Nel Medioevo la scrimia si presentava come un'arte completa e terribile, arricchita dai germogli delle leggi fisiche, principi, azioni e strategie che nei secoli a venire porteranno la scuola italiana ad affermarsi in tutto l'Occidente.
«Fiunt etiam in multis partìbus Italie quedam iuventum societates, quarum aliqua Falconum, aliqua Leonum, aliqua de Tabula Rotonda, sodetates nominatur... »
da un codice del Duecento
Dieci anni prima che Cristoforo Colombo con le sue caravelle sbarcasse sulle coste del Nuovo Mondo, un maestro italiano terminava di comporre De arte gladiatoria dimicandi, opera dedicata al duca Guidobaldo da Montefeltro, nella quale si proponeva di divulgare «...el modo e documento de assaltare lo avversario e repararsi e deffendersì da lui, ma etiam se insegna avvisi de togliere l'arme sue di mano. Per li quali documenti, spese fiate uno de poche forze e pìcolo sottomete, prosterne e sbate uno grande, robusto e valoroso, e cusì avviene anche uno umile avanza el, superbo e uno disarmato lo armato».
Nell'antica patria dello "schirm" Filippo Vadi (autore del De'Arte...), era uno degli innumerevoli magistrì che giravano l'Italia e l'Europa, diffondendo l'arte dello schermire e, come apprendiamo dalle sue parole, «volendo accrescere tal dottrina a dò che per mìa negligenza essa non perisca...»
A lui e ai tantissimi grandi maestri che nei secoli a veinire lasciarono testimonianza del loro lavoro dobbiamo la straordinaria possibilità di recuperare un patrimonio marziale di altissimo valore, ripercorrere la lunga strada a ritroso nel tempo per arrivare alle radici dell'ars dimicandi. Possiamo così conoscere qual era la figura del perfetto schermitore antico: un uomo abile tanto con la spada quanto con la daga, con l'azza come con la lancia, a mani nude così come con un bastone, capace di lottare e di difendersi in qualunque frangente.
La preparazione a tutto tondo era indispensabile, così come lo era la capacità di utilizzare armi improvvisate e ancora di più il corpo come arma a sé stante. Tanto che giustamente Francesco Nevati nel suo commento al famoso trattato Flos Duellatorum (composto nel 1409 da Fiore dei Liberi da Premariacco), definisce l'opera del grande magistro friulano come un manuale di soppravivenza, una guida illustrata nell'arte di difendersi e rispondere in qualunque contesto e con qualunque mezzo agli attacchi in armis e sine armis avversari.
Combattere con ogni sorta d'arma, lottare disarmati e in qualsiasi situazione era quindi pratica necessaria, essenziale e spietata di quei tempi, in cui proprio alla capacità di usare il corpo e le armi, vere o improvvisate, era legata la sopravvivenza stessa dell'individuo.
Nel Medioevo la scrimia si presentava dunque come un'arte completa e terribile, arricchita dai germogli di leggi fisiche, principi, azioni e strategie che nei secoli a venire porteranno la scuola italiana ad affermarsi in tutto l'Occidente.
L'analisi e la ricerca diretta agli affascinanti aspetti tecnici dell'arte italiana attraverso il suo percorso storico rivela quanto le scienze positiviste influirono sulla dottrina dell'atto.
Fisica, geometria, meccanica erano parte fondamentale della theorica, tanto che il Vadi rima: «Do geometria lo scrìmir se nasce, è sottoposto a lei e non ha fine l'uno e l'altro infinito fasse».
Gli aspetti cognitivi e oggettivi dello schermire ci rimandano la visione di un'arte fisica, esteriore. Così la scrimia - potrebbe "ridursi" o sembrare la pratica concreta ed essenziale del gesto tecnico, rinchiusa nelle sue leggi di rigido calcolo geometrico.
Si potrebbe trovarne conferma tra i molti autori che l'arte seppe produrre, o lasciare alle parole di un grande genio del rinascimento, Leonardo da Vinci, la sintesi grafica di tutto l'agire marziale dei nostri avi. Il suo «Ciò che è essenziale è perfetto» racchiude il concetto stesso di filosofia della tecnica schermistica, tesi che possiamo ritrovare nelle tre perfette, sintesi pratica ed economica di una scienza dell'agire profondamente razionale.
Il fascino dell'essenzialità,-il rigore delle leggi fìsiche della misura e del tempo alle quali lo schermire assoggettò le azioni spiegano certamente il modo e la tecnica, non certo lo stato dell'agire. Concedersi di scendere più a fondo nel Parte marziale italiana e avvicinare alla ricerca della "perfetta azione" lo studio della parte che compete allo stato dell'agire, al "sentimento guerriero", può rivelare aspetti entusiasmanti e coinvolgenti dell'arte italiana di ripararsi e ben rispondere ai colpi avversi.
Si scopre allora'un mondo ricco di simboli, emergono i contatti con l'alchimia e le culture esoteriche, affiorano pratiche rituali che riportano ai culti celtici, a riti druidici.
