Il combattimento, Kumite, è il tipo di
esercizio che attrae maggiormente non soltanto i principianti ma
tutti coloro che hanno qualche interesse al karate.
Tutti vorrebbero iniziare a praticarlo
prima possibile, ed è per questo motivo che ci si allena
assiduamente negli esercizi fondamentali.
Nel mio caso personale, non posso
dimenticare l'eccitazione che provai quando mi fu permesso di
praticare il combattimento per la prima volta.
Forse è innato nell'uomo l'impulso di
combattere, la sensazione è comunque ben nota sia che esso sia vero
o no.
Quando si fronteggia un avversario è
difficile restare immobili.
Il sangue affluisce alla testa e il
cuore batte, come un gallo da combattimento pronto all'attacco.
Per intimorire l'avversario, si assume
uno sguardo feroce e minaccioso, e si è carichi di spirito
combattivo.
In ogni modo, quando viene permesso di
praticare il combattimento, si ha l'impressione di essere diventati
finalmente maturi praticanti dell'arte e la gioia non ha limite.
Agli albori del karate moderno
l'allenamento era dedicato ai kata e al bersaglio imbottito di paglia
da colpire, importanza era riposta all'allenamento dello spirito
attraverso l'allenamento del corpo.
Sembra che il combattimento sia nato
con la selezione e la pratica di alcune tecniche dei kata. In
principio venne indicato da Gichin Funakoshi, e più tardi adottato
come una forma di pratica.
Sembra che i maestri dei vari dojo
insegnassero il combattimento soltanto su base individuale e in gran
segreto all'allievo che fosse esperto di kata.
Quindi originariamente il combattimento
era un metodo di allenamento, e non un mezzo per stabilire vittoria o
sconfitta.
Era praticato soltanto per verificare
se un attacco o una difesa erano efficaci o no.
Sebbene il karate sia un metodo di
lotta, il combattimento non era concepito né come una lotta reale,
né come una gara.
In tempi lontani, quello che oggi noi
definiamo una gara era uno scontro fino alla morte.
Per colui che cercava la vera Via del
guerriero (Budo), una gara significava che i due combattenti
avrebbero lottato fino alla morte di uno dei due. Le gare hanno
assunto l'aspetto attuale dal momento in cui sono state introdotte in
Giappone le competizioni stile occidentale. Il Maestro Funakoshi
diceva: "non ci sono competizioni nel karate".
Il significato della parola è cambiato
enormemente, ma nonostante ciò, con le regole attuali è difficile
individuare il vincitore.
Forse le regole e il modo in cui le
gare sono condotte cambieranno in futuro, e io penso che dovrebbero,
però è mia opinione che le "competizioni" non possono
essere praticate.
Sebbene non sia certa la data, fu
durante i primi del 1930 che il combattimento prestabilito (yakusoku
kumite) fu creato, sviluppato e praticato nel dojo.
Il combattimento libero (jiyu kumite)
si sviluppò pochi anni dopo (ricordo, comunque che quando visitai
Okinawa, nel 1940, non vidi combattimenti; infatti seppi che alcuni
karateka furono espulsi dal loro dojo perché avevano adottato il
combattimento dopo averlo appreso a Tokyo.
Vi erano tre tipi di combattimento
prestabilito.
Nel combattimento quintuplo (gohon
kumite), cinque attacchi consecutivi di pugno venivano eseguiti
contro un avversario, veniva stabilito precedentemente se l'attacco
era alto (jodan) o medio (chudan).
Quando si prendeva confidenza con
questo lavoro, gli spostamenti in avanti e indietro diventavano
sempre più grandi e l'ampio dojo sembrava piccolo.
Quello che veniva eseguito
successivamente era il triplo combattimento (sambon kumite). In
questo caso il difensore si difendeva e allo stesso tempo tentava di
incutere il timore che la difesa sarebbe stata dolorosa.
Doveva anche saper bloccare quando
l'attaccante lanciava pugni uno dopo l'altro. L'attaccante doveva
escogitare il modo per non farsi parare gli attacchi di pugno.
