giovedì 25 ottobre 2018

Sciabola

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La sciabola (da szablya, lingua ungherese) è un'arma bianca manesca del tipo spada destinata ai reparti di cavalleria, con lama monofilare curva, affilata sul lato convesso, di lunghezza variabile a seconda del paese di provenienza, e guardia molto pronunciata, atta a coprire tutta la mano. Era normalmente portata in un fodero a due punti di sospensione appeso a un'apposita fascia ma alcuni esemplari venivano portati fissi sulla sella: tale fu il caso della szabla in uso agli Ussari alati di Polonia, vero e proprio archetipo della sciabola moderna, e di altre tipologie più recenti come la Sciabola Patton dell'esercito degli Stati Uniti (entrata in servizio nel 1913).
Il vocabolo "sciabola", in lingua italiana come in altre lingue, finì però per indicare anche altre forme di arma bianca del tipo spada in uso alla cavalleria pesante dell'Europa pre-Industriale, come la squadrona dei corazzieri, o di fanteria, come il coltellaccio d'abbordaggio della marina militare europea del XVIII secolo. A partire dal XIX secolo, la sciabola divenne attributo precipuo per gli ufficiali e tale è ancora il suo utilizzo in ambito militare contemporaneo.
Dalla sciabola originò uno dei tre stili fondamentali della scherma moderna, la sciabola.


Storia
Origini
La diffusione negli eserciti dell'Europa Orientale, fondamentalmente il Granducato di Moscovia e il Regno d'Ungheria, ivi compresi i voivodati (principati) di Moldavia, Valacchia e Transilvania, di spade a lama ricurva simili alla scimitarra orientale si dovette ai contatti con i Tartari prima (XIV secolo) e con gli Ottomani poi (XV secolo). Solo nel XVI secolo però le lame ricurve cominciarono a diffondersi anche nelle terre del vecchio Regno di Polonia e del Granducato di Lituania, sostituendo la spada a lama diritta in uso presso le forze di cavalleria. La prima forma di spada occidentale da cavalleria a lama ricurva fu la szabla, diffusasi tra le truppe di cavalleria della Confederazione Polacco-Lituana durante il regno di Stefan Batory (1576-1586), già voivoda di Transilvania.
Nella quasi totalità dei paesi dell'Europa Occidentale, la parola "sciabola" (sabre in inglese e francese, säbel in tedesco, sable in spagnolo, ecc.) deriva appunto dal vocabolo polacco szabla.

Diffusione
A partire dal XVIII secolo, la sciabola andò incontro a un incredibile successo, sia pratico sia etimologico:
  • La parola "sciabola" cominciò infatti a indicare qualsiasi forma di spada in uso ai corpi di cavalleria, come la pałasz polacca, in tutto e per tutto un costoliere da cavalleria a lama diritta, e la shashka, sorta di ibrido tra un costoliere e una scimitarra, divenuta arma d'ordinanza della cavalleria russa nella seconda metà dell'Ottocento;
  • Sciabole cominciarono a essere definite anche quelle spade da fante o da marinaio, sviluppatesi dal modello del falcione tardo-medievale, che pur mantenendo le caratteristiche tecniche della spada da fanteria (bilanciamento fissato al punto d'incontro tra la lama e l'elsa) copiavano la linea curva della scimitarra orientale: es. Sciabola d'abbordaggio.
Nel corso del XIX secolo i continui contatti tra gli europei e i territori africani e asiatici gravitanti intorno al decadente Impero ottomano(v. Imperialismo) intensificarono il processo di "orientalizzazione" delle spade da cavalleria occidentali. Le sciabole di tutti i corpi di cavalleria presero a modello la curvatura del kilij turco, la scimitarra per eccellenza, pur mantenendosi fedeli all'originario modello della szabla per quanto concerne il rapporto di larghezza tra lo scarico della lama e il falso-taglio in prossimità della punta. La sciabola occidentale mantenne quindi sempre una lama più lunga, più appuntita e meno curva rispetto alla scimitarra orientale.
La campagna d'Egitto di Napoleone (1802) consegnò agli occidentali un gran quantitativo di scimitarre (in questo caso preziose sciabole mamelucche) che colpirono, per la loro eleganza e funzionalità, gli ufficiali europei. Entro il 1803, la sciabola era ormai arma d'ordinanza tra gli ufficiali francesi e inglesi, si trattasse o meno di ufficiali di cavalleria. La conquista di Tripoli (1805), durante la Prima guerra barbaresca, diffuse del pari la moda della sciabola anche tra gli ufficiali dell'esercito degli Stati Uniti d'America.
Entro la fine dell'Ottocento le armi bianche classiche avevano definitivamente abbandonato la panoplia del soldato di fanteria europeo, sostituite dall'onnipresente baionetta. Le sciabole, in uso alle truppe di cavalleria e ai soli ufficiali nella fanteria, mantennero invece inalterato il loro uso campale sino a che non fu il soldato a cavallo medesimo a perdere ogni funzionalità pratica sui campi di battaglia europei, tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Tra il XIX e il XX secolo, la sciabola si diffuse anche tra i ranghi della polizia a cavallo di diversi paesi occidentali e tra quella appiedata in una versione più corta detta anche daga, salvo poi cadere in disuso per motivazioni pratico-umanitarie ed essere sostituita dal manganello.

