sabato 17 novembre 2018

Buddhismo Vajrayāna

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L'espressione Buddhismo Vajrayāna è traducibile in italiano come Buddhismo del veicolo adamantino o Buddhismo del veicolo del diamante.
Il termine "Vajrayāna" è reso in:
  • tibetano: rDo-rje theg-pa (rDo-rje, lett. "signore delle pietre")
  • cinese: 金剛乘 Jīngāng shèng
  • coreano: 금강승 Geumgang seung
  • giapponese: Kongō jō
  • vietnamita: Kim cương thừa.
Nelle lingue estremo orientali è più comunemente indicato con un termine che ne sottolinea gli insegnamenti "segreti" ovvero come Buddhismo esoterico quindi reso in:
  • cinese: 密宗 Mìzōng
  • coreano: 밀종 Miljong
  • giapponese: Misshū, in Giappone è tuttavia preferito 密教 (Mikkyō)
  • vietnamita: Mật tông.
Altro modo di indicare questo tipo di buddhismo è il termine Mantrayāna ("Veicolo dei Mantra segreti", tib. sngags kyi theg pa, cin. 密咒乘 mìzhòu chéng, giapp. mitsuju jō) o anche Tantrayāna ("Veicolo dei Tantra") con il suo recente corrispettivo di Buddhismo tantrico.
Per Buddhismo Vajrayāna si intende quindi quell'insieme di scuole, dottrine e lignaggi propri del Buddhismo Mahāyāna che accolgono ulteriori insegnamenti e mezzi abili (sanscrito upāya) che, a detta di questo tipo di buddhismo, consentirebbero un rapido ingresso nella conoscenza o saggezza ultima (sanscrito prajñā) e raggiungere l'"illuminazione" anche in questa stessa vita.
Il termine sanscrito vajra (lett. diamante o folgore) richiamato nel nome di questo buddhismo, indica l'infrangibilità, l'immutabilità e l'autenticità della Verità ultima. Corrisponde anche alla vacuità e quindi alla vera essenza di tutti gli esseri e dell'intera realtà. La trasparenza del diamante indica anche che la mente illuminata è "chiara", "limpida" e vuota (trasparente).
La tradizione indiana e tibetana di questo buddhismo lo indica come terzo veicolo (yana ovvero ciò che "conduce" verso l'"illuminazione") dopo l'Hīnayāna e il Mahāyāna, considerandolo come sviluppo del Mahāyāna.
Il Buddhismo Vajrayāna è oggi presente in Bhutan, Mongolia, Giappone, India e Tibet, oltre che essere presente in numerose nazioni occidentali.

Origini e sviluppo

Secondo la storiografia contemporanea il Buddhismo Vajrayāna compare in India nel VI-VII secolo d.C. Esso consisterebbe in un sincretismo tra alcune dottrine induiste denominate tantrismo, fondate anche su credenze popolari sciamaniche, con il Buddhismo Mahāyāna. I suoi testi fondamentali, denominati Tantra, sono databili intorno a quel periodo. Se questi testi si fondano o meno su tradizioni orali precedenti è argomento ancora oggi controverso e discusso.
Secondo la tradizione Vajrayāna, invece, le proprie dottrine sono assolutamente ortodosse e hanno origine, tra gli altri, dallo stesso Buddha Śākyamuni. Secondo tale tradizione il Buddhismo Vajrayāna è la forma di Buddhismo sviluppatasi a partire da quello che è stato definito il "Quarto giro della ruota del Dharma" da parte, tra gli altri, del Buddha Śakyamuni alla classe di discepoli aventi i requisiti necessari e comunque spiritualmente più maturi. In accordo con tale tradizione, l'assemblea di coloro che apprendevano i Tantra dal Buddha era composta in gran parte da esseri non umani come i Deva o i Bodhisattva trascendenti. Così la "Storia" sacra del Vajrayāna narra che ad un anno dall'Illuminazione lo Śākyamuni espose sul Gṛdhrakūṭaparvata (Picco dell'avvoltoio, montagna esistente in India situata nei pressi di Rajgir, nello stato indiano del Bihar), lo Śatasāhasrikāprajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione della saggezza in centomila stanze) mentre contemporaneamente assumeva la forma di Kālacakra a Dhānyakaṭaka (nell'Andhra Pradesh, India meridionale) per insegnare dentro uno stupa apparso improvvisamente il Kālacakratantra al re Sucandra (a sua volta emanazione di Vajrapāṇi) re di Śambhala. Peraltro è opinione dei seguaci del Buddhismo Vajrayāna che sia impossibile comprendere la genesi di questo Buddhismo partendo dalle ordinarie concezioni spazio-temporali.
Per gli storici contemporanei questa narrazione è puramente mitica essendo, a loro detta, il Kālacakratantra uno dei testi più tardi del Buddhismo Vajrayāna, risalente non prima del X secolo. Nel parere degli studiosi contemporanei il Buddhismo Vajrayana si formò sul tronco del Buddhismo Mahāyāna, anche se insegnamenti tantrici possono essere ascritti ad alcuni secoli precedenti da quelli finora identificati.
Dal punto di vista storico possiamo affermare con certezza l'esistenza del Buddhismo Vajrayāna a partire dal VII secolo quando è accertata la presenza in Cina di maestri tantrici come Śubhakarasiṁha (a Chang'an nel 716) e Vajrabodhi (a Luoyang nel 720). La presenza di elementi tantrici possono essere comunque riscontrate nelle parti, risalenti al IV secolo circa, di alcuni sutra mahāyāna (Sutra del Loto, Vimalakīrti Nirdeśa sūtra); un primo testo tantrico potrebbe essere il Mahāmāyurī risalente al III secolo d.C. La presenza di elementi tantrici può essere tuttavia riscontrata anche in testi appartenenti al Buddhismo dei Nikāya. Le congetture storiche sulla nascita del Buddhismo Vajrayāna ci dicono della possibilità della presenza di maestri itineranti detti siddha (ovvero detentori del potere sacro denominato siddhi), iconoclasti e critici nei confronti del Buddhismo Mahāyāna tradizionale in quanto considerato troppo intellettuale - e successivamente indicato come Pāramitayāna (Veicolo della Perfezione) -, i quali crearono circoli segreti per trasmettere dottrine e pratiche esoteriche atte a far realizzare rapidamente l'Illuminazione. Il progressivo sviluppo di questi circoli permise nei secoli successivi l'istituzionalizzazione di questo "nuovo" buddhismo e il suo ingresso nei monasteri. Così, nel VII secolo, il monaco buddhista vajrayāna viveva insieme ai confratelli appartenenti ad altri buddhismi, veniva ordinato seguendo il vinaya del Buddhismo dei Nikāya, seguiva i precetti del Buddhismo Mahāyāna ma praticava le tecniche Vajrayāna.

