Dunque iniziamo:
Le arti dell'arco
Come ho già detto in altre risposte,
l'arma preferita dai guerrieri giapponesi era l'arco wakyū (和弓),
disponibile in una forma lunga (daikyū, 大弓)
da usare a piedi e in una corta (hankyū, 半弓)
da usare a cavallo. Per il momento mi soffermerò sulla prima.
La nascita dell'arco in Giappone risale
a prima del 297, anno in cui ci giungono, da un testo cinese, le
prime notizie arceria giapponese. In seguito si svilupparono molte
scuole di tiro con l'arco, le più importanti delle quali sono la
Takeda-ryū (武田流) e la
Ogasawara-ryū (小笠原流).
Durante il periodo Edo la classe
guerriera si trasformò presto in una classe di funzionari non più
dediti alla guerra e i maggiori praticanti di arti marziali divennero
i monaci. Fu così che il kyūjutsu (弓術)
si trasformò nel kyūdō (弓道),
disciplina dalla forte componente filosofica tuttora praticata.
I praticanti di questa disciplina
indossano un keikogi bianco a maniche corte, un obi nero e una hakama
dello stesso colore, oppure, per occasioni formali, si può indossare
un kimono con hakama con la manica sinistra sfilata o legata in modo
da non intralciare i movimenti. L'arciere indossa inoltre un guanto
sulla mano sinistra che copre da tre a cinque dita (i principianti
possono usarne uno che copre solo il pollice per allenarsi) e i
principianti indossano anche una protezione per il pollice sulla mano
destra. L'equipaggiamento consiste in un arco lungo e quattro frecce
scoccate a gruppi di due.
In genere l'allenamento avviene contro
un bersaglio di paglia a distanza ravvicinata per allenare la tecnica
e contro bersagli del diametro di 36 cm (dalla distanza di 28 m) o di
158 cm (dalla distanza di 60 m) per allenare la mira.
Esiste anche una tradizione millenaria
di tiro con l'arco montato, che veniva studiato nell'arte del
kasagake (笠懸), tiro al
cappello: il bersaglio tipico era infatti il cappello conico tipico
della tradizione giapponese.
Di kasagake esistono vari tipi,
differenziati in base a dimensione, numero e posizione dei bersagli:
i principali e ancora oggi praticati sono il tōkasagake (遠笠懸),
che consiste nel tirare a uno o tre bersagli di 55 cm posti a 11–23
m dalla pista, e il kokasagake (小笠懸),
praticato in genere mentre si tornava dal primo colpendo uno o due
bersagli di 24–48 cm di diametro posti in posizione bassa a 2,3 m
dalla pista. Quando il tōkasagake era eseguito in una competizione
veniva chiamato kuji kasagake (籤笠懸)
mentre la pratica sacra di colpire animali consacrati a un santuario
prendeva il nome di shinji kasagake (神事笠懸).
Alcune tradizioni prevedono di colpire
ripetutamente un bersaglio: era il caso dello hyakuban kasagake
(百番笠懸), dove si
colpivano cento bersagli e del tanabata kasagake (七夕笠懸),
dove un bersaglio viene colpito sette volte.
Oltre a queste tecniche ufficiali era
diffusa la pratica ludica dello hasaimono (挟物),
dove alcuni arcieri si sfidavano per colpire piccoli bersagli (per
esempio un ventaglio) da un cavallo in corsa.
Anticamente, veniva praticata anche una
forma di arcieria montata che aveva come bersaglio cani in corsa in
un recinto, chiamata inuōmono (犬追物),
fortunatamente caduta in disuso.
Un tipo molto particolare di tiro con
l'arco a cavallo dalle importanti caratteristiche religiose è lo
yabusame (流鏑馬), dove
ogni arciere deve colpire tre bersagli posti consecutivamente lungo
una pista lunga quantomeno 218 m.