Fino ai contatti con l'Estremo Oriente.
Appare allora come l'arte d'Occidente sì nutriva tanto di scienza applicata quanto di rituali ancestrali nella misura in cui un corpo si serve dell'energia e dei suoi apparati per generare movimento. Per millenni la conoscenza del "fiume sotterraneo" è corsa a fianco della cultura ufficiale e probabilmente continuerà a farlo, anche se la ricerca ci permette di avvicinare la nostra conoscenza al sapere antico e di esplorarne almeno in parte le possibilità.
Il panorama si presenta quindi vastissimo, specialmente per quanto riguarda gli elementi interattivi tra le varie pratiche. Uno degli aspetti affascinanti e "avvicinagli", legato alla ritualità è sicuramente la simbologia, sia essa figurativa o linguistica. Le sue interazioni con la pratica marziale sono uno degli argomenti di questo nostro piccolo viaggio nei misteri marziali d'Occidente.
Bianco et nero. Corpo et mente
«Due parti d'incenso, una dì mirra e una fogìiolina d'oro vanno tritate e mischiate e ridotte in piccatine.
Si inghiottiranno con vino fulvo quando la luna guardi il sole o Giove al crepuscolo.
Così gli umori saranno preservati e irrobustiti.
Cosi si sarà disposti ad ascoltare la verità».
Ricino, De vita producenda, 11.19
Baussant, nome dello stendardo bipartito bianco e nero dei Templari (cavalieri del Tempio, una regola di monaci guerrieri fondata da Ugo da Payns con la benedizione di san Bernardo) è un simbolo così carico di significati da esser fonte di vasta letteratura e analisi contemporanea.
Il mondo simbolico accompagnò sempre la pratica dell'arte guerriera e possiamo riscontrarne gli influssi anche nelle due opere citate del Fiore e del Vadi. Il Fiore, nella descrizione figurativa delle "septe spade", utilizza il potere evocante delle figure di animali adornati (di celtica memoria) che attribuiscono doti e qualità, per favorire nello schermidore il legame con le virtù che egli ha da possedere per eccellere nell'arte. A ognuna di esse è data una posizione precisa rispetto al corpo: così il lupo cervino posato sulla testa, sede dell'intelletto e del ragionamento, è la Prudentia, la tigre posta alla destra (a lato forte che di solito brandisce o guida l'arma) è la Celeritas, il leone a sinistra dove vi è il cuore e il braccio sinistro che "sopporta" il lavoro, è l'Audatia e l'elefante posto
sotto i piedi, a terra, dove l'uomo attraverso le gambe raccoglie l'energia, è la Fortitudo.
Prudentia, Celeritas, Audatia, Fortitudo, complementari a Testa, Destro, Sinistro, Gambe, in una possibile intepretazione che suddivide ed esalta le competenze per produrre il risultato.
Esaltandone il potere, carica gli animali di doti possenti che sommate alla forza delle immagini disegnate, innestano e provocano stati d'animo "utili" al guerriero.
Le scienze più recenti che studiano le neuroconnessioni (meccanismi di trasmissione dati su piste neurali tramite neurotrasmettitori), hanno ampiamente dimostrato come il movimento specifico nasca da un atteggiamento mentale calibrato, ovvero da uno stato d'animo "alterato" in senso specialistico, per rispondere nella maniera più appropriata all'evento.
La nostra ipotesi è che anche il Fiore utilizzi segni e linguaggio per indicare un percorso che è psicofisico, collegando il corpo alla mente tramite l'esperienza del movimento marziale guidato da stati "alterati" di coscienza.
Egli cerca di "provocare" nel lettore uno stato d'animo che consenta prestazioni superiori e si serve del mezzo disponibile (il foglio e l'inchiostro) per favorire questa autoinduzione.
Non sembri eccessivo pensare a questo: l'uso dei simboli con l'evocazione di poteri naturali legati agli animali è presente in molte culture tribali e "avanzate".
Anche nelle arti guerriere d'Oriente si ricorre ai simboli e alla forza delle parole; in alcuni casi anche la fase iniziatica e gestuale origina o è individuata (realmente o metaforicamente) nella visione di lotte e movenze del regno animale. Tutto questo porta a quella verità dei gesti che è forse la ricerca più profondamente "spirituae" dell'arte guerriera della scrimia.
Obbligata dalle scienze razionali a sentire la mente come sede del solo pensiero concreto (.. .nel cervel tuo sale...) tende a "trasferire" lo stato spirituale dell'animo, quindi al corpo che diviene attore, "corpo pensante" e competente.
Corpo che diventa nel Vadi figura incoronata e adornata di animali reali e immaginari, ai quali si aggiungono simboli ricchi di significato energetico come le chiavi, il sole, il castello e la ruota del mulino.
Li spada virtualmente sostenuta unisce e fortifica i lati del corpo, entrambi fondamentali nella pratica e sinergia, cosicché la destra regge, la sinistra aiuta, aspetto questo importantissimo e fondamentale nell'arte italiana, che in ogni scherma favorirà le due braccia, addirittura esaltandone l'apprendimento.
