Il Sutra
del Loto, o meglio Sutra
del Loto della Buona Dottrina
(Saddharmapuṇḍarīkasūtra),
è uno dei testi più importanti nell'enorme corpus della letteratura
del Buddhismo Mahāyāna contenuto nel Canone cinese (sezione del
Fǎhuābù)
e nel Canone tibetano (sezione mDo-sde
del Kanjur).
È inoltre il fondamento delle scuole buddhiste Tiāntái (in Cina),
Tendai e Nichiren (in Giappone). Il Sutra
del Loto è anche generalmente
abbreviato in Fǎhuā Jīng
(法華經)
in cinese, Hokkekyō
(法華経)
in giapponese e Beophwagyeong
(법화경)
in coreano.
Il Sutra del Loto nelle diverse lingue
In sanscrito Saddharmapuṇḍarīka-sūtra
(सद्धर्मपुण्डरीकसूत्र);
cinese 妙法蓮華經,
Miàofǎ Liánhuā Jīng; giapponese 妙法蓮華經,
Myōhō Renge Kyō; coreano 묘법연화경,
Myobeop Yeonhwa gyeong,
tibetano དམ་ཆོས་པད་མ་དཀར་པོའི་མདོ,
Dam-pa'i chos padma-dkar-po'i mdo, vietnamita Diệu pháp
liên hoa kinh.
Storia
Secondo alcuni filologi il Sutra del
Loto fu probabilmente composto nella sua forma definitiva tra il
I e il II d.C. in Kashmir o forse nel Gandhāra o ancora nei pressi
di Kāpīsā (odierna Begram in Afghanistan), territori allora
inseriti nell'Impero Kushan. Alcune parti del testo sembrerebbero
posteriori e potrebbero essere state aggiunte a più riprese fino al
VI secolo in Cina. Altre parti, segnatamente i capitoli I, XIX,e
XVII, sembrerebbero risultare più antichi, anche precedenti alla
nostra era. Comunque sia, secondo alcuni recenti studi, sembrerebbe
che il Sutra del Loto abbia subìto almeno quattro
rimaneggiamenti, il nucleo originario dell'opera sarebbe quello in
versi a cui sono stati aggiunti delle prose, poi ancora altri versi e
infine le relative prose.
Per alcune tradizioni Mahāyāna il
Sutra del Loto riporterebbe alcuni insegnamenti profondi del
Buddha Śākyamuni trasmessi solo ad alcuni discepoli, e tale
affermazione è presente nello stesso sutra. Secondo una leggenda,
sempre Mahāyāna, i suoi contenuti, di un livello superiore rispetto
agli Āgama-Nikāya delle scuole del Buddhismo dei Nikāya,
non potevano essere compresi al tempo del Buddha Śākyamuni, perciò
esso fu custodito per cinquecento anni nel regno dei Nāga, e quindi
reintrodotto nel mondo di sahā (sanscrito, cinese 娑婆
suōpó, giapp. shaba), il nostro mondo, nei
primi secoli della nostra era.
Alcuni indianisti rilevano che la
composizione del Sutra del Loto muove da testi anteriori come
il Mahābherihakaparivartāsūtra (Sutra della messa in moto
della collana di gioielli del Gran Tamburo, tradotto da Guṇabhadra
in lingua cinese con il titolo di 大法鼓經
Dàfǎgǔjīng, giapp. Daihōkokyō) oppure
l'Avinivartanī-cakra-sūtra.
Composizione
e Traduzione
Secondo uno dei traduttori in lingua
occidentale, Burton Watson, il Sutra del Loto è stato inizialmente
scritto in un dialetto del medio indiano, e poi tradotto in sanscrito
sotto l'Impero Kushan per dargli maggiore dignità letteraria. Questo
sutra è molto noto per essere focalizzato, tra l'altro, sui "mezzi
abili" (sanscrito उपाय upāya,
cinese 方便 pinyin fāngbiàn,
coreano bangpyeon, giapponese hōben, tibetano thabs)
principalmente in forma di parabole, e per essere il primo sutra ad
utilizzare il termine Mahāyāna, o Grande Veicolo.
