecipazione di Ānanda al
Concilio, tuttavia, non fu affatto scontata; nonostante la sua grande
prossimità al Buddha, infatti, Ānanda non era un arhat, ma un
semplice discepolo. Nel Canone Pali, infatti, Ānanda è presentato
come un Buddhista imperfetto ed in balia delle emozioni; pianse
infatti sia la morte di Śāriputra che del Gautama, e in un
passaggio del Theragatha si descrive la sua solitudine dopo il
trapasso del suo maestro (festeggiato come il suo parinirvāṇa dai
buddhisti). L'essere schiavo delle emozioni è un grave impedimento
al raggiungimento dell'illuminazione, e la partecipazione di Ānanda
al Concilio fu oggetto di discussione nella comunità; secondo la
leggenda, Ānanda concentrò i suoi sforzi e fu in grado di
raggiungere il Nirvāṇa prima del Concilio.
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