Utilizzo nelle Forze Armate Italiane
Abolita nel 1947, la sciabola fu reintrodotta nelle Forze Armate Italiane nel 1962 per essere utilizzata come arma di rappresentanza, portata in particolari occasioni esclusivamente da ufficiali e marescialli, con l'eccezione, per quanto riguardano i sergenti, i graduati e la truppa dei reparti a cavallo (Carabinieri, Finanzieri, Cavalleggeri e degli appartenenti al Reggimento artiglieria a cavallo "Voloire").
Le sciabole in dotazione all'Esercito italiano, ai Carabinieri e alla Guardia di Finanza vedono una differenza nella coccia, a seconda che appartengano a un ufficiale (coccia formata da tre elementi) o a un sottufficiale (formata da due elementi), e nella forma della lama a seconda dell'arma o del corpo d'appartenenza.
Accessori della sciabola sono la dragona e il pendaglio, che serve a portarla e che viene agganciato a due anelli posti sul suo fodero e a uno speciale passante della cintura o del cinturone, a seconda del tipo di uniforme indossata.

Ufficiali Generali
La sciabola per Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata) ha la lama dritta o leggermente ricurva (saetta di curvatura massima 25 mm). L'impugnatura è di tipo avorio con quattro scalanature nella parte interna per adattarvi le dita ed è rivestita esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, pure di ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un incavo per il dito pollice; ha nella parte superiore un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una molla doppia nell'interno per tener ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di ferro di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale.

Ufficiali di Fanteria
Viene portata dagli Ufficiali di Fanteria (esclusi i Bersaglieri), delle altre Armi (esclusa la Cavalleria) e dei Corpi (esclusi gli Ufficiali Veterinari). La sciabola per Ufficiali di Fanteria differisce da quella per Ufficiali Generali per aver l'impugnatura in ebano anziché di tipo avorio.

Ufficiali dei Bersaglieri
La sciabola per Ufficiali dei Bersaglieri differisce da quella sopra descritta per la maggiore curvatura e per l'impugnatura e la guardia. L'impugnatura è di ebano, con guarnizioni di metallo giallo brunito; la guardia è a cinque branche di metallo dorato.

Ufficiali di Cavalleria
Viene portata dagli Ufficiali di Cavalleria, dai Veterinari o dagli Ufficiali appartenenti al Reggimento Artiglieria a Cavallo. Differisce da quella di fanteria per i seguenti particolari: la leggera curvatura; la guardia è a quattro branche (tre delle quali oblique e ricurve); il fodero ha l'apertura della lunghezza di 31–36 mm; la prima fascetta dista da essa 7 cm e la seconda 20 cm circa; l'impugnatura è priva della scalanatura per adattarvi le dita.

Marescialli di Fanteria
Viene portata dai Sottufficiali di Fanteria del Ruolo Marescialli (esclusi i Bersaglieri), delle Armi (escluse Cavalleria e Artiglieria) e dei Corpi. È a lama diritta con l'impugnatura di ebano zigrinato, avente guarnitura formata da una cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché simmetriche. Il fodero è di acciaio ed è munito di due fascette con campanelle collocate l'una a 7 cm e l'altra a 15 cm dalla bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia) e il fodero sono nichelati. La lunghezza della sciabola deve essere proporzionata alla statura.

Marescialli dei Bersaglieri
La sciabola per Marescialli dei Bersaglieri è a lama leggermente ricurva, ed ha le parti metalliche dell'impugnatura in ottone lucido anziché in acciaio nichelato.

Marescialli di Cavalleria
Viene portata dai Sottufficiali di Cavalleria e di Artiglieria del Ruolo Marescialli. È simile alla sciabola per Marescialli di Fanteria, dalla quale differisce per la guardia, le cui branche sono leggermente più larghe, per la cappetta che forma semicilindrica, per l'impugnatura che è di ebano liscio anziché zigrinato e per la lama che è leggermente ricurva.

Ufficiali della Marina Militare
Viene portata dagli Ufficiali e dagli Aspiranti della Marina Militare. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di metallo dorato; il fodero è in materiale plastico nero verniciato; la parte interna dell'impugnatura è di materiale plastico rigido di color bianco. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al di sotto della vita. La sciabola è accessorio costitutivo delle uniformi S.A.I.1, S.A.I.3, G.U.I e G.U.E.

Marescialli della Marina Militare
La sciabola è accessorio costitutivo, per il 1º Maresciallo Luogotenente, 1º Maresciallo e per i Capi di 1a, 2a e 3ª classe, delle uniformi S.A.I. 1-3, S.A.E. 1-3, G.U.I., G.U.E. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di metallo dorato e completamente lisci; il fodero è di materiale plastico nero verniciato; la parte interna dell'impugnatura è in plastica nera lucida. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al disotto della vita.