In Cina il Sutra del Loto fu
tradotto diciassette volte, di cui sei in versione integrale. Di
queste traduzioni ne sono giunte a noi solo tre, tutte inserite nella
sezione Fǎhuābù del Canone cinese.
La prima risale al 290 ad opera di
Dharmarakṣa (223-300) con il titolo Zhèng fǎhuā jīng
(正法華經, giapp. Shō
hokke kyō, T.D. 263, 9.63-133).
La seconda, la più diffusa in
assoluto sia in Cina che in Giappone, è una traduzione in sette
fascicoli di Kumārajīva (344-413) compiuta nel 406 con il titolo
Miàofǎ Liánhuā Jīng (妙法蓮華經,
giapp. Myōhō Renge Kyō, T.D. 262, 9.1c-62b).
La terza, che risulta parziale, fu
compiuta nel 601 da Jñānagupta (闍那崛多,
Shénàjuéduō, 523-605) e Dharmagupta (達摩笈多,
Dámójíduō, ?-619) con il titolo Tiānpǐn miào fǎliánhuā
jīng (添品妙法蓮華經,
giapp. Tenbon myōhō renge kyō, T.D. 264). Quest'ultima
traduzione in cinese si rifà a quella di Kumārajīva ma viene per
l'appunto denominata Tiānpǐn (添品,
capitolo aggiunto) in quanto presenta il capitolo Devadatta
(XII capitolo) che, nella traduzione di Kumārajīva, è accorpato
all'XI capitolo.
Secondo alcune antiche tradizioni del
Buddhismo cinese e del Buddhismo giapponese, il Sutra del Loto
avrebbe un prologo e un epilogo, cioè il Sutra dell'Infinito
Significato (無量義經,
pinyin: Wúliángyì jīng, giapp.: Muryōgi Kyō, T.D.
276, 9.383b-389b) e il Sutra della Meditazione del Bodhisattva
Samantabhadra (觀普賢菩薩行法經,
pinyin: Guān pǔxiánpúsà xíngfǎ jīng o anche Pǔxián
jīng, giapp. Kan fugenbosatsu gyōhō kyō o anche Fugen
Kyō, T.D. 277, 10.389-394). Questi tre sūtra
costituiscono, in quell'ambito tradizionale, il 法華三部經
( Fǎhuā sānbù jīng, g. Hokke sanbu kyō)
ovvero le "Le tre scritture sorelle" (o il il "Triplice
Sutra del Loto").
Alcune tarde versioni sanscrite del
Sutra del Loto sono state rinvenute agli inizi dello scorso
secolo a Gilgit (in Pakistan, è una versione del VI secolo), in
Nepal (versione del XII secolo) e nel Tibet ma, secondo Francesco
Sferra:
«c'è motivo di ritenere che l'originale su cui si basò
Kumārajīva fosse in molti punti differente dal testo sanscrito a
noi pervenuto. Sembra anzi che la traduzione cinese sia stata
condotta su un testimone più antico di quelli a noi pervenuti
nell'originale sanscrito come dimostrerebbero numerosi particolari
e la differente suddivisione dei capitoli»
|
(In: Sutra
del Loto. Milano, Rizzoli, 2001, pag. 17)
|
Sempre nell'area dell'Asia centrale è
stata rinvenuta una versione più antica, riportata in khotanese, che
risulta essere vicina alla versione originale tradotta in lingua
cinese da Kumārajīva.
Il Sutra del Loto venne tradotto
in tibetano nel IX secolo dal monaco indiano Surendra e dal monaco
tibetano Yeshe De con il titolo Dam-pa'i chos padma-dkar-po'i mdo,
tale traduzione, che concorda con le tarde versioni sanscrite dei
manoscritti rinvenuti in Nepal, è inserita nel Canone tibetano.
