Shigeru Egami
(Fukuoka, 7 dicembre 1912 –
Tokyo, 8 gennaio 1981) è stato un karateka e maestro di karate
giapponese.
Shigeru Egami nacque nella Prefettura
di Fukuoka (isola di Kyūshū) nel 1912, in una famiglia di
commercianti e costruttori edili.
In gioventù praticò Jūdō e Kendō.
Nel 1924, studente delle scuole secondarie, vide per la prima volta
alcune tecniche di Karate. Scrisse a tal proposito:
«Gli strani movimenti e le tecniche di un capomastro di lavori
edili, originario di Okinawa, mi sembrarono misteriosi e mi
incuriosirono, solo in seguito ho capito che egli era solo un
principiante...» |
Nel 1931 entrò alla facoltà di
Commercio dell'Università di Waseda e per un breve periodo praticò
Aikidō. Nello stesso anno incontrò il maestro Funakoshi,
diventandone allievo e aiutandolo a fondare il club locale di Karate
all'Università Waseda. Sempre lo stesso anno un suo compagno di
Università iniziò la pratica nel medesimo club. Il suo nome era
Genshin (Motonobu) Hironishi e la loro amicizia divenne talmente
salda da durare tutta la vita. Hironishi scrisse:
«Non posso dire esattamente come, ma sin dall'inizio nacque
tra noi una comunicazione molto spontanea, un tipo di unione che
includeva anche altri aspetti della vita quotidiana.» |
Nei primi anni trenta venne coinvolto
nella divulgazione del Karate-dō in Giappone e partecipò, prima con
Takeshi Shimoda poi, dopo la morte di quest'ultimo, con Yoshitaka
Funakoshi, a numerose dimostrazioni. Scrisse a tal proposito:
«Ricordo i viaggi che noi, allievi del maestro Funakoshi,
facemmo nella zona di Kyōto-Ōsaka e nell'isola di Kyūshū sotto
la guida di Takeshi Shimoda, il nostro istruttore e il migliore
tra gli studenti di Funakoshi. Questo accadeva attorno al 1934,
circa dodici anni dopo la prima dimostrazione che il maestro fece
a Tōkyō. Il Karate, in quei giorni, era considerato una mera
tecnica di combattimento ma aveva un'aura di segretezza e mistero.
Di conseguenza sembra che la curiosità fosse l'unico motore a
spingere gruppi di persone ad assistere alle nostre dimostrazioni.
Sebbene non conosca bene la carriera di Shimoda, so per certo che
fu un esperto della scuola Nen-ryū di Kendō e studiò anche
Ninjitsu. Per uno sfortunato volere del fato si ammalò dopo una
delle nostre dimostrazioni e morì poco dopo. Shimoda era
l'assistente del maestro Funakoshi e si occupava dell'insegnamento
quando quest'ultimo era impegnato. Il suo posto venne preso dal
terzo figlio del Maestro, Gigō (Yoshitaka), che non era solo un
uomo dal carattere eccellente ma anche un grande esperto
dell'arte. Sicuramente non c'era persona più qualificata per
l'insegnamento ai giovani studenti. Comunque, poiché all'epoca
era tecnico radiologo all'Università Imperiale di Tokyo e al
Ministero dell'Educazione, si dimostrò piuttosto riluttante ad
assumere anche questo incarico. Dopo le numerose pressioni da
parte del padre e dei suoi studenti finì comunque per accettare
e, di lì a poco, attirò la nostra ammirazione ed il nostro
rispetto.» |
A dispetto di un'apparente eccellente
forma fisica, Egami, come anche Yoshitaka Funakoshi, soffriva già di
seri problemi di salute. Fu scartato alla visita di incorporazione
per il servizio militare in quanto aveva seri problemi polmonari e
più tardi, all'età di 24 anni, contrasse la tubercolosi. A seguito
della morte del fratello maggiore, Egami si sentì in dovere di
tornare nell'isola di Kyūshū per seguire l'azienda familiare.