Ufficiali dell'Aeronautica Militare
Elsa: la guardia è costituita da un'ala curvata e terminante in una testa d'aquila che ne forma il pomo: il tutto è dorato e sormontato da un bottone semisferico per fissare la lama. La parte interna dell'impugnatura è liscia e assicurata con vari passi di filo di metallo dorato; per gli Ufficiali Generali detta impugnatura è in avorio, per gli Ufficiali Superiori e Inferiori è in osso nero.
Lama: di acciaio, diritta e arabescata.
Fodero: di colore nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato arabescato a sbalzo: la prima, all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità inferiore, termina nel puntale arrotondato.
Pendagli: sono formati da due strisce di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce in filo d'oro di 5 mm e una centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Vanno agganciati alla cintura dei pantaloni e devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile.
Dragona: è composta da un cordone a doppino, riunito a due terzi da un nodo da frate e portante una nappa nella parte terminale. La nappa ha un'anima rigida e si compone del gambo e della nappa vera e propria; all'estremità superiore del gambo sono fissati i due capi del cordone. La nappa, a forma ovoidale, è ricoperta da frange fisse di canutiglia dorata. Il cordone è completamente intessuto d'oro: di 8 mm per gli Ufficiali Generali, di 6 mm per gli Ufficiali Superiori. In cordone intessuto d'oro con intreccio di fili di seta azzurra di 6 mm, per gli Ufficiali Inferiori. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo scorsoio

Marescialli dell'Aeronautica Militare
Elsa: piena, liscia, dorata, con impugnatura in ebano. Lama: di acciaio, diritta. Fodero: di colore nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato: la prima, all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità inferiore, termina nel puntale. Pendagli: sono formati da due strisce di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce di 5 mm in filo d'oro con striature oblique di colore grigio azzurro e una striscia centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Agganciati alla cintura dei pantaloni, devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile. Dragona: In cordone azzurro del diametro di 6 mm, con tre filettature d'oro poste in senso longitudinale. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo scorsoio.

Ufficiali dei Carabinieri
La sciabola ha la lama ricurva (saetta di curvatura massima di 25 mm). L'impugnatura è di tipo di avorio per gli Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata), ebano per i restanti Ufficiali, con quattro scanalature nella parte interna per l'adattamento delle dita ed è rivestita esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, anch'essa di ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un incavo per il dito pollice: ha nella parte superiore un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una molla doppia nell'interno per tenere ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di ferro o di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale (da 100 a 115 cm). Gli Ufficiali che cessano di appartenere al Reggimento Corazzieri, dopo aver prestato servizio per cinque anni, sono autorizzati a fare uso della sciabola da Ufficiale dei Corazzieri.

Marescialli dei Carabinieri (a piedi)
È a lama ricurva con l'impugnatura in ebano zigrinato, avente guarnitura ricurva formata da una cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché simmetriche. Il fodero, di acciaio, è munito di due fascette con campanelle collocate l'una a 7 e l'altro a 15 cm dalla bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia) e il fodero sono nichelati.

Marescialli dei Carabinieri (a cavallo)
È lunga, con l'impugnatura in noce, munita di fodero nichelato con due campanelle, con passante che va infilato nella cintura dei pantaloni.

Brigadieri, Appuntati e Carabinieri
È lunga, con l'impugnatura in noce, munita di fodero nichelato con una campanella, con passante che va infilato nella cintura dei pantaloni.

Reggimento Corazzieri
Ha la lama dritta. L'impugnatura è di ebano liscio divisa in settori mediante spire di filo metallico argentato ritorto ed è rivestita esternamente da una cappetta di metallo nichelato. La guardia, pure in metallo nichelato, è decorata a volute di fogliame e reca, nella parte anteriore, un trofeo d'armi, nella parte inferiore un incavo per il dito pollice; la guardia della sciabola da Ufficiale è più ampia di quella del restante personale. Il fodero, leggermente curvo, è di metallo nichelato e ha un'apertura di 36 mm circa con una molla doppia per tener ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 70 mm e l'altra a circa 200 mm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm circa (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 80–100 mm e dalla parte opposta 40–50 mm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di metallo nichelato come il fodero. La lunghezza totale della sciabola è per tutti di 1.200 mm.