I testi

I testi tantrici del Buddhismo Vajrayāna sono presenti nei canoni buddhisti cinese e tibetano.
  • Nel Canone cinese i testi tantrici sono prevalentemente raggruppati nella sezione Mìjiàobù (密教部, T.D. dal n. 848 al n. 1420).
  • Nel Canone tibetano questi testi sono inseriti nel Kangyur mentre i relativi commentari nel Tengyur. I testi tantrici furono divisi nel Kangyur dal dotto tibetano Buston (Bu-ston Rin-chen 'Grub, 1290-1364) in quattro raggruppamenti.
  1. Kriyā Tantra (tib. Bya-rgyud) che rappresenta una raccolta di sutra mahāyāna contenenti elementi "tantrici" non ancora sviluppati autonomamente, tra questi testi:
    • Suvarṇaprabhāsauttamasūtra (inserito nel Canone cinese al T.D. n. 663, 664 e 665);
    • Bhaiṣajyaguruvaiḍūryapūrvapraṇidhāna (inserito nel Canone cinese al T.D. 450.14.404-409);
    • Subāhuparipṛcchā-tantra (inserito nel Canone cinese al T.D. 895.18.719-746);
    • Susiddhikara-mahātantrasādhanopāyika-paṭala (anche Susiddhitantra, tib. legs par grub par byed pai rgyud chen po las sgrub pai thabs rim par phye ba, conservato nel Canone cinese al T.D.893.18.603-692);
    • Dhyānottara.
  2. Caryā Tantra (tib. Spyod-rgyud) che rappresenta una evoluzione "tantrica" rispetto alla precedente raccolta. Il Caryā Tantra contiene, infatti, pochi testi, il principale dei quali è
    • il Mahāvairocanābhisaṃbodhivikurvitādhiṣṭhāna (in tib. rNam par snang mdzad chen po mngon par rdzogs par byang chub pa rnam par sprul ba byin gyis rlob pa shin tu rgyas pa mdo sd'i dbang po rgyal po zhes bya ba'i chos gyi rnam grangs inserito nel Canone cinese al T.D. 848). Da notare che mentre un caratteristico sutra mahāyāna come l' Avataṃsakasūtra viene esposto dal buddha Vairocana, questo sutra è invece esposto dal buddha Mahāvairocana ovvero dal buddha "Grande" Vairocana, come per rimarcare una presentazione della dottrina più profonda rispetto alle stesse dottrine mahāyāna. Questo sutra è al fondamento del Buddhismo Vajrāyana sino-giapponese, con particolare riguardo alle scuole giapponesi Shingon e Tendai.
    • Altro testo importante di questa sezione è il Vajrapāṇyabhiṣeka.
  3. Yoga Tantra (tib. rNal-'byor-gyi rgyud), dove il testo esemplificativo è
    • il Sarvatathāgatatattvasaṃgraha (inserito nel Canone cinese ai T.D. nn. 856, 866, 882). In questa opera si descrivono i cinque stadi della realizzazione della "buddhità" da parte del Buddha Mahāvairocana e vuole essere una dimostrazione della superiorità del Vajrāyāna rispetto al Pāramitayāna. In questa opera vi è anche la descrizione del Vajrdhātu Maṇḍala (tib. ro-rje'i dbyings-kyi dkyil-'khor, Maṇḍala dello spazio di diamante) che aggiunge alle trentasette divinità del Maṇḍala anche alcuni bodhisattva femminili, come a segnalare uno sviluppo dottrinario rispetto al Caryā Tantra.
    • Altro testo fondamentale di questa sezione dei tantra è il Prajñāpāramitā-naya-śatapañcaśatikā (inserito nel Canone cinese ai T.D. nn. 240, 241, 243). , esso rappresenta, con le sue immagini erotiche dell'energia sessuale (śakti), il punto di passaggio verso la classe successiva degli Anuttarayoga Tantra.
    • Altro importante testo di questa sezione è il Vajraśekharasūtra (vi sono tre traduzioni nel Canone cinese di questo testo, quella di Amoghavajra è la più diffusa in Estremo Oriente).
  4. Anuttarayoga Tantra (tib. rNal-'byor bla-med rgyud). Questo raggruppamento è quello più recente e comprende testi ed insegnamenti che sviluppano l'utilizzo della śakti (energia sessuale) nelle pratiche yogiche, peraltro già presente in alcuni Yoga Tantra. In questi testi compaiono delle indicazioni anche sul consumo della carne e delle bevande alcoliche, consumo proibito in tutti i vinaya e quindi bandito dai monasteri buddhisti. L'Anuttarayoga Tantra (o "Yoga supremo") viene suddiviso in ulteriori due categorie:
    • Tantra padri (sanscrito Pitṛtantra, tibetano Pha-rgyud) in cui vengono raccolti i testi e gli insegnamenti miranti a realizzare la vacuità dei mezzi abili (sanscrito upāya) e a comprendere il modo in cui il Dharmakāya si presenta nel mondo fenomenico. Tra i Tantra padri vengono raccolti:
      • Śrīguhyasamājatantra (o Guhyasamājatantra, tib. dPal gsang-ba'dus-pa' i rgyud, conservato anche nel Canone cinese al T.D. 885). Esso rappresenta il testo principale della raccolta.
      • Altro importante testo è il Vajramahābhairavatantra (tib. rDo-rje'jigs-byed chen-po'i rgyud).
    • Tantra madri (sanscrito Mātṛtantra, tibetano Ma-rgyud) in cui vengono raccolti i testi e gli insegnamenti in cui si mira a realizzare l'assorbimento dello stesso Dharmakāya. In questa raccolta vengono inclusi i tantra di Vajrayogini e di Mahāmaya.
    • Una terza raccolta viene indicata come Tantra non duali (sanscrito Advayatā Tantra, tib. Gnyis-med rgyud)
      • per la scuola Gelugpa tale indicazione inerisce a tutto l'Anuttarayogatantra;
      • per la scuola Kagyüpa questa raccolta comprende il solo Kālacakratantra (tib. Dus-kyi 'khor-lo, Tantra di Kālacakra);
      • per la scuola Sakyapa a questo raggruppamento appartiene l'Hevajratantraraja (tib. Kye' i rdo-rje zhes-bya-ba rgyud-kyi rgyal-po, Tantra del diamante di gioia, in altre scuole questo testo è considerato un Tantra madre).

Le dottrine

Il Buddhismo Vajrayāna è, secondo le proprie credenze, uno sviluppo del Buddhismo Mahāyāna. Non si può entrare nel Vajrayāna senza aver prima compreso profondamente le dottrine del Mahāyāna come la dottrina dello śunyātā, della compassione (karuṇā), della bodhicitta e della natura di Buddha compresa in ogni essere senziente. Secondo aspetto fondamentale del Vajrayāna è che esso può essere appreso solo per mezzo di una guida, di un maestro (sanscrito: guru, tibetano: bla-ma o lama, giapp. shi).
Ciò premesso questo "veicolo" buddhista si fonda sul termine tantra che significa "continuità". Questo termine designa l'autentica natura che soggiace all'intera realtà sia essa relativa al saṃsāra o allo stesso nirvāṇa. Questa natura corrisponde alla vacuità. Quando la vacuità si manifesta, si manifesta attraverso l'illusione dell'esistere (māyājāla tib. sgyu-'phrul dra-ba). Quando si riconosce la vacuità che soggiace ai fenomeni si diviene illuminati. Il tantra è la via che conduce a questa consapevolezza. Il termine tantra non riguarda quindi solo i testi, ma anche le relative dottrine. Il "veicolo" buddhista che trasmette le dottrine dei tantra viene denominato Vajrayāna.
Il Vajrayāna, a detta dei suoi seguaci, si distingue dal Mahayāna perché a differenza di questo "veicolo" persegue il principio del "Frutto" (sans. phala, tib. 'bras-bu, giapp. ka) e non delle "Cause" (sans. hetu, tib. rgyu, giapp. in). Secondo il Vajrayāna, infatti, il Buddhismo Mahayāna (indicato anche come Pāramitayāna, Veicolo delle Perfezioni, o Sūtrayāna, Veicolo dei Sūtra) persegue, per mezzo della meditazione e dello studio dei sutra, un cammino di perfezionamento attraverso la rinuncia delle condotte negative accumulando meriti e saggezza per realizzare il Frutto del corpo assoluto (Dharmakāya) e quello dei corpi formali (rūpakāya). Per il Mahayāna, quindi, il cammino percorso è la "causa" dell'illuminazione.
Il Vajrayāna, invece, persegue il principio del "Frutto" ovvero per tramite dei "mezzi abili" rappresentati dai tantra questo veicolo conduce alla purificazione del corpo e di ciò che lo circonda (Tantra inferiori o esterni: Kriyā Tantra, Caryā Tantra e Yoga Tantra) e a trasformare la dimensione "impura" in "pura" (Tantra superiori o interni: Anuttarayoga Tantra).
Questo percorso della Via del diamante può essere intrapreso, secondo questa tradizione buddhista, solo attraverso delle iniziazioni (sans. abhiṣeka, tib. dbang bskur ba, giapp. 灌頂 kanjō) conferite da un maestro di vajra (vajrācarya). A seguito di ciò il discepolo riceve degli insegnamenti orali (sans. āgama, tib. lung, giapp. 阿含 agon) ovvero dei testi da studiare e delle istruzioni. Per realizzare la "pura visione" della Realtà, il discepolo del Vajrayāna applica il metodo del sādhana (strumento per la realizzazione) che raccoglie varie tecniche:
  • Iṣṭadevatā (tib. y-dam, giapp. 本尊 honzon): visualizzare la divinità scelta per la meditazione;
  • Maṇḍala (tib. dkyl-'khor, giapp. 曼荼羅 mandara): visualizzare il sacro ambiente circostante la divinità prescelta per la meditazione;
  • Mudrā (tib. phyag-rgya, giapp. 印相 insō): compiere gesti rituali e simbolici;
  • Pūja (tib. mchod-pa, giapp. 供養 kuyō): fare offerte alle divinità;
  • Mantra: recitare formule sacre;
  • Samudācāratā: svolgere azioni religiose.
Per tramite di questi "mezzi abili" uniti alla consapevolezza della vacuità e della purezza di tutto il Reale, il discepolo consegue il "Frutto" che consiste nel completo stato di buddhità. Tale frutto può essere conseguito in più rinascite (via dei Tantra inferiori) o in una sola vita (via dei Tantra superiori).

