domenica 18 dicembre 2016

Saigō Takamori

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Saigō Takamori (西郷 隆盛; Kagoshima, 23 gennaio 1828 – 24 settembre 1877) è stato un militare giapponese, samurai del feudo di Satsuma. Operò prima a favore e poi contro la Restaurazione Meiji. Perì nella battaglia di Shiroyama, probabilmente suicida.

Biografia

Primi anni

Saigō nacque durante il decimo anno dell'era Bunsei a Kagoshima nel dominio di Satsuma (attuale prefettura di Kagoshima) da una famiglia di samurai, fratello di Saigō Tsugumichi. Nel 1854 gli venne conferito l'incarico di assistere il daimyō di Satsuma, Shimazu Nariakira, in una spedizione a Edo volta alla riconciliazione con lo shogunato dei Tokugawa e la corte imperiale. La sua attività nella capitale del bakufu venne bruscamente interrotta a causa della purga Ansei, voluta dal Tairō Ii Naosuke contro le attività e le forze anti-shogunali, e dell'improvvisa morte di Shimazu Nariakira.
Saigō riparò dunque a Kagoshima, ma venne comunque arrestato e confinato nell'isola di Amami Ōshima. Fu temporaneamente richiamato a Satsuma nel 1861 dal nuovo Daimyo della provincia, Shimazu Hisamitsu, solo per essere bandito una seconda volta. Hisamitsu gli concesse finalmente la grazia tre anni più tardi e lo inviò a Kyōto per curare gli interessi provinciali presso la corte imperiale.

Il ruolo durante il Rinnovamento Meiji

Una volta assunto il comando delle truppe di Satsuma a Kyōto, Saigō si apprestò a stringere alleanze con i samurai del feudo si Aizu contro le forze rivali della provincia di Chōshū riuscendo ad impedire che le truppe di questo feudo prendessero il controllo del palazzo imperiale nell'incidente della porta di Hamaguri. Nell'agosto del 1864 Saigō fu scelto con altri comandanti per guidare una spedizione punitiva per conto del Bakufu contro Chōshū in risposta all'incidente, sebbene egli portasse segretamente avanti un negoziato di alleanza con Kido Koin e i vertici delle forze di Chōshū che più tardi risultò nella creazione dell'alleanza Satchō. Quando il bakufu ordinò una seconda spedizione punitiva nei confronti di Chōshū, Satsuma rimase neutrale.
Nel novembre del 1867 lo shogun Tokugawa Yoshinobu rinunciò alla carica, rimettendo il potere nelle mani dell'imperatore gettando le basi del Rinnovamento Meiji. Nonostante ciò Saigō si oppose fermamente a questa risoluzione insistendo sulla necessità di privare i Tokugawa delle loro terre e del loro status particolare. La sua intransigenza su questi temi fu una delle maggiori cause dell'imminente guerra Boshin, durante la quale Saigō guidò alla vittoria le truppe imperiali prima nella battaglia di Toba-Fushimi e finalmente, nel maggio 1868, a Edo dove accettò la resa incondizionata di Katsu Kaishu, a capo delle forze dello shogun.

Burocrate Meiji

Durante il Rinnovamento e la creazione di un nuovo centro di potere operati dagli oligarchi Meiji, tra cui spiccò Okubo Toshimichi, Saigō giocò un ruolo chiave e la sua cooperazione fu cruciale nell'abolizione del sistema feudale e la creazione di un esercito regolare di coscritti. Nel 1871 gli fu affidata la dirigenza del governo durante l'assenza degli oligarchi impegnati nella campagna diplomatica all'estero nota poi come missione Iwakura (che durò fino al 1872).
Inizialmente Saigō si oppose alla modernizzazione forzata del Giappone e all'apertura al commercio con l'Occidente. È degno di nota un episodio in cui tentò di impedire il finanziamento per la costruzione di una moderna rete ferroviaria sostenendo che i fondi sarebbero stati meglio impiegati nel miglioramento dell'esercito. Egli inoltre propugnò alcune campagne militari espansionistiche (assai care alla classe dei samurai), in particolare quella di Corea, e espresse le sue opinioni al dibattito Seikanron del 1873, in risposta al secco rifiuto della Corea di riconoscere l'autorità dell'imperatore Meiji come capo di Stato dell'Impero giapponese, e alla umiliante accoglienza riservata alle ambascerie nipponiche in quel paese volte alla conclusione di accordi diplomatici e commerciali. Le sue ferme intenzioni lo portarono addirittura a proporre l'organizzazione di una sua visita ufficiale in Corea allo scopo di provocare un casus belli dato dal suo eventuale assassinio ad opera dei coreani; ad ogni modo, dopo il ritorno della missione Iwakura, tutti i dirigenti governativi si opposero fermamente a questo piano suicida temendo l'inizio di una guerra sia dal punto di vista economico che dei rapporti di forza con le potenze occidentali, in particolare dopo ciò che gli oligarchi avevano appreso durante la Missione e testimoniato in patria. Dopo questa presa di posizione Saigō si dimise da tutte le cariche di governo in segno di protesta e fece ritorno a Kagoshima nelle sue terre.

