Le opere del famoso orafo di Firenze,
nato nel 1500 e morto nel 1571, sono uno spettacolo conosciuto a
molti, un vivido simbolo del magnifico rinascimento italiano. Eppure
l'autore Benvenuto aveva ben poco dell'artista illuminato. Lo
descriveva così Giuseppe Baretti: "(...) animoso come un
granatiere francese, vendicativo come una vipera, superstizioso in
sommo grado, e pieno di bizzarria e di capricci; galante in un
crocchio di amici, ma poco suscettibile di tenera amicizia; lascivo
anzi che casto; un poco traditore senza credersi tale; un poco
invidioso e maligno; millantatore e vano, senza sospettarsi tale;
senza cirimonie e senza affettazione; con una dose di matto non
mediocre, accompagnata da ferma fiducia d'essere molto savio,
circospetto e prudente (...)".
Il suo temperamento bellicoso risultò
provvidenziale durante il sacco di Roma, nel quale Benvenuto
partecipò tra le fila dei difensori, grazie alla sua esperienza
nell'uso dell'archibugio e dello scoppietto. Oltre a fornire agli
storici un vivido racconto di quei giorni terribili, Benvenuto,
insieme ad altri sei tiratori, si vantò dell'uccisione del
comandante imperiale Carlo di Borbone, colpito da un proiettile di
archibugio mentre armeggiava con una scala durante l'assalto delle
mura. L'orafo riuscì poi a riparare in Castel Sant'Angelo, dove
guidò il fuoco dell'artiglieria senza farsi troppi scrupoli al
contrario dei superiori. Sebbene ci fossero numerosissimi civili
nella linea di fuoco, vi è da dire che fu proprio l'artiglieria a
salvare le numerose persone rifugiatesi nella fortezza, nonché lo
stesso papa Clemente VII.
Non pago degli orrori a cui assistete
nel sacco di Roma, il sanguigno Cellini si macchiò di diversi
omicidi, in particolare contro orafi rivali, riuscendo sempre a farla
franca grazie alle amicizie con i potenti e al suo indiscutibile
genio artistico. Per alcuni tratti ricorda Caravaggio, altrettanto
geniale quanto meno fortunato. Un giudizio su questo personaggio
eclettico del 1500 è dato dal critico letterario Cordé: "Benvenuto
finì per diventare un modello, anzi un eroe e forse anche un mito:
era un po', per intendersi, il rappresentante di un'Italia dei
pugnali, dei veleni e degli intrighi quale poté vagheggiarla uno
spirito lucidissimo eppur romanticamente inquieto come Stendhal".
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