sabato 25 agosto 2018

Sun Lutang

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Sun Lutang 孫祿堂 in Pinyin, Sun Lu-t'ang in Wade-Giles (1860 – 1933) è stato un artista marziale cinese.
All'età di venti anni prende il nome di Fuquan 福全. Ma venne poi chiamato anche Hanzhai 涵斋 e Huohou 活猴. Celebre insegnante di arti marziali cinesi. Originario di Dong ren jia tuan 东任家疃 nella contea di Wanxian 完县 nella provincia di Hebei in Cina. Sun Lutang era esperto di Xingyiquan, Baguazhang e Taijiquan. Il suo forte interesse nelle arti marziali interne, a cui appartengono i tre stili sopraccitati, lo porta a creare uno stile sincretico che prende il nome di Sunshi Taijiquan (孫氏太极拳).

Biografia

All'età di 9 anni iniziò a praticare Shaolinquan con un insegnante ambulante. A 11 anni si trasferisce a Baoding. A 13 anni diventa allievo di Li Kuiyuan 李魁元 un celebre maestro dell'Hebei da cui apprende contemporaneamente le arti marziali e la cultura cinese. Dopo due anni Li Kuiyuan decise di fargli proseguire la sua preparazione con Guo Yunshen 郭云深. In seguito studia con Cheng Tinghua 程廷华. Nel 1886 viaggia attraversando la Cina, visitando 11 province, Shaolin, Wudang, Emeishan ed entrando in contatto con numerosi marzialisti con cui si confronta. Nel 1888 ritorna al suo paese d'origine e crea l'associazione Puyang quan she 蒲阳拳社. Nel 1907 viene chiamato nel proprio quartier generale dal governatore del Dongsansheng 东三省 (le tre province Heilongjiang, Jilin, Liaoning), Xu Shichang 徐世昌 che era venuto a conoscenza dell'abilità marziale di Sun. Nel 1909, Sun Lutang rientra a Pechino al seguito di Xu. Nel 1912 conosce a Pechino Hao Weizhen 郝为真 che gli insegna. Nel 1918 crea il Sunshi Taijiquan dall'unione delle tre famiglie di arti marziali cinesi interne da lui praticate. Nello stesso anno Xu Shichang lo invita al Palazzo Presidenziale a dirigere una scuola di arti marziali. Il terzo mese del 1928 quando viene istituito il Zhongyang guoshu guan di Nanchino viene assunto come direttore del dipartimento Wudang cioè quello specifico delle arti marziali interne Neijia. Il settimo mese diviene il vice direttore del Jiangsu sheng guoshu guan 江苏省国术馆 (La palestra dell'arte nazionale della provincia di Jiangsu).

Famiglia

Nel 1891 sposò Zhang Zhouxian, con cui ebbe tre figli maschi ed una femmina.
  • Primo figlio, Sun Xingyi (孫星一) (1891-1929)
  • Secondo figlio, Sun Cunzhou (孫存周) (1893-1963)
  • Terzo figlio, Sun Huanmin (孫換民) (1897-1922)
  • Figlia, Sun Jianyun (孫劍雲) (1913-2003)

I suoi insegnanti

Sun Lutang ebbe numerosi contatti con i più importanti maestri della sua epoca. In particolare la sua formazione è legata a quattro maestri:
  • egli apprese Xingyiquan da Li Kuiyuan (李魁元), e poi da Guo Yunshen (郭雲深) (dal 1882);
  • il Baguazhang da Cheng Tinghua (程延華) (dal 1891);
  • lo stile di Taijiquan di Wu Yuxiang da Hao Weizhen (郝為眞) (dal 1911).
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venerdì 24 agosto 2018

Kung fu: la leggenda continua

Kung Fu (serie televisiva) - Wikipedia



Il blog senzaesclusionedicolpi.blogspot.com vuole volare fuori dal recinto usuale dei post fin qui pubblicati per lanciarsi il più possibile nel pubblico, tra i lettori, tra i praticanti sparsi per il mondo, raccontandone l’umanità, le paure e le speranze per il futuro, con occhi diversi.
Perché, c’è tanto altro al di là della realtà quotidiana: storie silenziose, dimenticate o superate dai grandi eventi, che però restano lì, vive, in attesa di essere raccontate.
Perché, in un mondo che si chiude e si nasconde sempre di più dietro ai muri dell’intolleranza, alle frontiere della xenofobia e agli steccati dell’isolazionismo, mai come adesso è fondamentale allargare gli spazi dell’informazione per i nostri lettori oltre i confini nazionali. Un altro modo per reagire agli egoismi e alle barriere crescenti.
L’intento principale di questa iniziativa è raccontare il mondo delle arti marziali e le sue culture con visioni diverse, dalle sfide del mondo globalizzato alle nuove spinte autocratiche, dalla trasformazione della società a quella dell’economia, dalle grandi crisi ai protagonisti di ogni settore attraverso i migliori post che selezioneremo e i reportage esclusivi.
Nato con l’obiettivo di parlare non solo di arti marziali questo blog oggi raggiunge oltre i 5 milioni di lettori, con l'ambizione in un prossimo futuro imminente di unire praticanti che condividano contenuti, idee e piattaforme tecnologiche per essere all’avanguardia nel campo digitale e, allo stesso tempo, potenziare sempre di più le pubblicazioni nei propri Paesi. Una sinergia che ha l’obiettivo di offrire ai propri lettori il meglio di ciò che possiamo offrirvi.
Post di reportage, inchieste, interviste e storie, riuniremo i praticanti di diversa ispirazione proprio per ampliare gli orizzonti, superare le usuali frontiere dell’informazione e raccontare il mondo da molteplici punti di vista, sensibilità e mentalità. Questo per offrire al lettore uno spettro ancora più ampio per comprendere la realtà delle arti marziali odierne.