Tipologie
La sciabola per Ufficiale di fanteria mantiene le caratteristiche della vecchia 1888 in versione vicina a quelle in uso negli anni precedenti il secondo conflitto. Impugnatura nera a tre denti di presa, lama dritta, con lungo tallone e sgusciata sui lati, incisa ad acido e con fregi comprendenti lo stemma della Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di Cavalleria è una reinterpretazione delle sciabole di cavalleria post 1900, con impugnatura nera munita di becco, leggermente rigonfia al centro; guardia a tre larghi rami e spacchi sottili, lama dritta (a richiesta e in deroga è possibile averla ricurva), tallone lungo, sgusciata sui lati e ornata come la precedente. Fodero dritto a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale dei Bersaglieri ha la tradizionale testa di leone, munita di occhi in cristallo rosso; il bottone a forma di corona in uso nell'epoca del Regno è stato sostituito con uno cilindrico zigrinato; guardia in ottone dorato, impugnatura nera a tre denti di presa, lama e fodero analoghi a quelli per la fanteria ma più ricurvi.
La sciabola per Ufficiale dei Carabinieri ha la guardia a tre else e conchiglia per il pollice, calotta del tipo in uso già sui modelli del 1873 con bottone tondo, impugnatura in ebanite a becco, lama leggermente curva, robusta a un filo e punta, sgusciata sui lati e incisa ad acido con ornamenti a "fiamma" e stemma della Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di artiglieria a cavallo "Voloire": ispirata alla modello 1833 con guardia a tre rami larghi e spacchi sottili, impugnatura nera a settori zigrinati tipo 1855, calotta lunga, piatta e con bottone piatto ovale; lama larga, curva, sgusciata sui lati; fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale della Marina Militare: presenta un pomolo a forma di testa di leone, la guardia con ancora incrociata, munita di lembo mobile, bottone di forma cilindrica, piatto e zigrinato; calotta a testa di leone con occhi in cristallo rosso, impugnatura tipo pelle di squalo, lama dritta con lungo tallone, sgusciata sui lati, ornata come già detto; falso fodero in fibra rivestito di pelle nera, con tre fornimenti lavorati e dorati (cappa fascetta e puntale).
La sciabola per Ufficiale dell'Aeronautica militare si distingue invece per il pomolo a forma di testa d'aquila e la guardia decorata a ricordarne l'ala (e sono del pari dorati); il fodero in pelle nera con decorazioni dorate ai passanti è in stile con i motivi dell'Aeronautica Militare (aquile).
Sia in Marina Militare sia in Aeronautica Militare, la sciabola dei sottufficiali si distingue per assenza di decorazioni.
Anche dragona e pendaglio sono distinte, per ufficiali generali, ufficiali superiori, ufficiali subalterni e sottufficiali, in base a colori e particolari che variano a seconda della forza armata. Nell'Esercito Italiano, per esempio, il pendaglio per sottufficiali è azzurro con una striscia dorata al centro, a richiamare a colori invertiti il nastro del berretto rigido, mentre quello per ufficiali è color oro e quello per generali color argento; al pendaglio vengono poi applicati tanti passanti quanti quelli sul nastro del berretto rigido, a richiamo del grado. Per gli ufficiali generali, inoltre, l'impugnatura passa da nera a bianca.

Costruzione
La sciabola ha:
  • Lama monofilare ricurva, affilata sul lato convesso. L'angolo di curvatura è sempre inferiore a quello della scimitarra e manca il contro-taglio in prossimità della punta;
  • Impugnatura a una mano priva di pomolo, con guardia a bracci mai molto pronunciati, sviluppanti un para-mano o tramite coccia, integra o traforata, o tramite archetto;
  • A partire dal XIX secolo, il fodero interamente in metallo assicurato a una dragona da portarsi trasversalmente al petto.
Tipi di sciabole
  • Karabela - variante più corta della Szabla;
  • Katana - sciabola giapponese da fante;
  • Leppa - corta sciabola (50–60 cm) della Sardegna con impugnatura in corno o in legno rivestito di lamine di ottone; faceva parte del costume sardo e veniva portata infilandola entro la cintura. Reca sovente scritte come "Vincere o morire".
  • Palà - pesante sciabola persiana;
  • Pałasz - pesante sciabola a lama diritta diffusa nell'Europa Orientale, poi sostituita dalla shashka;
  • Sciabola d'abbordaggio;
  • Shashka - pesante sciabola caucasica con lama solo leggermente curva;
  • Szabla - sciabola ungaro-polacco a lama lunga (85 cm) e larga che funse da archetipo per lo sviluppo delle sciabole europee a lama ricurva;
  • Tachi - sciabola giapponese;
  • Wakizashi - corta sciabola giapponese da fante.


mercoledì 24 ottobre 2018

Ikigai

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L'ikigai (生き甲斐) è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "ragione di vita", "ragion d'essere".

Significato del termine

Nella zona di Okinawa l'ikigai è visto come "una ragione per svegliarsi al mattino". La parola può inoltre indicare una persona di cui si è profondamente innamorati.
Tutti, secondo la cultura giapponese, avrebbero il proprio ikigai. Trovare quale sia la ragione della propria esistenza richiede però una ricerca interiore che può spesso essere lunga e difficile. Tale ricerca viene considerata molto importante e la sua conclusione positiva porta alla persona una profonda soddisfazione.
Oltre che aspetti positivi per chi segue il proprio 'ikigai possono esserci anche aspetti negativi: coloro che vivono la vita con estrema passione rischiano infatti di esserne consumati sino alla degradazione.

martedì 23 ottobre 2018

Sakugawa Kanga

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Sakugawa Teruya Kanga (佐久川親雲上寛賀, Sakugawa Teruya Kanga; 1733 – 1815) è stato un karateka giapponese.
Originario di famiglia nobile, fu spesso capo delle delegazioni inviate in Cina per il pagamento dei tributi; da questi viaggi tornò con una approfondita conoscenza del Kempo.
Con tutta probabilità fu il primo maestro a tentare la sistematizzazione del Tode, termine da lui coniato per individuare l'arte del combattimento a mano vuota, quindi più che tutto ebbe una fama leggendaria per il suo influsso nell'evoluzione del Karate. È ritenuto il maestro di Sokon Matsumura, purché non esistano prove certe che confermino questa tesi.

lunedì 22 ottobre 2018

Buddhismo Tendai

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Il Buddhismo Tendai (天台宗, Tendai-shū) è una scuola giapponese del Buddhismo Mahāyāna. Fondata da Saichō, discende della scuola buddhista cinese Tiāntái (天台宗, Tiāntái zong, Wade-Giles: T'ien-t'ai tsung), anche conosciuta come scuola del Sutra del Loto e fondata da Zhìyǐ (智顗) nel VI secolo.

