Nel mondo idealizzato delle palestre e dei dojo, spesso si dà per
scontato che anni di addestramento formale garantiscano la supremazia
in qualsiasi contesto di combattimento. Ma la realtà è ben più
complessa. Non sono rari i casi in cui un praticante esperto, magari
cintura nera, subisce una sconfitta clamorosa contro un avversario
apparentemente “ignorante” della materia. È un paradosso solo in
apparenza: in verità, il divario tra l’allenamento marziale
moderno e la violenza reale è molto più ampio di quanto si voglia
ammettere.
Molte arti marziali, nel loro sviluppo contemporaneo, si sono
allontanate dalle origini brutali e pragmatiche per cui erano nate.
La disciplina, la ritualità, la tecnica raffinata e le forme
codificate hanno preso il posto del caos e della crudeltà della
lotta vera. In alcuni casi, questo processo ha sterilizzato
l’efficacia del gesto marziale, trasformandolo in esibizione più
che in sopravvivenza.
Pensiamo a certe interpretazioni dell’aikido, della capoeira, o
anche del karate tradizionale: movimenti ampi, eleganti, rituali…
ma che in uno scenario di scontro reale rischiano di essere vuoti,
lenti, prevedibili. In una rissa non c’è tempo per le forme, né
spazio per la bellezza del gesto tecnico. C’è solo spazio per
l’impatto, per la reazione immediata, per il danno.
Uno dei motivi principali per cui un esperto può soccombere è
l’illusione del contesto protetto. Chi si allena
sempre in ambienti regolamentati, con partner collaborativi, con
regole e limiti, rischia di non sviluppare la prontezza mentale per
gestire un’aggressione improvvisa, sporca e senza regole.
L’aggressore da strada non “simula” colpi, non rispetta pause,
non si ferma quando l’altro è a terra. Colpisce alla gola, agli
occhi, ai genitali. Usa oggetti. Morde. Urla. Ti prende dal panico.
Al contrario, chi non ha un addestramento formale,
ma ha una storia di violenza vissuta – magari cresciuto in ambienti
duri, con una lunga familiarità con la rissa – sviluppa un istinto
diretto, brutale. Non ha tecnica, ma ha ferocia. E spesso ha un
vantaggio: non esita. Mentre l’artista marziale
valuta, il violento agisce.
Un altro aspetto spesso trascurato è la preparazione
psicologica al dolore e al caos. Molti praticanti non sono
mai stati colpiti veramente. Mai colpiti con cattiveria. Mai messi a
terra in mezzo al cemento. Mai circondati. Mai assaliti da qualcuno
che vuole davvero far loro del male. Questo porta a una
pericolosa dissonanza: sapere come si dovrebbe reagire… e non
riuscire a farlo.
La preparazione tecnica senza la volontà combattiva
è come un’arma scarica. Il corpo può sapere, ma se la mente non è
pronta a colpire con decisione, con cattiveria, allora si perde
l’unico vantaggio reale che la tecnica offre: il controllo.
C’è poi la questione della forza fisica e della
differenza di massa. Un non addestrato ma fisicamente
dominante, esplosivo, e aggressivo può facilmente sopraffare un
praticante tecnico ma gracile. La tecnica è un moltiplicatore di
forza, ma non un sostituto. Se il gap è troppo ampio, la tecnica
crolla sotto il peso dell’impatto. Una leva o una proiezione ben
eseguita non valgono nulla se non riesci nemmeno ad applicarla contro
qualcuno che ti ha già stordito con un pugno irregolare ma
devastante.
Infine, molti sistemi marziali si sono adattati al contesto
sportivo, con regole, categorie di peso, arbitri,
interruzioni. Questo li rende eccellenti sport da combattimento –
ma non necessariamente arti di sopravvivenza. E così, quando ci si
trova in uno scontro reale, senza guantoni, dove un colpo ben
assestato può far finire tutto in pochi secondi, molte certezze
crollano.
Il punto non è denigrare le arti marziali, ma riconoscere che non
sono tutte uguali, e che l’addestramento moderno
spesso manca di brutalità, imprevedibilità e violenza reale.
Chi si allena per autodifesa dovrebbe mettersi alla prova in scenari
verosimili: combattere con resistenza reale, gestire l’adrenalina,
allenarsi nel caos, lavorare sulla resilienza mentale.
L’abilità marziale vera nasce dove si incontrano tecnica,
forza, cattiveria controllata e adattamento al caos. Senza
queste componenti, anche un esperto può diventare una vittima. E il
dilettante feroce, imprevedibile e pronto a tutto può diventare, per
quel giorno, il vincitore.
La vera lotta è dolore, sangue e
violenza.
Per essere pronti per una rissa in
strada dovresti allenarti così:

Non questo:
