Nato nel cuore dell'antica Alvernia
francese, Pierre crebbe nel mito della cavalleria, ispirato dagli
epici racconti di Roland e dei suoi paladini, che non cessavano da
secoli di alimentare i sogni di tanti giovanotti europei. Sebbene
fosse il rampollo di una famiglia di piccola nobiltà di poche
speranze, Pierre si gettò anima e corpo nella carriera militare: il
padre Aymon lo aveva infatti introdotto alle regole dell'ordine
cavalleresco alle quali egli rimase fedele per tutta la vita. Grazie
all'influenza dello zio Alleman arcivescovo di Grenoble, la cui
diocesi comprendeva la Savoia, Pierre Terrail venne presentato al
duca Carlo I.
Da lì ebbe inizio una sfavillante carriera, che vide il cavaliere discendere insieme al suo re nella grande campagna d'Italia, dove si distinse sia per l'abilità marziale che per il suo ferreo senso cavalleresco. Non partecipò mai a saccheggi, tenne in riga i mercenari ai suoi ordini e riuscì a farsi ben volere dalla popolazione italiana, tra cui la figura del Cavalier Baiardo divenne sinonimo di vero gentiluomo.
Il ser combatté un'infinità di battaglie, sia sconfitte che vittorie, senza mai vacillare nella rettitudine che lo contraddistingueva. Partecipò alla famosa disfida di Barletta, dove venne riconosciuto come il migliore tra i ventidue duellanti e soprattutto il più "sportivo", nonostante la sconfitta per mano degli schermidori italiani. Venne consacrato alla fama dei posteri con l'eroica azione del ponte di Garigliano: gli spagnoli, approfittando delle nebbie invernali e della divisione dell'esercito francese, il 28 dicembre del 1503, gettarono un ponte di barche oltre il fiume Garigliano, così da cogliere di sorpresa il campo francese. La rotta che ne seguì sarebbe stata catastrofica per l'esercito di Luigi XII: le sentinelle si accorsero troppo tardi dell'attacco e i comandanti non ebbero il tempo di organizzare un'efficace difesa, incalzati dai cavalleggeri italiani e spagnoli. Pierre Terrail de Bayard sbarrò allora per mezz'ora il passaggio dell'esercito spagnolo praticamente da solo, difendendo uno stretto ponte che attraversava il fiume e permettendo la ritirata dell'armata.
Tale impresa contribuì in modo significativo alla sua fama di cavaliere "senza macchia e senza paura", tanto che lo stesso papa Giulio II cercò invano di assicurarsi i suoi servigi, inviti sempre rifiutati dal milite, fedele alla corona di Francia.
Insignito cavaliere dell'ordine di San Michele dopo lo sfolgorante assedio di Mezieres, Bayard trovò nella persona del re Francesco I un sovrano dal medesimo entusiasmo cavalleresco, sotto le cui insegne marciò per l'ennesima campagna in Italia.
Ma i tempi erano ormai cambiati. Le fanterie armate di picche e alabarde, l'artiglieria di sagri e falconi, le formazioni di archibugieri stavano trasformando il mondo della guerra in Europa, ormai sempre più lontana dalle epopee che Bayard ascoltava incantato da piccolo e che raccontava ancora alle sue figlie. Eppure il cavaliere riusciva ancora a risaltare quale fulgido esempio di onore e coraggio, nonostante gli scoppi di polvere nera che ammorbavano i campi di battaglia. Nella sua ultima campagna strappò altre vittorie per il giovane re: respinse la cavalleria spagnola più volte nella ritirata da Abbiategrasso, disperse la fanteria lanzichenecca vogliosa di saccheggio, protesse numerosi borghi dall'avanzata imperiale. Sempre fedele agli ordini spesso insensati dei suoi superiori, Bayard incontrò infine il proprio destino a Romagnano.
Mentre l'ammiraglio Bonnivet accorreva per stroncare un'offensiva imperiale, si era trovato esposto al fuoco degli archibugieri spagnoli e venne trasportato dai suoi attendenti lontano dal campo di battaglia. Poiché l'armata era senza un leader, il Baiardo ordinò ai suoi uomini d'arme di caricare, al fine di coprire la sempre più difficoltosa ritirata. Una volta respinti i cavalieri imperiali, un colpo di archibugio lo colpì alla schiena. Non fu spada, né fu lancia a sconfiggere il valoroso guerriero, bensì proprio l'artificio moderno sconosciuto agli immortali cavalieri del mito, che addirittura lo colpì alle spalle, in sfregio a ogni regola che la cavalleria imponeva.
Bayard venne così sbalzato dal cavallo, la schiena spezzata dal proiettile, ma ebbe la forza di chiedere ai suoi servitori di adagiarlo contro un albero, il viso rivolto per l'ultima volta alla guerra a cui aveva consacrato la propria vita.
Quando l'armata imperiale raggiunse il moribondo, si narra che ogni soldato presente si tolse il morione e nella notte sia francesi che imperiali vegliarono per la morte non di un nobile titolato, bensì di un valoroso. Agli occhi di quegli uomini il valore, infatti, non era suddito di alcun re, per quanto potesse essere nemico.