Storia

I primi insegnamenti Tiāntái (天台宗) furono trasferiti in Giappone intorno alla metà dell'VIII secolo dal monaco cinese Jiànzhēn (鑑眞, giapp. Ganjin; 688-763) patriarca della scuola Ritsu (律宗 Ritsu shū).
Nell'805, il monaco giapponese Saichō (最澄, fondatore del Buddhismo Tendai e noto anche con il titolo postumo di Dengyō Daishi (傳教大師, cin. Chuánjiào Dàshī; 767-822) ritornò dalla Cina con ulteriori insegnamenti cinesi del Tiāntái e fece del tempio che aveva precedentemente eretto sul Monte Hiei (比叡山, giapp. Hieizan), denominato nell'823 come Enryaku-ji (延暦寺), un centro per lo studio e per la pratica di quello che divenne il Tendai, la versione giapponese della scuola cinese Tiāntái.
La scuola Tendai fondata da Saichō, seppur non deviando dal punto di vista dottrinale dalla scuola cinese Tiāntái, conserva delle importanti integrazioni con gli insegnamenti di altre scuole buddhiste. Saichō, infatti, riportò dalla Cina anche insegnamenti Chán, sia della scuola Beizōng (北宗, Chan settentrionale) che della scuola Niútóuchán (牛頭宗, Niútóu zōng, giapp. Gozu shū, scuola della Testa di Bufalo, fondata da Fǎróng, 法融, 594-657), e soprattutto insegnamenti esoterici (密教 mikkyō) della scuola Zhēnyán (眞言宗, Zhēnyán zōng, giapp. Shingon).
La tendenza ad includere via via una serie di insegnamenti di altre dottrine buddhiste, soprattutto esoterici (mikkyō) derivati dallo Shingon, divenne più marcata negli sviluppi del Tendai da parte dei successori di Saichō, come Ennin (圓仁, 794-864) ed Enchin (圓珍, 814-891).
Nei suoi primi secoli di vita la scuola Tendai fiorì sotto il diretto patronato della famiglia imperiale, divenendo dunque la forma più importante del Buddhismo giapponese, generando a sua volta buona parte delle scuole giapponesi tutt'oggi esistenti. Nichiren (日蓮, 1222-1282), Hōnen (法然, 1133-1212), Shinran (親鸞, 1173-1263), Eisai (榮西, 1141-1215) e Dōgen (道元, 1200-1253) – fondatori di alcune importanti scuole buddhiste giapponesi rispettivamente della Nichiren shū (法華宗), Jōdo shū (浄土宗), Jōdo shin-shū (浄土真宗), Zen Rinzai-shū (臨濟宗) e Zen Sōtō shū (曹洞宗), erano infatti tutti monaci ordinati nei monasteri Tendai. A causa del patronato imperiale e della sua popolarità sempre più crescente fra i ceti aristocratici, la scuola Tendai divenne politicamente e militarmente potente. Durante il Periodo Kamakura (鎌倉時代, Kamakura-jidai, 1185-1333), il Tendai utilizzò il suo potere per tentare di sopprimere la sviluppo di scuole antagoniste in particolar modo della Nichiren-shu che iniziava a diffondersi presso la borghesia e della Jōdo shū che si diffondeva presso le classi più povere. L'Enryaku-ji, il potente tempio costruito sul Monte Hiei, divenne un centro non solo frequentato da monaci asceti ma anche da brigate militari di monaci guerrieri (gli sōhei, 僧兵) che lottavano nell'interesse del tempio. Nel 1571 Enryaku-ji fu distrutto e i suoi monaci massacrati da Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) in un progetto politico-militare testo alla riunificazione del Giappone. Il tempio Enryaku-ji fu ricostruito più tardi e continua a rappresentare oggi il maggiore tempio della scuola Tendai.

La dottrina dell'enyū santai (圓融三諦) e il Sutra del Loto (妙法蓮華經)