Presto però lasciò questa occupazione
in quanto non si sentiva adatto alla vita del commerciante e fece
ritorno a Tōkyō impegnandosi, con Yoshitaka Funakoshi e Genshin
Hironishi, allo sviluppo del Karate-dō. Erano state create nuove
posizioni, come il fudo dachi, e nuove tecniche di calcio quali yoko
geri (kekomi e keage), alcune forme di mawashi geri, fumikomi e
ushiro geri. Le posizioni, in generale, erano divenute più basse e
più ampie.
Nel 1935 Egami aderì al comitato
creato da Kichinosuke Saigo per la raccolta dei fondi per la
costruzione di un Dojo dedicato esclusivamente alla pratica del
Karate. Come già ricordato questo comitato costituì l'embrione del
gruppo Shōtōkai. Riguardo alla costruzione del dōjō scrisse:
«Verso il 1936 i giovani allievi si sono riuniti attorno al M°
Yoshitaka Funakoshi per costruire il dōjō centrale, che fu
chiamato Shōtōkan partendo dallo pseudonimo in calligrafia del
Maestro Funakoshi. Tuttavia, all'epoca non si ricorreva a tale
appellativo, noi tutti chiamavamo questo dōjō semplicemente
"Honbu dōjō" (dōjō centrale). Che gioia allenarsi in
un dōjō così bello e per di più costruito con i nostri sforzi!
La sensazione era quella di essere consanguinei e lo spirito con
il quale ci esercitavamo risultò ancora più vigoroso.
Naturalmente anche la felicità del vecchio maestro Funakoshi
(Gichin) e del giovane (Yoshitaka) era grande; ogni volta che
comparivano nel dōjō ci offrivano la loro guida con un sorriso
in più.» |
Sempre considerato uno degli allievi
più attivi del M° Funakoshi, Egami iniziò ad insegnare Karate alle
Università di Gakushūin, Toho e Chūō e fu l'istruttore più
giovane ad essere eletto Membro del Comitato di Valutazione da Gichin
Funakoshi. Nel corso della seconda guerra mondiale insegnò inoltre
alla Nakano School che era un centro di addestramento per spie e
commando giapponesi che il Maestro Mitsusuke Harada definisce una via
di mezzo tra il MI5/MI6 (servizi segreti) e le SAS (Special Air
Service) britannici.
Nel 1945, alla fine della seconda
guerra mondiale, Egami assistette in meno di un anno alla distruzione
della casa e del Dojo del maestro Funakoshi e alla morte del maestro
e grande amico Yoshitaka Funakoshi. Dopo la morte di Yoshitaka
Funakoshi, Egami iniziò a sentirsi assillato dalla necessità di
perseguire la Via da sempre indicata dal suo Maestro e individuata
nel lavoro che aveva iniziato con Yoshitaka Funakoshi e Genshin
Hironishi: la trasformazione dell'arte di Okinawa in un'arte del Budō
giapponese, partendo dal Karate per giungere al Karate-dō. Fu
proprio nell'ambito di questa sua ricerca che, per sciogliere il
dubbio sull'efficacia dello tsuki, si fece ripetutamente colpire
l'addome (con questo probabilmente aggravando il suo già compromesso
stato di salute) dai colpi di pugno di diverse persone e concludendo
che il tipo di attacco dei Karateka appariva essere quello meno
efficace. Scrisse in proposito:
«Mi sono chiesto per molto tempo se i colpi frontali del
Karate fossero veramente efficaci. Ho fatto di tutto, dallo
spezzare tavole e tegole al rompere mattoni, ma nonostante queste
operazioni fossero andate a buon fine, rimaneva il dubbio circa
l'effetto prodotto dagli stessi colpi su un corpo umano.