Sul lato sinistro nella naturale collocazione del cuore appare chiaramente visibile l'ochio col cor, un grande occhio, che ripropone in maniera prontamente percepibile il corpo pensante. Un cuore che vede è un cuore che decide, e se la mente conserva la scienza, «l'ochio del cor voi star atento ardito e pieno di providimento», così è il cuore che guida il gesto, che provvede all'azione. Quella che il Vadi ci offre è l'immagine di un guerriero fortificato da attributi naturali e soprannaturali, che affida al corpo, all'animo e alla scienza della scrimia il destino del suo stesso agire.
Trovar per sentir l'agir nemico...
«Lo abracar vole vij cosse: zoe forteza e preteza de pie e de braci avantacade e roture e ligadure e percusion e lesìon».
Flos Duellatorum
Nell'arte dell'abbracciare, antica e sapiente lotta, il corpo si impone ed esprime nel trovar di braccia la natura indagatrice del suo consapevole agire.
Sono le braccia, infatti, che per cercare prese avantacade si muovono verso quelle dell'avversario e si legano a esse guadagnando, cedendo, legando, sentendo le azioni e adattandosi a esse «perché le prese non san guadagnate se le non sono curri avantoco ».
I cerchi e le strette (si trova qualcosa di simile nelle palestre di lotta libera) sono gli strumenti per le braccia vedenti nell'arte dell'abbracciare.
II trovar è una dimensione molto particolare, legata al corpo pensante e alla natura della scrimia, come lo è stato e in parte lo è ancora nella scherma. Trovar di braccia o di spada è infatti molto più di una strategia: indica la volontà e la necessità di trasferire l'energìa sensoriale verso i margini esterni del corpo, allargando il proprio campo percettivo/tattile a distanze naturali (braccia) o meccaniche (armi). Nei secoli più vicini ai nostri, il contatto delle armi in linea generava tra i virtuosi quel sentiment de fer, stato sensibile, dialogo sensoriale a distanza, in cui l'azione cosciente è subordinata al sentimento, ovvero al percepire profondamente.
Il cuore vedente è in qualche modo parte arcana di questo sentire che ancora oggi possiamo ritrovare nelle sale di scherma sportiva, quando il maestro nella lezione presenta il ferro per far compiere allo scolaro i necessari passaggi accademici di studio.
Schermi di spada o di bastone, di braccia o di pugnale, se ben guidati sono per lo schermidore possibilità di esperienze psicofisiche profonde. In questi fraseggi recuperiamo la pratica percettiva non coscientemente analitica, che è parte di quella saggezza schermistica, di quel saver curri sua malitìa di antica memoria.
L'arma, il corpo diventano strumenti di apprendimento e l'animo può disporsi al saper antico. I sensi coinvolti in maniera completa possono esprimere tutta la loro competenza arcaica e lo studente può sviluppare quell'istinto schermistico galante e polito che i magistri indicavano come somma capacità attitudinale e conservativa e vitale fonte di competenza e conoscenza marziale.
Studiare l'arte dei padri
«Per molte parti si ricercano al buon schermitore e assai più a chi si conduce a combattere:
come a dire ragione, animosità, forza, destrezza, scientia, giudizio e prattìca».
Dall'Agocchie, XVI secolo
Lo studio della scrimia e dell'arte di schermirsi come disciplina totale in armis e sine armis può quindi rivelarsi, oltre che un appassionante percorso storico e culturale, un sentiero praticabile dal guerriero moderno.
«Sia dunque che si giochi, o di spada, o di spadone, o di sciabola, o di lancia, o di pugnale, od anche di bastone e di pugilato, egli è sempre schermire.,.» esprime un concetto antico caro ai maestri dell'Ottocento, un'idea di scherma totale, che vede nello schermidore un guerriero ideale, forgiato all'arma come nelle mani nude, al largo come allo stretto, all'assalto cortese come alla difesa della vita. Nell'arte dello schermire il praticante trova il fascino della scienza antica e dei suoi codici, un viaggio verso la consapevolezza istintiva del gesto, chiave del saper fare e percorso verso il saper essere. Così lo studio, liberato dalla necessità dello scontro liberato, rivela le incredibili potenzialità educative. Quanti si immergono nello studio filologico o di attualizzazione dell'arte non devono tuttavia dimenticare che la scrimia è un'arte marziale e la sua natura fino a non molti anni or sono era il combattimento reale.
L'antica formula «l'arte sì studia per diletto, scienza e conservazione della vita» racchiude ed esprìme compiutamente il concetto di sincera pratica. Il fine è l'evoluzione, il miglioramento costante dell'individuo e lo sviluppo delle sue potenzialità, un uomo fortificato nel corpo e nello spirito perché «...sapere, fortezo e ardimento agga... se questo manca a esercitar si stagga...»
«Tu sei forte Toshtuk, ma qui non comprendi, non sai quello che so io, lasciati guidare, fidati di me».
Da un antico racconto kirghiso
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