Commentari
sul Sutra del Loto
Tra i numerosi antichi commentari che
autori mahāyāna hanno redatto sul Sutra del Loto, vanno
ricordati:
Saddharmapuṇḍarīka-sūtra-upadeśa
(妙法蓮華經憂波提舍 pinyin:
Miào fǎ liánhuā jīng yōupōtíshè, giapp. Myōhō
renge kyō ubadaisha, T.D. 1519 e 1520), opera di Vasubandhu (IV
secolo d.C.), autore indiano di scuola Cittamātra, tradotta da
Bodhiruci (?-527) e Tánlín (曇林,?-?).
Miàofǎliánhuājīng shū
(妙法蓮華經疏,
Commentario del Sutra del Loto) opera di Dàoshēng (道生,
355-434) discepolo cinese di Kumārajīva.
Miàofǎliánhuājīng wénjù
(妙法蓮華經文句, anche
Fǎhuā wénjù, Parole del Sutra del Loto, giapp.
Myōhōrengekyō mongu, T.D. 1718) opera di Zhìyǐ (智顗,
538-597), autore cinese di scuola Tiāntái.
Miàofǎ liánhuā jīngxuán
yì (妙法蓮華經玄義,
anche Fǎhuā xuányì, Il profondo significato del Sutra del
Loto della Legge meravigliosa, giapp. Myōhō renge kyōgen gi,
T.D. 1716, 33.618-815) di Zhìyǐ.
Fǎhuā xuányì shìqiān
(法華玄義釋籤,
Commentario sul Fǎhuā xuányì di Zhìyǐ, giapp.
Hokkegengi shakusen, T.D. 1717) opera di Zhànrán (湛然,
711-782), autore cinese di scuola Tiāntái.
Fǎhuā yóuyì (法華遊意,
Riflessioni sul Sutra del Loto, giapp. Hōke yui) opera di
Jízàng (吉藏, 549-623),
autore cinese di scuola Sānlùn.
Dottrina
Esporre la dottrina veicolata dal Sutra
del Loto è compito arduo. Fin dalla sua prima apparizione il
Sutra del Loto ha svolto più funzioni. Nel corso dei secoli ha
veicolato delle credenze importanti per le comunità buddhiste
dell'Asia centrale e, soprattutto, dell'Estremo Oriente.
Nel Mahāprājñāpāramitôpadeśa
(anche Mahāprajñāpāramitāśāstra), testo attribuito a
Nāgārjuna (II-III secolo d.C.) e tradotto dal sanscrito al cinese
da Kumārajīva nel V secolo d.C., si sostiene che tale sutra
è superiore ai Prajñāpāramitā sūtra in quanto proclama
che anche i seguaci dello Hīnayāna possono raggiungere
l'anuttarā-samyak-saṃbodhi (la suprema bodhi). Alle
medesime conclusioni giungono anche il
Saddharmapuṇḍarīka-sūtra-upadeśa di Vasubandhu (IV
secolo d.C.) e il Mahāyānāvatāra di Sāramati (IV secolo).
In Cina, è il sutra fondamentale della
scuola Tiāntái (天台宗),
dove lo stesso fondatore, Zhìyǐ (智顗,
538-597), ha prodotto al riguardo di questo sutra più opere
esegetiche. In Giappone, riveste questo ruolo nelle scuole del
Buddhismo Tendai e del Buddhismo Nichiren. Lo stesso Dōgen Zenji
(道元禅師, 1200-1253),
fondatore giapponese della scuola Zen Sōtō (曹洞宗
Sōtō-shū) ebbe a dichiarare nella sua opera
fondamentale, lo Shōbōgenzō:
«Il Sutra del Loto è
il re dei sutra: riconoscetelo come il vostro grande maestro.
Comparato a questo sutra tutti gli altri si pongono soltanto come
suoi contenuti, perché esso soltanto esprime la Verità ultima.