Il Tendai conserva molti insegnamenti della scuola Tiāntái cinese fondata nel VI sec. da Zhìyǐ. In particolar modo si fonda sulla dottrina della Triplice verità (giapp. enyū santai, cin. 圓融三諦 yuánróng sāndì), un originale sviluppo cinese della scuola madhyamaka indiana fondata da Nāgārjuna. Questa dottrina sostiene che dal punto di vista della Verità assoluta (sans. paramārtha-satya o śūnyatā-satya, cin. 空諦 kōngdì, giapp. kūtai) tutta la Realtà che ci appare è vuota di proprietà inerente: essa è impermanente dal punto di vista temporale e, nel contempo, non c'è un fenomeno che non dipenda dagli altri fenomeni. Questa vacuità (sans. śūnyatā, cin. kōng, giapp. ) della Realtà si poggia tuttavia sulla Verità convenzionale (sans. saṃvṛti-satya, cin. 假諦 jiǎdì, giapp. ketai) dove i singoli fenomeni vengono percepiti nella loro singolarità. La sintesi esperienziale di queste due Verità, apparentemente contraddittorie, porta alla realizzazione della terza verità, la Verità di mezzo (sanscrito mādhya-satya, cin. 中諦 zhōngdì, giapp. chūtai).
Il Tendai sostiene, inoltre, che essendo tutti gli esseri espressioni della natura di Buddha (sans. buddhatā, tathāgatagarbha, cin. 佛性 fóxìng, giapp. busshō) che soggiace all'intera Realtà, il Buddha Śākyamuni non era che una manifestazione realizzata di questa natura. Tale natura di Buddha è realizzabile da tutti gli esseri mediante l'Illuminazione (sanscrito bodhi, cin. 菩提 pútí, giapp. bodai) in questo corpo e in questa vita.
Come per il Tiāntái anche per il Tendai, il Sutra del Loto (sanscrito Saddharmapundarīkasūtra, giapp. 妙法蓮華經 Myōhō renge kyō o Hokkekyō) è il testo che conserva gli insegnamenti più profondi e completi della dottrina buddhista (dottrina perfetta, giapp. engyo). Altra caratteristica del Tendai è quello di risultare sincretico nelle dottrine e nelle pratiche e ha teso, lungo i secoli, ad assorbire ed elaborare numerosi insegnamenti buddhisti. Coerentemente con alcuni insegnamenti dell'antico Buddhismo dei Nikāya, la scuola Tendai consente ai propri seguaci giapponesi di fare offerte alle divinità locali (, Kami) proprie dello Shintoismo viste anch'esse nella propria natura di Buddha.
Infine l'insegnamento Tendai, per cui il mondo fenomenico e mondando se ben compreso alla luce della Triplice Verità non è distinto dal Dharma buddhista in quanto tutte le cose e tutta la Realtà additano all'Illuminazione, lascia spazio alla riconciliazione dell'estetica, e della vita ordinaria, con più ascetici insegnamenti buddhisti. La poesia, ad esempio, può essere considerata come un mezzo che conduce al perfezionamento spirituale. La contemplazione della poesia è semplicemente contemplazione del Dharma. Ciò può essere affermato per ogni altra forma d'arte, di studio e di attività.

La dottrina dell'ichinen sanzen (一念三千)

La lettura del Sutra del Loto alla luce della elaborazione, di impronta madhyamaka, della Triplice verità porta la scuola Tendai (come già la scuola Tiāntái) ad elaborare la dottrina dello ichinen sanzen ("tremila mondi in un istante di vita", cin. 一念三千 yīniàn sānqiān ). Questa dottrina esprime un complesso olismo e omnicentrismo radicale che caratterizza l'unicità dell'insegnamento Tiāntái e Tendai nel panorama delle dottrine buddhiste. Essa sostiene che, dal punto di vista del pensiero, tutti i mondi (le singole esperienze e la individuazione dei singoli oggetti di esperienza) esistono certamente, ma la pratica meditativa consente di scorgerne la loro ambiguità, la loro indeterminatezza. Essi esistono solo in quanto la mente li delimita in modo arbitrario sia dal punto di vista spaziale che da quello temporale. Visti nella loro continuità temporale e nel loro condizionamento reciproco questi 'mondi' non possono essere considerati che 'vuoti', privi di una identità inerente. Ma il pensiero, ovvero la vita, non si accontenta della loro vacuità, soffrendo d'altro canto per la loro incostante 'esistenza' (ogni fenomeno appare, esiste e scompare): è l'ambiguità di questi 'mondi' a generare la sofferenza negli esseri senzienti (sanscrito sattva, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō) ed è il continuo esercizio di consapevolezza (pratica dello shikan, 止觀) sulla dottrina dello ichinen sanzen che può portare la salvezza da questa condizione.
Le realtà possibili in un solo pensiero (sans. eka-kṣaṇa, cin. 一念 yīniàn, giapp. ichinen) indicati in questa dottrina, sono tremila (sanscrito tri-sāhasra, cin. 三千 sānqiān, giapp. sanzen) in quanto inglobano tutte le condizioni esperibili: 10 sono le condizioni esistenziali (Dieci mondi, 十界 cin. shíjiè, giapp. jùkai) che vanno dalla condizione infernale (sanscrito apāya-bhūmi, 地獄 cin. dìyù, giapp. jigoku) allo stato di Buddha (cin. , giapp. butsu), tali condizioni esistenziali vanno moltiplicate per se stesse in quanto tutte queste condizioni, da quella infernale a quella buddhica, implicano potenzialmente le altre nove esistenze al loro stesso interno. Queste cento potenziali esistenze vanno poi moltiplicate per le 10 talità (vera natura dei dharma, sans. tathātā , 如是實相 cin. rúshì shíxiàng, giapp. nyoze jissō) indicate nel Sutra del Loto e che corrispondono a: caratteristiche, natura, essenza, forza, azione, causa, condizione, retribuzione, frutto e uguaglianza di tutte queste talità tra loro. Questi mille dharma vanno poi moltiplicati per i tre mondi (sans. loka, cin. shì, giapp. se) ovvero per i cinque aggregati (sans. pañca skandha, 五蘊 cin. wǔyùn, giapp. goun), per gli esseri costituiti dai cinque aggregati (sanscrito sattva, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō) e per il luogo in cui essi vivono (sanscrito talima, cin. , giapp. ji), raggiungendo il numero di tremila mondi (sanscrito tri-sāhasra, cin. 三千 sānqiān, giapp. sanzen).
La vita può manifestarsi in queste tremila condizioni cambiando costantemente anche a seconda dei vissuti della mente, ma questi tremila mondi sono, per la dottrina Tiāntái, tutti immancabilmente vuoti (sans. śūnyatā, cin. kōng, giapp. ) e non sono né esistenti né non esistenti.