Il Vajrayāna di tradizione cinese e il Vajrayāna di tradizione tibetana

Dalla fase di compilazione della classe di scritti dello Yogatantra (VIII secolo) si passò alla classe degli Anuttarayogatantra (X secolo circa), o Tantra dello Yoga superiore.
Il Buddhismo Vajrayana fiorì principalmente in India, dove però si estinse insieme alle altre scuole buddhiste attorno al XIII secolo, ma si diffuse a Giava come testimoniano i cicli scultorei di Borobudur, in Cina, in Giappone nella scuola Shingon, in Asia Centrale e solo in seguito in Tibet. In accordo a diversi Maestri si parla di due, tre o quattro classi di Tantra e questa ultima suddivisione è stata portata avanti dal Maestro Nagarjuna il quale era un praticante nonché detentore del Ghuyasamajatantra, (un Tantra madre? Verificare). Le quattro classi di Tantra sono il Kriyatantra, il Caryatantra, lo Yogatantra e l'Anuttarayogatantra o Yogatantra insorpassabile. Nel sistema Nyingmapa le prime tre classi di Tantra vengono definite "esterne" e comprendono solo lo "Stadio di Generazione", Utpattikrama in sanscrito e Kye Rim in tibetano mentre l'Anuttarayogatantra è uno dei tre Tantra interni e in esso vi sono entrambi gli Stadi di Generazione (come Divinità) e Completamento con la pratica di controllo e assorbimento dei Venti, dei Canali e delle Gocce, Prana, nadi e Bindu, in tib. rTsa, Lung e Thigle. Nel sistema Ningmapa del Buddhismo Tibetano vi sono due ulteriori classi di Tantra, l'Anuyoga e l'Atiyoga; l'Anuyoga corrisponde unicamente allo Stadio di Completamento mentre l'Atiyoga corrisponde al risultato stesso della pratica: il risultato, il Dharmakāya non-nato, è il principale oggetto di meditazione per il praticante ed è esattamente la Natura di Buddha, la Tathagatagarbha. Dimorando senza elaborazioni mentali dualistiche nello stato naturale della mante, Thamal Gyi Shepa in tib., non vi è la necessità di purificare (le oscurazioni) né di accumulare (le positività); il risultato è il sentiero stesso siccome viene presa come sentiero la stessa Tathagatagarbha; accumulazioni e purificazione avvengono aumaticamente con il focalizzaarsi sulla Natura di Buddha ed è possibile "saltare" (ing.: skip) Sentieri e Bhumi e ottenere il risultato definitivo ed irreversibile in un breve periodo di tempo. Il Mahayoga, primo dei tantra Interni in accordo al Lignaggio che deriva dal Maestro Prahevajra (Tib.: Garab Dorje) che per primo diffuse gli Insegnamenti del Maha Ati Yoga (Tib.: Dzok Chen) si suddivide in Tantra Padre, Tantra Madre e Tantra Non-duale. Nel Tantra Padre viene posta più attenzione alle Pratiche relative al Metodo e alle Pratiche di Nadi Prana e Bindu mentre nei Tantra Madre si dà più attenzione alla Chiara Luce e nei Tantra non-duali enytrambi questi aspetti vengono praticati simultaneamente. Yidam dei Tantra Padre è per esempio (devo riguardare), dei Tantra Madre Heruka Chakrasamvara e dei Tantra non-duali Kalachakra e Hevajra. Utpattikrama, lo Stadio di Generazione e Sampannakrama, lo Stadio di Completamento sono il cuore stesso del Mantrayana ma vi sono pratiche che prescindono dai due Stadi come la Mahamudra essenziale e il Maha Ati Yoga che, sebbene possano fare temporaneo uso dei due stadi in definitiva dono indipendenti e non sono Veicoli graduali come i Tantra esterni e il Mahayoga che è l'equivalente dell'Anuttarayogatantra. L'Anuyoga è caratterizzato da una visualizzazione istantanea del Mandala e delle Divinità e dai praticanti dell'Anuttarayogatantra è spesso equiparato allo Stadio di Completamento, scr. Sampannakrama. L'Atiyoga è caratterizzato dall'Autoliberazione nel Dharmadhatu, il riconoscimento immediato del Dharmakāya e consiste nel dimorare nella propria Natura di Buddha, Sugatagarbha e, in questo modo il risultato della Buddhità è realizzato nella maniera più rapida come nel caso della meditazione di Mahamudra che discende dal Buddha Vajradhara e dai Mahasiddha dell'India come Saraha, Maitripa, Kukkuripa, Tilopa, Naropa, Virupa,...
In accordo ad alcuni il Vajrayana è la forma di Buddhismo diffusa in Tibet tanto che spesso per Buddhismo Vajrayana ci si riferisce al Buddhismo Tibetano, sebbene non si tratti dell'unica forma di Buddhismo praticata in Tibet e che in passato si sia diffusa anche in altri paesi dell'Asia. La forma di Buddhismo presente in Tibet racchiude puramente lo Śravakayana, il Bodhisattvayana e il Tantrayana ma essi vengono insegnati separatamente a seconda delle necessità individuali di ogni praticante quindi definire il Buddhismo Tibetano come essere unicamente Vajrayana è errato sebbene degli elementi del Vajrayana siano presenti un po' in tutte le pratiche Buddhiste praticate in Tibet e in zone Himalayane limitrofe. Al di fuori dell'area culturale del Tibet (cioè nel Sikkim, Ladakh, Bhutan, Qinghai, Mongolia, Calmucchia, Buriazia e aree del Nepal, dello Yunnan, del Gansu, del Sichuan), il buddhismo Vajrayana si è sviluppato in Giappone (scuola Shingon) e sta avendo un notevole sviluppo nei paesi occidentali attraverso la diffusione delle Quattro Tradizioni Principali, Kagyu, Nyingma, Sakya e Gelug del Buddhismo tibetano.

venerdì 16 novembre 2018

Shinigami

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Uno shinigami (死神 shinigami, letteralmente "divinità della morte") è una personificazione della morte nella mitologia giapponese, un equivalente del "mietitore di anime" occidentale; quella occidentale, inoltre, è una figura singola, mentre gli shinigami sono, appunto, degli dei e pertanto molteplici.
La mitologia degli shinigami è piuttosto recente, in quanto non sembra esistesse prima del periodo Meiji: molto probabilmente si tratta di un mito importato dall'Europa.
La figura fu adottata molto rapidamente in Giappone, e compare ad esempio nell'opera rakugo Shinigami (probabilmente basata sull'opera italiana Crispino e la Comare, a sua volta basata sul racconto Comare Morte dei fratelli Grimm) e nell'Ehon Hyaku Monogatari ("Libro illustrato di cento storie") di Shunsen Takehara. Secondo altri, però, il mito potrebbe essere stato importato dalla Cina: secondo il critico letterario Masao Azuma, in origine non c'era alcun culto della morte in Giappone.
In Cina ci sono figure simili al mietitore di anime, chiamate Somujo o Koshinin, il cui compito è portare gli spiriti al Meifu (la Terra dei Morti).





giovedì 15 novembre 2018

Mogami Yoshimori

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Mogami Yoshimori (最上義守; 1521 – 1590) è stato un daimyō giapponese del clan Mogami durante il periodo Sengoku.
Yoshimori era figlio di Mogami Yoshiharu, che era un cugino del daimyō dei Mogami, Yoshisada. Quando Mogami Yoshisada morì senza eredi nel 1523, Yoshimori fu scelto per la successione all'età di due anni. Egli governò dal castello di Yamagata e si sono scontrò con i clan Uesugi, Date e numerosi signori locali per espandere il dominio dei Mogami.
Sostenne Date Tanemune nel conflitto di Tenbun e sua figlia Yoshiko fu data in sposa a Date Terumune, padre del famoso Masamune.
Nel 1571 Yoshimori indicò come erede un suo figlio più giovane, bypassando Mogami Yoshiaki. Una fazione di servitori fedeli a Yoshiaki intervenne per porre Yoshimori in custodia e forzare la successione di Yoshiaki.

mercoledì 14 novembre 2018

Kagami biraki

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Il Kagami biraki (鏡開きlett. "apertura dello specchio" o "rottura del mochi") è una cerimonia giapponese che si celebra l'11 gennaio; in Giappone infatti, i numeri dispari sono considerati fortunati. Durante una cerimonia o durante una festa si rompe un kagami mochi oppure si apre una confezione di sake.

Storia

La tradizione del Kagami biraki sembra risalire al periodo Edo fa quando il quarto shōgun Tokugawa Ietsuna (1641-1680) prima di andare in guerra convocò un suo daimyō per condividere con lui un barile di sake. Poiché, in seguito, si ottenne una rapida vittoria in battaglia, l'aprire un barile di sake in vista di un importante evento (sia esso militare, sportivo, sociale) divenne un simbolo beneaugurante. Da allora la tradizione si continua a perpetuare.

Cerimonia

La cerimonia, oggigiorno, ha luogo in occasioni quali matrimoni, eventi sportivi, inaugurazioni o qualunque evento che valga la pena essere celebrato. In Giappone, i mochi sono confezionati tradizionalmente nelle case, ma la maggioranza delle famiglie preferisce comprarne di già realizzati. Durante le feste, una coppia di ridotti (kagami mochi) – uno più grande dell'altro – viene poggiata su un mobiletto e poi collocata su un altare Shintō o buddista o su un tokonoma, come offerta agli dei in visita, durante il Capodanno. Il mochi ornamentale è rimosso l'11 gennaio e viene spezzato in più frammenti prima di essere mangiato.
A quel punto, il kagami mochi è già alquanto fragile e sulla superficie possono essere presenti crepe. Il mochi non viene tagliato col coltello, perché tagliare è un gesto negativo (è associato al taglio dei legami tra le persone) ed è solitamente frantumato con un colpo di mano o con un martelletto.
Molti dojo celebrano il rito del Kagami biraki per ricordare la loro prima sessione dall'allenamento dopo il Capodanno.

martedì 13 novembre 2018

Clan Minamoto

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Il clan Minamoto (源氏 Minamoto-uji) o Genji (contrazione di Gen-uji, dove gen è la lettura on'yomi del kanji ) fu una famiglia giapponese che rivestì grande importanza durante il periodo Heian e nella prima parte del periodo Kamakura.
La famiglia era un ramo della famiglia imperiale giapponese. Il nome del clan nacque come un kabane, titolo onorifico concesso da alcuni imperatori ad alcuni discendenti della famiglia imperiale che non avevano diritto alla successione. Il primo a ricevere il kabane Minamoto no Ason sarebbe stato Minamoto no Makoto, settimo figlio dell'Imperatore Saga, che è così ritenuto il fondatore della linea Saga Genji; le varie linee prendono il nome dall'imperatore da cui il kabane venne concesso, e si dividono perciò in Saga Genji, Seiwa Genji, Murakami Genji, Uda Genji, Daigo Genji, e così via.