Pang De

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Pang De (cinese semplificato: 庞德, cinese tradizionale: 龐德, pinyin: Páng Dé) (170 – 219) è stato un militare cinese, al servizio del primo ministro Cáo Cāo tra la fine della Dinastia Han e l'inizio del periodo dei Tre Regni.
Ufficiale Wei, serviva inizialmente il generale Ma Chao, ma viene catturato durante l'attacco di Cao Cao ad Han Zhong e cambiò fronte. Al servizio del Ministro, diviene famoso per la sua lealtà ed integrità. Durante la battaglia di Fancheng, combattuta nella primavera del 219 tra il Regno Wei, guidato da Cao Cao, ed il regno di Shu, rifiutò di arrendersi al comandante avversario Guan Yu, andando così incontro alla morte.
Si dice che prima della battaglia Pang De, certo di morire, avrebbe fatto allestire la sua stessa bara prima di scendere in campo. Nel romanzo storico del XIV secolo Romanzo dei Tre Regni di Luo Guanzhong si narra che Pang De avrebbe impartito alla moglie istruzioni per occuparsi nel migliore dei modi del figlio Pang Hui, e che avrebbe predetto che Pang Hui l'avrebbe vendicato, come in effetti successe quando Pang Hui massacrò l'intera famiglia del già defunto Guan Yu.

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giovedì 23 agosto 2018

Yoshinao Nanbu

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Yoshinao Nanbu (Kōbe, febbraio 1943) è un karateka giapponese, fondatore dello stile Sankukai.

Biografia

Kobe

Yoshinao Nanbu nasce a Kōbe in Giappone nel febbraio 1943. Gli appartenenti alla sua famiglia erano affermati praticanti di arti marziali: il nonno era un lottatore di Sumo molto famoso; suo padre teneva corsi di judo al dojo della polizia della città.
Sotto l'insegnamento paterno Yoshinao cominciò a praticare il judo a soli cinque anni.
Quando entrò nella scuola comunale, imparò il kendo sotto la guida dello zio.
Negli anni cinquanta, sia il karate che l'Aikido erano vietati (infatti il generale Mac Artur, comandante delle forze di occupazione degli Stati Uniti in Giappone, aveva proibito la pratica di queste due discipline), così Nanbu dovette cominciare a praticare queste arti sotto la direzione del maestro Someka, che era direttore di un club amichevole.
Il giovane Nanbu si dedicò anche alla parte teorica dello studio delle arti marziali e cominciò a leggere con avidità i libri del padre sui Tonfa, Nunchaku, Tambo, Sai per poi passare allo studio pratico delle armi nei dojo del vicinato.

Osaka

A diciotto anni il maestro Nanbu entrò nella facoltà di Scienze Economiche di Osaka, dove ebbe come maestro Tani Chōjirō, 8º dan, che praticava lo Shitō-ryū. Fu ben presto promosso capitano della squadra di Karate della sua università, titolo questo che ha molto valore data l'importanza che le arti marziali avevano a quel tempo nelle università giapponesi. Nel 1963 divenne campione universitario del Giappone vincendo un torneo con 1250 concorrenti. Per questa vittoria Nanbu ricevette ufficialmente la medaglia al valore dalle mani del direttore dell'università di Waseda, Ohama, promotore dell'organizzazione dell'Associazione degli studenti università.