La dottrina dell'hongaku (本覺)

Altro elemento dottrinario tipico della scuola Tendai è la concezione dell'hongaku (本覺, illuminazione originaria) che, seppur già presente nel Dàshéng qǐxìn lùn (大乘起信論, giapp. Daijō kishin ron, Il risveglio nella fede del Mahayana), sutra di probabile origine Huáyán (華嚴宗,Huáyán zōng), fu ulteriormente sviluppato dai monaci del Monte Hiei alla luce della Triplice Verità e del Sutra del Loto. Tale attenzione su questa particolare dottrina deriva probabilmente dal fatto che lo stesso fondatore del Tendai, Saichō, era un monaco Kegon, ovvero seguace della scuola che rappresentava la versione giapponese dello Huáyán cinese. È molto probabile che Saichō, prima di ritirarsi sul Monte Hiei, ebbe modo di studiare il Dàshéng qǐxìn lùn e il suo commento Dàshéng qǐxìn lùn yìjì (大乘起信論義記, giapp. Daijō kishinron giki T.D. 1846.44.240-287), opera del patriarca cinese Huáyán, Fāzàng (法藏, 643–712).
La dottrina dell'hongaku (hongaku-shiso) sostiene che ogni cosa possiede una illuminazione intrinseca, originaria (giapp. hongaku), unitamente all'illusione (不覺 fugaku, che dipende tuttavia strettamente dall'hongaku) e che la relazione tra queste due può produrre l'illuminazione realizzata (始覺, shigaku). Tale dottrina vuole radicalizzare la vacuità (śunyātā, giapp. ) anche nella percezione dell'illuminazione che non deve essere mai distinta dall'illusione pena la creazione di una discriminazione tra le due e quindi una ricaduta nell'illusione discriminante così criticata da Nāgārjuna e da Zhìyǐ. Quindi per il Tendai tutti gli aspetti duali del mondo poggiano in realtà, sempre e comunque, sulla non-dualità. Il mondo va sempre affermato come espressione stessa della buddhità. Non c'è altra illuminazione al di fuori del mondo e delle sue apparenze. Così Ennin nel Shoji kakuku sho (Vita e morte come illuminazione): "Il meraviglioso giungere del non giungere, la vera, la vera vita della non vita, il perfetto andare del non andare, la grande morte della non morte, l'unità di vita e morte, la non dualità di vacuità ed esistenza". Un brano che riecheggia lo Yuándùn zhǐguān (圓頓止觀, giapp. Endon shikan) del patriarca cinese di scuola Tiāntái, Guàndǐng (灌頂, 561-632), quando, già nel VI secolo, affermava: "Poiché tutti gli aggregati e le forme di sensibilità sono la realtà così come è, non c'è alcuna sofferenza da cui liberarsi. Poiché la nescienza e le afflizioni sono identiche al corpo illuminato, non c'è alcuna origine della sofferenza da sradicare. Poiché i due punti di vista estremi sono il Mezzo e le visioni erronee sono la Verità, non c'è alcun percorso da praticare. Poiché il saṃsāra è identico al nirvāṇa, non c'è alcuna estinzione della sofferenza da realizzare". La concezione dell'hongaku venne ripresa, seppur in modo critico, sia negli insegnamenti di Dōgen (fondatore dello Zen Sōtō) che da quelli di Nichiren (fondatore del Buddhismo Nichiren).

Le dottrine del taimitsu (台密)

A differenza di Zhìyǐ e dei maestri cinesi del Tiāntái, Saichō proclamò l'equivalenza tra le pratiche meditative e dottrinali Tiāntái e il Buddhismo esoterico (密教 Mikkyō) da lui appreso in Cina dal maestro di scuola Zhēnyán (眞言宗), Shunxiao (順曉, n.d.) e, in Giappone, dal fondatore della scuola Shingon (真言宗 Shingon-shū), Kūkai (空海, 774-835) e che ha fondamento nel Mahāvairocanāsūtra o Mahāvairocanābhisaṃbodhi-vikurvitādhiṣṭhāna-vaipulyasūtra (Il sutra di Mahavairocana, 大日經 cin. Dàrì jīng, giapp. Dainichikyō). Tale equivalenza era stabilita da Saichō anche sul piano della salvezza personale la quale, seguendo una di queste due vie, poteva realizzarsi in questa stessa vita (sokushin jobutsu). Tali vie rappresentavano delle vie immediate (直道 jikidō, cin. zhídào) all'illuminazione (bodai). Tuttavia Saichō, differentemente da Kūkai che riteneva l'esoterismo prevalente sulla dottrina e la meditazione, non ritenne superiore una via sull'altra. Ennin (圓仁, 794-864) quarto patriarca Tendai, recatosi in Cina nell'838, dove risiedette per otto anni sul Monte Wǔtái (五臺山, oggi nella provincia dello Shanxi), tornò in Giappone portando con sé le dottrine del nembutsu (念佛) e ulteriori dottrine esoteriche che denominò taimitsu (台密) per distinguerle da quelle denominate tōmitsu (東密) di derivazione Shingon. Ennin eseguì rituali taimitsu al cospetto della Corte imperiale e ciò permise al Tendai di superare in popolarità lo stesso esoterismo dello Shingon. Il successore di Ennin, Enchin (圓珍, 814-891), recatosi anche lui in Cina nell'852, dove risiedette sui Monti Tiāntái e a Chang'an per sei anni, tornò con ulteriori insegnamenti che permisero al Tendai di superare definitivamente in popolarità lo Shingon, consentendo inoltre al monastero Miidera (三井寺, conosciuto anche come 園城寺 Onjoji), di cui Enchin era abate, di essere affiliato direttamente all'Enryaku-ji. Morto Ennin, nell'868 Enchin divenne abate dell'Enryaku-ji e quinto patriarca Tendai.