Seiwa Genji

La linea storicamente di maggior successo fu la Seiwa Genji, fondata da Minamoto no Tsunemoto (894–961), figlio di Sadazumi-shinnō e nipote l'Imperatore Seiwa. Tsunemoto ricevette il kabane da suo nonno l'Imperatore Seiwa ed utilizzò così il cognome "Minamoto"; suo figlio Mitsunaka (912–997) stipulò un'alleanza con un'altra famiglia molto influente, il clan Fujiwara, e molti membri del clan divennero generali agli ordini dei Fujiwara e della corte imperiale. Il figlio maggiore di Mitsunaka, Yorimitsu (948–1021), divenne il protetto di Fujiwara no Michinaga, mentre un altro suo figlio, Yorinobu (968–1048), venne inviato a soffocare la rivolta di Taira no Tadatsune (membro di un'altra potente famiglia, il clan Taira) nel 1032. Il figlio di Yorinobu, Yoriyoshi (998–1075), e il figlio di Yoriyoshi, Yoshiie (1039–1106), sottomisero la parte nord-orientale del Giappone tra il 1051 e il 1087.
La fortuna dei Seiwa Genji finì con la Ribellione di Hōgen (1156), a partire dalla quale il clan nemico dei Taira (nella linea Kammu Heike) uccise o ottenne la condanna a morte di molti membri del clan, e nel 1160 Minamoto no Yoshitomo, capo del clan e della linea Seiwa Genji, morì in battaglia. Taira no Kiyomori, forte della vittoria, esiliò Yoritomo (1147–1199), terzo figlio di Yoshitomo e nuovo capo del clan. Nel 1180 Yoritomo riuscì a riunire le forze del clan sfidando i Taira nella guerra Genpei, riuscendo infine a vincere ma a prezzo della decimazione del proprio clan.
Nel 1192 Yoritomo ricevette il titolo di Sei-i Taishōgun, e fondò il primo bakufu della storia, lo shogunato Kamakura; tuttavia, dopo la morte dei suoi figli e successori Yoriie e Sanetomo, la linea Seiwa Genji estinse la sua linea ereditaria. Dalla linea Seiwa Genji discesero però i clan Ashikaga (i cui membri governarono il successivo shogunato Ashikaga), Nitta, e Takeda.

Albero genealogico Seiwa Genji e Minamoto

  • Minamoto no Tsunemoto (894-961); samurai e Principe Imperiale, figlio di Sadazumi (+ 916) e nipote dell'Imperatore Seiwa, della Dinastia Imperiale del Giappone
Minamoto no Mitsunaka (912-997); samurai e funzionario di Corte; ebbe il titolo di Chinjufu shōgun, comandante in capo della Difesa del Nord.
Minamoto no Yorimitsu (944-1021)
Minamoto no Yorikuni
Yorihiro
Yorisuke
Sanekuni
Yukizane
Akiyuki
Mitsuyuki
Yoritsuna
Nakamasa
Yorimasa (1106-1180)
Nakatsuna; capostipite dei Tada
Hirotsuna; capostipite degli Ota; da costoro pretendevano di discendere anche gli Oda
Kanetsuna
Yorikane
Yoriyuki
Mitsushige
Kuninao
Kunifusa
Mitsukuni
Mitsunobu
Mitsumoto; capostipite dei Taki (?)
Mitsunaga
Minamoto no Yorinobu (968-1048); capostipite della linea Kawachi Genji
Minamoto no Yoriyoshi (998-1082)
Minamoto no Yoshiie (1039-1106)
Yoshichika (+ 1117)
Yoshinobu
Minamoto no Tameyoshi (1096-1156)
Minamoto no Yoshitomo (+ 1160)
Minamoto no Yoritomo (1147–1199); nel 1192 ricevette il titolo di shōgun e fondò il primo bakufu della storia del Giappone, noto come shogunato Kamakura; = Masako (+ 1225) del Clan Hōjō
Minamoto no Yoriie (1182–1204); secondo shōgun (dal 1202 al 1203) dello shogunato di Kamakura
Minamoto_no_Ichiman (+ 1203)
Minamoto_no_Kugyo (+ 1219)
Minamoto_no_Senjumaru (+ 1214)
Minamoto no Sanetomo (1192–1219); terzo shōgun dello shogunato Kamakura, e l'ultimo capo del clan Minamoto
Shimazu Tadahisa (m. 1227); = una figlia di Koremune Hironobu, discendente del clan Hata; capostipite del clan Shimazu
Minamoto no Yoshitsune (+ 1189); generale del clan Minamoto
Yoshitada
Yoshikuni (+ 1155); assunse per primo il cognome Nitta
Yoshishige (+ 1202)
Yoshizumi (o Yoshinori); capostipite dei Yamana
Yoshitoshi; capostipite dei Satomi
Yoshikane; capostipite dei Nitta
Yoshisue; ritenuto il capostipite dei Matsudaira e dei Tokugawa
Yoshiyasu (+ 1157); assunse per primo il cognome Ashikaga;
Yoshikiyo; capostipite dei Hosokawa
Yoshikane (+ 1196); capostipite degli Ashikaga; = una figlia di Hojo Tokimasa, capo del Clan Hōjō
Ashikaga no Yoshiuji (1189-1255);
Ashikaga no Nagauji (1211-1290); capostipite degli Imagawa
Yoshitoki; capostipite dei Ishikawa
Yoshitsuna; capostipite dei Ishibashi
Minamoto no Yoshimitsu (1045-1127), capo del clan
Yoshinari
Masayoshi
Katayoshi; capostipite dei Satake
Yoshisada; capostipite dei Yamamoto
Yoshikiyo (1075-1149); capo del clan; fu il primo ad adottare il nome Takeda
Kiyomitsu (1110-1168); capo del clan Takeda
Mitsunaga; capostipite del clan Hemi
Nobuyoshi (1138-1186); capo del clan Takeda
Nagamitsu; capostipite dei Ogasawara
Yoshisada; capostipite dei Yasuda
Moriyoshi
Yoshinobu
Masayoshi; capostipite dei Takenouchi
Katanobu
Tomonobu
Tomomasa; capostipite dei Hiraga
Kagehira

Curiosità

  • Nel romanzo classico giapponese Genji monogatari ("Storia di Genji"), il protagonista Hikaru, figlio dell'imperatore (fittizio) Kiritsubo, viene escluso dalla successione imperiale a causa di una cattiva premonizione, e gli viene dato il nome Genji (Minamoto).
  • Nella celebre saga di videogame Final Fantasy sono presenti set di armature Genji.

lunedì 12 novembre 2018

Guerra Boshin

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La guerra Boshin (戊辰戦争 Boshin Sensō, "guerra dell'anno del drago") fu una guerra civile giapponese, combattuta nel 1868–1869 tra i sostenitori dello shogunato Tokugawa e i fautori della restaurazione dell'imperatore Meiji. La causa immediata della guerra fu la dichiarazione imperiale di abolizione del bicentenario governo dello shogunato e l'imposizione del governo diretto della corte imperiale. L'andamento della guerra volse rapidamente a favore della più piccola, ma relativamente modernizzata, fazione imperiale e dopo una serie di battaglie sull'isola principale di Honshū che culminarono nella resa di Edo, i resti delle forze dei Tokugawa si ritirarono nell'Hokkaidō, proclamando l'unica repubblica nella storia del Giappone. Con la battaglia navale di Hakodate, anche gli ultimi lealisti dei Tokugawa furono sconfitti, lasciando tutto il Giappone sotto il controllo della corte imperiale, completando la fase militare della Restaurazione Meiji.
Il conflitto mobilitò circa 120.000 uomini e causò circa 3.500 vittime. Quando ebbe termine, la vittoriosa fazione imperiale abbandonò l'obiettivo dell'espulsione degli stranieri del Giappone, ma adottò, invece, una politica di continua modernizzazione del paese, mirando a una rinegoziazione dei trattati con le potenze straniere. Grazie all'insistenza di uno dei principali leader della fazione imperiale, Saigō Takamori, si mostrò clemenza verso i lealisti Tokugawa e molti dei leader della fazione dello shogunato ricevettero incarichi nel nuovo governo.
La guerra Boshin testimoniò l'avanzato stato di modernizzazione già raggiunto dal Giappone nei soli quattordici anni trascorsi dall'apertura delle frontiere con l'Occidente, l'alto grado di coinvolgimento delle nazioni occidentali (specialmente Regno Unito e Francia) negli affari interni della nazione e la restituzione del potere all'imperatore dopo secoli di dittatura militare degli shogun. Nei decenni successivi, la guerra fu romanticizzata dai giapponesi che giunsero a considerare la Restaurazione come una "rivoluzione pacifica", nonostante i morti causati.

