domenica 24 dicembre 2017

Famiglia giapponese

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La famiglia giapponese (家族 kazoku) svolge un ruolo fondamentale per una perfetta integrazione nella società giapponese. Essa è rigidamente basata sulla linea di successione, ove discendenti e figli sono collegati tra loro tramite un'idea di genealogia della famiglia (系図 keizu), il che non significa relazioni basate sulla mera successione di sangue, ma piuttosto su un legame di relazione col fine incentrato sul mantenimento e il perpetuarsi della famiglia stessa come istituzione.
Dalla fine del periodo Tokugawa, quando il nucleo familiare di base era costituito dallo ie (gruppo familiare”), fino alla seconda guerra mondiale, quando questo sistema fu smantellato sotto l'egida delle Forze alleate, la struttura della famiglia giapponese ha subito notevoli cambiamenti fino ad arrivare a un concetto di famiglia fondata sulla parità dei diritti per le donne, eredità condivisa tra tutti i figli e libera scelta di carriera e matrimonio.
Il rapido progresso economico del dopoguerra ha tuttavia portato all'interno della società giapponese una serie di problemi sociali di varia natura, soprattutto nella famiglia, quali ad esempio l'assenza di una figura paterna per i figli, dovuta agli orari rigidi delle aziende giapponesi nei quali lavorano i mariti e i padri di famiglia, e la pressione all'autorealizzazione e al successo personale nei ragazzi, innescando la diffusione di vari disturbi sociali che vedono i giovani giapponesi non uscire più di casa, ricorrere ad antidepressivi o suicidarsi.

Storia

Famiglia tradizionale

Per gran parte del XX secolo il modello ideale di famiglia utilizzato in Giappone è quello dello ie, caratterizzato da un sistema patrilineare e da una rigida gerarchia strutturata in base all'età dei suoi membri. Le responsabilità familiari hanno la precedenza sui desideri individuali, poiché la famiglia, piuttosto che l'individuo, è considerata l'elemento collante che garantisce la sopravvivenza all'interno del sistema sociale.
La peculiarità di tale sistema consiste nella caratteristica essenziale, per ritenersi membri di una medesima famiglia, di abitare tutti all'interno della stessa casa e, in caso di mancanza di eredi maschi, di far rientrare nel nucleo familiare anche il genero, o qualsiasi estraneo che abbia anche solo un minimo grado di parentela, al quale viene dato il cognome della famiglia. Ciò può verificarsi anche nel caso in cui i figli maschi non siano ritenuti degni di perpetuare il nome di famiglia. L'ideale tradizionale del sistema ie designa infatti il figlio maggiore come erede della famiglia, il quale diviene responsabile della cura e del sostentamento degli anziani genitori, mentre i figli minori si trasferiscono formando famiglie autonome, che tuttavia rimangono affiliate e subordinate (in base al grado di interdipendenza economica) a quella principale. Il compito principale delle figlie è invece quello di trovare marito presso altre famiglie, col fine di donare degli eredi alla propria casata.
Nella famiglia tradizionale, il matrimonio viene visto come un importante collegamento tra le famiglie ed è fonte di grande preoccupazione in quanto la salvaguardia dell'identità dello ie ha priorità assoluta, sicché il matrimonio combinato (見合い miai) è molto diffuso nel Giappone pre-bellico mentre i membri della giovane coppia hanno poca o nessuna voce in capitolo nell'organizzazione. Tali matrimoni sono gestiti da un mediatore specializzato che si assume l'onere e la responsabilità di comunicare ai genitori l'eventuale rifiuto o la conclusione positiva dell'accordo. Inoltre, i genitori hanno anche il potere di richiamare i figli presso la propria abitazione se non soddisfatti dell'esito del matrimonio. Il ruolo della donna, una volta entrata nella nuova famiglia, è quello di onorare, più di quanto non faccia con i genitori, i propri suoceri, obbedire e servire il marito, mostrarsi accondiscendente e premurosa. Questa totale sottomissione è la chiave di volta che tiene in piedi l'intero sistema governativo del Giappone e viene considerato l'unico modo per dare pace e stabilità al Paese, benché sia noto il totale sacrificio delle donne a questo tipo di gerarchia.

Secondo dopoguerra

La struttura della famiglia giapponese subisce importanti cambiamenti già dalla restaurazione Meiji del 1866, quando lo sviluppo economico e il capitalismo contribuiscono alla caduta graduale del sistema dello ie, causando l'abbandono della tradizione della famiglia patriarcale. La politica di democratizzazione voluta dagli Alleati durante il periodo d'occupazione contribuisce ad affinare questo processo: anzitutto viene privato di potere legale il vecchio sistema familiare, attraverso l'abolizione dell'eredità a disposizione del solo figlio maggiore e passando a un'eredità condivisa con tutti i membri del nucleo familiare, e nel frattempo anche la responsabilità del mantenimento dei genitori smette di essere un'esclusiva del primogenito passando a essere onere di tutti i figli. Anche il matrimonio combinato viene abolito, restituendo al matrimonio il vero significato di accordo reciproco tra le due persone coinvolte.
In secondo luogo, le famiglie diventano più piccole, il tasso di fertilità si abbassa, mentre la popolazione abbandona le aree rurali per concentrarsi nelle zone industrializzate delle grandi città, spostando il baricentro della forza lavoro dal settore agricolo e manifatturiero al settore dei servizi. Come in altri Paesi industrializzati, un numero sempre maggiore di giovani ha la possibilità di accedere all'istruzione terziaria e sempre più donne hanno accesso al mercato del lavoro; per contro, la certezza di trovare un lavoro viene meno, mentre i giovani cominciano a ritardare il matrimonio più possibile o a non sposarsi affatto.
Grandi cambiamenti avvengono anche nello stile delle abitazioni, le quali passano da essere pensate per una famiglia composta da tre generazioni a uno stile ideato per delle famiglie composte al massimo da quattro membri, ognuno dei quali ha a disposizione la propria stanza, divise tra loro non più dai tipici divisori scorrevoli (fusuma e shōji) ma da spesse mura di pietra. Questa rivoluzione viene tuttavia frenata dal costo elevato di tali abitazioni, corrispondente in certi casi a sette volte il reddito medio di una famiglia giapponese dell'epoca.

Anni 1950 e 1960

Verso la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta inizia a diffondersi in Giappone una particolare tipologia di famiglia composta da un marito lavoratore dipendente impiegato nel settore terziario, solitamente presso aziende fuori città, avente un reddito fisso e stakanovista (il cosiddetto salaryman, サラリーマン sararīman), dalla moglie, in genere casalinga (主婦 shufu) e dai loro figli.
Il marito svolge il ruolo di capofamiglia, nonostante manchi da casa la maggior parte del giorno per sei giorni a settimana, lasciando la gestione della famiglia nelle mani della moglie. In quanto assente per lunghi periodi da casa, egli diventa quasi una figura estranea per i figli, i quali non hanno possibilità di vederlo mentre lavora né tanto meno di passare del tempo con lui nei periodi di pausa dal lavoro. Così i bambini rimangono in gran parte privi di un modello maschile, e la presenza del padre a casa finisce per creare confusione all'interno della vita familiare, piuttosto che rappresentare una situazione naturale.
Mentre il marito si occupa del sostentamento della famiglia, lavorando fino a tardi e mantenendo le sue amicizie all'interno della sfera lavorativa, la moglie si occupa dell'educazione e dell'istruzione dei figli. Grazie all'espansione dell'economia giapponese, i ragazzi che riescono ad ottenere buoni risultati in ambito scolastico hanno il futuro assicurato con opportunità illimitate all'interno del mondo del lavoro. A causa di ciò l'obbiettivo primario della madre giapponese diventa il successo e la realizzazione dei figli: si diffonde così il fenomeno delle kyōiku mama (教育ママ), termine spregiativo per indicare le madri ossessionate dalla buona riuscita del figlio in ambito scolastico e lavorativo, anche a costo di renderlo infelice. Questa particolare attenzione è rivolta soprattutto ai figli maschi, il cui futuro dipende esclusivamente dall'entrata nell'università giusta, mentre le figlie femmine sono incoraggiate a studiare soprattutto per trovare più facilmente marito o un lavoro part-time, il quale dagli anni sessanta viene adottato diffusamente in tutto il Giappone.
Sebbene la cosiddetta salaryman family non sia la più diffusa in Giappone nei primi anni sessanta, gli impiegati d'azienda risultano la categoria più ambita dalle donne giapponesi, in quanto in grado di assicurare un futuro benestante all'intera famiglia. Il poco tempo a disposizione della coppia per stare insieme non viene ancora affrontato come un vero problema. I suddetti cambiamenti nella struttura familiare, infine, portano la donna giapponese a essere sempre più istruita, incoraggiando gli stessi uomini a scegliere come mogli questa tipologia di donna. Sul finire del decennio si registra anche un aumento del numeri dei divorzi.