Il profondo impatto che lo yabusame
ebbe nella cultura guerriera giapponese può essere intuito pensando
che l'etichetta giapponese discende dalle pratiche rituali della
Ogasawara-ryū, una delle due scuole di yabusame insieme alla
Takeda-ryū.
Una tradizione molto particolare di
tiro con l'arco è il cosiddetto sihan-mato (四半的),
il tiro con l'arco da seduti, praticato con un arco corto e
completamente separato dalle altre scuole di tiro con l'arco
giapponese.
Le arti della lancia
Oltre all'arco, i samurai usavano
spessissimo lo yari (槍)
ossia la lancia. Le prime lance giapponesi erano costituita da
un'asta su cui veniva infilata una punta metallica cava, in seguito
si svilupparono lance con un codolo inserito nell'asta.
Per la sua facilità di costruzione e
uso, la lancia si affermò presto sui campi di battaglia nipponici,
diventando un segno distintivo della classe guerriera.
L'arte che studiava l'uso della lancia
si chiamava sōjutsu (槍術)
e prevedeva combattimenti sia individuali che in formazione,
utilizzando soprattutto affondi e parate effettuate deviando i colpi
avversari con l'asta. Si utilizzano molto posizioni basse e stabili,
che, pur compromettendo in parte l'agilità, permettono di migliorare
molto l'utilizzo della forza e l'equilibrio.
Molti samurai venivano
rappresentati con una lancia in mano.
Molto recentemente (2015) è stata
creata una versione più sportiva chiamata sōdō (槍道).
Questa viene praticata con bastoni di legno dalla punta imbottita e
un'armatura da kendō.
Molto più praticato è il
naginatajutsu (薙刀術),
l'arte del falcione, tipicamente riservata alle donne e usata per
difendere la propria abitazione.
A metà del secolo scorso si tentò di
modernizzarla (con scarsi risultati) in un'arte chiamata naginatadō
(薙刀道). Nel secondo
dopoguerra fu fatto, con successo, un secondo tentativo, e nacque
così lo sport chiamato atashi naginata (新しいなぎなた),
la nuova naginata, che non è considerato come una vera e propria
arte marziale ma gode comunque di un discreto successo. Si utilizza
un'armatura da kendō con l'aggiunta di gambali, visto che sono
contemplati anche i colpi alle tibie.
Simile al naginatajutsu era il
nagamakijutsu (長巻術),
che utilizzava un'arma intermedia tra naginata e tachi (spada). Era
molto difficile da usare, e per questo non ci sono mai stati
tentativi di far rivivere quest'arte.
Un esempio di nagamaki.
Le arti della spada
Siamo dunque arrivati a quelle che
potrebbero essere le arti più influenti nella cultura di massa:
quanti di voi non anno mai sentito parlare delle spade giapponesi e
dei miti (quasi sempre falsi) che circolano attorno ad esse?
La principale arte che riguarda
l'utilizzo della spada giapponese è il kenjutsu (剣術),
un'arte estremamente complessa che può occuparsi di duelli o
combattimenti con molti avversari, in cui si utilizzano una o due
spade (nel primo caso l'arma può essere lunga o corta, nel secondo
si utilizzano una spada lunga e una corta). Uno dei maggiori
esponenti di quest'arte fu Miyamoto Musashi, vissuto tra la fine del
periodo Azuchi-Momoyama e l'inizio del periodo Edo. Questi fu forse
il primo ad utilizzare due spade contemporaneamente e fondò la sua
scuola (二天一流,
Niten-ichiryū).
Due samurai combattono
su un tetto.
Dopo la restaurazione Meiji, ci fu un
impegno a livello nazionale per rendere il kenjutsu meno militare e
fruibile da tutti. Nasce così il kendō (剣道).
In questa disciplina, entrambi i combattenti indossano un'armatura di
legno laccato e usano una spada di bambù. L'obiettivo è segnare due
punti colpendo l'avversario in punti vitali o indispensabili per il
combattimento con colpi di taglio (testa, busto, mani) o di affondo
(gola). Quando si utilizzano due spade, quella lunga viene usata per
attaccare e quella corta per difendere.