Europa

Nel 1964 ricevette l'invito da Henry Plée (1923- ), 10º dan, allora promotore del karate in Francia, a partecipare come invitato alla coppa di Francia; la vinse combattendo individualmente.
Partecipò anche alla coppa internazionale di Cannes a cui erano invitati sette Paesi, Gran Bretagna, Germania, Italia, Norvegia, Stati Uniti, Svizzera e la stessa Francia, e vinse anche qui in combattimento individuale. Da questo momento il maestro Nanbu comincio a considerare la sua arte come una professione, e così di conseguenza modifico i suoi programmi.
Nel 1968 andò a trovare tutti i maestri giapponesi, invitandoli l'uno dopo l'altro, per imparare tutti i tipi di tecniche; ufficialmente però si trovava ancora sotto le direttive del maestro Tani e cioè del Shūkōkai. Lo stesso anno, proprio su richiesta del maestro Tani (che diceva di lui che avesse il genio del karate), Nanbu si diede da fare per mettere in piedi l'organizzazione mondiale di Shūkōkai.
La sua riunione ebbe successo grazie alle numerose dimostrazioni da lui date in parecchi paesi come Scozia, Gran Bretagna, Francia, Norvegia, Germania, Italia, Belgio e Jugoslavia.
Aprì in seguito dei club Nanbu a Parigi e in provincia, e divenne allenatore della squadra francese. Da quel momento gli atleti francesi cominciarono a vincere i campionati di tutta Europa.
In seguito ai suoi duri sforzi per promuovere lo Shūkōkai, il maestro Nanbu venne nominato presidente della federazione scozzese di karate, consigliere e direttore tecnico della federazione belga di karate, presidente della federazione norvegese di karate, consigliere e direttore tecnico della squadra di Karate Jugoslava.
Nel 1969 il maestro Nanbu giunse per la prima volta in Canada, per salutare dei suoi discepoli; e lo stesso anno il maestro Tani gli propose di occuparsi dell'organizzazione del terzo campionato del mondo di karate che avrebbe avuto luogo a Parigi nel mese di ottobre.

Abbandono dello Shūkōkai

Il giorno dopo il campionato, il maestro Nanbu ruppe definitivamente con lo stile Shūkōkai, poiché si era accorto che, essendo uno stile essenzialmente competitivo, i suoi seguaci finivano per praticare solamente le tecniche più redditizie per la competizione, e, cioè lo tsuki (colpo di pugno diretto) e il mae-geri (calcio frontale), lasciando da parte le altre tecniche come lo yoko-geri (calcio laterale) e il mawashi-geri (calcio con traiettoria circolare) più difficili da applicare durante la gara.
Questo modo di combattere era divenuto così rigido e schematico che un esperto di Shūkōkai un giorno disse: "Questo metodo, in sé eccellente purtroppo non ha saputo fare altro che fabbricare handicappati".
Cosciente dei limiti del Shūkōkai, il maestro Nanbu ripartì per il Giappone, e dopo lunghi mesi di riflessione e di meditazione trovò la soluzione dei suoi problemi, fondando la sua tecnica personale, che chiamò Sankukai.
Dopo anni di perfezionamento e pratica del Sankukai il maestro Nanbu non si riteneva ancora soddisfatto dello stile da lui creato e abbandonò il sankukai per fondare uno stile nuovo e non più codificato: il nanbudo (la via di Nanbu).


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mercoledì 22 agosto 2018

Elefante bianco

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Un elefante bianco, detto anche elefante albino, è un pachiderma particolarmente raro e non è una specie a sé stante; maggiormente diffuso tra gli elefanti asiatici del subcontinente indiano e del sudest asiatico, ne esistono alcuni esemplari anche tra gli elefanti africani.

Colore

Il colore della pelle non è realmente bianco, ma è sensibilmente più chiaro di quello dei normali elefanti, e può variare da un grigio chiaro al rosa. È stato ipotizzato che la colorazione sia dovuta alla mancata produzione di melanina, il pigmento che determina il colore della pelle, dei peli e degli occhi, una condizione comune ad altre specie di uccelli, rettili e mammiferi. Si ritiene che il motivo principale sia recessivo, dovuto all'inincrocio tra genitori imparentati che entrambi trasmettono al figlio un identico gene. Considerato il decrescente numero nel pianeta di normali elefanti, specie considerata vulnerabile al rischio di estinzione, si pensa che in futuro il fenomeno dell'inincrocio possa verificarsi più frequentemente e, in tale caso, gli elefanti bianchi diverrebbero meno rari.

Storia, religione e credenze asiatiche

Fin dall'antichità, gli elefanti bianchi furono considerati sacri in diversi Paesi asiatici. Nella tradizione induista, il sacro elefante bianco Airavata (ऐरावत) apparteneva alla divinità Indra; aveva quattro zanne e sette proboscidi e trasportava nelle battaglie il sovrano dei Deva, che lo nominò re degli elefanti. Sia Indra che lo stesso Airavata entrarono in seguito anche nelle tradizioni di Buddhismo, Giainismo e Taoismo.
Secondo il poema epico Buddhacarita, la madre di Gautama Buddha, la regina Maya, sognò che un sacro elefante bianco le fosse penetrato nel corpo senza provocarle dolore e senza alcuna impurità; quella stessa notte concepì un essere puro e potente. Il fatto che l'elefante provenisse dal cielo, indicava che il nascituro Siddharta veniva dalla Terra Pura del Buddha Maitreya. Neanche quando partorì Maya sentì dolore, ed ebbe la visione che il nascituro Gauthama le era stato estratto dal corpo dagli dei Brahma e Indra. In base a tale tradizione, i buddhisti pensano che un elefante bianco sia indice di fecondità, fortuna e sia da mettere in relazione con un sovrano.

India

Il re buddhista Bimbisāra del Regno Magadha, vissuto nel VI secolo a.C., possedeva l'elefante bianco chiamato Sechanaka, del quale si narra che il costo fosse maggiore del valore della metà del regno. Secondo la tradizione giainista, il sovrano lo regalò ad un proprio figlio, scatenando l'invidia dell'altro figlio Ajātashatru, che tentò inutilmente di sottrarlo al fratello. Ne scaturirono due grandi guerre che videro prevalere Ajātashatru, ma Sechanaka morì al termine del secondo conflitto.

Thailandia

In Thailandia, come in tutti i Paesi dell'Indocina, gli elefanti bianchi sono per tradizione un simbolo di buon auspicio per la prosperità del regno e del potere regale. Il sacro Airavata è conosciuto nel Paese come Erawan, ed è attualmente presente nello stemma di Bangkok con Indra in groppa. Il re birmano Bayinnaung richiese 2 degli elefanti bianchi fatti catturare dal re di Ayutthaya Maha Chakkraphat, che era conosciuto come il 'signore degli elefanti bianchi'. Il rifiuto opposto dal sovrano siamese fu il pretesto per scatenare nel 1563 il secondo conflitto siamese-birmano, passato alla storia anche come la "guerra dell'elefante bianco", che si concluse con la resa di Ayutthaya.
Il re Rama II inserì un elefante bianco nella bandiera nazionale nel 1809 e vi sarebbe rimasto, con alcune modifiche, fino al 1917, anno in cui la bandiera assunse la forma odierna. Il re Mongkut istituì nel 1861 l'Ordine dell'Elefante Bianco, tuttora una delle più alte onorificenze del Regno di Thailandia. Uno di questi animali è tuttora raffigurato su una delle bandiere della Reale Marina Militare Thailandese.
Maggiore è il numero di elefanti albini che il monarca possiede e maggiore è il suo prestigio nel Paese e nei confronti dei sovrani dei Paesi vicini. Il re Bhumibol Adulyadej ne possedeva dieci, una cifra considerevole comparata all'estrema difficoltà di reperirne. Quando ne viene catturato uno, una speciale commissione lo esamina e giudica se può essere considerato albino e ne assegna la provenienza ed il rango a seconda di sette parametri di base.

Laos

La storia del Laos ha radici comuni con quella della Thailandia; anche in questo Paese il sacro Airawata viene chiamato Erewan e sono riconosciute le doti auspicali e le prerogative regali degli elefanti bianchi. L'antico Regno di Lan Xang, letteralmente 'milione di elefanti', unificò le mueang laotiane nel XIV secolo, e già allora gli elefanti bianchi erano considerati simbolo della potenza e del prestigio dei monarchi.
Nel 1478, un elefante bianco fu dato in dono al re di Lan Xang Sai Tia Kaphut; la notizia giunse al sovrano Le Thanh Tong dell'Impero Dai Viet, che chiese in prestito l'animale per farlo ammirare ai propri sudditi. Il primo ministro ed erede al trono Kon Keo, contrariato dalla richiesta, rifiutò e mandò al monarca vietnamita un pacco contenente le feci dell'animale. Questo evento fu il casus belli che spinse l'imperatore Dai Viet ad invadere il Paese laotiano con disastrose conseguenze per entrambi gli schieramenti.
L'effigie di Airavata comparve sulla bandiera del Paese durante la colonizzazione dell'Indocina francese, dal 1893 al 1954, e sulla bandiera del successivo Regno del Laos, che fu soppresso nel 1975.

Birmania

In Birmania valgono le stesse credenze dei Paesi vicini sull'elefante bianco, simbolo auspicale e di potere. Alcuni tra i più importanti re del Paese legarono i propri nomi regali al sacro animale. Il più importante fu Bayinnaung, il primo conquistatore nel 1564 del regno siamese di Ayutthaya e fondatore del più grande impero nella storia del popolo birmano, che prese il nome Hsinbyumyashin (signore degli elefanti bianchi). Lo stesso titolo sarebbe stato preso dal re Bodawpaya, che regnò dal 1782 al 1819 e fu protagonista della conquista del Regno di Arakan e della regione del Tenasserim. Il sovrano Hsinbyushin, ricordato principalmente con tale nome che significa 'signore dell'elefanto bianco', guidò il suo esercito alla distruzione di Ayutthaya nel 1767, ponendo fine al glorioso regno siamese a oltre 400 anni dalla fondazione.
Anche l'odierna giunta militare, malgrado le sue origini comuniste, ha adottato la tradizione che vuole il pachiderma simbolo di potere e di prestigio. Il dittatore Khin Nyunt, capo del governo tra il 2003 ed il 2004, fece costruire una sontuosa dimora a Rangoon per tre elefanti bianchi, rimasta meta turistica e di pellegrinaggio anche dopo che Khin Nyunt è finito in carcere nel 2005. Nel 2010, la giunta militare ha organizzato nella capitale Naypyidaw grandi festeggiamenti per presentare al pubblico l'esemplare di elefante bianco catturato nel settembre di quell'anno. Durante la cerimonia, le autorità hanno anche inaugurato la nuova bandiera nazionale e hanno ufficializzato il nuovo nome del Paese: Repubblica dell'Unione di Myanmar. Il pachiderma è stato rinchiuso nei pressi della Pagoda Uppatasanti della capitale.


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martedì 21 agosto 2018

Henohenomoheji

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Henohenomoheji (へのへのもへじ) o Hehenonomoheji (へへののもへじ) è il nome dato alla rappresentazione di un viso umano che gli scolari giapponesi disegnano e mettono sulla testa di un kakashi (spaventapasseri) o di un teru teru bōzu. Esso è formato da sette caratteri hiragana: he, no, he, no, mo, he, ji. I primi due he sono le sopracciglia, i due no sono gli occhi, il mo è il naso, e l'ultimo he è la bocca. Il contorno di questa faccia è costituito dal carattere ji, mentre i suoi due dakuten formano l'orecchio o la guancia.
Questa icona è stata paragonata al popolare graffito Kilroy was here, poiché entrambi appaiono spesso nei fumetti, nei film o in altri media.

Varianti

Esistono altre versioni di Henohenomoheji, anche con nomi diversi, ad esempio: Hemehemekutsuji (へめへめくつじ), Heneheneshikoshi (へねへねしこし), Hemehemeshikoji (へめへめしこじ), Shinishinishinin (しにしにしにん). Inoltre, alcuni nippo-brasiliani che studiavano gli hiragana negli anni '50, nello Stato di San Paolo, idearono un viso senza senza il contorno ji, e lo chiamarono quindi henohenomohe.
Altri originari di São Paulo disegnarono un grosso no () intorno al viso, invece del ji.
Altri ancora mostrarono un Henohenomoheji con una i () aggiuntiva alla fine, messa sotto il ji per formare un collo.

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lunedì 20 agosto 2018

Bulli, non arrendersi

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Quando un piantagrane entra in una stanza,
sta cercando di vedere chi lo sta guardando.

Peyton Quinn



La mail di questo blog è costantemente assediata da persone che sentono di non potersi "tirare indietro" da alcune situazioni. Molti erroneamente pensano che se non stanno in piedi e combattono, saranno considerati in malo modo dagli altri.
La loro paura è che non saranno rispettati. Un ulteriore timore è che se si allontanano da un combattimento, saranno vittime di bullismo e saranno presi di mira in futuro . I loro pensieri sembrano arrestarsi lungo quella linea di pensiero che afferma che se non combattono saranno segnati per sempre come una vittima. Così si sentono perennemente persi e disorientati perché sembra che i problemi siano sempre li a cercarli.
La domanda clamorosa che si pongono è: "Che cosa faccio?"
Innanzitutto, la maggior parte delle persone oggetto delle attenzioni di qualche bullo non capiscono cosa stanno facendo per attirare l'attenzione dei bulli. L'accumulo di espisodi violenza è sempre una strada a doppio senso. Ogni azione che facciamo nel quotidiano può influire sul fatto che si sia più o meno selezionati per diventare l'intrattenimento di qualche bullo. Finché questo non verrà compreso, non ci si renderà conto di quanto controllo stiate cedendo.