Anni 1970

Durante gli anni settanta la generazione figlia della salaryman family cresce in modo sostanzialmente differente dalla precedente, abituata a convivere con l'assenza dei padri, con i genitori con ben poco in comune, oltre a non avere la percezione delle difficoltà economiche in tempo di guerra o nell'immediato dopoguerra, prendendo confidenza con la vita familiare come rappresentata nei film americani e con il concetto di "matrimonio per amore".
Tutto ciò, unito alle richieste di eguaglianza da parte delle donne che sfociarono nell'istituzione di un Movimento di liberazione delle donne, e alle proteste studentesche di fine anni sessanta, dà adito alla nascita di una nuova tipologia di famiglia conosciuta con il nome di new family. Quest'ultima differisce dalla sua precedente concezione in tre concetti chiave: in primo luogo, le relazioni tra le coppie sono sempre più associate all'idea romantica dell'amore, con la vita matrimoniale basata sulle relazioni sentimentali e non più su un mero accordo economico tra le parti. In secondo luogo, i rapporti tra moglie e marito diventano più equilibrati e democratici, con una maggiore partecipazione negli affari familiari da parte del marito, il quale lo si può vedere accompagnare le mogli al supermercato e passare del tempo con i figli durante il fine settimana. Inoltre il termine new family viene pubblicizzato in riviste (alcune delle quali sviluppate per soddisfare il mercato), o usato come marchio associato a un innovativo stile di vita.
La maggiore partecipazione delle donne in attività extra-domestiche, lo sviluppo economico del Paese, il lavoro degli uomini al di fuori della comunità residenziale, e il numero crescente di donne più istruite, con lunghi periodi liberi da obblighi familiari, contribuisce allo sviluppo di una varietà di opportunità per le donne, che vanno dal lavoro part-time (il quale cresce di tre punti percentuali passando dal 9% degli anni sessanta al 12%) all'educazione dei figli alla partecipazione delle attività della comunità, oltre a provvedere ai bisogni del marito.

Anni 1980 e 1990

Durante gli anni ottanta, il tasso di natalità cala drasticamente, mentre l'età media del matrimonio aumenta diventando una delle più alte tra i Paesi industrializzati. Questi dati riflettono l'aumento del livello di istruzione di entrambi i sessi e il modello praticamente universale delle donne che lavorano fuori casa per diversi anni prima di sposarsi, assottigliando il divario di preparazione scolastica e lavorativa tra le donne e gli uomini. Nel 1986, il Giappone firma la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulle donne e, di conseguenza, adotta la legge per le pari opportunità garantendo alle donne la possibilità di accedere a qualunque tipo di lavoro. I ruoli manageriali rimangono tuttavia a solo appannaggio degli uomini.
Una minoranza significativa delle donne giapponesi concorda sul fatto che se una donna è in grado di mantenersi, non è obbligata a contrarre matrimonio. Ciò è in contrasto con la tradizionale convinzione che la felicità di una donna dipenda dalla creazione di una famiglia. Tutto questo mina l'autorità patriarcale. Eppure durante questo periodo la stragrande maggioranza dei giapponesi si sposa, con la convinzione diffusa che il matrimonio dovrebbe avvenire all'età giusta. Le donne preferiscono avere figli prima dei 30 anni, sia per motivi di salute sia perché in questo modo le problematiche economiche connesse alla crescita dei bambini possono essere risolte prima che il marito vada in pensione e il reddito familiare diminuisca.
Durante tutto questo periodo il Giappone diventa sempre più consapevole del rapido invecchiamento della sua società, costringendo il governo ad attuare drastiche riforme quali invitare le donne ad avere più figli, ad occuparsi della cura dei genitori anziani — anche se in questo periodo iniziano a diffondersi specifiche case di riposo chiamate rōjin hōmu (老人ホーム) — e a coprire le esigenze di scarsità di manodopera. Difatti, durante il periodo post-bellico, le donne non vengono impiegate come forza lavoro a causa di una combinazione di fattori, tra cui sufficiente manodopera maschile, l'efficienza economica di mantenere un pool di manodopera a basso costo da utilizzare solo in caso di necessità, le esigenze della famiglia e il livello di istruzione non eccelso delle donne. Dagli anni ottanta, tuttavia, alcuni dei fattori che hanno impedito alle donne una piena partecipazione alla forza lavoro hanno cominciato a cambiare. Una maggiore istruzione delle donne e esperienza in ambito lavorativo, la loro longevità, un minor numero di figli da crescere, e l'alto costo delle abitazioni e dell'istruzione dei bambini sono tra i motivi della crescente partecipazione delle donne sposate alla forza lavoro.
Nel frattempo la diffusione della tecnologia, in particolare del mercato degli apparecchi televisivi, contribuisce ad allentare i legami familiari, rendendo i membri della famiglia più indipendenti l'uno dall'altro. Ciò si rispecchia anche nel palinsesto televisivo, da cui in pochi anni scompaiono i programmi generalisti ideati per intrattenere tutta la famiglia, sostituiti da programmi specifici in base alla fascia d'età, oltre ai programmi pensati per un pubblico maturo in seconda serata. Ciò comporta una maggiore autonomia anche negli adolescenti, i quali oltre a passare il tempo nella propria camera quando sono a casa, occupano il loro tempo a scuola, negli sport o in un lavoro part-time, mentre lo sviluppo della ristorazione pubblica permette la consumazione dei pasti al di fuori delle mura domestiche.

Famiglia moderna

Nel 2005 il tasso di mortalità supera il tasso di natalità per la prima volta dal 1889, mentre il tasso di fecondità delle donne giapponesi raggiunge il livello minimo di 1,26 neonati, confermando le stime che vogliono la popolazione giapponese diminuita di un terzo entro il 2060. Solo nel 2006 si verifica un incremento nelle nascite con 1,086 milioni di bambini nati nel Paese, 23.000 in più rispetto all'anno precedente, portando il tasso fino all'1,29. Tuttavia gli esperti di demografia affermano che sia necessario un tasso di 2,1 per evitare il decrescere della popolazione.
Questo problema sociale è uno dei maggiori problemi che caratterizza la moderna famiglia giapponese, oltre una diminuzione costante del tasso di nuzialità. Dopo il picco del 2002 (289.836) il numero di divorzi si stabilizza, e sebbene la maggior parte di questi si verifichi intorno ai trent'anni, aumentano sensibilmente i casi di divorzi tra persone molto più mature, che vedono finire il loro matrimonio intorno al periodo di pensionamento del coniuge maschile della coppia. Tra i vari fattori che contribuiscono a questo fenomeno vi sono: il non preoccuparsi più di tanto della reazione e dello stato emotivo dei figli, in quanto già grandi e sistemati con la propria famiglia; il senso di compiacimento della moglie che sente di avere ormai compiuto il proprio dovere, allevando i figli e avendo accudito il marito per la maggior parte della sua vita, spinta dal bisogno di cambiare stile di vita, allaccia nuove amicizie indipendenti dal rapporto coniugale. Questo fenomeno contrasta in modo indicativo la norma tradizionale che vuole la moglie comportarsi da elemento collante che tiene assieme la famiglia, sopportando anche eventuali differenze con il marito.
Un altro problema sorto durante gli anni duemila è quello che riguarda il sistema di registro familiare chiamato koseki (戸籍). Tale sistema prevede che la coppia sposata condivida lo stesso lo stesso cognome, con uno dei due coniugi (di solito la moglie) che rinuncia al suo cognome per appropriarsi di quello del compagno. Un numero sempre maggiore di donne in carriera è contrario alla cancellazione del proprio nome di famiglia quando si sposa, e decidendo di non registrare ufficialmente il matrimonio corre il rischio che i figli siano riconosciuti come illegittimi; eventualità che può portare a conseguenze spiacevoli dato che il koseki viene utilizzato per l'iscrizione a scuola o nelle domande di lavoro.
In caso di separazione, all'interno del registro familiare è inoltre necessario specificare per quale tipo di divorzio si sia optato. Pertanto se un giovane ha bisogno del koseki per iscriversi a una scuola, o per presentare una domanda di lavoro, tutti i soggetti coinvolti vengono a conoscenza di quando e come i suoi genitori abbiano divorziato. Lo scioglimento del matrimonio in seguito a rottura dei rapporti è visto come un aspetto che può sconvolgere la vita dei bambini, molto di più rispetto al divorzio consensuale, e quindi è percepito come un qualcosa da evitare. Questo atteggiamento ha impedito il diffondersi di questo tipo di divorzio e potrebbe essere legato al fenomeno dei divorzi tra coniugi maturi, che si verificano dopo l'utilizzo del koseki per i vari aspetti della vita dei figli, causando meno danni rispetto ai divorzi avvenuti durante la loro fase di crescita. La natura fortemente convenzionale del koseki, che in qualche modo incoraggia il mantenimento della struttura patrilineare già in auge nel Giappone pre-bellico, costringe inoltre le coppie di fatto a rimanere nell'ombra, e le famiglie composte da coppie dello stesso sesso non hanno protezioni legali paritarie rispetto a quelle eterosessuali. Al 2017 sei città o suddivisioni in Giappone (Shibuya, Setagaya, Iga, Takarazuka, Naha, Sapporo) riconoscono le unioni tra persone dello stesso sesso, garantendo loro alcuni dei benefici di un matrimonio.
La maggior parte delle famiglie giapponesi moderne sono famiglie nucleari, simili a quelle presenti negli Stati Uniti e in Nord America. Sono composte al massimo da quattro-cinque membri: due coniugi, due figli e in alcuni casi da un nonno. Nonostante l'aspetto sia molto simile alle famiglie occidentali, il percorso storico, sociologico e culturale che ha portato il Giappone ad adottare questo sistema familiare è molto diverso.