L'altra importantissima arte che
insegnava ad utilizzare la spada era lo iaijutsu (居合術)
o battōjutsu (抜刀術),
che insegnava come estrarre la spada velocemente e colpire
l'avversario in un solo movimento. Viene spesso praticato con lame
affilate, e per questo non ci si allena nel combattimento uno contro
uno, ma solo nel kata (sequenze di tecniche codificate).
Attualmente, quest'arte viene praticata
nella sua forma competitiva e più filosofica, lo iaidō (居合道),
pressoché identica tecnicamente alla sua arte madre.
Il termine battōdō (抜刀道),
invece, indica una pratica completamente diversa, dove lo scopo è
quello di tagliare un rotolo di tatami avvolto attorno a una canna di
bambù, in modo da simulare la consistenza della carne e delle ossa
umane. Questa tecnica deriva dall'antica pratica del tameshigiri
(試し斬り), anche se
quest'ultima serviva a stabilire la qualità di una spada, mentre la
prima è un modo per perfezionare l'abilità dello spadaccino.
L'obiettivo finale è arrivare a estrarre la spada e tagliare il
bersaglio in un unico movimento fluido.
Al pugnale (短刀,
tantō) e alla spada corta (脇差,
wakizashi) era dedicata un'arte marziale chiamata tankenjutsu (短剣術),
che si occupava di studiare queste armi quando usate singolarmente,
utilizzando la mano libera per impedire i movimenti dell'avversario.
In epoca moderna, quest'arte è stata
trasformata in una forma più sportiva chiamata tankendō (短剣道),
che viene praticata con un'armatura simile a quella del kendō con un
imbottitura in più sotto al braccio destro.
Le arti del bastone
Una delle ermi giapponesi più note è
sicuramente il bastone. Se ne distinguono, in genere, cinque
lunghezze diverse: bō (棒),
lungo circa 180 cm, jō (杖),
di circa 127 cm, hanbō (半棒),
circa 90 cm, tanbō (短棒),
circa 60 cm e yubibō (指棒),
20 cm. Di questi i primi tre avevano tutti un'arte dedicata.
Il bō veniva usato nel bōjutsu (棒術),
un'arte che prevede movimenti ampi e circolari in modo da colpire con
entrambe le estremità del bastone.
Al jō era dedicato il jōjutsu (杖術),
inventato da Musō Gonnosuke Katsuyoshi dopo aver perso un
combattimento contro Miyamoto Musashi, nel tentativo di trovare
un'arte efficace contro la spada. In tempi recenti è nata una forma
competitiva chiamata jōdō (杖道),
dove ci si esibisce in kata a coppie alternando il ruolo
dell'attaccante e del difensore.
Alcuni affermano che il creatore di
quest'arte fu l'unico capace di sconfiggere Miyamoto Musashi in
duello, tuttavia non ci sono fonti certe riguardanti un secondo
duello tra i due al di fuori della tradizione orale della scuola.
Altro punto a sfavore di questa ipotesi è che l'allenamento in
quest'arte prevede il combattimento tra due bastoni e tra un bastone
e una spada, mentre Musashi combatteva spesso con due spade
contemporaneamente.
Infine, lo hanbō viene studiato
nell'arte chiamata hanbōjutsu (半棒術),
che in genere è parte di un programma più vasto.
Le arti del fucile e della baionetta
Quando i portoghesi introdussero i
fucili in Giappone, nel periodo Muromachi, gli autoctoni lo
perfezionarono fino a renderlo una delle armi da fuoco migliori del
periodo, chiamata tanegashima teppō (種子島鉄砲),
dal nome del luogo dove aveva avuto origine. Quest'arma andò a
sostituire i vecchi cannoni basati sul modello cinese (鉄砲,
teppō), oltre alle lance e agli archi. Fu dunque necessario
sviluppare un'arte marziale che avesse lo scopo di minimizzare il
tempo di ricarica e massimizzare la precisione. Questa nuova arte fu
chiamata hōjutsu (砲術).