Egli si esercitava a lanciare i suoi
pugni lentamente e velocemente; poteva cercare così di penetrare e
attraversare l'avversario.
Il combattimento così impostato poteva
diventare praticamente una mischia, ed è sottinteso che il
praticante più esperto avrebbe dimostrato gli effetti della sua più
lunga esperienza (e viceversa).
In una tale situazione, era il più
rude dei due ad avere il vantaggio.
In pratica le tecniche di attacco e di
difesa erano piuttosto diverse da quelle dei kata.
Il sambon kumite praticato
correttamente non sfocia in una rissa, ma ci sono alcuni che lo
praticano in questo modo ancora oggi.
E' strano che non capiscano che è
innaturale.
Dopo aver rafforzato le braccia, le
gambe e le anche ed aver praticato a fondo il combattimento triplo,
l'esercizio successivo era il combattimento singolo (ippon kumite).
Qui la posizione assunta era diversa,
ma era prestabilito chi attaccava e chi si difendeva e a che altezza
era la difesa.
Mentre l'attaccante doveva cercare
seriamente un'occasione favorevole, il difensore cercava di non
rivelare un'apertura.
Entrambi assumevano una posizione bassa
e guadagnavano tempo, per cogliere nell'altro segnali di stanchezza.
La posizione bassa in sé era faticosa, ma era più facile balzare in
avanti ed attaccare. E poi la posizione bassa rendeva il bersaglio
più piccolo.
E' facile parlare di apertura, ma
nessuno sa veramente cos'è un'apertura.
In qualsiasi tipo di combattimento,
quando due avversari si conoscono, essi saranno in grado di
controllare le rispettive forze, e sarà difficile allora trovare
un'apertura, rendendo difficile la ricerca del colpo decisivo.
Per esempio, uno può decidere di fare
del suo pugno l'attacco decisivo.
Colui che riesce a portare l'attacco
decisivo ha vinto.
Ma colui che ha perso, cercando di
recuperare il terreno perduto, potrebbe inquietarsi. L'esercizio
potrebbe trasformarsi in una lotta caotica, dove entrambi attaccano e
si difendono selvaggiamente senza riguardo per i fondamentali e per i
kata.
Questo non è più un combattimento
prestabilito ma un combattimento libero, oppure, per essere più
precisi, una lotta dove tutto è consentito.
Se il combattimento è praticato da due
dello stesso livello, l'esito non sarà troppo grave, ma nel caso di
un principiante contro un esperto possono accadere cose terribili.
In questo scontro carnale, di ossa
contro ossa la sofferenza può essere notevole.
Possiamo definirlo come una forma di
tortura oppure un'iniziazione al dolore.
Eppure, nel combattimento, lo spirito
di lotta viene coltivato.
Per diminuire il dolore, ci si doveva
allenare con continuità colpendo il bersaglio imbottito.
Si cercava di aumentare la velocità
del pugno e di allenare le braccia colpendole ripetutamente con un
oggetto duro.
In altre parole, si sottoponeva il
corpo ad una serie di torture per diminuire il dolore del contatto.
Oggi noi pratichiamo soltanto un tipo
di combattimento: il combattimento singolo prestabilito (yakusoku
ippon kumite) perché, con il cambiamento del modo di attaccare, non
è più possibile praticare altre forme prestabilite di
combattimento.
Il cosiddetto combattimento libero è
altresì inutile ora.
Il vero senso del combattimento è nei
contenuti della pratica e può essere compreso naturalmente.
Il metodo attuale e quello passato di
praticare il combattimento sono uguali, nel senso che un pugno va
parato con un certo numero di tecniche diverse, ma nel modo attuale
di attaccare uno può ferire un avversario anche se l'attacco non è
efficace.
Era, come dire, un tipo di forma, o
un'esecuzione di movimenti. Questo non va interpretato nel senso che
tutto quello che è stato fatto non sia stato fatto con grande
serietà ed impegno.
Ma io penso che le contraddizioni
dell'allenamento di una volta vanno risolte, e vanno studiati
continuamente attacchi e parate efficaci.