Ruoli nella famiglia contemporanea

All'interno della famiglia giapponese contemporanea, i ruoli di madre, padre, figli e nonno sono per certi versi simili a quelli della famiglia americana contemporanea. Il padre passa solitamente molte ore fuori casa, con alcune eccezioni rappresentate da padri impegnati in imprese a conduzione familiare nella quale la famiglia vive e lavora sotto lo stesso tetto. In questo caso, non vi è una netta separazione della figura del padre dal resto della famiglia, separazione che rappresenta una dinamica peculiare nella vita familiare giapponese.
Il fatto che i padri giapponesi passino così tanto tempo al lavoro significa che essi spesso abbiano poco tempo o energia da trascorrere con i loro figli, e quindi non solo la responsabilità di crescere i figli ricade sulle madri, ma i padri finiscono per venire rimossi dalle vite dei bambini.
È normale che la madre si assuma la piena responsabilità dell'educazione dei figli, supervisionando la loro educazione, oltre a gestire anche le finanze della famiglia. Questo pone pesanti pressioni sia sulle donne giapponesi, sia sul rapporto tra la madre e i figli.
La terza età in Giappone infine rappresenta idealmente il momento della vita in cui è possibile venire meno agli obblighi sociali, continuare a fare parte dell'azienda di famiglia pur lasciando la responsabilità principale ai figli, socializzare, ricevere attenzioni dai propri cari e attestati di stima dalla comunità.

Onorifici utilizzati all'interno del nucleo familiare

Nella lingua giapponese vi è l'usanza di utilizzare dei suffissi onorifici posti dopo il nome di una persona per stabilire il grado di confidenza o rispetto che si ha nei confronti della stessa. Anche all'interno del nucleo familiare questi vengono utilizzati, soprattutto nella forma più comune (-san), anche se sono diffusi i suffissi -chan (soprattutto tra fratelli e sorelle) o il -sama. Da notare inoltre che per riferirsi ai propri familiari mentre si parla con altri, sono usati altri termini, come ad esempio haha ( nomignolo per "mamma").

Fenomeni sociali derivati

L'eccessiva interdipendenza tra madre e figlio può essere causa di problemi di sviluppo psicologico nei bambini, mentre una spropositata pressione all'autorelizzazione e al successo personale sui ragazzi può avere effetti contrari se questi ultimi non riescono a esorcizzarla o non riescono a conformarsi con il resto della società giapponese, nella quale è indispensabile seguire un preciso e lineare percorso di vita, soddisfacendo le aspettative pre-imposte dalla società, ove discostarsi da queste significa fallire totalmente. Per cui, non è raro che alcuni ragazzi non riescano a sopportare questa pressione, a cui si unisce la mancanza di una figura maschile e dei periodi passati in solitudine a causa del lavoro dei genitori, finendo per chiudersi in se stessi, non uscendo più di casa per mesi o per anni, a ricorrere a medicine o, in casi estremi, al suicidio.
Anche i padri, che passano numerose ore sul posto di lavoro, finiscono per soffrire di stress da “troppo lavoro”. Il fenomeno, segnalato per la prima volta alla fine degli anni sessanta, è causa di numerosi suicidi ogni anno in Giappone, oltre a morti naturali come attacchi cardiaci.

sabato 23 dicembre 2017

Chindōgu

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Chindōgu (珍道具) è l'arte dell'inventare oggetti "utili ma inutilizzabili", inventata dal giapponese Kenji Kawakami.

Genesi

Il Chindogu è in realtà un'arte creata nel 1980 da Kenji Kawakami, un ingegnere giapponese. Nonostante abbia depositato numerosi brevetti, Kenji Kawakami sostiene l'idea di inventare o innovare senza che ciò abbia una finalità commerciale o utilità. Egli denuncia il "consumismo" e "utilitarismo" onnipresente nel mondo moderno.
Un'associazione con oltre 10.000 membri in tutto il mondo sono: La ICS (international chindougu society)

Esempi di Chindōgu

  1. La forchetta con motore integrato per avvolgere gli spaghetti (che provoca schizzi se c'è troppa salsa).
  2. Mini-ombrelli per scarpe.
  3. Barra pratica Ctrl-Alt-Canc consente di premere tre tasti di una tastiera in una sola pressione.

Regole

  1. Un Chindōgu non dovrebbe essere progettato per un uso reale. Dal punto di vista pratico dev'essere praticamente inutilizzabile.
  2. Un Chindōgu deve esistere fisicamente, anche se di fatto non si può utilizzare.
  3. Ogni Chindōgu deve trasmettere l'idea di una certa anarchia e deve essere creato con una certa anarchia. I Chindōgu sono oggetti creati dall'uomo ma che si sono liberati del concetto di utilità. Essi rappresentano la libertà di pensiero e di azione; la libertà di sfidare il vecchio e soffocante dominio dell'utile; la libertà di essere (quasi) inutile.
  4. I Chindōgu sono progettati per la vita quotidiana. Devono essere compresi da tutti, ovunque. Il Chindōgu è una forma di comunicazione non verbale. Le invenzioni altamente specifiche o tecniche non sono classificabili come Chindōgu.
  5. Un Chindōgu non dev'essere venduto. I Chindōgu non sono fatti per essere venduti o acquistati.
  6. L'umorismo non deve essere l'unica motivazione per la creazione di un Chindōgu. La creazione di un Chindōgu è l'attività di base di "problem solving". L'umorismo è semplicemente il sottoprodotto della scoperta di una soluzione sofisticata e / o non convenzionale per un problema che non è necessariamente vincolante.
  7. Un Chindōgu non ha nessun fine di propaganda. Un Chindogu è innocente. È fatto per essere usato, anche se non lo si farà. Non dovrebbe essere creato come un commento perverso o ironico sulla condizione umana.
  8. Un Chindōgu non può essere un tabù. Non dovrebbe essere volgare, o influenzare una creatura vivente.
  9. Un Chindōgu non può essere brevettato. I Chindōgu sono offerti al mondo. Non sono idee che possono essere protette dal diritto d'autore, brevettate, raccolte o di proprietà. Come dicono gli spagnoli "Mi Chindōgu, es tu Chindōgu".
  10. Un Chindōgu non deve causare alcun danno.

venerdì 22 dicembre 2017

Bōsōzoku

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Bōsōzoku (暴走族 lett. "tribù della velocità sfrenata") è il termine con cui si indicano, in Giappone, le bande di teppisti motorizzati o mototeppisti che, solitamente in groppa alle loro moto, più raramente le automobili, sfrecciano di notte nella città di Tokyo, o nella sua periferia, terrorizzando i pacifici cittadini. Per la maggior parte studenti liceali, animati da un vago spirito ribelle, i bōsōzoku sono diventati parte dell'immaginario collettivo, in particolare a partire dai primissimi anni ottanta.
Ai bōsōzoku sono stati dedicati diversi film, manga e romanzi. Tra i più celebri ci sono i manga e anime Akira, Shonan Bakusozoku e Shonan Junai Gumi. Pioniere del genere è stato il regista Sōgo Ishii nei primi anni ottanta, con film come Crazy Thunder Road e Burst City, quest'ultimo una vera e propria celebrazione della sottocultura Bōsōzoku.

giovedì 21 dicembre 2017

Bonsai



I bonsai sono alberi in miniatura, che vengono mantenuti intenzionalmente nani, anche per molti anni, tramite potatura e riduzione delle radici. Con questa particolare tecnica di coltivazione si indirizza la pianta, durante il processo di crescita, ad assumere le forme e dimensioni volute, anche con l'utilizzo di fili metallici guida, pur rispettandone completamente l'equilibrio vegetativo e funzionale.