Più recentemente, il Giappone importò
dall'occidente anche la baionetta (銃剣,
jūken) e, utilizzando le vecchie tecniche dell'arte della lancia e
riadattandole per la lunghezza e l'impugnatura dei fucili, nacque il
jūkenjutsu (銃剣術),
l'arte della baionetta. Dopo la seconda guerra mondiale, quest'arte
fu bandita e in parte dimenticata, finché, quando nel 1953
l'occupazione alleata finì, l'arte fu riportata in vita sotto il
nome di jūkendō (銃剣道),
praticata con fucili di legno dalla punta imbottita e un'armatura da
kendō con un ulteriore rinforzo per la spalla sinistra.
Altre arti marziali che usano armi
Oltre alle armi precedentemente
menzionate, molto diffuse erano anche l'ascia, il mazzafrusto, il
falcetto e varie armi da lancio.
L'ascia (斧,
ono) possedeva anch'essa una sua arte, chiamata appunto onojutsu
(斧術), fatta rivivere nel
2015 in un'arte sportiva che prevede unicamente kata (forme) chiamata
onodō (斧道).
Il chigiriki (契木)
era un particolare tipo di mazzafrusto giapponese che ha un manico
particolarmente lungo, dove una delle due estremità è rinforzata da
una punta di ferro mentre all'altra è fissata una catena fissa o
estendibile con un peso liscio o con punte alla fine. Ad esso era
dedicata l'arte chiamata chigirikijutsu (契木術),
che non è mai esistita come arte autonoma, ma sempre come
complemento ad altre scuole di arti marziali.
Ancora il cosiddetto kusarigama (鎖鎌)
era un falcetto a doppio taglio a cui era legata una catena con un
peso nell'estremità inferiore. Anche la sua arte marziale, il
kusarigamajutsu (鎖鎌術),
non è mai stata autonoma, sebbene abbia goduto di una certa
diffusione.
Per finire, molto noti nell'immaginario
popolare sono gli shuriken (手裏剣),
armi da lancio a forma di coltello o, più raramente, di stella, arma
tipica dei ninja. Sotto il nome di shurikenjutsu (手裏剣術)
rientrano tutte le tecniche usate per lanciare questo tipo di armi ma
anche pugnali e spade corte.
Un'arma molto importante nei campi di
battaglia era anche il jitte (十手),
una particolare mazza con una guardia ad uncino, spesso utilizzata in
coppia con la spada, che veniva utilizzata per effettuare leve
articolari, disarmare l'avversario e eventualmente rompere la sua
arma. L'arte che lo studiava era il jittejutsu (十手術).
Arti marziali che non utilizzano
armi
Sebbene alcune delle precedenti arti
marziali siano abbastanza note, quelle più diffuse e conosciute in
occidente sono le arti marziali dette "del corpo", ossia
quelle che non prevedono armi, o che comunque le utilizzano in modo
limitato o marginale. Le prime di queste arti, note complessivamente
sotto il nome di jūjutsu (柔術),
ossia l'arte flessibile, in riferimento all'abitudine di non
contrapporsi mai alla forza dell'avversario, utilizzandola invece per
eseguire proiezioni, strangolamenti o leve articolari. Il jūjutsu
prevedrebbe, tra le altre cose, lo studio del koppō (骨法),
il metodo dell'osso, che studia l'utilizzo di percosse e leve
articolari allo scopo di rompere le ossa dell'avversario, e del kenpō
(拳法), il metodo del
pugno, ossia il pugilato, che comprende anche tecniche di calcio,
gomito, ginocchio e testata.