L'esperienza personale mi ha insegnato che quest'ultimo è più
resistente di quanto si possa pensare; le sue caratteristiche sono
totalmente differenti da quelle di tavole e tegole, in più
possiede uno "spirito" sottilmente inspiegabile. Quando
non siamo certi della reale efficacia dei nostri colpi allora ci
assale uno stato d'ansia non indifferente. Ho provato a porre il
quesito che mi assillava a parecchie persone e le risposte sono
state varie ma nessuno ha dichiarato d'esser certo del potere
delle proprie azioni nonostante sembra che molti posseggano la
forza sufficiente per infliggere un "colpo mortale".
Un'antica tradizione giapponese, presa alla lettera, dice che o si
crede ciecamente, oppure si mette da parte l'inquietudine
interiore e ci si sforza di credere; io decisi di seguire il
consiglio. In pratica non è così semplice pensare di trovare
cavie disponibili né tantomeno persone pronte a infierire su di
noi nonostante il palese consenso; qualcuno ci ha provato senza
ottenere un gran risultato, e poi bisogna tenere conto del fatto
che pochi sarebbero quelli inclini a rendere pubblico un esito di
cui si vergognano. Affinché il colpo andasse a segno era
indispensabile che il tempismo fosse perfetto, non approssimativo.
Quando il rischio era la vita, peraltro quasi mai, mi è capitato
di far mostra di colpi efficaci eppure ben lontani dall'essere
letali; tuttavia, nei Kata e nelle tecniche messe in pratica in
quelle occasioni c'era qualcosa di diverso dai Kata e dalle
tecniche dell'allenamento abituale. Non c'è dubbio che i colpi
andati a segno furono tali per puro caso, e questa non è solo la
mia opinione, è il parere di persone che, come me, decine di
migliaia di volte hanno percosso e si sono fatte picchiare
l'addome e l'epigastrio: è la voce dell'esperienza che parla. Per
rimuovere l'insicurezza ci si sforzò, si cercò di approfondire,
migliorare, e ne emerse che "il Karate è la tecnica della
concentrazione". Prima di tutto, fisicamente è nato dalla
concentrazione della forza su un punto ben preciso; ciò significa
che, in termini pratici, sia in caso di attacco che di difesa
bisogna riunire tutta la potenza laddove intendiamo colpire
l'avversario. Da qui ebbero inizio ulteriori ricerche che,
condotte contemporaneamente alla disciplina di sempre, mi
consentirono di capire che la "concentrazione" non è un
fenomeno esclusivamente fisico bensì necessariamente e
inevitabilmente "mentale". Come fare per rendere le
proprie tecniche efficaci? Quali sono i colpi che funzionano
davvero? Vorremmo proprio saperlo, e vorremmo anche conoscere il
potere delle nostre azioni, peccato che nessuno ce ne offra
l'occasione. Al sottoscritto non rimase che mettere a disposizione
il proprio addome affinché più persone lo colpissero; sulla base
degli effetti prodotti potei chiarire i miei dubbi. Il mio stomaco
venne picchiato a volontà da svariati karateka, judoka, kendoka e
boxer e la cosa più deplorevole fu il risultato: i meno efficaci
furono i primi della lista, nonostante si trattasse di veterani
del Karate, mentre i pugni maggiormente andati a segno furono
quelli dei praticanti la boxe. Ciò che mi sconvolse alquanto,
però, fu l'esito sorprendente di perfetti incompetenti, persone
che non avevano mai affrontato un allenamento. Rimasi sbalordito
chiedendomi il perché, cercando le ragioni di una cosa simile,
facendo confronti e tentando di scovare le differenze. Nel corso
delle mie ricerche mi resi improvvisamente conto che l'allenamento
portato avanti fino a quel momento in realtà irrigidiva,
bloccando i movimenti, con l'illusione che producesse forza. Una
volta scoperto il difetto si trattava di sciogliere le parti
indurite rendendole elastiche, ragion per cui decisi di rimettere
tutto allo studio.» |
Intanto, il primo maggio 1949, veniva
fondata la già citata Nihon Karate-dō Kyōkai (Japan Karate
Association). Nonostante la fondazione e la supervisione da parte di
uomini della corrente più tradizionale, Obata, Saigo, Hironishi, la
JKA iniziò a poco a poco ad essere guidata da princìpi commerciali
e da metodi e pratiche simili a quelli degli sport occidentali che
culminò con l'emanazione del regolamento per le competizioni