Storia

"Bonsai" è la lettura giapponese dei due kanji 盆栽: il primo (bon) significa "bacinella", "ciotola", mentre il secondo (sai) significa "piantare".
L'arte giapponese dei bonsai si è originata da quella cinese del penzai (o penjing). A partire dal secolo VI, l'organico dell'ambasciata e gli studenti buddisti giapponesi ritornarono dalla Cina con dei vasi. Almeno 17 missioni diplomatiche sono state mandate dal Giappone alla corte Tang dal 603 all'839.
La tecnica bonsai, nata in Cina e modificata in Giappone applicando alle piante coltivate i canoni della propria estetica influenzata dallo Zen, è legata a quello che gli Orientali chiamano seishi: l'arte di dare una forma, di coltivare, il praticare le tecniche più svariate sempre nel rispetto della pianta. I bonsai sono dunque natura viva, piccoli alberi che malgrado le dimensioni contenute esprimono tutta l'energia che è racchiusa in una pianta grande.

Arte Bonsai

Si parla di arte bonsai, in quanto fare bonsai è un'arte che comporta svariate conoscenze, sia nel campo generale della botanica, che in quello più particolare delle tecniche bonsaistiche. Tutte queste conoscenze vengono applicate per coltivare una pianta che rispetti determinati canoni estetici. Questi alberi in vaso possono essere paragonati a normali piante che sono state "semplicemente" coltivate in maniera migliore ovvero con cure e attenzioni delle quali generalmente altre piante non necessitano. Per rendere la pianta nel suo complesso più forte e adatta a sopravvivere in spazi ristretti, si procede alla potatura delle radici fittonanti (quelle che penetrano in profondità nel terreno), al rinvaso periodico e ad adeguate potature dei rami.
I bonsai, sia come senso estetico naturale sia come la filosofia orientale suggerisce, devono seguire degli stili ben precisi accomunati dalla conicità del tronco, dalla dimensione ridotta delle foglie e soprattutto dalla naturalezza della pianta stessa, che nel suo insieme (vaso compreso) ha lo scopo di riprodurre la natura in piccole dimensioni.
È importante che un bonsai evochi in chi lo guarda una sensazione di forza, maturità e, soprattutto, di profonda pace e serenità. Un altro aspetto interessante è che si tratta di un'opera d'arte mai finita: la pianta continua a crescere e modificarsi, bisogna quindi accudirla sempre.
È sbagliato pensare che i bonsai soffrano nei vasi: è solo un'impressione che si ha, a causa delle forme spesso contorte o delle parti di legno secco create appositamente per dare un effetto di vetustà alla pianta. Se un bonsai soffrisse non arriverebbe a fiorire o addirittura a fruttificare.
Gli orientali definiscono il bonsai come l'unione della natura con l'arte, così come il teatro Nō e la danza classica sono per i giapponesi la sintesi di musica e storia. A differenza dell'Ikebana, l'arte di comporre i fiori, il bonsai non si può insegnare con formule esatte o regole matematiche, ma con i comuni principi di botanica, senso estetico e una buona dose di pazienza.
Per esigenze didattiche i maestri giapponesi hanno stabilito regole e principi di bellezza che hanno permesso ai neofiti di seguire un percorso preciso e facilitato per creare un bonsai.
Come in ogni arte esistono veri e propri capolavori, anche plurisecolari e dal valore inestimabile; a differenza di altre attività artistiche, nell'arte Bonsai il soggetto è in continua (e lenta) evoluzione. Oltretutto nel caso di Bonsai famosi, sulla stessa pianta, nel corso del tempo, intervengono diversi maestri e collezionisti, rendendo l'opera indipendente dall'artista che l'ha creata (o raccolta).



Caratteristiche di un bonsai

Per valutare un bonsai si devono prendere in considerazione i cinque punti fondamentali attraverso i quali si esprime tutta la sua bellezza e la sua armonia.

Apparato radicale

Le radici devono disporsi possibilmente a raggiera, deve essere visibile la parte di radici che penetra nel terreno, in modo da dare il più possibile la sensazione di forza e stabilità della pianta.

Tronco

Il tronco deve avere, a seconda degli stili, andamento eretto o sinuoso. La base (piede) deve essere di buon diametro per poi assottigliarsi gradualmente nella zona apicale. Molto importante è la presenza di una corteccia "vecchia" che conferisce al bonsai un aspetto vetusto. In genere il tronco, in un bonsai apprezzabile, resta visibile per circa due terzi della sua lunghezza totale.
Fondamentale, in alcune piante come le conifere, è la presenza di shari, sabamiki e jin, cioè ferite della corteccia e dei rami che mettono a nudo il legno, dando alla pianta un aspetto ancora più vissuto.

Rami

Per la formazione della chioma la miglior disposizione da dare ai rami è quella in cui i più grossi, ramificazione primaria, si espandono verso i lati e il retro per dare profondità e tridimensionalità e i più piccoli, ramificazione secondaria e terziaria verso la parte frontale, posteriore e superiore per creare i "palchi".
Fatti salvi casi particolari non sono ammessi rami che partono frontalmente verso l'osservatore. La forma della chioma e dei singoli palchi deve essere riconducibile a un triangolo.

Foglie

Le foglie vengono mantenute piccole somministrando correttamente l'acqua e i fertilizzanti e praticando al momento giusto, solo su piante sane e vigorose, sia la pinzatura degli apici che la defogliazione, che consiste nell'eliminazione parziale o totale delle foglie, in modo da permettere alla pianta di emetterne di nuove più piccole.

Apice

L'apice, ovvero la porzione terminale del bonsai, deve mostrare vitalità, in quanto simbolo di vita.
I bonsai che presentano l'apice spezzato o inesistente, non hanno pregio. Diversamente, se nella zona apicale sono presenti jin (legna secca) segni di lunga vita, il bonsai è apprezzato in quanto è ritenuto un triste tocco di natura austera.

Creazione di un bonsai

I bonsai si possono ottenere con i seguenti metodi:
  • da seme
  • da talea
  • da margotta
  • da piante da vivaio
  • da piante raccolte in natura
  • da "pre bonsai"

Da seme

È il metodo forse più naturale. La semina può avvenire in primavera o in tarda estate-autunno, a seconda delle specie. Per alcuni semi è necessaria la stratificazione: si devono tenere in inverno in mezzo a della sabbia al freddo, poi si piantano a primavera. È utile durante la stratificazione spruzzare del fungicida per evitare che i semi marciscano durante questo periodo. La stratificazione si può fare naturalmente (lasciando i semi all'aperto) o artificialmente in frigorifero. Il terreno ideale per la germinazione è composto da un 50% di sabbia e da un 50% di terra o torba. I semi vanno piantati in un vaso o una bacinella forati sul fondo per favorire il drenaggio. Il vaso va coperto con del vetro o plexiglas trasparente fino alla germogliazione. Questa tecnica "raffinata" dovrebbe conseguire ottimi risultati. In alternativa si può evitare di coprire il vaso e lasciare fare tutto alla natura. Partire da seme è un metodo che richiede molta pazienza: ci vogliono dai 5 ai 7 anni prima di poter avere un bonsai discreto; l'altra faccia della medaglia è che consente di avere piante molto belle, perché si possono impostare fin da giovani seguendo il gusto del bonsaista.

Da talea

È un metodo più veloce rispetto alla semina. Le talee possono essere semi-legnose o legnose.
Nel primo caso, il periodo migliore per la radicazione è a metà estate (giugno-luglio) perché le talee, per radicare necessitano di calore al piede e costante umidità sulle foglie. Si prende un ramo giovane (da un altro bonsai) tagliandolo nettamente, con un coltellino ben affilato, all'altezza di un internodo fogliare, o lasciando un talloncino di corteccia del ramo da cui viene prelevata la talea. Lo si priva di tutte le foglie tranne le due più in cima, poi si taglia la base del ramo a 45 gradi o si lascia il talloncino di corteccia, lo si immerge in una soluzione di ormoni radicanti e lo si pianta nel terreno leggermente inclinato. Il terreno deve essere ben drenante e soffice per agevolare lo sviluppo delle radici: un misto di terriccio e sabbia. La talea va posta al riparo dai raggi diretti del sole e dal vento. Per agevolare la radicazione si coprono i vasetti contenenti le talee con carta trasparente o sacchetti di plastica sorretti da sostegni metallici; questo per mantenere l'umidità nell'ambiente di radicazione. Si innaffia per aspersione quando il terreno è quasi asciutto. Se tutto va bene nel giro di qualche settimana dovrebbero spuntare delle nuove foglie: a questo punto è bene far prendere un po' di sole alla talea, ma non troppo. Se il vaso è troppo piccolo è utile trapiantare in un vaso più grande nel giro di un paio di mesi, altrimenti lasciate la piantina nello stesso vaso fino alla primavera successiva.
Per le talee legnose si procede in autunno con i rami ormai già ingrossati e lignificati: il procedimento è identico al precedente: bisognerà solo far attenzione a proteggere le radici dal gelo invernale. Il metodo della talea è più veloce rispetto a quello da seme, ma non ha sempre un'alta percentuale di successo; inoltre non tutte le specie si propagano bene per talea, ad esempio la maggior parte di conifere e resinose, ad esclusione dei ginepri che ben si prestano per il tipo di riproduzione.