La ribellione di Satsuma

Poco tempo più tardi il ritorno di Saigō a Kagoshima, egli vi incoraggiò la fondazione di un'accademia militare tradizionale privata per l'addestramento di veri samurai e concesse l'ingresso anche ai guerrieri che avevano abbandonato le loro cariche a Edo per seguirlo. Questi ultimi, delusi dal governo centrale, iniziarono ad influenzare la politica della provincia tanto da provocare il timore di una rivolta nel governo nazionale, per prevenire la quale fu inviata una spedizione navale a Kagoshima allo scopo di sequestrare gli armamenti dall'arsenale della città; questa decisione presa in uno scenario già teso (anche a causa della conversione in titoli di stato dei salari dei samurai nel 1877), anziché evitarli, fu fonte di successivi conflitti. Sebbene costernato dell'insorgere del movimento rivoltoso Saigō, nel 1877, fu persuaso a guidare i ribelli contro il governo centrale in quella che poi fu nota come ribellione di Satsuma.
La rivolta fu repressa in pochi mesi dall'esercito regolare, un'imponente forza di circa 300.000 coscritti guidati da ufficiali di rango samurai, sotto il comando di Kawamura Sumiyoshi. Le truppe imperiali avevano impiegato tecniche belliche moderne, erano dotate di obici e palloni di avvistamento. I ribelli di Satsuma potevano contare su circa 40.000 uomini che vennero ridotti a soli 400 nell'ultima famosa battaglia di Shiroyama. Sebbene combattessero per preservare il ruolo tradizionale della classe guerriera, utilizzavano tecniche belliche occidentali e armi da fuoco: le cronache dell'epoca riportano che lo stesso Saigō indossava l'uniforme in stile occidentale. Sul finire degli scontri gli insorti, esaurite le munizioni delle armi da fuoco, dovettero attuare tattiche difensive e riprendere in mano le spade e gli archi.
Ferito gravemente durante la battaglia e preferendo la morte alla cattura, Saigō chiese ad un compagno di essere decapitato per preservare il suo onore. Le rappresentazioni artistiche ispirate ad alcune leggende mostrano che Saigō si suicidò secondo il rito del seppuku.
Le testimonianze dei suoi sottoposti sono in realtà discordi, riportando sia che egli riuscì a darsi la morte con il seppuku dopo essere stato ferito, sia che egli pregò che un suo uomo lo aiutasse a morire. Ancora, alcuni ritengono che Saigō in realtà andò in stato di shock a causa delle ferite, perdendo così la capacità di parlare. I suoi soldati vedendolo in questo stato lo avrebbero decapitato consci del suo desiderio di morire come un vero samurai.
Il dato certo è che la morte di Saigō pose fine alla ribellione di Satsuma.
Non è tuttora chiaro cosa accadde alla sua testa subito dopo la sua morte. Alcune leggende affermano che un attendente del comandante la nascose e che fu poi ritrovata da un soldato imperiale. Ad ogni modo, la testa fu effettivamente ritrovata dalle forze governative e restituita al corpo di Saigō che fu ricomposto accanto ai suoi diretti sottoposti Kirino e Murata. All'evento poté assistere un ufficiale militare statunitense, John Capen Hubbard, la cui testimonianza è però poco nota in Giappone.

Cultura di massa

  • In seguito alla sua spettacolare scomparsa nacquero in Giappone molte leggende riguardanti la figura di Saigō, secondo alcune delle quali egli non sarebbe mai morto. Alcune leggende prevedevano il suo ritorno dall'India o dalla Cina dei Qing per il rovesciamento delle ingiustizie. Secondo alcune testimonianze la sua immagine apparve in una cometa verso la fine del XIX secolo, un presagio di sventura per i suoi nemici.
    Saigō aveva goduto di grande popolarità tra i giapponesi, sia perché incarnava i valori originari dei samurai sia a causa della sua fiera opposizione contro l'occidentalizzazione forzata del paese. Dopo la sua morte il suo ampio seguito di sostenitori continuò a ricordarlo affettuosamente tanto che gli oligarchi Meiji ne riabilitarono pubblicamente la figura e le gesta il 22 febbraio 1889.
    Nel dicembre del 1898 gli fu dedicata la celebre statua bronzea ad opera di Takamura Koun collocata nel Parco di Ueno a Tokyo.

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