agonistiche (1955). Per questo motivo i tradizionalisti, tra cui i
tre maestri sopracitati, lasciarono l'organizzazione. Il Maestro
Funakoshi che inizialmente aveva gradito la popolarità che questo
nuovo organismo stava riscuotendo, iniziò ad esserne preoccupato in
quanto vedeva i valori essenziali del Karate-dō in forte rischio. Il
13 ottobre 1956, nella prefazione alla seconda edizione del libro
Karate-dō Kyōhan scrive:
«...Non posso negare che vi siano momenti in cui diventò
dolorosamente consapevole del pressoché irriconoscibile stato
spirituale al quale il mondo del Karate è giunto rispetto a
quello che prevaleva all'epoca in cui, per la prima volta, ho
introdotto ed iniziato l'insegnamento del Karate...» |
Egami avverte questa preoccupazione e
decide di seguire gli incoraggiamenti del proprio maestro e degli
allievi più anziani a continuare nella Via del Budō. Già nel 1953
la ricerca di Egami aveva avuto una svolta positiva. Nel ricevere uno
tsuki dal giovane Tadao Okuyama notò che quell'attacco era
straordinariamente più efficace di tutti quelli che aveva ricevuto
fino ad allora. Allora, a poco più di quarant'anni di età, Egami
prese la decisione di cambiare radicalmente i concetti e le forme
convenzionali di esecuzione. Iniziò ad adottare tecniche eseguite in
decontrazione, evitando l'uso di forza non necessaria. Ricominciò
così a pensare al modo di colpire apparentemente leggero e rilassato
ma estremamente efficace che distingueva le tecniche di Takeshi
Shimoda, Yoshitaka Funakoshi e dello stesso Maestro Gichin Funakoshi.
Allo stesso tempo venne in contatto con
Hoken (o Shōyō o Noriaki) Inoue, fondatore dello Shinwa Taidō (poi
Shinei Taidō) e nipote del fondatore dell'Aikidō, Morihei Ueshiba.
Dai contatti con Inoue iniziò ad interessarsi all'energia vitale e
alla sua circolazione nel corpo umano. Nel 1955, in piena fase di
ricerca, dovette essere sottoposto a due operazioni allo stomaco.
Tali operazioni, a distanza ravvicinata, lo portarono
all'impossibilità di nutrirsi normalmente tanto che giunse a pesare
solo 37 chili.
L'indebolimento era tale da non
rendergli possibile alcun tipo di allenamento fisico. Il ricovero e
lo stato di precarietà finanziaria legate all'impossibilità di
svolgere una qualsiasi attività furono sorpassate con grande
difficoltà e solo grazie all'aiuto di amici come Hironishi, Okuyama
e Yanagizawa. Scrisse di quel periodo:
«...fui sottoposto ad un intervento per la rimozione di parte
del mio stomaco e, dopo meno di un anno, ad un'altra simile
operazione. Poiché persi la forza di cui andavo così fiero, non
potei più praticare Karate. Ancora più serie erano le difficoltà
a condurre una vita normale. Ripenso a quel periodo, durante il
quale ero caduto in una forte disperazione, come al peggior
periodo della mia vita. Ma allora ricordai le altre parole del
Maestro Funakoshi: "l'allenamento nel Karate deve essere
quello praticabile da tutti, dai vecchi come dai giovani, dalle
donne, dai bambini e dagli uomini." Con queste parole in
mente presi la decisione di vedere se mi fosse possibile praticare
anche se mi trovavo in pessime condizioni fisiche. I risultati
furono rassicuranti e trovai che mi era possibile praticare grazie
all'oculata scelta di certi metodi. Avendo successo decisi di
votare il resto della mia vita alla pratica del Karate.» |
Nel 1956 fu tra i fondatori della Nihon
Karate-dō Shōtōkai insieme al proprio maestro, a Hironishi, Obata
e Noguchi. La morte di Gichin Funakoshi colpì profondamente Egami
che era presente, con i familiari del proprio maestro, al capezzale
di quest'ultimo quando questi esalò l'ultimo respiro. Questo triste
evento e gli accadimenti che caratterizzarono i giorni immediatamente
seguenti furono la scintilla che spinse Egami a proseguire con ancor
maggiore determinazione nella propria ricerca. Dopo la morte del M°
Funakoshi, Shigeru Egami divenne istruttore capo dello Shōtōkan, il
Dojo del M° Funakoshi, nel frattempo ricostruito. Nel 1963,
probabilmente stimolato dagli effetti del suo debole stato di salute,
Egami scoprì tecniche che andavano oltre la mera esecuzione fisica,
in particolare il tōate o colpo a distanza senza contatto fisico.