Nel XX secolo, nel tentativo di rendere
le arti marziali più adatte ad essere praticate anche da bambini e
adolescenti, il maestro Kanō Jigorō iniziò a sviluppare una sua
propria arte marziale, che permetteva anche a persone di piccola
statura di affrontare avversari più pesanti e muscolosi, mediante
l'utilizzo dell'equilibrio e delle proiezioni. Nasce così il jūdō
(柔道), che godette da
subito di grande successo e molto presto fu inserito nel programma di
educazione fisica nelle scuole, insieme al kendō e al karate
shōtōkan. A Kanō Jigorō dobbiamo anche l'invenzione della divisa
tipica delle arti marziali, il keikogi, che consiste in un paio di
pantaloni, lo zubon, e di una casacca, l'uwagi, da chiudere con il
lembo sinistro sopra quello destro. Entrambi devono essere
rigorosamente bianchi. Infine, l'uwagi è tenuto chiusa da una
fusciacca, l'obi, che ha assunto anche il ruolo di marcatore
dell'esperienza del praticante.
Sempre in questo periodo fu attivo il
maestro Ueshiba Morihei. Questi, dopo un profondo studio del jūjutsu,
in particolare della Daitō-ryū, sviluppò un proprio stile di
combattimento con forti influenze mistiche: l'aikidō (合氣道).
Quest'arte ha molte caratteristiche peculiari, tra cui i movimenti
estremamente fluidi e la concentrazione sulla difesa e il
raggiungimento di uno stato di pace. Il nome significa letteralmente
"via dell'unione con l'energia che permea l'universo" a
sottolineare il carattere mistico, filosofico e di
autoperfezionamento di quest'arte.
Un'arte estremamente particolare era il
suieijutsu (水泳術),
l'arte del nuoto e del combattimento in acqua. Questa tecnica
insegnava anche a mangiare in acqua, nuotare per lunghe distanze a
anche nuotare con indosso un'armatura.
Arti dello spionaggio
Tra tutte, l'arte marziale giapponese
più influente nella cultura di massa è molto probabilmente il
ninjutsu (忍術), arte di
rubare, anche noto con il termine ninpō (忍法),
tecnica del furto. Questa, più che un'arte vera e propria, era un
termine ombrello usato per racchiudere tutte le scuole di arti
marziali che comprendevano nel loro programma lo studio di tecniche
di camuffamento, furto, spionaggio e omicidio.
Per ogni missione, un ninja doveva
imparare il dialetto del luogo, il modo di parlare della classe
sociale del suo personaggio, il modo di vestirsi degli abitanti del
luogo, in modo da passare quanto più possibile inosservato.
Costume
teatrale usato per rappresentare i ninja. Non avevano un vestiario
particolare, si camuffavano in base al personaggio che dovevano
interpretare.
Arti di polizia e arresto
Alla polizia dello shogunato Tokugawa
veniva insegnata un'arte marziale chiamata toritejutsu (捕手術).
Questa prevedeva lo studio dell'immobilizzazione di un prigioniero
senza apportare danni permanenti.
Le armi principali usate dalla polizia
dei Tokugawa erano lo tsukubō (突棒),
il sodegarami (袖搦) e il
sasumata (刺股).
Da sinistra, tsukubō,
sodegarami e sasumata.
Il primo era un bastone con punta a T
usato per tenere il prigioniero a distanza, il secondo aveva lo scopo
di intrecciarsi alle maniche e ai vestiti di un fuggitivo
intralciandone i movimenti e il terzo (ancora usato dalla polizia
giapponese) aveva lo scopo di immobilizzare il prigioniero al suolo.
Strettamente correlata a questa era
l'arte di legare le persone, chiamata hojōjutsu (捕縄術).
La forma del nodo poteva cambiare in base all'estrazione sociale del
prigioniero e al fatto che esso sia accusato o condannato.
Sumō
Merita un discorso a parte il sumō
(相撲), che per molto tempo
è stata l'unica forma di lotta sportiva in Giappone.
Questa forma di lotta prevede che due
contendenti chiamati rikishi (力士)
si spingano e si strattonino cercando di atterrare l'avversario o
spingerlo fuori dall'anello (土俵,
dohyō).