Situazione politica

Primo dissenso verso lo Shogunato

Per i due secoli precedenti il 1854, il Giappone chiuse i rapporti con le nazioni straniere, con le eccezioni della Corea attraverso Tsushima, la Cina della dinastia Qing mediante le isole Ryūkyū, e i Paesi Bassi mediante la stazione commerciale di Dejima. Grazie all'interazione con l'Olanda, lo studio della scienza occidentale continuò in questo periodo sotto il nome di Rangaku, permettendo al Giappone di seguire e studiare lo sviluppo della rivoluzione industriale.
Nel 1854, il commodoro Matthew Perry costrinse il Giappone ad aprirsi al commercio internazionale sotto la minaccia militare della sua flotta, dando inizio a un periodo di rapido sviluppo del commercio con l'estero e di occidentalizzazione. A causa soprattutto degli umilianti termini dei trattati ineguali imposti dal commodoro Perry, lo shogunato si trovò ben presto ad affrontare un'ostilità interna che si concretizzò in un movimento radicale xenofobico, il sonnō jōi (letteralmente "Venera l'Imperatore, espelli i barbari").
L'imperatore Osahito fece propri questi sentimenti e, rompendo la secolare tradizione imperiale, incominciò ad assumere un ruolo attivo negli affari di Stato: denunciò i trattati, tentò di interferire nella successione dello shogunato e nel 1863 diede l'«ordine di espellere i barbari». Lo shogunato non rese esecutivo tale ordine, ispirando gli attacchi del movimento xenofobo contro gli stranieri in Giappone e contro lo stesso shogunato: l'incidente più famoso fu l'omicidio del commerciante britannico Charles Lennox Richardson, per la cui morte il governo Tokugawa dovette pagare un'indennità di centomila sterline britanniche. Ebbero luogo altri attacchi, tra i quali il bombardamento di navi straniere a Shimonoseki.
Nel 1864 tali azioni furono vittoriosamente contrastate da rappresaglie armate delle potenze straniere, come il britannico bombardamento di Kagoshima e l'internazionale bombardamento di Shimonoseki. Contemporaneamente le forze del Dominio di Chōshū, insieme con i rōnin xenofobi, scatenarono la ribellione di Hamaguri, cercando d'impossessarsi di Kyoto, dove risiedeva la corte dell'imperatore. Il futuro shogun Tokugawa Yoshinobu guidò la spedizione punitiva, costringendo i ribelli a ritirarsi. La resistenza dei leader di Chōshū conobbe quindi un periodo di pausa, ma l'anno successivo lo shogunato si dimostrò incapace di mantenere il pieno controllo della nazione, dopo che molti daimyō avevano incominciato a ignorare gli ordini e le richieste provenienti da Edo.

Assistenza militare straniera

Nonostante il bombardamento di Kagoshima, il dominio di Satsuma era diventato uno stretto alleato del Regno Unito, con il sostegno del quale fu in grado di modernizzare la propria marina e il proprio esercito. Esperti militari anglo-americani possono essere stati coinvolti direttamente in tale modernizzazione. L'ambasciatore britannico Harry Smith Parkes sostenne le forze ostili allo shogunato al fine di stabilire un governo imperiale legittimo e unificato in Giappone. In questo periodo i capi delle regioni meridionali, come Saigō Takamori del Dominio di Satsuma e Hirobumi Ito e Inoue Kaoru del Dominio di Chōshū, coltivarono rapporti diplomatici con i britannici, tra cui Ernest Mason Satow.
Anche lo shogunato stava preparandosi al conflitto modernizzando le proprie forze. In linea con i progetti di Parker, i britannici incominciarono a dimostrarsi riluttanti nel fornire assistenza allo shogunato, del quale erano stati fino ad allora gli alleati principali. I Tokugawa pertanto si affidarono principalmente all'esperienza francese, confortati dal prestigio militare di Napoleone III, acquisito nella guerra di Crimea e nella seconda guerra di indipendenza italiana. Lo shogunato si impegnò intensamente nell'ammodernamento e rafforzamento della forze armate. In particolare, la marina divenne subito la più potente dell'Asia, dopo la costruzione di un primo nucleo composto da otto navi da guerra a vapore. Nel 1865 fu costruito a Yokosuka, sotto la guida dell'ingegnere francese Léonce Verny, il primo arsenale navale moderno del Giappone.

Colpo di Stato (1866-'68)

Dopo che a Chōshū era tornata al potere la fazione più radicale nella lotta contro lo shogun, quest'ultimo si preparò a guidare un'altra missione punitiva per soffocare la nuova rivolta. Il Dominio di Chōshū si premunì alleandosi segretamente con il Dominio di Satsuma e fu in grado d'infliggere una grave sconfitta alle truppe dello shogunato nel giugno del 1866, ottenuta in virtù della superiorità delle moderne armi rispetto a quelle antiquate in dotazione alle armate alleate con Edo. Lo shogun Iemochi morì nell'agosto del 1866 e l'imperatore Osahito nel gennaio successivo, e subentrarono rispettivamente Tokugawa Yoshinobu e l'imperatore Meiji.
Fu Yoshinobu a negoziare la tregua con i daimyo ribelli di Chōshū, ma la sconfitta aveva incrinato definitivamente il potere militare e il prestigio dello shogunato. Questi eventi «...resero una tregua inevitabile». Nel gennaio 1867 arrivò una missione militare francese per riorganizzare l'esercito dello shogun e creare una forza di élite; fu acquistata negli Stati Uniti la CSS Stonewall, una rivoluzionaria nave da guerra corazzata costruita in Francia. A causa però della neutralità dichiarata delle potenze occidentali, gli Stati Uniti si rifiutarono di consegnare la nave; quando cessò la neutralità, il vascello sarebbe stato consegnato invece alla fazione imperiale, che lo avrebbe impiegato nella battaglia di Hakodate con il nome Kōtetsu (letteralmente «corazzato in ferro»).
La strada della modernizzazione e dell'apertura all'occidente intrapresa dagli shogun, e in particolare da Yoshinobu, diede ai feudi di Chōshū e Satsuma l'opportunità di rovesciare la secolare dittatura militare dei Tokugawa. Fin dalla sua istituzione all'inizio del XVII secolo, lo shogunato aveva diffidato dei domini di Chōshū e Satsuma. Se da un lato aveva concesso loro un buon grado di autonomia in virtù della loro influenza, i membri dei due clan erano stati sistematicamente emarginati dagli incarichi di governo principali del bakufu e ciò aveva creato un crescente risentimento, che aveva quindi origini lontane. L'indebolimento dello shogunato, evidenziato dalla crisi innescata dal commodoro americano Perry, si era inoltre accentuato con le lotte di potere all'interno dello stesso shogunato e il tentativo fatto in quegli anni di stringere un'alleanza con la corte imperiale era naufragato. I samurai nazionalisti di Chōshū trovarono inizialmente l'appoggio del Dominio di Tosa nel dare vita al movimento anti-Tokugawa e si autodefinirono "uomini di alti propositi" (shishi). Le loro attività volte a rovesciare lo shogunato s'incanalarono nel rifiutare l'apertura all'occidente e nell'appoggio dato alla causa imperiale.
Il 9 novembre 1867, l'imperatore Meiji inviò un ordine segreto ai daimyo di Satsuma e Chōshū, che comandava «...l'uccisione del suddito traditore Yoshinobu». L'autenticità dell'ordine è dibattuta, a causa del linguaggio violento utilizzato e del fatto che, nonostante fosse siglato con il pronome imperiale chin, non portava la firma di Meiji. L'ordine fu sospeso in seguito alla proposta del daimyo di Tosa, la cui intermediazione convinse lo shogun Yoshinobu a rassegnare le dimissioni e a riconsegnare l'autorità all'imperatore, convocando un'assemblea generale dei daimyo per creare un nuovo governo. Ebbe così fine lo shogunato Tokugawa.
La resa di Yoshinobu aveva creato un vuoto di potere a livello governativo, ma il suo apparato di Stato continuava a esistere. Inoltre il governo dello shogunato, e in particolare la famiglia Tokugawa, era rimasta una forza prominente nell'evolvente ordine politico e manteneva molti poteri esecutivi, una realtà che i sostenitori della linea dura di Satsuma e Chōshū trovavano intollerabile. Gli eventi culminarono nel colpo di Stato incominciato il 3 gennaio 1868, quando questi ultimi occuparono il palazzo imperiale di Kyoto e spinsero il quindicenne sovrano Meiji a dichiarare, il giorno successivo, la piena restaurazione del potere politico dell'imperatore. Sebbene la maggioranza dell'assemblea consultiva imperiale si sentisse appagata della formale dichiarazione e fosse favorevole a continuare la collaborazione con i Tokugawa (con il concetto di "giusto governo" (公議政体派 kōgiseitaiha)), il daimyo di Satsuma Saigō Takamori minacciò l'assemblea obbligandola a proclamare l'abolizione del titolo di shogun e la confisca delle terre di Yoshinobu.
Dopo aver appreso le determinazioni dell'assemblea, il 17 gennaio 1868 Yoshinobu dichiarò che «...non sarebbe stato vincolato alla proclamazione di Restaurazione e chiese alla corte di rescinderla.» Il 24 gennaio, Yoshinobu annunciò un attacco contro Kyoto occupata dalle forze di Satsuma e Chōshū, decisione presa dopo che erano stati appiccati diversi incendi a Edo, a partire dalle fortificazioni esterne del castello di Edo, la principale residenza dei Tokugawa. La responsabilità degli incendi fu attribuita a un ronin di Satsuma, che quel giorno aveva attaccato un ufficio governativo. Il giorno successivo, le forze dello shogunato attaccarono la residenza a Edo del daimyo di Satsuma, dove si erano rifugiati molti oppositori dello shogunato agli ordini di Takamori. Il palazzo fu dato alle fiamme e tutti gli oppositori uccisi o successivamente giustiziati.