Come la gente reagisce ai bulli (e come i bulli scelgono le loro vittime)
In realtà, circa l'80% delle persone non si accorge nemmeno di quanto sia vicina ad un bullo. Sono troppo occupate a fare qualcos'altro. Che ci crediate o no, questo le salva da molti tipi di guai. Semplicemente non guardandolo, il messaggio che queste persone trasmettono è che non vogliono partecipare allo stupido gioco del bullo.
Del restante 20 percento delle persone, la maggior parte li guarderà e poi tornerà a qualsiasi altra cosa stessero facendo (ad esempio la conversazione che stanno avendo, leggendo un libro, facendo shopping, ecc.). Il tizio non è importante per loro. Questo perchè è come se non lo vedessero... è solo parte dell'ambiente circostante.
Ora si potrebbe pensare che il bullo scelga la sua vittima tra queste persone, ma non è così.
Questa tipologia di apparenti vittime in realtàsono molto più pericolose del bullo in sé stesso. Tanto per cominciare, la maggior parte di queste persone è in un ambiente in cui ci sono altre persone. Questo è un problema per un bullo. Ma hanno anche un'altra caratteristica importante, cioè non hanno paura di chiamare aiuto. Questa disponibilità è qualcosa che accomuna sia le persone inconsapevoli del pericolo che semi-consapevoli. A questo punto è abbastanza chiaro che non si deve essere grandi e forti per poter gestire un bullo. Tutto quello che si deve saper fare è essere abbastanza intelligenti da chiedere aiuto prima che il piantagrane superi ogni limite. Sono un pericolo per i bulli, perché non esiteranno a chiamare qualcuno che potrebbe mettere il piantagrane al suo posto.
A questo punto siamo riusciti a ridurre drasticamente il numero di persone che potrebbero essere vitttime predestinate di un bullo. Quindi diciamo che abbiamo usato un campione di 100 persone. 80 non lo noteranno nemmeno. Dei 20 circa l'80% torneranno a fare quello che stavano facendo. Quindi, dei 100 originali, solo circa quattro saranno disposte ad interagire con il bullo.
Queste quattro possono essere suddivise in quattro tipologie di base.
1) Quelli che per lavoro sono costretti a trattare con il bullo (commessi, addetti al ristorante, ecc.). 2) Coloro che sono vittime predestinate.
3) Coloro che combatteranno.
4) Coloro i quali consegneranno al "bullo" il suo fegato (dopo averglielo estratto).
Quest'ultima categoria è particolarmente interessante. Questo è qualcuno che è così "al di là" di tutto e tutti da sapere di non aver fatto nulla per farsi notare. Questo è letteralmente l'equivalente di un piccolo squalo che non attira l'attenzione di uno più grande. Se lo fa, potrebbe diventare il pranzo di qualcuno. Di solito questi individui lasciano l'area il più rapidamente e silenziosamente possibile. Sapere "quando non ci si deve comportare male" è un importante tratto della sopravvivenza per strada. I bulli sanno che provocare un avversario scomodo è il modo più veloce per accusare un intenso dolore fisico.
Se vi siete mai chiesti perché i bulli scelgono di comportarsi o di non comportarsi in un certo modo in determinate circostanze, l'avete appena letto. Esiste una correlazione diretta tra la spavalderia, il comportamento rumoroso, antipatico e aggressivo e la distanza dalla potenziale vittima più vicina.
(Purtroppo questo discorso vale anche per chi è disposto a chiamare rinforzi, ad esempio la radio accanto all'autista ha un grande effetto smorzante su di un comportamento anomalo. Il problema con questi tipi è che per alcuni bulli è un gioco. Paragonabile ad un gioco d'azzardo, sanno che devono andarsene prima che arrivino le autorità. La sfida è: quanti problemi possono fare prima di scappare? Questo è il brivido. Tuttavia, questo gioco si basa sempre su qualcuno che non è in grado di reagire in modo adeguato.)
Con queste nozioni, puoi iniziare a cercare queste dinamiche durante l'azione. Mentre la curiosità ci porta ad osservare i bulli (osserva se di colpo iniziano a comportarsi bene), quando cambiano il loro comportamento guardarti intorno! Di solito quando vedi un gruppo di bulli che da arrogante ha cambiato il proprio comportamento, è perché sanno che c'è qualcosa nell'acqua più grande di loro. La cosa divertente è che di solito ciò che loro interpretano come una minaccia potrebbe non essere così evidente come credi, quindi devi davvero guardarti intorno per capire chi o cosa ha cambiato il loro comportamento.
È interessante notare come il comportamento di questi bulli sia - almeno superficialmente - esattamente lo stesso di chi li guardava e poi tornava alla propria attività. Osserveranno il potenziale problema, prenderanno le loro misure e poi restituiranno la maggior parte della loro attenzione a ciò che stavano facendo. La differenza è che la minaccia ha "spostato i loro ingranaggi mentali". Anche se quest'ultima è tornata a quello che stava facendo, c'è ancora in essa un grado di attenzione che ora li sta monitorando, i loro movimenti e il comportamento dei potenziali guastafeste. Egli non ha paura, ma è un grande predatore consapevole della presenza di predatori minori. Fino a quando i predatori minori non inizieranno a fare guai, il più grande continuerà a fare quello che sta facendo. Ma sarà pronto a fermare il comportamento del predatore minore, se necessario.