Gli altri presentano soltanto insegnamenti provvisori, non le vere
intenzioni del Buddha.»
|
(Dōgen, Shōbōgenzō)
|
Lo stesso monaco Zen italiano e
fondatore del monastero Fuden-ji, Fausto Taiten Guareschi affermò,
alcuni anni fa, che:
«Lo Shōbōgenzō
sembra un commento al Sutra del Loto»
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(Fausto Taiten Guareschi)
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Gli studiosi contemporanei si sono
prodigati in molteplici analisi testuali per spiegare il grande
successo rivestito in Oriente da questo sutra. Gene Reeves rileva
come, a differenza dei trattati dottrinali, le 'storie' rappresentate
nel Sutra del Loto
«incarnano gli insegnamenti
e, per così dire, danno umanità ad essi in un modo in cui i
principi astratti non possono fare. Se si intende comprendere
questo Sutra completamente, occorre studiare attentamente
le sue storie. Così diverrà possibile vedere che l'uso esteso
delle storie è una sorta di affermazione del concreto. Le storie
– sembra voler dire il Sutra – sono importanti
incarnazioni del Dharma tanto quanto ogni affermazione astratta.
Esse raccontano di azioni che danno corpo al Dharma. È in tali
azioni, che in questo Sutra sono considerate pratiche
bodhisattviche, che il Dharma è più concretamente incarnato e
pertanto più prezioso e più reale»
|
(Gene Reeves Il
Sutra del Loto come radicale affermazione del mondo)
|
E, ancora più avanti, sempre Reeves:
«L'intera ambientazione del
Sutra del Loto è sovrannaturale; in esso, dal primo
capitolo all'ultimo, non c'è nulla che pretenda di essere
storico. Ma, mentre in altri contesti le storie miracolose possono
essere state usate per affermare in questo mondo qualche potere
extramondano, la loro funzione nel Sutra del Loto è
piuttosto diversa. Ciò è in parte dovuto, io ritengo, al fatto
che l'intera ambientazione del Sutra è sovrannaturale.
Nella Bibbia, per esempio, i miracoli hanno luogo nella Storia,
essi compaiono all'interno di un resoconto storico. Ma nel Sutra
del Loto, sebbene ci siano brevi riferimenti agli eventi
storici, il lettore comprende fin dall'inizio che i miracoli hanno
luogo all'interno di un racconto. E tali racconti sono degli
espedienti, degli abili mezzi, per impartire insegnamenti. Non
hanno la pretesa di essere dei resoconti storici»
|
Quindi il Sutra del Loto sarebbe
un compendio di insegnamenti espresso per mezzo di storie fantastiche
tese non solo a comunicare una serie di dottrine, quanto piuttosto a
'rivelare' al lettore una diversa interpretazione del mondo. È
evidente che nel Sutra del Loto ci siano dei continui richiami
polemici contro le scuole dello Śrāvakayāna (o Hinayāna)
ma è altrettanto evidente che, a differenza di altri sutra Mahāyāna
successivi, secondo questo sutra anche gli śrāvaka (聲聞
cin. shēngwèn, giapp. shōmon) e i
pratyekabuddha (緣覺 cin.
yuánjué, giapp. engaku), ovvero i seguaci del
Buddhismo dei Nikāya, raggiungeranno il pieno "risveglio"
(anuttarā-samyak-saṃbodhi, cinese 無上菩提
wúshàng pútí, giapponese mujō bodai), la
piena "buddhità", in quanto stanno già operando come dei
Buddha. Ciò avviene per una concezione radicalmente olistica
(olismo) e omnicentrica della realtà richiamata costantemente
in tutto il Sutra.
Tradizionalmente sono due i capitoli
considerati centrali in questo sutra: il capitolo II,
l'Upāyakauśalya, e il capitolo XVI (XV nella versione
sanscrita) il Tathāgatasupramana, che peraltro risultano tra
le parti più antiche dello stesso sutra.
Nel capitolo II, il Buddha Śākyamuni
dichiara a Śāriputra che la profonda dottrina dei Buddha può
essere compresa solo dai Buddha. Che per insegnare tale dottrina i
Buddha si avvalgono quindi di mezzi abili (upāya) e che tali
mezzi si esplicitano in più vie di salvezza (che comprendono quelle
degli śrāvaka, dei pratyekabuddha e dei bodhisattva),
ma che la via rimane sempre una ed è il Buddhaekayāna (il
veicolo unico del Buddha). Dietro l'insistenza di Śāriputra il
Buddha espone il Dharma descrivendo semplicemente la realtà per come
essa è (attraverso le sue dieci 'talità', sans. tathātā).