Se quelle contraddizioni vengono
capite, allora è chiaro che il combattimento cambierà.
In allenamento quando un avversario
lancia un pugno, dovrete essere in movimento.
Se vi muovete dopo aver visto il vostro
avversario muoversi, sarà troppo tardi e un falso movimento da parte
vostra è fuori discussione perché il colpo dell'avversario è
piuttosto letale.
Per muoversi contemporaneamente con
l'avversario, dovrete sentire le sue intenzioni.
Un metodo per allenarsi a percepire le
intenzioni dell'avversario, sia nei fondamentali che nei kata è
allenarsi a percepire il comando del maestro, imparando a partire con
il comando.
Quando il suono del comando finisce,
dovrete aver finito l'esecuzione della tecnica.
Quando il suono del comando si sente
sarete già in movimento.
E' ancora meglio fare la difesa
contemporaneamente al comando cioè nell'esatto istante del comando
(deve essere sottolineato il significato della parola
contemporaneamente cioè nell'esatto istante, senza una differenza di
tempo dello
spessore di un capello).
Per ottenere questo dovrete essere
calmi e la vostra mente dovrà essere libera e tranquilla come quella
di un bambino.
Ma non è una questione di riuscire ad
usare la mente.
Dovrete invece muovervi naturalmente
senza pensare e concentrare anima e corpo nelle tecniche.
Verrà il tempo in cui riuscirete ad
eseguire le due cose senza pensarci.
Quando raggiungerete questo stato
mentale vi accorgerete che vi muovete contemporaneamente al comando.
Con la fase successiva dovrete
affrontare l'avversario ad una certa distanza in modo tale che
l'attacco e la parata non vengano a contatto.
Lasciate che il vostro avversario si
alleni nell'attacco mentre voi vi allenate nella difesa.
Ripetete questo esercizio finché non
vi muovete entrambi contemporaneamente.
Chiaramente vi alternerete nell'attacco
e difesa.
In senso stretto, questo esercizio non
sarà praticato con passione, quindi dovrete successivamente
diminuire la distanza in modo che avvenga il contatto.
Esercitatevi in questo modo, ma
ricordate che questo non è un combattimento.
Questa è pratica.
Non vi aspettate di progredire molto se
siete ansiosi di vincere.
Troppa sicurezza scaturisce dalla
vittoria, vergogna e fretta di reagire avventatamente, dalla
sconfitta.
Non pensate alla vittoria o alla
sconfitta, ma se il vostro avversario vi attacca con successo,
esaminate il perché il suo pugno è stato efficace.
Questo è lo scopo della pratica.
E siccome è importante allenare anche
le gambe, esercitatevi ripetutamente.
Nella fase successiva, lasciate che il
vostro avversario attacchi alle vostre spalle.
Questo esercizio non dovrà essere
fatto per curiosità. Scegliete un momento quando vi sono poche
persone presenti ed esercitatevi con un avversario scelto tra i
vostri buoni amici.
Ovviamente questo tipo di lavoro
richiederà ancora più calma di quando avete l'avversario di fronte,
ma contribuirà alla concentrazione mentale.
Se pensate troppo a quando partirà
l'attacco del vostro avversario, non vi accorgerete dei suoi
movimenti.
Soltanto quando la vostra mente è
tranquilla come le acque immobili di uno stagno e siete fisicamente
pronti, sarete in grado di percepire naturalmente i movimenti del
vostro avversario ed anche il suo respiro. (Va menzionato che questa
potenzialità non è una caratteristica esclusiva degli uomini, ma
anche degli animali).
In questo stato potrete avvertire in
modo naturale i cambiamenti emotivi del vostro avversario.
Questo è il significato di essere
capaci di capire, o sentire, le intenzioni del vostro avversario.
Se provate ad attaccare il vostro
avversario alle spalle, lui cercherà naturalmente di eseguire una
difesa, ma voi capirete chiaramente le sue reazioni.
Non pensate ai movimenti che farete.
Questa è la cosa più importante.
Siate naturali e muovetevi
naturalmente. Non cercate di andare contro natura.
