Saigō Takamori (西郷
隆盛; Kagoshima, 23 gennaio 1828 – 24 settembre
1877) è stato un militare giapponese, samurai del feudo di Satsuma.
Operò prima a favore e poi contro la Restaurazione Meiji. Perì
nella battaglia di Shiroyama, probabilmente suicida.
Biografia
Primi anni
Saigō nacque durante il decimo anno
dell'era Bunsei a Kagoshima nel dominio di Satsuma (attuale
prefettura di Kagoshima) da una famiglia di samurai, fratello di
Saigō Tsugumichi. Nel 1854 gli venne conferito l'incarico di
assistere il daimyō di Satsuma, Shimazu Nariakira, in una spedizione
a Edo volta alla riconciliazione con lo shogunato dei Tokugawa e la
corte imperiale. La sua attività nella capitale del bakufu venne
bruscamente interrotta a causa della purga Ansei, voluta dal Tairō
Ii Naosuke contro le attività e le forze anti-shogunali, e
dell'improvvisa morte di Shimazu Nariakira.
Saigō riparò dunque a Kagoshima, ma
venne comunque arrestato e confinato nell'isola di Amami Ōshima. Fu
temporaneamente richiamato a Satsuma nel 1861 dal nuovo Daimyo della
provincia, Shimazu Hisamitsu, solo per essere bandito una seconda
volta. Hisamitsu gli concesse finalmente la grazia tre anni più
tardi e lo inviò a Kyōto per curare gli interessi provinciali
presso la corte imperiale.
Il ruolo durante il Rinnovamento Meiji
Una volta assunto il comando delle
truppe di Satsuma a Kyōto, Saigō si apprestò a stringere alleanze
con i samurai del feudo si Aizu contro le forze rivali della
provincia di Chōshū riuscendo ad impedire che le truppe di questo
feudo prendessero il controllo del palazzo imperiale nell'incidente
della porta di Hamaguri. Nell'agosto del 1864 Saigō fu scelto con
altri comandanti per guidare una spedizione punitiva per conto del
Bakufu contro Chōshū in risposta all'incidente, sebbene egli
portasse segretamente avanti un negoziato di alleanza con Kido Koin e
i vertici delle forze di Chōshū che più tardi risultò nella
creazione dell'alleanza Satchō. Quando il bakufu ordinò una seconda
spedizione punitiva nei confronti di Chōshū, Satsuma rimase
neutrale.
Nel novembre del 1867 lo shogun
Tokugawa Yoshinobu rinunciò alla carica, rimettendo il potere nelle
mani dell'imperatore gettando le basi del Rinnovamento Meiji.
Nonostante ciò Saigō si oppose fermamente a questa risoluzione
insistendo sulla necessità di privare i Tokugawa delle loro terre e
del loro status particolare. La sua intransigenza su questi temi fu
una delle maggiori cause dell'imminente guerra Boshin, durante la
quale Saigō guidò alla vittoria le truppe imperiali prima nella
battaglia di Toba-Fushimi e finalmente, nel maggio 1868, a Edo dove
accettò la resa incondizionata di Katsu Kaishu, a capo delle forze
dello shogun.
Burocrate Meiji
Durante il Rinnovamento e la creazione
di un nuovo centro di potere operati dagli oligarchi Meiji, tra cui
spiccò Okubo Toshimichi, Saigō giocò un ruolo chiave e la sua
cooperazione fu cruciale nell'abolizione del sistema feudale e la
creazione di un esercito regolare di coscritti. Nel 1871 gli fu
affidata la dirigenza del governo durante l'assenza degli oligarchi
impegnati nella campagna diplomatica all'estero nota poi come
missione Iwakura (che durò fino al 1872).
Inizialmente Saigō si oppose alla
modernizzazione forzata del Giappone e all'apertura al commercio con
l'Occidente. È degno di nota un episodio in cui tentò di impedire
il finanziamento per la costruzione di una moderna rete ferroviaria
sostenendo che i fondi sarebbero stati meglio impiegati nel
miglioramento dell'esercito. Egli inoltre propugnò alcune campagne
militari espansionistiche (assai care alla classe dei samurai), in
particolare quella di Corea, e espresse le sue opinioni al dibattito
Seikanron del 1873, in risposta al secco rifiuto della Corea di
riconoscere l'autorità dell'imperatore Meiji come capo di Stato
dell'Impero giapponese, e alla umiliante accoglienza riservata alle
ambascerie nipponiche in quel paese volte alla conclusione di accordi
diplomatici e commerciali. Le sue ferme intenzioni lo portarono
addirittura a proporre l'organizzazione di una sua visita ufficiale
in Corea allo scopo di provocare un casus belli dato dal suo
eventuale assassinio ad opera dei coreani; ad ogni modo, dopo il
ritorno della missione Iwakura, tutti i dirigenti governativi si
opposero fermamente a questo piano suicida temendo l'inizio di una
guerra sia dal punto di vista economico che dei rapporti di forza con
le potenze occidentali, in particolare dopo ciò che gli oligarchi
avevano appreso durante la Missione e testimoniato in patria. Dopo
questa presa di posizione Saigō si dimise da tutte le cariche di
governo in segno di protesta e fece ritorno a Kagoshima nelle sue
terre.