La via da percorrere, la via dei Buddha, per il II capitolo
del Sutra del Loto non offre quindi verità segrete ma la
realtà semplicemente come essa è e che va accettata e compresa
durante la propria vita, senza ricorrere ad opinioni (sanscrito
dṛṣṭi,) peraltro già criticate dal Buddha Śākyamuni
negli Āgama-Nikāya. Secondo le scuole sino-giapponesi che
fanno riferimento a questo Sutra, ciò significa imparare ad
incrociare la propria esistenza (Realtà convenzionale di essere
sofferente) con la Realtà assoluta (che di per sé contiene ogni
cosa, compresa la sofferenza, ed è per questo inesprimibile). Solo
per mezzo di questo incontro, che si realizza con le pratiche
meditative (lo zhǐguān/shikan, 止觀,
delle scuole Tiāntái e Tendai) o la recitazione del daimoku
(il Nam myōhō renge kyō, 南無妙法蓮華経,
per il Buddhismo Nichiren), si può raggiungere la "Verità
ultima" la quale, essendo "ultima", deve
necessariamente comprendere sia la "Verità assoluta" che
quella "convenzionale" (individuale e mondana).
Nel capitolo XVI il Buddha Śākyamuni
dichiara che egli non è soggetto a morte ma, come Tathāgata
(manifestazione del Buddha), è sempre esistito e sempre esisterà.
Questo insegnamento sul Buddha eterno è un richiamo all'olismo
radicale proprio del Buddhismo Mahāyāna, dove la soggettività
(propria della "Verità convenzionale") acquisisce un
diverso significato quando incontra l'insegnamento della vacuità
(śunyātā, proprio della "Verità assoluta").
Tutti gli esseri hanno la natura di Buddha (buddha-dhātu o
buddhatā o tathāgatagarbha) e operano per
"realizzare" questa natura, e tutti la "realizzeranno"
(capitolo XX del Sutra del Loto). Il Buddha è quindi sempre
esistito e sempre esisterà.
In conclusione, secondo Gene Reeves:
«Ciò che si trova nel Sutra del Loto, dunque, è una
sorta di modello cosmologico/soteriologico dove le storie
sovrannaturali dànno rilievo al Sutra del Loto stesso, a
Buddha Śākyamuni, e al mondo saha, al fine di
incoraggiare la pratica del bodhisattva nel mondo, che
costituisce la Via del Buddha per la salvezza. Portando il
cosmo e ogni sorta di elementi sovrannaturali nella storia si dà
rilievo al rango del Sutra. La predica di cui si narra nel
Sutra è frequentata non soltanto dagli esseri umani ma da
ogni sorta di esseri provenienti da infiniti mondi. Questa
elevazione del rango del Sutra, di contro, dà rilievo a
Buddha Śākyamuni, in quanto è colui che predica il Sutra.
In tutto il testo, i buddha e i bodhisattva vengono in questo
mondo per chiedere a Buddha Śākyamuni di predicare il Sutra
del Loto, che qui equivale al Dharma. E, poiché Buddha
Śākyamuni è il buddha del mondo saha, anche il
rango di quest'ultimo si innalza. È nel mondo saha che i
buddha e i bodhisattva degli altri mondi e degli
altri tempi vengono a lodare Śākyamuni. E ciò, naturalmente,
eleva il rango e l'importanza di coloro che vivono nel mondo saha
– specialmente coloro che seguono gli insegnamenti di Buddha
Śākyamuni, che si assumono la responsabilità della loro vita e
diventano praticanti della Via del bodhisattva, entrando
così nella Via del Buddha che porta alla salvezza. Viene
detto, in effetti, che la vita di noi che viviamo nel mondo saha
ha un significato cosmico, per incoraggiarci così a perseguire la
nostra salvezza, la nostra buddhità, praticando la Via del
bodhisattva e aiutando gli altri. Pertanto, per il Sutra
del Loto, l'intera struttura cosmica, più grande di quanto
possiamo immaginare, è legata a noi e, in un certo senso, dipende
dalle nostre scelte quotidiane, come noi dipendiamo da essa. In
questo, come in altri modi, il Sutra del Loto afferma
radicalmente il mondo. Ma, ben lungi dal vedere questo mondo come
già perfetto in qualche mistico modo o dall'accettarlo così come
è, esso considera il mondo, con tutta la sua sofferenza, come
reale e quindi come un luogo di pratica bodhisattvica.»