Sarà il vostro corpo ad accorgersi dei
movimenti del vostro avversario, anche se non potete vederlo.
Dopo che vi sarete allenati con un
avversario fino a percepire i suoi movimenti con il vostro corpo,
esercitatevi con tre o cinque avversari.
Ponetevi al centro, e lasciate che essi
attacchino con i pugni senza prestabilire una sequenza.
Concentrazione della mente e del corpo
è la cosa fondamentale, e la vostra mente dovrà essere
assolutamente vuota.
Non vi è vincitore o sconfitto, né
dovete pensare alla vita o alla morte.
E' uno stato del nulla.
Questo può sembrare difficile ma non
lo è; è il pensare che lo rende difficile.
Tra gli antichi, si diceva che quando
si affronta un qualsiasi avversario, bisogna trovarsi in uno stato
mentale in cui si è pronti o capaci di morire; cioè uno stato
mentale in cui vita e morte sono irrilevanti, nessun vincitore e
nessun vinto, né stati d'animo quali paura o odio.
Affrontare il vostro avversario con la
mente vuota.
Il pensiero non ha nessun valore;
dovrai semplicemente agire.
Attraverso la pratica tutto questo si
comprende naturalmente.
Mantieni la tua mente calma ma sii
pronto. Io penso che queste siano lo parole appropriate ad un
karateka.
La vostra mente dovrà essere calma, ma
dovrete essere sempre attenti a ciò che accade e ai movimenti
intorno a voi.
Altrimenti non sarete capaci di far
fronte, ad esempio, ad un accerchiamento da parte di parecchi
avversari.
Una mente calma e flessibile, un corpo
agile e movimenti rapidi: questi sono i prerequisiti di un karateka.
Per ottenerli, dovrete esercitarvi nei fondamentali e nei kata.
Approfondendoli acquisirete ritmo,
anticipo, distanza, respirazione e il fluire dell'energia vitale.
Nel XVII Secolo, il sacerdote-poeta
Rinzai Zen Bunan scrisse una poesia che dice:
in uno stato di morte
in un corpo vitale
le azioni sono al meglio
della loro esecuzione
Capire questo perfettamente e tradurlo
in pratica è quello che io spero voi facciate.
La questione della mente è molto
profonda. Il fine ultimo da realizzare attraverso la pratica è
l'elevazione della mente ad uno stadio alto, l'ampliamento dei propri
orizzonti e l'auto purificazione.
Dovrete allenare la mente ed il corpo,
altrimenti il lavoro non ha alcun senso.
Sforzatevi di pulire la mente dalle
tensioni e dai problemi giornalieri.
E' come lavare le patate in una tinozza
d'acqua; dovrete lavare la mente dallo sporco entrando in uno stato
di contatto spirituale con gli altri.
La mente ed il corpo sono come le due
ruote del carro. Nessuno delle due deve progredire più rapidamente
dell'altra. Questa è la pratica corretta.
La vera pratica è acquisire ciò che è
prezioso per la vita.
Venendo in contatto fisico con gli
altri, verrete anche in contatto spirituale.
Nella vita quotidiana, sarete in grado
di capire il vostro rapporto con gli altri, come ognuno influenza gli
altri e come avviene lo scambio di idee.
Arriverete a rispettare il prossimo e
ad essere disponibile nei suoi confronti.
Un budoka deve essere una persona
completa e avere a cura la felicità ed il benessere del prossimo.
Le parole sono facili a dirsi; metterle
in pratica non è altrettanto semplice. Se avete un'idea mettetela in
pratica immediatamente. Questo è lo scopo dell'allenamento. Se non
riuscirete ad agire, il vostro allenamento è stato
insufficiente oppure avete qualche
punto debole.
Prefiggetevi di ottenere quanto è
possibile dalla pratica.
Vorrei dire per concludere, che la
ricerca del karate come arte di combattimento è il kumite, ma oltre
a ciò è il superamento del combattimento. Allora sarete tutt'uno
con il vostro avversario.
Shigeru Egami Sensei -
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