Nel 1967, mentre conduceva una sessione
di allenamento estivo all'Università di Chūō, fu colpito da
attacco cardiaco e salvato in extremis grazie ad una tecnica di
rianimazione applicatagli dal suo allievo Hiroyuki Aoki (futuro
fondatore dello Shintaidō). Fu così che si trovò nuovamente per un
lungo periodo confinato in un letto di ospedale. Questa esperienza
però gli offrì una nuova visione delle cose. L'agonia della morte
fisica provata per qualche minuto lo risvegliò ad un nuovo
significato per la propria vita e per la pratica del Karate-dō.
Egli, a tal proposito scrisse:
«Una volta sono morto. Sono già trascorsi più di tre anni da
allora. Si è trattato di un attimo, forse di una decina di
secondi. Ciò che ho capito in seguito è che si è trattato di
una specie di attacco cardiaco. In quel fuggevole istante ho fatto
un'esperienza straordinaria e preziosa. Le condizioni erano quelle
di un uomo di fronte alla morte. Indicibile dolore, sofferenza,
malinconia - non fu cosa facile né tantomeno paragonabile
all'amore per l'isolamento - e poi afflizione, paura e angoscia
messe insieme sì da diventare una cosa acuta, penetrante. La
partecipazione emotiva fu pressoché assoluta, io che avevo sempre
ostentato un abituale stato di calma. Anche la gioia di quando
ritornai alla vita fu straordinaria: vedevo tutto splendere, fu
un'impressione reale, fu la felicità di sentire la vita. Fu
l'acme del piacere, tanto che era come se avessi dovuto parlarne
con tutti. È probabile che estasi sia il termine più adeguato
per questa esperienza che mi fu dato di fare nell'arco di dieci o
venti minuti, poiché ho provato di persona la dignità nonché la
gioia di vivere. Torniamo a quella decina di minuti. L'amicizia
delle persone intorno, i mutamenti dello spirito e poi il prodigio
dello scambio tra gli esseri, tra gli animi, tra i corpi: non sono
sicuro di essere in grado di raccontare quel che mi fu concesso di
apprendere. L'uomo non è fatto per vivere da solo; sostenuto da
molti, similmente alla maglia di una fitta rete vive in relazione
agli altri, attraverso lo scambio con gli altri. Ecco ciò che
compresi.» |
Il destino gli concesse altri quindici
anni di vita che egli dedicò integralmente alla trasmissione della
Via tracciata dal suo maestro e da lui seguita e sviluppata.
Inizialmente con gli scritti, poi con la sua presenza e la sua
supervisione ai corsi, anni dopo attraverso la pratica adattata alla
sua condizione fisica e all'età egli riuscì a trasmettere il suo
metodo. Il 10 ottobre del 1980, durante una sessione d'allenamento
per istruttori, le condizioni di salute del M° Egami si aggravarono
e venne ricoverato in ospedale. Due giorni dopo fu colpito da
emorragia cerebrale e da allora non riprese più conoscenza. Morì
l'8 gennaio del 1981 in seguito a complicanze causate da una
polmonite.
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