|
Struttura del
Sutra
Il Sutra del Loto comprende
ventisette capitoli nelle versioni sanscrite e tibetane, che
diventano ventotto nella versione cinese di Kumārajīva riveduta da
Jñānagupta e Dharmagupta.
La suddivisione del Sutra del Loto nella tradizione del Canone
buddhista cinese
Nella tradizione del Buddhismo che fa
riferimento al Canone buddhista cinese, ovvero nelle scuole buddhiste
cinesi, coreane, giapponesi e vietnamite, questo sutra viene diviso
in due parti:
la prima, denominata in cinese 迹門
jī mén, in coreano 적문
jeok mun o chŏk mun, in giapponese shaku
mon, in vietnamita tích môn, riguarda i primi 14
capitoli del sutra dove il Buddha Śākyamuni si esprime nella sua
forma apparente, vincolato ai limiti spaziali e temporali;
la seconda, denominata in cinese
本門 běnmén, in
coreano 본문 bommun o
pommun, in giapponese honmon, in vietnamita bổn
môn, riguarda i secondi 14 capitoli del sutra, dove il Buddha
Śākyamuni si rivela invece come espressione del Buddha eterno (o
Buddha originario), ovvero esprime la sua natura originaria al di là
del tempo e dello spazio.
迹門
序品
方便品
譬喩品
信解品
薬草喩品
授記品
化城喩品
五百弟子受記品
授学無学人記品
法師品
見宝塔品
提婆達多品
勧持品
安楽行品
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本門
従地湧出品
如来寿量品
分別功徳品
随喜功徳品
法師功徳品
常不軽菩薩品
如来神力品
嘱累品
薬王菩薩本事品
妙音菩薩品
観世音菩薩普門品
陀羅尼品
妙荘厳王本事品
普賢菩薩勧発品
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A queste due parti, il monaco buddhista
giapponese del XIII secolo, fondatore dell'omonima scuola, Nichiren,
aggiunse una terza composta a partire dal X capitolo fino al XXII
capitolo compresi denominandola daisan hōmon (terza sfera
dell'insegnamento di Śākyamuni) dove, a detta di Nichiren, si
conservano gli insegnamenti per resistere alle prove della vita
praticando la vera Dottrina.
L'ordine dei ventisette capitoli nella versione in lingua sanscrita
nidānaparivartaḥ
upāyakauśalyaparivartaḥ
aupamyaparivartaḥ
adhimuktiparivartaḥ
oṣadhīparivartaḥ
vyākaraṇaparivartaḥ
pūrvayogaparivartaḥ
pañcabhikṣuśatavyākaraṇaparivartaḥ
ānandādivyākaraṇaparivartaḥ
dharmabhāṇakaparivartaḥ
stūpasaṁdarśanaparivartaḥ
utsāhaparivartaḥ
sukhavihāraparivartaḥ
bodhisattvapṛthivīvirasamudgamaparivartaḥ
tathāgatāyuṣpramāṇaparivartaḥ
puṇyaparyāyaparivartaḥ
anumodanāpuṇyanirdeśaparivartaḥ
dharmabhāṇakānuśaṁsāparivartaḥ
sadāparibhūtaparivartaḥ
tathāgataddharyabhisaṁskāraparivartaḥ
dhāraṇīparivartaḥ
bhaiṣajyarājapūrvayogaparivartaḥ
gadgadasvaraparivartaḥ
samantamukhaparivartaḥ
śubhavyūharājapūrvayogaparivartaḥ
samantabhadrotsāhanaparivartaḥ
- anuparīndanāparivartaḥ