Da margotta

La margotta è un metodo molto rapido per ottenere un bonsai quasi fatto, ma richiede una certa tecnica. Bisogna innanzitutto scegliere un ramo che abbia già una forma interessante, bonsaisticamente parlando, al quale applicare la tecnica che permette di far crescere le radici al ramo. Una volta che saranno apparse le radici, si taglierà il ramo dalla pianta e si rinvaserà, ottenendo così un nuovo alberello. La margotta può essere effettuata in vari modi. Il primo consiste nell'incidere il ramo fino al cambio con un filo di rame o di ferro e spalmarvi sopra degli ormoni radicanti. Questa incisione va poi coperta con una "caramella" composta da sfagno bagnato avvolto in un telo di plastica. È bene stringere saldamente le estremità della caramella per non far passare aria. Fatto questo non rimarrà che aspettare, mantenendo umido lo sfagno con iniezioni d'acqua, che spuntino le radici. Il tempo di radicazione varia da specie a specie, ma di solito si aggira sui 2 o 3 mesi. A questo punto si separerà il ramo dalla pianta tagliando sotto le radici e si metterà il ramo in un vaso, sempre con terreno soffice e drenante. Se si ritiene che il ramo abbia troppe foglie è bene tagliarne un po' per non affaticare le giovani radici. È bene tenere la nuova pianta al riparo dal sole e dal vento per almeno un mese.
Un altro metodo consiste nello scortecciare completamente una parte di ramo alta circa una volta e mezzo il diametro del ramo, spargere con ormoni e coprire con la caramella di sfagno e aspettare. Un ulteriore metodo, denominato propaggine non richiede la caramella, dato che il ramo viene posto nel terreno dopo essere stato scortecciato, spalmato di ormoni e ricoperto con la terra. Una volta che ha radicato, lo si separa dalla pianta madre.
La tecnica della margotta si applica ad aprile-maggio, preferibilmente maggio, quando la pianta è nel pieno della spinta vegetativa. Questa tecnica è molto usata perché permette di ottenere buoni risultati e se il ramo non emette radici, cicatrizza e non viene perso, ma si può riprovare l'anno successivo. La margotta è utilizzata, inoltre, non solo per ottenere nuove piante, ma anche per eliminare inestetismi dai bonsai: si può applicarla al tronco per abbassare una pianta troppo alta o per migliorare la forma delle radici (nebari).
Non tutte le specie possono essere margottate: il pino per esempio richiede fino a 2 anni per emettere radici, la margotta risulta così praticamente impossibile.

Da piante da vivaio

I vivai permettono di reperire del materiale a prezzi accessibili, anche se non è sempre possibile trovare materiale adatto, perché le piante da vivaio molto spesso non hanno le caratteristiche dei bonsai: sono troppo alte, con tronchi sottili o rami troppo disordinati. È necessario soprattutto guardare l'apparato radicale, il tronco e l'impianto generale dei rami.

Da raccolta in natura

La raccolta in natura è molto problematica: innanzitutto è vietata in Italia sui terreni demaniali, mentre è permessa sui terreni privati, previo consenso del proprietario. Un altro grosso problema è costituito dalla scarsa probabilità di attecchimento delle piante una volta estratte dal terreno. La raccolta si effettua in autunno o primavera, togliendo una zolla di terra contenente le radici la cui grandezza sarà pari alla proiezione della chioma sul terreno, si toglie successivamente il fittone e si rinvasa nel terreno più adatto alla specie, preferibilmente lo stesso substrato del luogo in cui è stata trovata la pianta. Lo Yamadori raccolto in natura non va lavorato a bonsai per almeno due anni, proprio per dare tempo alla pianta di attecchire nel nuovo vaso. In Giappone ci sono dei veri e propri "cercatori" di piante che, in accordo con i coltivatori, raccolgono piante in natura adatte ad essere successivamente lavorate.

Da pre-bonsai

Il pre-bonsai è un concetto tutto occidentale e con esso si intende una pianta coltivata in vivaio, ma pensata fin dall'inizio per diventare bonsai: si cura l'ingrossamento del tronco e il formare le radici a raggiera. Un pre-bonsai può essere lavorato praticamente quasi subito, sempre che non abbia subito un rinvaso. Il rovescio della medaglia è costituito dal costo, naturalmente più alto rispetto alle piante da vivaio.
In realtà in Giappone non esiste il prebonsai ma si usa il termine materiale, che può essere ad un dato stato di maturazione.

Gli stili

Nella coltivazione bonsaistica i giapponesi hanno dato grande importanza alle regole che riguardano le varie forme che la pianta deve assumere; per questo motivo sono stati creati gli stili che mirano al raggiungimento della perfezione estetica. Gli stili nascono dall'osservazione e dall'imitazione della natura e dei capolavori creati da grandi maestri.
Ogni pianta ha una sua personalità e delle caratteristiche proprie che il bonsaista deve cercare di accentuare il più possibile senza però far perdere la naturalezza propria dell'essere vivente. È importante che l'intervento dell'uomo si noti il meno possibile e lasci immaginare all'osservatore solo l'azione del tempo e delle stagioni.
Qui di seguito una descrizione sommaria dei vari stili. Si noti che se ciascuno degli stili ha delle caratteristiche di base fisse, le regole d'impostazione più precise possono variare.

Eretto formale (Chokkan)

È tipico nelle piante che in natura crescono verso l'alto come le conifere le quali riescono a mantenere vigoria nonostante le condizioni avverse. È uno stile molto vincolante che obbliga a regole fisse, definendo perfettamente la disposizione dei rami e del tronco. Quest'ultimo sarà rigido e diritto, con il ramo principale, a destra o a sinistra, a circa 1/3 dell'altezza totale, il secondo ramo a 1/3 della distanza tra il primo ramo e l'apice in direzione opposta al primo, il terzo ramo rivolto posteriormente a una distanza pari a 1/3 della distanza fra il secondo ramo e l'apice e così via, con minor attenzione per ciò che riguarda gli ultimi rametti.

Eretto casuale (Moyogi)

In questo caso il bonsai è formato da un tronco più o meno sinuoso. Comune per la maggior parte delle piante, è probabilmente il più semplice da realizzare.

Inclinato (Shakan)

Stile Bonsai caratterizzato da: tronco e vegetazione molto inclinati verso destra o sinistra, radici robuste ed evidenti sulle superficie del terriccio e disposte nella direzione di inclinazione della pianta

Tronchi gemelli/Madre e figlio (Sokan)

Stile così chiamato perché composto da due soggetti con le stesse sinuosità e andamento di crescita, uno più grande e uno più piccolo che danno l'idea di una madre che tiene vicino a sé il figlio. La base dei due tronchi è molto ravvicinata e certe volte può essere la stessa. Per una buona riuscita, il punto di separazione dei due tronchi deve essere il più in basso possibile, così da suggerire l'immagine di due alberi completamente autonomi, ma cresciuti vicini per un capriccio del caso.

Scopa rovesciata (Hokidachi)

È la classica forma di una latifoglia, molto simile ad una scopa rovesciata, con i rami si dipartono pressappoco dallo stesso punto e sono più o meno della stessa lunghezza. Il tronco deve essere visibilmente conico e senza alcuna curva.

Spostato dal vento (Fukinagashi)

Questo stile ricorda gli alberi che crescono in presenza di vento forte, il quale li porta ad avere rami allungati da una sola parte e un tronco spesso ricco di legna secca o numerose curve.

Cascata / semi-cascata (Kengai / Han-Kengai)

Questo stile simula una pianta che vive aggrappata ad un dirupo dove, piegata dalle intemperie, tende a crescere verso il basso, il tronco si piega subito dopo il nebari (termine che indica le radici in vista e la base del tronco) e spesso l'apice giunge più in basso della base del vaso. Se l'apice si ferma al di sopra del bordo inferiore del vaso si parla di semi-cascata o prostrato. Quest'ultimo si ispira di più agli alberi inclinati sulle sponde dei fiumi o dei laghi.

