Quello che in pochi sanno è che è
esistita per quasi mille anni una branca di monaci buddhisti che ha
portato avanti quella che può essere definita auto-mummificazione in
vita. L’obiettivo era quello di depurarsi completamente, per
permettere al proprio corpo di conservarsi in ottime condizioni per
l’eternità e senza alcun trattamento.
La pratica si chiama
Sokushinbutsu e si calcola che, fino al diciannovesimo secolo, sia
stata seguita da migliaia di monaci, anche se solo pochi sono
riusciti a portarla a termine con successo.
La Sokushinbutsu prevede diete durissime, ognuna delle quali durava mille giorni. La prima era basata esclusivamente su acqua, semi e nocciole, la seconda su radici e corteccia di pino. In concomitanza con la seconda dieta, i monaci iniziavano a bere il cosiddetto tè Urushi, fatto con ingredienti tossici in grado di uccidere batteri e parassiti presenti nel corpo e di tenerli lontani anche dopo la morte.
Se questi duemila giorni non erano stati una tortura sufficiente, arrivava anche il rituale della morte: i monaci venivano sepolti vivi in una bara, al cui interno veniva soffiata aria con un tubo. Nella bara era presente un campanello, che i monaci dovevano suonare per far sapere di essere ancora vivi, in caso contrario la bara veniva definitivamente sigillata.
Sarebbe stata riaperta solo dopo mille giorni e, in caso di mummificazione avvenuta, il corpo del monaco veniva estratto dalla bara e reso oggetto di venerazione.
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