Baiardo venne sepolto a fianco della Chiesetta di San Martino di Breclema, a Romagnano Sesia, dove ancora riposa in un luogo sconosciuto, umile e ossequioso come il cavaliere fu in vita.
Da lì ebbe inizio una sfavillante carriera, che vide il cavaliere discendere insieme al suo re nella grande campagna d'Italia, dove si distinse sia per l'abilità marziale che per il suo ferreo senso cavalleresco. Non partecipò mai a saccheggi, tenne in riga i mercenari ai suoi ordini e riuscì a farsi ben volere dalla popolazione italiana, tra cui la figura del Cavalier Baiardo divenne sinonimo di vero gentiluomo.
Il ser combatté un'infinità di battaglie, sia sconfitte che vittorie, senza mai vacillare nella rettitudine che lo contraddistingueva. Partecipò alla famosa disfida di Barletta, dove venne riconosciuto come il migliore tra i ventidue duellanti e soprattutto il più "sportivo", nonostante la sconfitta per mano degli schermidori italiani. Venne consacrato alla fama dei posteri con l'eroica azione del ponte di Garigliano: gli spagnoli, approfittando delle nebbie invernali e della divisione dell'esercito francese, il 28 dicembre del 1503, gettarono un ponte di barche oltre il fiume Garigliano, così da cogliere di sorpresa il campo francese. La rotta che ne seguì sarebbe stata catastrofica per l'esercito di Luigi XII: le sentinelle si accorsero troppo tardi dell'attacco e i comandanti non ebbero il tempo di organizzare un'efficace difesa, incalzati dai cavalleggeri italiani e spagnoli. Pierre Terrail de Bayard sbarrò allora per mezz'ora il passaggio dell'esercito spagnolo praticamente da solo, difendendo uno stretto ponte che attraversava il fiume e permettendo la ritirata dell'armata.
Tale impresa contribuì in modo significativo alla sua fama di cavaliere "senza macchia e senza paura", tanto che lo stesso papa Giulio II cercò invano di assicurarsi i suoi servigi, inviti sempre rifiutati dal milite, fedele alla corona di Francia.
Insignito cavaliere dell'ordine di San Michele dopo lo sfolgorante assedio di Mezieres, Bayard trovò nella persona del re Francesco I un sovrano dal medesimo entusiasmo cavalleresco, sotto le cui insegne marciò per l'ennesima campagna in Italia.
Ma i tempi erano ormai cambiati. Le fanterie armate di picche e alabarde, l'artiglieria di sagri e falconi, le formazioni di archibugieri stavano trasformando il mondo della guerra in Europa, ormai sempre più lontana dalle epopee che Bayard ascoltava incantato da piccolo e che raccontava ancora alle sue figlie. Eppure il cavaliere riusciva ancora a risaltare quale fulgido esempio di onore e coraggio, nonostante gli scoppi di polvere nera che ammorbavano i campi di battaglia. Nella sua ultima campagna strappò altre vittorie per il giovane re: respinse la cavalleria spagnola più volte nella ritirata da Abbiategrasso, disperse la fanteria lanzichenecca vogliosa di saccheggio, protesse numerosi borghi dall'avanzata imperiale. Sempre fedele agli ordini spesso insensati dei suoi superiori, Bayard incontrò infine il proprio destino a Romagnano.
Mentre l'ammiraglio Bonnivet accorreva per stroncare un'offensiva imperiale, si era trovato esposto al fuoco degli archibugieri spagnoli e venne trasportato dai suoi attendenti lontano dal campo di battaglia. Poiché l'armata era senza un leader, il Baiardo ordinò ai suoi uomini d'arme di caricare, al fine di coprire la sempre più difficoltosa ritirata. Una volta respinti i cavalieri imperiali, un colpo di archibugio lo colpì alla schiena. Non fu spada, né fu lancia a sconfiggere il valoroso guerriero, bensì proprio l'artificio moderno sconosciuto agli immortali cavalieri del mito, che addirittura lo colpì alle spalle, in sfregio a ogni regola che la cavalleria imponeva.
Bayard venne così sbalzato dal cavallo, la schiena spezzata dal proiettile, ma ebbe la forza di chiedere ai suoi servitori di adagiarlo contro un albero, il viso rivolto per l'ultima volta alla guerra a cui aveva consacrato la propria vita.
Quando l'armata imperiale raggiunse il moribondo, si narra che ogni soldato presente si tolse il morione e nella notte sia francesi che imperiali vegliarono per la morte non di un nobile titolato, bensì di un valoroso. Agli occhi di quegli uomini il valore, infatti, non era suddito di alcun re, per quanto potesse essere nemico.
Baiardo venne sepolto a fianco della Chiesetta di San Martino di Breclema, a Romagnano Sesia, dove ancora riposa in un luogo sconosciuto, umile e ossequioso come il cavaliere fu in vita.
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