Indebolimento del fronte shogunale

Battaglia di Toba-Fushimi

Il 27 gennaio 1868, le forze dello shogunato si scontrarono con quelle di Chōshū e Satsuma nelle località di Toba e Fushimi, alla periferia meridionale di Kyoto. Parte dei 15.000 uomini dello shogunato era stata addestrata da consiglieri militari francesi, ma la maggior parte consisteva nei tradizionali samurai, dotati di armi obsolete. Le forze di Chōshū e Satsuma erano sopravanzate di 3 a 1, ma avevano a disposizione equipaggiamenti più moderni. Dopo un inizio inconcludente, il secondo giorno di battaglia l'imperatore diede il suo stendardo ufficiale alle truppe di Chōshū e Satsuma e nominò generale in capo il proprio parente Komatsumiya Akihito (小松宮彰仁親王, 1846-1903), investendo le sue forze del titolo ufficiale di esercito imperiale (官軍 kangun). Diversi feudatari della zona, fino ad allora fedeli allo shogun, si unirono all'esercito imperiale; tra questi vi furono il daimyo di Yodo (淀藩), il 5 febbraio, e quello di Tsu (津藩), il giorno successivo, che fecero pendere la bilancia militare in favore della fazione imperiale.
Il 7 febbraio, Tokugawa Yoshinobu, contrariato dal consenso imperiale alle azioni di Satsuma e Chōshū, abbandonò Osaka a bordo della nave da guerra Kanrin Maru, ritirandosi a Edo. Demoralizzate dalla sua fuga e dal tradimento di Yodo e Tsu, le forze dello shogunato si ritirarono, nonostante avessero una superiorità numerica, che avrebbe loro permesso di vincere la battaglia.
Il castello di Osaka, dal quale Yoshinobu aveva diretto le proprie truppe, fu espugnato il 1º marzo, mettendo fine alla battaglia di Toba-Fushimi.
Il 28 gennaio 1868 si svolse la battaglia navale di Awa tra la marina dello shogunato e quella di Satsuma. Fu la prima in Giappone tra flotte moderne, ebbe un'incidenza minima sulle sorti del conflitto e fu vinta dalle forze dello shogunato.

Appoggio occidentale a Meiji

Sul fronte diplomatico, i ministri delle nazioni straniere, raccolti nel porto aperto di Hyogo (Kōbe) dall'inizio di febbraio, emisero una dichiarazione congiunta nella quale lo shogunato veniva ancora considerato il solo governo legittimo del Giappone, dando la speranza a Tokugawa Yoshinobu che i loro governi, in particolare quello francese, avrebbero potuto intervenire in suo favore. Pochi giorni dopo, una delegazione imperiale visitò i ministri dichiarando che lo shogunato era stato abolito, che i porti sarebbero stati aperti in conformità ai trattati internazionali e che gli ospiti stranieri sarebbero stati protetti. I ministri riconobbero quindi il nuovo governo.
Il diffondersi nel Paese di sentimenti xenofobi fu alla base dei molti attacchi operati contro gli stranieri nei mesi successivi. L'8 marzo 1868, undici marinai francesi della corvetta Dupleix furono uccisi da samurai della Provincia di Tosa sulle strade di Kyoto.

Resa di Edo

A partire da febbraio, con l'aiuto dell'ambasciatore francese Léon Roches, fu formulato un piano per fermare l'avanzata delle truppe imperiali a Odawara, l'ultimo punto strategico prima dell'ingresso a Edo, ma Yoshinobu fu contrario al piano e Roches presentò le dimissioni. All'inizio di marzo, sotto l'influenza del ministro britannico Harry Parkes, le nazioni straniere firmarono un patto di stretta neutralità, accordandosi che non sarebbero intervenute e non avrebbero consegnato forniture militari a nessuna delle due fazioni fino alla risoluzione del conflitto.
Saigō Takamori condusse vittoriosamente le forze imperiali nel Giappone settentrionale e orientale, vincendo la battaglia di Koshu-Katsunuma. Circondò Edo nel maggio 1868 e costrinse alla resa incondizionata Katsu Kaishu, ministro dell'esercito dello Shogun. Alcuni gruppi continuarono a combattere dopo la resa, ma furono sconfitti nella battaglia di Ueno. Il comandante in capo della marina dello Shogun, Enomoto Takeaki, si rifiutò di consegnare le navi e fuggì a nord con i resti della marina (otto corazzate a vapore): Kaiten, Banryū, Chiyodagata, Chōgei, Kaiyō Maru, Kanrin Maru, Mikaho e Shinsoku) e 2.000 marinai, nella speranza di organizzare un contrattacco insieme con i daimyo settentrionali. Fu accompagnato da una manciata di consiglieri militari francesi (tra cui Jules Brunet), che avevano dato rassegnato formali dimissioni dall'esercito francese per accompagnare i ribelli.

Resistenza della Coalizione Settentrionale

Dopo la resa di Yoshinobu, la maggior parte del Giappone accettò il governo dell'imperatore, ma un nucleo di sostenitori dello shogunato, condotti dal clan di Aizu, continuò la resistenza nel settentrione. In maggio, diversi daimyo settentrionali dei feudi di Sendai, Yonezawa, Aizu, Shonai e Nagaoka, per un totale di circa 50.000 truppe, si allearono nella Coalizzazione Settentrionale (奥羽越列藩同盟 Ouetsu Reppan Domei), per opporsi alle truppe imperiali.
Sebbene la Coalizione Settentrionale fosse numerosa, era male equipaggiata e si affidava a metodi di combattimento essenzialmente tradizionali. Gli armamenti moderni erano scarsi e si tentò all'ultimo momento di costruire cannoni in legno, rinforzati con corde, per sparare proiettili di pietra. Questi cannoni, installati su postazioni difensive, potevano sparare solo quattro o cinque proiettili, prima di disfarsi. Il daimyo di Nagaoka riuscì a procurarsi due delle tre mitragliatrici Gatling esistenti allora in Giappone, così come 2.000 fucili francesi moderni e, nella battaglia di Hokuetsu del maggio 1868, inflisse pesanti perdite alle truppe imperiali che attaccavano il suo castello. Malgrado la resistenza offerta, il castello capitolò l'8 luglio. Dopo questa importante vittoria, l'esercito imperiale si assicurò il controllo di tutta la costa affacciata sul mare del Giappone, costringendo quello che restava delle forze della coalizione a rifugiarsi a est.
Le truppe imperiali continuarono ad avanzare, sconfiggendo il 6 ottobre nella battaglia del passo Bonari le residue forze nemiche composte da 700 uomini, tra cui i membri della Shinsengumi e della Denshutai, i corpi scelti dello shogunato. La nuova sconfitta costrinse i superstiti a dirigersi a nord per unirsi alla flotta del Bakufu, comandata da Enomoto Takeaki, che aveva raggiunto il porto di Sendai il 26 agosto. Con il crollo della coalizione, il 12 ottobre 1868 la flotta lasciò Sendai per l'Hokkaidō, dopo aver acquisito le navi Oe-大江 e Hou-Ou, precedentemente prestate dal feudo di Sendai allo shogunato, e circa 1.000 altre truppe che comprendevano quanto restava della Denshutai, al comando di Otori Keisuke, della Shinsengumi, al comando di Hijikata Toshizo e di Yugekitai al comando di Katsutaro Hitomi, così come numerosi altri consiglieri militari francesi (Fortant, Garde, Marlin, Bouffier).
Le forze imperiali, ormai padrone della situazione, mossero quindi alla conquista del castello di Aizuwakamatsu, dove le forze del Dominio di Aizu erano rimaste le sole a combattere per lo shogun nell'isola di Honshu, trovandosi isolate a respingere l'attacco. La battaglia di Aizu ebbe inizio in ottobre e, dopo un mese di combattimenti, il castello capitolò il 6 novembre. L'evento spinse il corpo di giovani guerrieri Byakkotai ("Corpo della Tigre Bianca") a commettere un suicidio di massa. Dopo che i suoi vertici si arresero, il Dominio di Aizu cessò di esistere, a oltre due secoli dalla fondazione, e i samurai sopravvissuti furono deportati come prigionieri di guerra. La capitale Edo fu ribattezzata Tokyo il 26 ottobre, data che segna l'inizio dell'Era Meiji.

Campagna dell'Hokkaidō

Repubblica di Ezo

In seguito alla sconfitta nell'Honshu, le ultime forze dello shogunato, guidate dall'ammiraglio Enomoto Takeaki, fuggirono nell'Hokkaidō, dove il 25 dicembre proclamarono la fondazione della Repubblica di Ezo, l'unica mai esistita in Giappone, sull'esempio del modello statunitense ed Enomoto ne fu eletto presidente con una larga maggioranza. La repubblica tentò di stabilire contatti con le legazioni straniere di Hakodate, tra cui quelle di Stati Uniti, Francia e Russia, ma non riuscì a raccogliere nessun sostegno o riconoscimento internazionale. Enomoto offrì allo shogun Tokugawa il territorio della repubblica, posta sotto il controllo del governo imperiale, ma la proposta fu declinata dal Consiglio Imperiale Governante.
Durante l'inverno, le difese intorno alla penisola meridionale di Hakodate furono fortificate e al centro fu eretta la nuova fortezza di Goryokaku. Le truppe furono organizzate con un comando franco-giapponese: il comandante in capo fu Otori Keisuke, assistito dal suo vice, il capitano francese Jules Brunet. Al loro comando c'erano quattro brigate, ognuna comandata da un ufficiale francese (Fortant, Marlin, Cazeneuve, Bouffier) e divisa in due semibrigate poste sotto il comando giapponese.

Sconfitta e resa finale

Il 20 marzo, la Marina Imperiale raggiunse il porto di Miyako, ma, anticipandone l'arrivo, i ribelli di Ezo organizzarono un audace piano per impossessarsi della nuova potente nave da guerra Kotetsu. Tre navi da guerra furono inviate per un attacco a sorpresa, in quella che divenne nota come battaglia navale di Miyako. A causa del maltempo, di problemi a un motore e al decisivo uso di una mitragliatrice Gatling contro le squadre di abbordaggio, la battaglia terminò con la vittoria imperiale.
Le forze imperiali consolidarono rapidamente il loro controllo delle isole principali e nell'aprile 1869 inviarono contro Ezo la flotta, con una forza di fanteria di 7.000 uomini, incominciando la battaglia di Hakodate. Le forze imperiali vinsero il confronto, che fu la prima battaglia navale giapponese su larga scala tra marine moderne. Circondarono poi la fortezza di Goryokaku in cui rimanevano soli 800 difensori. Sebbene Enomoto avesse deciso di combattere fino alla fine e avesse inviato i suoi oggetti di valore al suo avversario perché fossero tenuti al sicuro), Otori lo convinse che arrendersi e sopravvivere alla sconfitta era la scelta veramente coraggiosa: «Se veramente vuoi morire puoi farlo in qualunque momento». Enomoto si arrese il 18 maggio 1869 e accettò il governo dell'imperatore Meiji. La Repubblica cessò di esistere il 27 giugno 1869.