I rikishi indossano un indumento
particolare chiamato mawashi (廻し),
una fascia di seta (per i lottatori delle prime due divisioni) o di
cotone (per tutti gli altri) lunga da 4,5 a 9 m e larga 45–60 cm,
per un peso complessivo che può arrivare a 5 kg. Appese al mawashi
vi sono un numero dispari di cordicelle chiamate sagari (下がり),
che sono semirigide per i lottatori delle prime due categorie.
I lottatori competono in sei tornei
annuali (本場所,
honbasho), dove vengono suddivisi per categorie (sei in tutto, ne
riparlerò fra poco) e competono in 15 (prime due categorie) o 7 (le
altre quattro) incontri. I lottatori con un risultato vincente (勝ち越し,
kachi-koshi) salirà nella classifica, mentre quelli con un record
perdente (負け越し,
make-koshi) molto probabilmente verranno degradati. Oltre a questi
tornei, i lottatori competono in gare svolte in tutto il Giappone e a
volte all'estero, senza alcuna importanza per la classifica.
La principale caratteristica è che non
esistono categorie di peso, ma solo di esperienza. Così, un
lottatore di "appena" 100 kg può trovarsi a combattere
contro un lottatore di 200 (e se gioca bene le sue carte, può
persino vincere).
Non bisogna farsi ingannare dalla
stazza imponente dei rikishi: questi sono lottatori estremamente
veloci e agili, e se nelle divisioni inferiori si può vincere usando
unicamente spinte e strattoni, in testa alla classifica i
combattimenti sono estremamente complessi e necessitano di un'abilità
tecnica molto elevata.
Arti marziali di Okinawa
Includo in questa lista le arti
marziali di Okinawa solo per via della vicinanza geografica tra le
Ryūkyū e l'arcipelago giapponese. Bisogna comunque considerare che
le arti marziali di Okinawa sono nate dall'influenza cinese sulle
tecniche di combattimento autoctone, e le influenze giapponesi sono
tutte risalenti al secolo scorso.
L'insieme di tutte le tecniche che
prevedono l'utilizzo di armi viene chiamato Okinawa kobudō (沖縄古武道).
Quest'arte comprende lo studio di vari tipi di bastone (棒,
bō, 半棒, hanbō, 短棒,
tanbō, 櫂, eku, un remo da
barca), tridente (釵, sai, e
la sua variante inastata 貫手棒,
nunti-bō), manganello (トンファー,
tonfā), tirapugni (鉄甲,
tekkō), falce (鎌, kama),
zappa (鍬, kuwa), catena
(スルチン, surujin),
nunchaku (ヌンチャク,
con la variante a tre bastoni 三節棍,
sansetsukon) e del combattimento con coltello e scudo (ティンベーローチン,
tinbē-rōchin). A causa del divieto di portare armi imposto dal
dominio di Satsuma agli abitanti di Okinawa si nota la forte presenza
di armi improprie di origine contadina.
Molto più famoso a livello
internazionale è probabilmente il karate (空手),
noto a Okinawa con il semplice nome di ti (手).
Il ti di Okinawa nasce con l'introduzione del kung-fu sull'isola, e
nacquero inizialmente tre stili: Shuri-te, Tomari-te, Naha-te, che
prendono il nome dalle principali città dell'isola dove questo era
studiato.
La popolarità moderna del karate si
deve soprattutto ai maestri Funakoshi Gichin, che portò il karate in
Giappone e, su suggerimento del maestro Kanō Jigorō, adottò il
keikogi bianco e le cinture colorate. La scuola di Funakoshi fu
chiamata Shōtōkan (松濤館),
ossia la scuola di Shōtō, il nome d'arte di Funakoshi. Dopo lo
Shotokan nacquero moltissimi altri stili di karate
Okinawa-giapponese, e attualmente questa è una delle arti marziali
più studiate al mondo.