La ribellione di Satsuma
Poco tempo più tardi il ritorno di
Saigō a Kagoshima, egli vi incoraggiò la fondazione di un'accademia
militare tradizionale privata per l'addestramento di veri samurai
e concesse l'ingresso anche ai guerrieri che avevano abbandonato le
loro cariche a Edo per seguirlo. Questi ultimi, delusi dal governo
centrale, iniziarono ad influenzare la politica della provincia tanto
da provocare il timore di una rivolta nel governo nazionale, per
prevenire la quale fu inviata una spedizione navale a Kagoshima allo
scopo di sequestrare gli armamenti dall'arsenale della città; questa
decisione presa in uno scenario già teso (anche a causa della
conversione in titoli di stato dei salari dei samurai nel 1877),
anziché evitarli, fu fonte di successivi conflitti. Sebbene
costernato dell'insorgere del movimento rivoltoso Saigō, nel 1877,
fu persuaso a guidare i ribelli contro il governo centrale in quella
che poi fu nota come ribellione di Satsuma.
La rivolta fu repressa in pochi mesi
dall'esercito regolare, un'imponente forza di circa 300.000 coscritti
guidati da ufficiali di rango samurai, sotto il comando di Kawamura
Sumiyoshi. Le truppe imperiali avevano impiegato tecniche belliche
moderne, erano dotate di obici e palloni di avvistamento. I ribelli
di Satsuma potevano contare su circa 40.000 uomini che vennero
ridotti a soli 400 nell'ultima famosa battaglia di Shiroyama. Sebbene
combattessero per preservare il ruolo tradizionale della classe
guerriera, utilizzavano tecniche belliche occidentali e armi da
fuoco: le cronache dell'epoca riportano che lo stesso Saigō
indossava l'uniforme in stile occidentale. Sul finire degli scontri
gli insorti, esaurite le munizioni delle armi da fuoco, dovettero
attuare tattiche difensive e riprendere in mano le spade e gli archi.
Ferito gravemente durante la battaglia
e preferendo la morte alla cattura, Saigō chiese ad un compagno di
essere decapitato per preservare il suo onore. Le rappresentazioni
artistiche ispirate ad alcune leggende mostrano che Saigō si suicidò
secondo il rito del seppuku.
Le testimonianze dei suoi sottoposti sono in realtà discordi, riportando sia che egli riuscì a darsi la morte con il seppuku dopo essere stato ferito, sia che egli pregò che un suo uomo lo aiutasse a morire. Ancora, alcuni ritengono che Saigō in realtà andò in stato di shock a causa delle ferite, perdendo così la capacità di parlare. I suoi soldati vedendolo in questo stato lo avrebbero decapitato consci del suo desiderio di morire come un vero samurai.
Le testimonianze dei suoi sottoposti sono in realtà discordi, riportando sia che egli riuscì a darsi la morte con il seppuku dopo essere stato ferito, sia che egli pregò che un suo uomo lo aiutasse a morire. Ancora, alcuni ritengono che Saigō in realtà andò in stato di shock a causa delle ferite, perdendo così la capacità di parlare. I suoi soldati vedendolo in questo stato lo avrebbero decapitato consci del suo desiderio di morire come un vero samurai.
Il dato certo è che la morte di Saigō
pose fine alla ribellione di Satsuma.
Non è tuttora chiaro cosa accadde alla sua testa subito dopo la sua morte. Alcune leggende affermano che un attendente del comandante la nascose e che fu poi ritrovata da un soldato imperiale. Ad ogni modo, la testa fu effettivamente ritrovata dalle forze governative e restituita al corpo di Saigō che fu ricomposto accanto ai suoi diretti sottoposti Kirino e Murata. All'evento poté assistere un ufficiale militare statunitense, John Capen Hubbard, la cui testimonianza è però poco nota in Giappone.
Non è tuttora chiaro cosa accadde alla sua testa subito dopo la sua morte. Alcune leggende affermano che un attendente del comandante la nascose e che fu poi ritrovata da un soldato imperiale. Ad ogni modo, la testa fu effettivamente ritrovata dalle forze governative e restituita al corpo di Saigō che fu ricomposto accanto ai suoi diretti sottoposti Kirino e Murata. All'evento poté assistere un ufficiale militare statunitense, John Capen Hubbard, la cui testimonianza è però poco nota in Giappone.
Cultura di massa
- In seguito alla sua spettacolare scomparsa nacquero in Giappone molte leggende riguardanti la figura di Saigō, secondo alcune delle quali egli non sarebbe mai morto. Alcune leggende prevedevano il suo ritorno dall'India o dalla Cina dei Qing per il rovesciamento delle ingiustizie. Secondo alcune testimonianze la sua immagine apparve in una cometa verso la fine del XIX secolo, un presagio di sventura per i suoi nemici.
Saigō aveva goduto di grande popolarità tra i giapponesi, sia perché incarnava i valori originari dei samurai sia a causa della sua fiera opposizione contro l'occidentalizzazione forzata del paese. Dopo la sua morte il suo ampio seguito di sostenitori continuò a ricordarlo affettuosamente tanto che gli oligarchi Meiji ne riabilitarono pubblicamente la figura e le gesta il 22 febbraio 1889.
Nel dicembre del 1898 gli fu dedicata la celebre statua bronzea ad opera di Takamura Koun collocata nel Parco di Ueno a Tokyo.
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