Conseguenze

Perdono e occidentalizzazione

Successivamente alla vittoria, il nuovo governo proseguì nell'unificazione del Paese sotto un unico, legittimo e potente governo imperiale. Fu progressivamente esautorato il potere politico e militare dei vari feudi, che furono trasformati in prefetture (abolizione del sistema han) e a molti samurai furono assegnate responsabilità amministrative. Grazie al ruolo decisivo che ebbero nel vittorioso conflitto, i daimyo di Satsuma, Chōshū e Tosa occuparono per decenni i posti chiave nel governo, una situazione a volte definita oligarchia Meiji e formalizzata con l'istituzione del Genrō.
I principali sostenitori dello shogun furono imprigionati in attesa di giudizio e riuscirono in seguito a evitare la pena capitale grazie all'insistenza di Saigo Takamori e Iwakura Tomomi, consigliati dall'inviato britannico Parks. Secondo alcune fonti, quest'ultimo disse a Saigo: «...la severità verso Keiki Yoshinobu e i suoi sostenitori, soprattutto riguardo alle punizioni personali, avrebbe danneggiato la reputazione del nuovo governo presso le potenze europee». Dopo due o tre anni, la maggior parte fu liberata e chiamata a servire nel nuovo governo, dove alcuni ebbero brillanti carriere; l'ammiraglio Enomoto Takeaki, precedente leader delle forze dello shogunato, divenne inviato diplomatico in Russia e in Cina e ministro dell'Educazione.
La fazione imperiale non perseguì l'iniziale obiettivo di espellere gli interessi stranieri in Giappone, ma assunse invece una politica più progressista, mirata alla radicale modernizzazione del Paese e alla successiva rinegoziazione dei trattati ineguali con le potenze straniere, sotto il motto Ricca nazione, forte esercito (富国強兵 fukoku kyōhei). Questo cambiamento avvenne durante le prime fasi della guerra civile: l'8 aprile 1868 furono esposti cartelli a Kyoto (e successivamente in tutto il Paese) che ripudiavano la violenza contro gli stranieri. Durante il conflitto, l'imperatore Meiji ricevette personalmente gli inviati europei, prima a Kyoto e in seguito a Osaka e Tokyo. Particolare fu l'accoglienza riservata al duca Alfredo di Sassonia-Coburgo-Gotha, che l'imperatore definì come «suo pari di sangue».
All'inizio dell'Era Meiji si distesero le relazioni tra la corte imperiale e i poteri stranieri, ma i rapporti con i francesi si irrigidirono a causa del sostegno che questi avevano dato allo shogun. Una seconda missione militare francese fu comunque inviata in Giappone nel 1874 e una terza nel 1884. Una stretta collaborazione riprese nel 1886, quando la Francia aiutò il Giappone a costruire la sua prima marina moderna, sotto la direzione dell'ingegnere navale Louis-Émile Bertin. La modernizzazione del Paese era già stata diffusamente incominciata durante gli ultimi anni dello shogunato (il periodo "Bakumatsu") e il governo Meiji adottò infine la stessa politica, che fu in grado di mobilitare più efficientemente l'intera nazione verso la modernizzazione.
Dopo la sua incoronazione, Meiji promulgò il Giuramento dei cinque articoli, che promuoveva la costituzione di assemblee deliberative, prometteva nuove opportunità per i sudditi, aboliva le «malvagie tradizioni del passato» e promuoveva la conoscenza nel mondo «per rinforzare le fondamenta del governo imperiale.» Tra le importanti riforme del governo Meiji vi fu l'abolizione del sistema han nel 1871, che rimpiazzò i domini feudali e i loro governanti ereditari con l'istituzione di prefetture guidate da governatori incaricati dall'imperatore. Fu introdotta l'istruzione obbligatoria e abolite le distinzioni di classe. Le riforme culminarono con l'emanazione della Costituzione Meiji nel 1889.
Nonostante il sostegno dato alla corte imperiale, i samurai furono penalizzati da molte delle prime riforme Meiji: la creazione di un esercito di coscritti tratti dalle classi comuni, così come la perdita dei privilegi e degli stipendi ereditari, inimicarono al governo buona parte dei samurai. Le tensioni erano particolarmente acute nel sud e portarono alla ribellione di Saga del 1874 e alla ribellione di Chōshū nel 1876. Ex-samurai di Satsuma, guidati da Saigo Takamori, che aveva lasciato gli incarichi governativi in opposizione alle politiche di apertura verso gli stranieri, incominciarono la ribellione di Satsuma nel 1877. Combattendo per il mantenimento della classe dei samurai e per un governo più virtuoso, il loro slogan fu «Nuovo governo, alta moralità» (新政厚徳 Shinsei Kōtoku). Alla fine subirono un'eroica ma decisiva sconfitta nella battaglia di Shiroyama.

Successive descrizioni della guerra

Nei testi moderni la restaurazione Meiji viene spesso descritta come una rivoluzione senza spargimenti di sangue, che condusse alla modernizzazione del Giappone. In realtà, per la guerra Boshin furono mobilitate 120.000 truppe e vi furono circa 3.500 morti. Oltre alle armi e alle tecniche di guerra tradizionali, entrambe le fazioni utilizzarono armamenti, incluse corazzate e mitragliatrici Gatling e tecniche di combattimento moderne apprese dai consiglieri militari stranieri.
Le successive descrizioni giapponesi della guerra tendono a essere romanticizzate, mostrando la fazione pro-shogun che combatte con metodi tradizionali, contro una fazione imperiale già modernizzata. In Giappone sono state realizzate diverse opere sulla guerra Boshin. Jirō Asada ne ha tratto un romanzo in quattro volumi Mibu Gishi-den. Basati sul romanzo sono stati tratti un film diretto da Yōjirō Takita, Quando l'ultima spada è estratta (壬生義士伝 Mibu gishi den) e un programma televisivo della durata di dieci ore con protagonista Ken Watanabe.
Il film del 2003 L'ultimo samurai combina in un unico racconto situazioni narrative appartenenti sia alla guerra Boshin sia alla ribellione di Satsuma del 1877. Le sequenze del film pertinenti la prima modernizzazione delle forze militari giapponesi, così come il diretto coinvolgimento di stranieri (soprattutto francesi) sono correlate alla guerra Boshin e ai pochi anni che la precedettero. La resistenza suicida delle forze samurai tradizionali condotte da Saigō Takamori contro l'esercito imperiale modernizzato sono invece relative alla successiva Ribellione Satsuma.
L'espansione Tramonto dei Samurai del gioco Total War: Shogun 2 tratta proprio di questo periodo. Essendo una simulazione di guerra estremamente realistica, entrambe le fazioni sono modernizzate.
Il manga Kenshin samurai vagabondo fa riferimenti alla guerra Boshin; il protagonista, che è un noto samurai di Satsuma, l'ha combattuta e diversi personaggi realmente esistenti dell'epoca appaiono sia nei flashback sia nelle vicende dell'era Meiji, come Saito Hajime e Yamagata Aritomo.




domenica 11 novembre 2018

Shaguma

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Shaguma (赤熊 lett. "Orso rosso") era una tipologia di indumento che i generali delle truppe imperiali giapponesi portavano sul capo durante la guerra Boshin (1868-1869).

Storia

Dall'aspetto particolare, il copricapo era fatto di lunghi, colorati capelli simili al pelo di orso, da cui trae il nome.
Le parrucche Shaguma (赤熊 lett. "orso rosso") caratterizzavano i soldati del dominio feudale di Tosa, mentre gli Haguma (白熊 lett. "orsi bianchi") appartenenvano al dominio di Chōshū, e i Koguma (黒熊 lett. "orsi neri") provenivano da Satsuma.
Lo Shaguma viene inoltre indossato nel corso di processioni, per esempio all'interno della Festa di Gion. Si ipotizza che il colore rosso sia stato ispirato ai capelli rossi dei mercanti olandesi durante la loro presenza a Nagasaki.

sabato 10 novembre 2018

Cappello a cono di paglia

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Il cappello a cono di paglia, chiamato dǒu lì (斗笠, letteralmente "cappello di bambù") in Cina e Taiwan, satgat (삿갓) in Corea, sugegasa (菅笠) in Giappone, nón lá (cappello di foglie) in Vietnam, è un tipo di cappello di paglia originario dell'est e sud-est asiatico, particolarmente del Vietnam, Cina, Corea e Giappone. Ha una forma conica e viene fissato mediante una stringa di tessuto che passa sotto il mento, spesso di seta; all'interno è presente un'altra fascia che non lo fa muovere sulla testa. Questo cappello viene usato essenzialmente come protezione dal sole e dalla pioggia, specialmente da chi lavora nei campi di riso.
Data la forma particolare, è diventato quasi un sinonimo dell'Asia e degli asiatici in generale.
In passato esisteva una versione militare del cappello in Giappone, lo jingasa (陣笠), che era un elmetto fatto con pelle laccata indurita.