Radici su roccia e radici nella roccia (Ishitsuki)

Nello stile a radici sulla roccia, un frammento di roccia sporge dal terriccio del vaso. L'albero cresce abbarbicato sulla roccia. Le radici sono visibili sulla pietra fino al punto in cui penetrano nel terriccio. Il meno frequente è lo stile con radici nella roccia: presenta una o più piante che crescono con le radici completamente inserite negli anfratti della roccia riempiti di terriccio. Le radici in questo caso non si avvinghiano all'esterno della roccia e non scendono fino nel vaso.

Letterati (Bunjin)

Lo stile dei letterati è quello ritenuto più elegante e artistico fra tutti e simula un albero nato in un luogo scomodo come ad esempio coperto da altri alberi oppure in una zona spesso colpita da fulmini o da eventi atmosferici. La chioma si sviluppa solo nella parte più alta ed è spesso molto ridotta come anche la dimensione del tronco. L'albero ha infatti speso la maggior parte delle sue energie per crescere in altezza alla ricerca della luce in concorrenza con gli alberi vicini.

A boschetto (Yose-Ue)

Si tratta di uno stile molto suggestivo che comprende più piante messe in un vaso basso e largo oppure su lastra. È molto importante la posizione di ogni singola pianta che devono dare una sensazione di profondità sviluppo del boschetto in più anni e soprattutto naturalezza.

A Zattera (Ikaa)

Stile simile al Boschetto con la variante che tutti i fusti sono uniti da una stessa radice. Rappresenta un tronco caduto sul fianco che ha dato vita a una nuova vegetazione. Anche in questo caso valgono le regole viste precedentemente in fatto di proporzioni degli alberi e aspetto scenografico. Questa foresta si può realizzare con un albero coricato, dove il tronco fungerà da radice principale che collega tra loro i vari fusti (gli ex rami).

Principali tecniche d'impostazione e di mantenimento

Il bonsaista impiega svariate tecniche per dar forma a una comune pianta secondo uno degli stili sopra citati per trasformarla in un bonsai. Questo lavoro si articola su un lasso di tempo che dipende dal ritmo di crescita naturale dell'essenza e possono passare parecchi anni affinché la pianta raggiunga la forma che il bonsaista ha voluto darle. Quando la pianta è finalmente diventata un bonsai, il lavoro del bonsaista non è finito, perché una cura continua è necessaria al mantenimento della forma ottenuta. Inoltre, il bonsaista può decidere di reimpostare un bonsai, ossia di modificarne più o meno drasticamente la forma o lo stile. Qui di seguito alcune delle principali tecniche impiegate dal bonsaista.

Potatura

È la tecnica più importante dell'arte bonsai e ne esistono vari tipi. Quando il bonsaista inizia a impostare una pianta, è sempre indispensabile procedere a una potatura di formazione. Si tratta di un intervento piuttosto drastico nel quale il bonsaista decide quali rami asportare completamente e quali rami accorciare al fine di raggiungere l'armonia necessaria all'ottenimento di un bonsai secondo le regole dello stile prescelto. Lo si esegue prevalentemente a inizio primavera o comunque in momenti in cui la pianta può reagire col necessario vigore.
Questa potatura dei rami principali può essere ripetuta se il bonsaista sceglie di impostare il suo Bonsai secondo un metodo di "taglia e lascia crescere": dopo una drastica potatura, si permette durante uno o più anni alla pianta di far crescere liberamente i suoi rami o di farne spuntare di nuovi a partire da gemme dormienti, poi si procede a una nuova potatura e così via, finché il bonsai prende la forma desiderata. Questo metodo è importantissimo per dare conicità (una caratteristica estetica essenziale) ai rami e al tronco della pianta.
Esistono, strumenti specifici per il bonsai, quali pinze a taglio concavo e forbici a manico grosso, per ottenere una potatura che non lasci antiestetici segni nel luogo del taglio.
Esiste, poi una potatura più leggera, attraverso la quale i rami di un bonsai formato vengono regolarmente accorciati affinché la forma armonica della pianta non sia modificata. Questo intervento è necessario anche più volte l'anno per essenze a ritmo vegetativo rapido (soprattutto certe latifoglie), mentre si limita a qualche ritocco a intervalli pluriennali per piante a crescita lenta (soprattutto le conifere e piante vecchie).
La defogliazione è una potatura delle foglie che si esegue durante la bella stagione per ragioni estetiche, affinché la pianta produca, dopo alcuni giorni, foglie nuove più piccole e quindi meglio proporzionate al bonsai. Si tratta di produrre una sorta di nuova primavera, un processo dispendioso in energia, ed è quindi un intervento possibile soltanto se la pianta si trova in ottime condizioni di salute. Lo si esegue di solito soltanto se è veramente necessario che il Bonsai abbia foglie più proporzionate alla sua taglia, per esempio quando si desidera esporlo a una mostra. Solo certe latifoglie sono adatte alla defogliazione.

Il filo

Per dare un aspetto di albero maturo con dei rami orizzontali o addirittura leggermente volti verso il basso a piante giovani e vigorose, che tendono invece a produrre rami che crescono verso l'alto, è spesso necessario correggere la direzione dei rami grazie alla tecnica del filo. Anche le curve del tronco e dei rami devono spesso essere indotte dal bonsaista per ottenere un bonsai di forma accettabile.
La tecnica prevede che si avvolgano tronco e rami in spire di filo di metallo (in genere di alluminio o, per rami grossi, anche di rame) e di piegarli, modificandone l'andamento. Può essere utile utilizzare della rafia, avvolgendola a spirale attorno al ramo da trattare col filo, allo scopo di non intaccare il delicato strato esterno del ramo stesso, sede dei condotti linfatici. Dopo un certo tempo, che dipende dall'essenza, il filo metallico è rimosso e il ramo o il tronco si sono fissati nella posizione voluta. Più il ramo è grosso, maggiore sarà il diametro necessario per il filo. Non tutte le essenze sopportano il filo e in ogni caso un'applicazione errata può produrre la perdita della pianta.

Altre tecniche

Altri metodi, quali pesi e tiranti, permettono di modificare la forma del tronco o di un ramo. Esistono poi tecniche particolari per creare effetti di vetustà nelle piante, trattando tronco, rami e radici. Trattando opportunamente tronchi o rami morti col tempo, sbiancadoli e scortecciandoli, si ottiene un effetto di "pianta colpita dal fulmine", chiamato jin.

mercoledì 20 dicembre 2017

Muyedobotongji

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Nel 1790, Re Jeongjo di Corea commissionò un libro chiamato:Muyedobotongji che era un manuale illustrato sulle arti marziali coreane. Questo libro, scritto da Yi Deokmu (이덕무, 1741-1793) e Pak Jega (박제가, 1750-1805), descriveva in dettaglio le arti marziali coreane, illustrando ampiamente uno stile di combattimento a mani nude con l'uso di calci e pugni. Fu pubblicato inizialmente in quattro volumi e quindi ne venne aggiunto un quinto dove i caratteri cinesi Hanja furono convertiti nei caratteri tradizionali coreani Hangul.

Motivatione

La motivazione per questa pubblicazione importante, soprattutto in un regno in cui le ideologie neo-Confuciane e le élite accademiche disapprovavano le arti marziali, vennero dalle invasioni straniere della Corea durante la Dinastia Joseon. Queste invasioni disturbarono la pace dei successivi 200 anni della Dinastia Joseon, portando alla consapevolezza della necessità di rilanciare l'addestramento militare della Corea.


martedì 19 dicembre 2017

Kabukimono

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I kabukimono (カブキ者) o hatamoto yakko (旗本奴) erano in Giappone, tra la fine del periodo Muromachi e la prima parte del periodo Edo, dei samurai senza padrone (rōnin) che si dichiaravano servitori dello shōgun, sebbene agissero di fatto da fuorilegge. Erano soliti frequentare il "quartiere del piacere" (la zona della città in cui si trovavano le dimore delle geishe) di Edo, ed erano soliti vestire in maniera appariscente ed eccentrica, parlare in maniera volgare e agire in modo provocatorio e arrogante, soprattutto nei confronti della gente comune; la legge permetteva infatti ai samurai di uccidere chiunque offendesse il proprio onore.
Si pensa che la yakuza moderna abbia avuto origine da gruppi di kabukimono, sebbene alcuni fanno risalire la stessa ai machi yakko (町奴), una sorta di polizia privata.

lunedì 18 dicembre 2017

Frank Dux

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Frank William Dux (Toronto, 13 luglio 1956) è un artista marziale statunitense. Ha fondato la sua scuola di Ninjutsu nel 1975, chiamandola "Dux Ryu Ninjutsu". Un articolo sulle sue presunte imprese, che è apparso in Black Belt Magazine nel 1980, fu l'eventuale ispirazione per il film del 1988 Senza esclusione di colpi con Jean-Claude Van Damme.