Sei stato selezionato
Questo ci porta ad un'altra tipologia di quelle quattro persone che guardano quando entra il bullo. Queste sono le "vittime". Se non c'è nessuno vicino per fermare il bullo, saranno selezionati per attirare attenzioni indesiderate. Queste sono quelle persone che andranno fuori di testa per la sola presenza del bullo. Queste persone gli stanno inviando un chiaro segnale, ovvero che sono sicure che verranno scelte .
Sfortunatamente, questo comportamento è esattamente ciò che il bullo sta cercando. Bulli e molestatori raccolgono questa "vibrazione" come uno squalo rileva il sangue nell'acqua. A differenza di uno squalo, però , quando incontreranno qualcuno che emette questi segnali, i bulli giocheranno al gatto ed al topo con la loro vittima. Questa è una corsa e loro partono con il vantaggio della paura e dell'ansia che stanno causando. Ciò significa che spesso prolungano la paura delle loro vittime intimidendole. Ufficialmente "non stanno facendo nulla", ma in realtà stanno instillando molto attivamente il terrore nelle loro future vittime. Un esempio di questo atteggiamento è quando un prepotente in classe aspetta fino a quando l'insegnante non gira la schiena prima di fare un gesto minaccioso alla vittima. Alla fine della lezione, la vittima è quasi isterica di paura, ma il bullo non ha fatto nulla di evidente.
Se avete mai visto un gruppo di bulli diventare più rumorosi e più odiosi in un treno o in un autobus, quello a cui avete assistito era che stavano recitando, questo peggioramento del comportamento è tanto convincente da parte loro che possono farla franca anche quando è una palese intimidazione.
L'ultima tipologia è formata da quelli che non sono sicuri di se stessi e delle loro capacità. Quando un tizio entra nella loro zona, devono "fissarlo". Lo fanno per molte ragioni, ma principalmente lo fanno perché hanno qualcosa da dimostrare - non al mondo, ma a loro stessi. A differenza della vittima, queste persone partecipano attivamente alla creazione del problema. Prima o poi, loro e il tizio si troveranno nelle immediate vicinanze, le parole cesseranno ed inizieranno i guai.
Ora la cosa divertente è che sono proprio quelli che più temono di essere bollati come vittime. Quindi pensano che debbano "alzarsi" con il bullo.
Il mio punto è: c'è una grande, grande differenza tra "Ho paura di combatterti" e "Ho scelto di non combatterti adesso".
Ma le persone che pensano di avere qualcosa da dimostrare non riescono a comprenderlo. Pensano di dover mostrare a tutti che non hanno paura. Vorrei anche sottolineare che tendono ad essere selettivamente sorde. Cioè se 99 persone gli dicono che va bene non combattere, l'unica persona che sentiranno è quell'"uno". È il cosiddetto "amico" che li sminuisce per aver deciso di non combattere ed è l'unico che sentiranno più forte e più chiaro rispetto a tutti gli altri.
Ora, con tutto quello che hai letto qui, che ne dici del tuo comportamento puoi cambiare in modo da non essere la vittima che questi bulli stanno cercando?


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domenica 19 agosto 2018

Kyūjitai

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Kyūjitai (旧字体), letteralmente "forma antica dei caratteri", sono gli antichi kanji tradizionali della lingua giapponese, oltre 45000, derivati dagli ideogrammi cinesi. La relativa versione semplificata è costituita dagli shinjitai, "forma nuova dei caratteri", oggi comunemente utilizzati per scrivere in giapponese. I caratteri semplificati comparvero già secoli fa e si diffusero nella lingua scritta comune sia in Cina che in Giappone, anche se considerati poco eleganti, finché dopo la seconda guerra mondiale vennero ufficializzati in entrambi i paesi. In Giappone, fino all'approvazione, il 16 novembre 1946, della lista dei 1850 tōyō kanji semplificati per la stampa (poi sostituita dalla lista dei 1945 jōyō kanji nel 1981, ulteriormente modificata nel 2010), i kyūjitai erano noti come seiji (正字, "caratteri corretti") o seijitai (正字體). Anche dopo l'abbandono ufficiale della forma tradizionale, i kyūjitai furono ancora usati spesso nella stampa durante tutti gli anni cinquanta a causa del ritardo nel rinnovamento dei set tipografici. I kyūjitai vengono talvolta utilizzati ancora oggi da alcuni autori, dal momento che il loro uso non è vietato, ma solo deprecato. Ad esempio, i caratteri kyūjitai sono ancora frequenti nei nomi propri di persona, ed integrano i 293 jinmeiyō kanji, i caratteri comunemente usati per i nomi propri.

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sabato 18 agosto 2018

Fitoterapia

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La fitoterapia, dal greco phytón (pianta) e therapéia (cura) è, in senso generale, quella pratica che prevede l'utilizzo di piante o estratti di piante per la cura delle malattie o per il mantenimento del benessere psicofisico. Il termine fitoterapia compare per la prima volta nel trattato di Lineamenti di fitoterapia del medico francese Henri Leclerc (1870-1955).
Data l'antichità di questa pratica, che con tutta probabilità rappresenta il primo esempio di pratica terapeutica umana, e data la sua generalizzata distribuzione geografica, è impossibile dare una descrizione di essa in termini di un sistema terapeutico specifico (come ad esempio è possibile fare per l'omeopatia). Piuttosto è sensato dire che l'utilizzo terapeutico delle piante si ritrova in tutti i sistemi terapeutici umani, da quelli più antichi e basati su osservazione ed empirismo, a quelli più sofisticati e con livelli di complessità teorica elevata, fino alla moderna biomedicina. La medicina popolare si serve di rimedi fitoterapici da tempi immemorabili. Ippocrate citava il rimedio come terzo strumento del medico accanto al tocco e alla parola.
Dal punto di vista terminologico, limitandosi alla Unione europea, solo da pochi anni, e limitatamente alla Gran Bretagna, esiste una categoria professionale istituzionalizzata di fitoterapeuti, con percorso formativo universitario distinto da quello previsto per la biomedicina, e con protezione legale del nome. Negli altri stati membri della UE il termine fitoterapeuta non ha valore legale, e la fitoterapia non è una branca riconosciuta dalla biomedicina.