venerdì 9 novembre 2018

Ryūjin

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Ryujin è un dio del mare della religione shintoista.
Secondo la leggenda ha l'aspetto di un enorme drago marino e con un solo battito d'ali può scatenare violentissime tempeste se qualcuno lo adira.

giovedì 8 novembre 2018

Sōhei

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Sōhei (僧兵, letteralmente "Monaco soldato") è un termine della storiografia giapponese che indica i gruppi paramilitari associati ai templi buddhisti in età medievale, nei quali militavano laici e monaci ordinati. Il termine coevo più comune era akusō (悪僧, "monaco cattivo" in senso lato, cioè "in armi"). Il loro potere fu storicamente rilevante in quanto giunsero a costringere alcuni Daimyō a collaborare con loro. Nati in ambito buddhista nel IX secolo, i monaci guerrieri rimasero in vita fino al 1580 quando gli shogun compresero che la loro esistenza rappresentava un grave pericolo per l'unità del Paese. Prima Oda Nobunaga, poi Hideyoshi Toyotomi assestarono un colpo mortale agli eserciti dei monasteri.
Gli Sōhei conservavano molte somiglianze con i "monaci guerrieri" degli ordini monastici europei. Tuttavia, a differenza di questi, si consideravano appartenenti al medesimo ordine religioso anche tra nemici. Le basi dottrinali che poterono consentire a dei monaci buddhisti di prendere le armi e usare la violenza sono riscontrabili nel Mahayana Mahaparinirvanasutra (大般涅槃經, giapponese Dainehankyō, Sutra mahayana del Grande passaggio al di là della sofferenza) importantissimo sutra buddhista di origine sanscrita trasferito in Cina intorno al V secolo della nostra Era e da qui, poco dopo in Giappone. Di derivazione Mahayana, questo sutra, che evidentemente risente delle distruzioni dei monasteri buddhisti operate dagli Unni bianchi in Asia centrale intorno al IV e V secolo d.C., invita i laici, e non solo, a prendere l'armi per difendere il Dharma buddhista dagli aggressori. Va tenuto inoltre presente che la maggior parte degli Sōhei erano monaci delle scuole Tendai, Hossō, Shingon e in seguito Jōdo (Ikkōshū, 一向宗). I monaci Tendai e (come d'altronde anche gli Zen) erano ordinati secondo le piattaforme monastiche di derivazione Tendai e quindi non seguivano il Vinaya monastico tradizionale, ovvero i 250 precetti contenuti nel Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici regole della disciplina, 四分律 giapponese Shibunritsu) ma solo i 58 precetti del Brahmajalasutra (梵網經, giapponese Bonmō kyō, Il Sutra della rete di Brahma).

Storia

I primi monaci guerrieri apparvero significativamente in Giappone nella metà del decimo secolo quando i vari feudi iniziarono a costruire templi diversi tra di loro dedicandoli a soggetti diversi del Buddhismo. Contemporaneamente a questo motivo, le eccessive nomine imperiali causarono le prime lotte tra i membri di questi monasteri e le autorità civili che non riconoscevano questi monaci. I primi grandi combattimenti tra queste forze si ebbero nelle zone degli importanti templi di Kyōto e Nara. Il primo conflitto armato avvenne nel 949 quando un gruppo di 56 monaci organizzò una protesta fuori dalla residenza di un funzionario imperiale di Kyōto. Queste proteste si protrassero per tutto il decimo secolo fino a quando non si registrano i primi morti. Nel 970, in seguito ad una disputa tra il monastero buddhista Tendai Enryaku-ji situato sul Monte Hiei (giapp. Hieizan) e il santuario di Yasaka a Kyōto. Enryaku-ji creò il primo esercito di monaci guerrieri nella storia del Giappone. Tuttavia non è mai stato chiarito se questo esercito fosse esclusivamente formato da monaci guerrieri oppure che tra le loro file vi fossero anche dei mercenari. Sta di fatto che con la costituzione di questo esercito monastico nacque anche il primo codice comportamentale che tra le altre regole stabiliva il divieto assoluto per i monaci di abbandonare le armi prima di 12 anni di esperienza. A partire dal 981 vi furono i primi conflitti armati tra gli eserciti dei templi di Enryaku-ji e Miidera. Queste dispute erano considerate fuori da qualunque schema politico o religioso e gli scontri erano certamente disdicevoli. Spesso la causa dello scoppio di questi conflitti era la nomina di un "abate" che per il monastero rivale era considerato privo di qualità. Tali conflitti proseguirono nel corso dei secoli con brevi interruzioni e conseguenti violenze fino al 1121 quando gli scontri militari divennero intensi e sanguinosi. Non mancarono tuttavia le alleanze contro uno o più monasteri. La più celebre fu l'alleanza tra i due ex acerrimi nemici, i monasteri di scuola Tendai Enryaku-ji e Miidera, contro il monastero di scuola Hosso, il Kofuku-ji di Nara. Nel 1571 lo Enryaku-ji fu distrutto e i suoi monaci massacrati da Oda Nobunaga in un progetto politico-militare testo alla riunificazione del Giappone. Ma già nei secoli precedenti alcuni monaci Tendai di rilievo cercarono di riformare la scuola su un piano esclusivamente religioso che non consentisse l'esistenza degli Sōhei. Il tempio Enryaku-ji fu comunque successivamente ricostruito e continua oggi a rappresentare il tempio principale della scuola Tendai tramandando le trazioni.

martedì 6 novembre 2018

Hohan Sōken

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Hohan Sōken (Gaja, 25 maggio 1891 – Nishihara, 30 novembre 1982) è stato un karateka e maestro di karate giapponese.
Fu maestro di Shorin-Ryu Matsumura Seito Karate e Kobudo.

Biografia

Hohan Sōken nacque nel 24º anno del periodo Meiji ossia il 25 maggio del 1891 a Gaja, all'interno delle mura dell'attuale Nishihara (Okinawa). Essendo l'ultimo discendente di una famiglia Samurai venne anche soprannominato “l'ultimo samurai”.
Nel 37º anno dell'era Meiji (1904),al suo tredicesimo anno d'età, iniziò il suo apprendimento del “Machimura Sui Di” (pronuncia in lingua Hogen) o “Matsumura Shuri Te” (pronuncia Giapponese), sotto gli insegnamenti dello zio Matsumura Nabi Tanmē (così era chiamato ad Okinawa anche se non si conosce il nome esatto in giapponese).
Nabi Tanmē restò l'unico maestro di Hohan Sōken fino a circa 30 anni (1921-1922), da quell'età in poi Hohan Sōken volle approfondire lo studio e la pratica del kobudo sotto gli insegnamenti del maestro Komesu Ushi Tanmē, anch'egli di Nishihara, per poi sviluppare il kobudo autonomamente come ricercatore.
Nel 1924 si trasferì a Buenos Aires in Argentina dove lavorò come fotografo per poi aprire un lavasecco, pur non smettendo mai di praticare ed insegnare il suo stile.
Nel 1952 ritornò ad Okinawa e nel 1956 battezzò ufficialmente lo stile da lui praticato come: “Shōrin-ryū Matsumura Seito Karate Do”, col chiaro intento di distinguerlo dagli altri stili di karate ormai radicalmente mutati in funzione di competizioni sportive.
Nel 1959 diventò uno dei direttori della “Federazione di Karate-do” di Okinawa. Nel giugno 1961, insieme ai maestri Uehara Seikichi (Motobu Udundi), Tatsuo Shimabuku (Isshin-ryū), Shimabukuro Zenryo (Shorin-ryū Seibukan), Nakaima Kenko (Ryūei-ryū) e Higa Seitoku (Bugeikan), realizzò l'Associazione di Kobudo di Okinawa (che divenne Zen Okinawa Karate Kobudo Rengokai). Nello stesso anno, a novembre, al teatro di Naha, in occasione del primo campionato di kobudo di Okinawa, si esibì in una dimostrazione di kama.
Sensei Hohan Sōken morì il 30 novembre del 1982, nella sua casa, a Nishihara.

Lo stile

Il "Machimura Sui Di" fu lo stile di Karate ortodosso e di famiglia, originato da Sōkon Matsumura (detto anche “Bushi Matsumura”). Gli insegnamenti furono tramandati da Matsumura Sokon al nipote Matsumura Nabi Tanmē, che li tramandò al nipote Hohan Sōken, quest'ultimo a sua volta trasmise lo stile a vari allievi (non familiari).
Fino all'epoca in cui visse Hohan Soken, nel mondo delle arti marziali di Okinawa, era cosa usuale cambiare maestro quando si desiderava imparare una nuova arte marziale; Hohan Sōken una volta diventato maestro, cercò perciò di unificare il Kobujutsu appreso da tanti maestri diversi, per far sì che i suoi allievi non avessero la necessità di dover cambiare dojo per poter apprendere di più.
Una delle convinzioni di Hohan Sōken Sensei era che si deve dare tutto a tutti gli allievi, in modo equo, sarà poi l'attitudine e la costanza nell'allenamento che farà la differenza fra un allievo e l'altro. Il kata di karate preferito da Hohan Soken nel karate fu hakutsuru mentre nel kobujutsu fu tsuken no bo.
I kata che sono stati insegnati e tramandati da Hohan Sōken nello Shorin-Ryu Matsumura Seito Karate sono: Naihanchi shodan, Naihanchi nidan, Pin an shodan, Pin an nidan, Passai sho, Passai dai, Rohai, Chinto, Gojushiho, Kusanku e Hakutsuru.
Nel Kobujutsu le armi studiate sono: tonfa, sai, bō, kama, kusarigama e suruchin.