Carriera nelle arti marziali

Dux afferma di essere stato iniziato e addestrato al Koga Yamabushi Ninjitsu da Senzo Tanaka. Lo stile marziale di Dux, Ryu Ninjutsu, non è una Koryu (modulo feudale XV secolo di Ninjutsu), ma egli stesso affermò di averlo costruito "sulla base dei suoi principi radice Koga Ninja di adattabilità e di cambiamento costante". Frank Dux ha formulato la tecnologia proprietaria di aumento che chiama DUX FASST (Attenzione-azione-abilità-strategia-tattiche).
La veridicità di molte delle affermazioni personali di Dux sono stati contestate, tra cui il suo background di arti marziali, combattimenti nel "Kumite" e il servizio militare. Secondo il Los Angeles Times, l'organizzazione che avrebbe organizzato il Kumite ha avuto lo stesso indirizzo di casa di Dux, e il trofeo che afferma di aver vinto è stato acquistato da lui in un negozio trofei locale. Questo è stato contestato da Dux, che ha sostenuto che la ricevuta comprovante la frode è stata appositamente fabbricata per screditarlo. Egli sostiene inoltre che coloro che lo hanno criticato fanno parte di una cospirazione per screditarlo, guidato dal maestro ninjutsu Stephen K. Hayes, il quale Dux afferma lo vede come una minaccia.
Nel 2012 Sheldon Lettich, co-sceneggiatore del film Senza esclusione di colpi (Bloodsport), basato sulle vicende di Dux al "Kumite", ha dichiarato che Dux era un imbroglione.

Pubblicazioni

Dux ha scritto un'autobiografia 1996 dal titolo The Secret Man: Story Uncensored di An American Warrior. La storia di Dux è stata fonte di ispirazione per il film Senza esclusione di colpi del 1988, che ha coreografato. Jean-Claude Van Damme ha recitato in questo film. Dux è anche accreditato come co-autore storia per il film La prova (The Quest).

domenica 17 dicembre 2017

Assedio di Inabayama

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L'Assedio del castello di Inabayama (稲葉山城の戦い Inabayama-jō no Tatakai) del 1567 fu la battaglia finale di Oda Nobunaga nella sua campagna per sottomettere il clan Saitō della provincia di Mino. L'assedio durò circa due settimane tra il 13 e il 27 settembre 1567. Si concluse con la vittoria delle forze di Nobunaga e la sottomissione del clan Saitō, dei suoi vassalli e dei suoi alleati. Questa vittoria fu il culmine della campagna di Nobunaga per la conquista della provincia di Mino, svolta in modo intermittente nei sei anni precedenti, e portò alla fine della rivalità tra i due clan che era iniziata vent'anni prima tra il padre di Nobunaga, Oda Nobuhide, e Saitō Dōsan.
A causa della debole leadership del clan Saitō molti leader samurai si unirono a Nobunaga prima della battaglia, mentre altri se ne unirono in seguito. Con questa vittoria, Nobunaga assunse il controllo della vasta e fertile provincia di Mino e ottenne numerosi servitori e risorse. Nobunaga ricostruì il castello di Inabayama e lo chiamò castello di Gifu, creando una solida base da cui espandersi verso nord nella regione di Hokuriku. Il castello di Gifu divenne residenza principale e sede militare del clan Oda fino a quando si trasferì nel quasi completato castello di Azuchi nel 1575.
Il giovane servitore di Nobunaga, Kinoshita Tōkichirō (conosciuto in seguito come Toyotomi Hideyoshi) svolse un ruolo importante nella vittoria a Inabayama. Negli anni che precedettero la battaglia egli negoziò per avere il sostegno dei signori della guerra locali che assicurarono numerosi uomini al momento dell'attacco e costruì un castello ai margini del territorio nemico che serviva da base per le operazioni nella provincia da conquistare. Oltre a questi preparativi Tōkichirō ideò ed eseguì un coraggioso piano che permise tramite un raid improvviso l'apertura delle porte del castello e la conseguente vittoria. Come premio dei suoi sforzi per la vittoria il suo rango venne aumentato da Nobunaga di cui divenne uno dei più importanti e famosi comandanti.

Antefatti

Nel 1549 il giovane Oda Nobunaga (1534–1582), che divenne si seguito il maggiore daimyō della provincia di Owari, si sposò con Nōhime, figlia di Saitō Dōsan, capo del rivale clan Saitō della vicina provincia di Mino. Nobunaga era il secondo figlio di Oda Nobuhide, capo del clan Oda, che a quel tempo stava affrontando oppositori interni nei confini settentrionali e orientali della provincia di Owari. Saitō Dōsan, daimyō di Mino, era un leader forte e spietato, ma le lotte interne avevano iniziato a dividere il clan Saitō in fazioni.
Entrambi i clan avevano bisogno di una tregua per affrontare problemi più urgenti e quindi il matrimonio politico di Nobunaga e Nōhime portò alla fine della rivalità dei clan e alle loro lotte nelle frontiere.
Nel 1555 Saitō Yoshitatsu, figlio maggiore di Dōsan, sospettò che la sua eredità fosse messa in discussione e uccise i suoi due fratelli minori. L'anno successivo riunì le truppe a lui fedeli e si ribellò apertamente contro il padre. Dōsan chiamò in aiuto suo genero, Oda Nobunaga, suo erede legale. Poco dopo Dōsan fu ucciso da uno dei servitori di Yoshitatsu nella battaglia di Nagaragawa. All'epoca Nobunaga non era in grado di aiutare il suocero e la guerra civile dei Saitō finì prima che fosse possibile un intervento degli Oda. Nel 1561 Yoshitatsu morì di lebbra e suo figlio, Saitō Tatsuoki, divenne capo del clan. Tatsuoki era giovane ma veniva considerato incapace di una guida efficace da parte dei suoi servitori, ed era visto con disprezzo dai suoi subordinati e persino dai contadini locali. Dopo che gli Oda e il clan Matsudaira si allearono e sconfissero il clan Imagawa nel 1560 nella battaglia di Okehazama, Nobunaga si trovava in una posizione più sicura e iniziò a concentrarsi sui loro vicini a nord, il clan Saitō. I piani di Nobunaga per un'invasione di Mino furono apparentemente motivati dalla vendetta per la morte del suocero, Saitō Dōsan, ma Yoshitatsu era morto prima che Nobunaga potesse attaccare. Tuttavia Nobunaga considerava comunque anche Tsuneoki un traditore e iniziò il suo piano d'invasione.

Campagna di Mino

Oda Nobunaga portò le proprie forze nel territorio di Mino nel 1561 e nel 1563 e avvennero brevi battaglie. In ogni spedizione Nobunaga e i suoi 700 uomini venivano soverchiate da forze rapidamente assemblate sotto il daimyo locale, che guidava fino a 3.000 uomini. Accerchiati all'aperto e incapaci di organizzare una difesa, venivano ogni volta respinti. Nel 1564 Nobunaga attaccò il castello di Inabayama, la roccaforte del clan Saitō. Il castello era situato in cima al monte Inaba che aveve delle forti difese naturali Although it was considered nearly impregnable,. Sebbene fosse considerato quasi impenetrabile, Tatsuoki fuggì e si nascose all'interno del castello, mentre i suoi servitori Takenaka Hanbei e Andō Morinari guidavano la difesa. Tuttavia Nobunaga fu nuovamente sconfitto e cacciato dalla provincia.
A partire dal 1564, Oda Nobunaga mandò un suo fedele servitore, Kinoshita Tōkichirō per convincere, tramite corruzione, molti dei signori della guerra della provincia di Mino a unirsi al clan Oda. Kinoshita si avvicinò a Takenaka Hanbei, considerato un brillante stratega ma sempre vissuto ai margini del clan Saitō, per convincerlo a tradire. Sebbene Takenaka fosse frustrato dal comportamento di Tatsuoki, non voleva apparire traditore della sua lealtà e rifiutò le offerte di Kinoshita. Impressionato dall'integrità del servitore Kinoshita lo invitò come ospite a un soggiorno prolungato nella sua casa. Hanbei ammise che il clan Saitō non poteva sopravvivere per molto tempo sotto la guida di Tatsuoki e accettò l'invito di Kinoshita in cambio di una promessa di clemenza nel caso in cui il clan Saitō fosse stato sconfitto.
Nel 1566, in previsione della prossima campagna, Kinoshita propose la costruzione di un castello da qualche parte vicino al castello di Inabayama per servire come punto di partenza per le forze Oda. Nobunaga acconsentì e Kinoshita costruì castello di Sunomata sulla riva del fiume Sai di fronte ai territori del clan Saitō. Secondo una leggenda Kinoshita costruì il castello in una sola notte; ma è più probabile che fosse lo scheletro della torre con una facciata che veniva vista dalla fazione opposta. Tuttavia il risultato della rapida costruzione impressionò il nemico. Con l'aiuto della cautela del nemico che esitò ad attaccare, gli uomini di Kinoshita riuscirono a trasformare rapidamente la costruzione prima in una fortificazione e poi in un castello completo. Nobunaga ordinò a Kinoshita di rimanere nel castello come amministratore e gli diede il nome Hideyoshi.