Principi attivi

Le piante sono fra le principali fornitrici di sostanze medicamentose. Vanno considerate veri e propri produttori e contenitori dinamici di sostanze chimiche (Firenzuoli, 2009). Nella loro evoluzione esse hanno sviluppato innumerevoli metaboliti secondari che svolgono per la pianta varie funzioni ecologiche (repellenza, difesa dagli erbivori, lotta contro altre specie vegetali per il controllo delle risorse, difesa dai parassiti, attrazione degli impollinatori, ecc.). Questi stessi metaboliti secondari hanno mostrato importanti attività farmacologiche nell'uomo. Ecco una lista esemplificativa dei vari principi attivi:
  • fenoli semplici
  • polifenoli - tannini e flavonoidi
  • glicosidi (fenilpropanoidi, antrachinoni, glucosinolati, iridoidi, glicosidi cianogeniche)
  • terpeni
  • terpenoidi e saponine (fitosteroli, glicosidi cardioattive, triterpeni)
  • olii essenziali e resine
  • alcamidi
  • alcaloidi
Le attività che questi metaboliti possono esercitare sulla fisiologia umana sono molteplici e sarebbe impossibile riassumerle brevemente, tuttavia una lista sommaria comprenderebbe:
  • sostanze tossiche
  • sostanze con attività ormonoregolatrici
  • sostanze ad attività antimicrobica
    • battericidi
    • virostatici
    • fungicidi
  • sostanze lassative
  • sostanze antinfiammatorie
  • sostanze attive sul sistema nervoso centrale e periferico
  • sostanze antiossidanti
Le moderne preparazioni fitoterapiche sono ottenute a partire dal materiale vegetale, sia fresco che essiccato, tramite estrazioni con solventi e metodiche diverse: se il solvente è l'etanolo in percentuali diverse si parla di estratti idroalcolici, solitamente chiamati tinture madri (o, tinture officinali, o estratti fluidi); se il solvente è l'acqua si parla di infusi, decotti o macerati a freddo; se il solvente è un olio grasso si parla di oleoliti; l'estrazione con solventi diversi e non alimentari (esano, cloroformio, ecc.), che vengono poi eliminati, permette la preparazione di estratti molli e secchi. Alcune preparazioni sono costituite da estratti di singole piante, altri da combinazione di estratti da diverse piante. In particolare i medici hanno la possibilità non di preparare ma di prescrivere preparazioni vegetali che poi prepara il farmacista (medicinali galenici magistrali) Le preparazioni in libera vendita devono sottostare a vari standard di tipo qualitativo, mentre gli standard di efficacia e tossicologici vengono applicati (nella UE) solo a quei preparati ai quali venga riconosciuto lo status di farmaci vegetali (herbal medicines). Per i preparati che non rientrano in questa categoria valgono le regolamentazioni dei singoli stati membri.

Pericoli

L'uso di piante e dei loro derivati può essere utile nella terapia e nella prevenzione di molte malattie. Talvolta tuttavia si possono verificare anche "sfruttamenti promozionali" di piante ed erbe delle quali si vantano proprietà terapeutiche non documentate e delle quali talvolta si ignorano i possibili pericoli, ma fortunatamente esiste oggi in Italia una specifica regolamentazione dei prodotti naturali (Firenzuoli, 2009; Silano, 2006). L'equazione "naturale = benefico" è infatti spesso un semplice tranello atto ad abusare della credulità di alcune persone: anche i virus, difatti, sono naturali, come pure i funghi velenosi o la cicuta che Socrate fu costretto ad assumere.
Anche le interazioni con i farmaci tradizionali devono essere valutate con attenzione così come gli effetti collaterali, ampiamente descritte fin dal 1996 (Firenzuoli, Le insidie del Naturale) e poi successivamente approfondite (Firenzuoli, 2001, 2008). Attenzione va ad esempio posta al sistema enzimatico epatico ed intestinale P450 e alle sue varie isoforme, oltre che alla proteina di trasporto denominata P-gp (P.Campagna, 2008). In particolare oggi sappiamo che esistono molte piante che interagiscono con i farmaci, riducendone l'attività o al contrario aumentandone la tossicità, tutte situazioni che devono essere ben conosciute onde prevenire interazioni pericolose o al contrario sfruttarne tutte le sinergie (Firenzuoli, 2008).

Premesse fitoterapiche

Nel sistema sanitario italiano, la fitoterapia non esclude l'autoprescrizione, tanto che esistono fitoterapici da banco senza obbligo di ricetta medica dispensati dal farmacista in farmacia e parafarmacia (Silano, 2006). Per la prescrizione, che è un atto medico, occorrono:
  • la laurea in medicina e chirurgia, l'abilitazione all'esercizio professionale e l'iscrizione all'Ordine dei Medici
  • anche se auspicabile, non è indispensabile una formazione specifica, come un master post-laurea, il quale tuttavia fornisce adeguate competenze circa la composizione delle piante, tecniche estrattive, conoscenze di galenica, e soprattutto l'acquisizione di competenze all'uso clinico delle piante medicinali.