Assedio

Nel 1567, Oda Nobunaga guidò un nuovo attacco contro il clan Saitō della provincia di Mino. La roccaforte del clan era il castello di Inabayama, una fortezza di montagna costruita nella cima del monte Inaba (oggi Gifu). Saitō Tatsuoki, il daimyo del clan, si era già dimostrato codardo e incompetente al comando, assegnò a Takenaka Hanbei il comando del castello e della guarnigione. Nonostante a Tatsuoki fosse il capo del clan non contribuì alla battaglia. Quando le forze Oda entrarono nuovamente nella provincia di Mino, Hanbei preparò la guarnigione alla difesa del castello.
Come riportato dallo Shinchō kōki (o The Nobunaga Chronicles), i preparativi per la battaglia iniziarono il 13 settembre 1567. Nobunaga entrò nella zona, prese contatto con gli alleati e il corpo principale dell'armata, circa 5.000 uomini, attraversò il fiume Kiso. Mentre le truppe si riunirono sulla riva lontana del fiume, Nobunaga inviò due messaggeri, Murai Sadakatsu e Shimada Hidemitsu, a tre dei vassalli anziani del clan Saitō, denominati Triumvirato di Mino, chiedendo loro cooperazione nella prossima battaglia. Questi signori della guerra di Mino che Kinoshita Hideyoshi aveva persuaso qualche anno prima si unirono alle truppe di Nobunaga.
Mentre gli uomini fedeli a Nobunaga si spostavano nella pianura furono combattute numerose schermaglie in un inutile sforzo per fermare le forze d'invasione. Le forze di Nobunaga entrarono poi nel paese di Inoguchi il quale si trovava al di sotto del castello di Inabayama. Per non rivelare le proprie mosse e offuscare il campo dando spazio di movimento all'esercito assediante, l'avanguardia di Kinoshita Hideyoshi diede fuoco alla città. Mentre alcuni soldati presero posizione sul Monte Inoguchi e su una vicina scogliera, l'esercito principale si posizionò davanti al monte Inaba per iniziare l'assedio. L'esercito assediante, notevolmente aumentato, mostrava le bandiere degli ex vassalli del clan Saitō e questo disorientò i difensori del castello. Nei giorni che seguirono Kinoshita mandò gli uomini a raccogliere informazioni specialmente dai contadini locali disposti ad aiutare. Kinoshita incontrò un residente locale, Horio Yoshiharu, che gli mostrò un percorso poco conosciuto che portava al pendio nord della montagna sul retro del castello. Le pendici nord sotto il castello erano così ripide che l'assalto da parte di una grande forza era stato considerato impossibile e per questo veniva scarsamente presidiato dai difensori.

Assalto finale

Non è esattamente noto quel che successe nel campo di battaglia tra il 14 e il 25 settembre. Dato lo stile aggressivo di combattimento di Nobunaga si può dedurre che le forze del clan Oda attaccarono ferocemente frontalemente e probabilmente violarono le difese esterne del castello di Inabayama. Fu Kuroda Kanbei, considerato un stratega di talento, incaricato di guidare e coordinare l'attacco principale. È certo che Kinoshita Hideyoshi ideò un piano attraverso il quale una piccola forza avrebbe scalato la parete a nord per entrare nel castello e avrebbe dovuto aprire in fretta le porte per l'esercito assediante. Nobunaga approvò e incaricò Kinoshita per guidare l'incursione. Per il suo gruppo d'assalto Kinoshita scelse Horio Yoshiharu, Hachisuka Koroku e altri cinque o sei uomini. Il 26 settembre Nobunaga era così fiducioso del piano di Kinoshita e dell'esito della battaglia che dispose una Jinmaku sul campo di battaglia dove tenne un incontro con i suoi ufficiali superiori assegnando compiti per la ricostruzione del castello dopo la battaglia. Salutò anche gli ex vassalli dei Saitō che si erano uniti a lui offrendo loro del sakè.
La notte del 26 settembre Kinoshita riunì il suo gruppo e, preoccupato per il caldo tardivo dell'estate e gli sforzi fatti fino a quel punto, fornì loro acqua dolce fresca all'interno di alcune zucche. Horio Yoshiharu guidò poi Kinoshita Hideyoshi e la piccola forza di assalto attorno alla parte posteriore della montagna, dove risalirono le ripide pendici sotto la luce di luna piena. All'alba, mentre la missione di Kinoshita era in corso, la forza principale sotto Kuroda Kanbei continuò con il suo attacco al castello.
Poco dopo l'alba la squadra di Kinoshita entrò nel castello sparò a un magazzino pieno di polvere da sparo, poi si precipitò per aprire le porte anteriori, uccidendo chiunque si fosse messo sulla loro strada. Tra le forti esplosioni dalla polvere e la vista della costruzione che bruciava con forza, la difesa del castello entrò rapidamente nel caos, ed i sconvolti ed esausti difensori pensarono di essere stati attaccati massicciamente dal retro del castello. La confusione era completa ed i soldati scesero in massa dal parapetto frontale per affrontare un inesistente assalto da dietro. Quando la squadra di Kinoshita raggiunse il cancello, legarono le loro zucche alle lance e le agitarono verso i loro alleati per segnalare che erano in posizione, dopo di che la fanteria di Kuroda caricò le porte aperte e sovrastò quello che era rimasto della guarnigione del castello.
Alla fine del 27 settembre 1567 il castello di Inabayama era caduto e i restanti signori della provincia di Mino si unirono a Nobunaga.

Conseguenze

In circa due settimane Nobunaga entrò e conquistò definitivamente la provincia di Mino, assicurandosi la lealtà del Triumvirato di Mino. Nobunaga ricostruì il 'castello di Inabayama' e lo chiamò 'castello di Gifu'. Trasferì la sua residenza dal castello di Komaki e quella di Gifu da dove partì per la sua storica marcia su Kyoto l'anno seguente.
Saitō Tatsuoki sopravvisse alla battaglia, anche se ci sono due storie diverse sulle modalità. Nella prima si racconta che Tatsuoki abbandonò il castello la sera prima della sua capitolazione, prese una barca e fuggì. In un'altra si racconta che Hideyoshi portò un messaggio alla torre principale, dove Tsuneoki era asserragliato, con l'assicurazione che se si fosse arreso sarebbe stato risparmiato. Tatsuoki accettò e gli fu permesso di abbandonare il castello. In entrambi i casi Tatsuoki fuggì a Nagashima nella provincia di Ise. Visse in esilio per un po' di tempo, e fu successivamente accolto da Asakura Yoshikage.
Fu ucciso nella battaglia di Tonezaka all'età di ventisei anni, nel 1573.
Gli sforzi di Kinoshita Hideyoshi per la vittoria furono riconosciuti da Nobunaga e il suo rango aumentò notevolmente. Dopo la battaglia a Kinoshita furono assegnati tre distretti nella parte settentrionale delle nuove conquiste della provincia di Mino, e non molto tempo più tardi prese il cognome Hashiba.
Quando Nobunaga lo promosse comandante Hideyoshi usò un'immagine di zucca dorata come suo standard di battaglia, in commemorazione del suo successo al castello di Inabayama. Successivamente cambiò ancora il cognome in Toyotomi.
Kuroda Kanbei, che guidò l'attacco frontale, e Takenaka Hanbei, che difese il castello, divennero importanti servitori di Toyotomi Hideyoshi.

Esercito

  • Divisione principale
    • 3,000 guidati da Oda Nobunaga
  • Prima Division
    • 2,000 guidati da Shibata Katsuie
    • 2,000 guidati da Ikeda Tsuneoki
  • Seconda Division
    • 1,000 guidati da Mori Yoshinari
    • 1,000 guidati da Maeda Toshiie
    • 1,000 guidati da Sassa Narimasa
    • altri
  • Divisione di riserva
    • 2,000 guidati da Sakuma Nobumori
  • Avanguardia
    • 1,000 guidati da Kinoshita Hideyoshi
  • Triumvirato di Mino, forze non conosciute
    • Ujiie Naotomo
    • Andō Morinari
    • Inaba Yoshimichi
    • Altri