Le sottoscuole Jimon (持門) e Sanmon (山門)

Dopo la morte di Ennin e di Enchin, nel corso del IX e del X secolo la scuola Tendai crebbe in numero di seguaci e di templi diffusi in tutto il Giappone. Presto tra i due templi principali, l'Enryaku-ji e il Miidera si avviarono dei conflitti inerenti alla preminenza. Il primo si designò come Sanmon (山門, Ordine della montagna, con riferimento al Monte Hiei) rivendicando Ennin come punto di riferimento, il Miidera si denominò Jimon (持門, Ordine del tempio, con riferimento al tempio Miidera) indicando Enchin come capostipite. La nomina di abate Tendai poteva venire da ambedue le sottoscuole, ma il fatto che tale nomina riguardò fino al 989 solo la Sanmon fu motivo di rivalsa per l'altra scuola. Ambedue le scuole arrivarono a confrontarsi con dei conflitti armati, istituendo la figura dei sōhei, monaci guerrieri pronti ad uccidere e ad incendiare i templi delle altre fazioni. La nomina ad abate di Ryōgen (良源, 912-985) nel 966, il quale cercò di restituire la dignità religiosa di un tempo alla scuola Tendai, ristabilendo principi e precetti, fu tuttavia destinata al fallimento. Così la nomina ad abate, nel 989, di Yokei (余慶, 919–991). appartenente alla scuola Jimon fu causa di ulteriori conflitti che finirono, nel 993, per procurare una divisione nella scuola Tendai dove la sottoscuola Jimon elevò il Miidera a sua sede principale, lasciando il Monte Hiei. Le due scuole finirono più volte anche nell'allearsi per guerreggiare con gli sōhei della scuola Hossō. Occorrerà aspettare il periodo Kamakura per un risveglio spirituale del Tendai, quello che poi porterà numerosi monaci di questa scuola a fondare nuove scuole. Tra questi monaci vanno ricordati: Eisai, Dōgen, Hōnen, Shinran e Nichiren, tutte figure religiose che risentiranno profondamente delle dottrine insegnate sul Monte Hiei.

La pratica dello shikan (止觀)

Alla base delle pratiche meditative della scuola Tendai si pone la tecnica dello shikan (止觀), che si riferisce alla tecnica meditativa indiana del śamatha-vipaśyanā così come insegnata nella scuola buddhista cinese Tiāntái la quale a sua volta fa particolare riferimento alle opere Móhē Zhǐguān (摩訶止觀, Grande trattato di calma e discernimento, giapp. Maka Shikan, T.D. 1911) e Tóngméng Zhǐguān (童蒙止觀, Trattato di calma e discernimento per principianti; in giapponese 小止観 Shō Shikan, Piccolo trattato di calma e discernimento; T.D. 1915) di Zhìyǐ dove questa pratica meditativa viene descritta. Tale pratica meditativa permetterebbe, secondo questa scuola, di penetrare la Triplice verità (giapp. enyū santai) e raggiungere l'illuminazione (sans. bodhi, giapp. bodai) risolvendo tutte le ambiguità della propria presenza nel mondo senza dover rinviare tale risposta ad una divinità trascendente (sans. deva, giapp. tennin (天人); critica già operata nel Buddhismo dei Nikāya), senza dover rifuggire il mondo delle illusioni e della vita ordinaria (sans. saṃsāra, giapp. 輪廻 rinne; critica nei confronti del Buddhismo Hīnayāna) e senza dover contemplare la vacuità della Verità assoluta rinunciando alla propria soggettività (critica ad alcune scuole del Mahāyāna). Lo shikan prevede l'applicazione costante e coordinata dei suoi due aspetti (śamatha e vipaśyanā) in quanto, sostiene Zhìyǐ): «Praticare la concentrazione soltanto senza tenere in considerazione il discernimento produce ottusità, praticare il discernimento senza tenere in considerazione la concentrazione produca infatuazione, e anche se questi sono difetti relativamente minori, contribuiscono a generare opinioni errate». Quindi secondo Zhìyǐ bisogna praticare il śamatha-vipaśyanā (shikan) insieme: «similmente alle due ruote del carro e alle due ali di un uccello. Praticarli parzialmente è male». Inoltre lo «shikan - sostiene ancora Zhìyǐ- è facile da predicare ma molto difficile da praticare».

La disciplina monastica nel Tendai

Dal punto di vista della disciplina monastica, la scuola Tendai (come anche le scuole Zen) segue solo i 58 precetti mahayana indicati nel Brahmājālasūtra (cin. 梵網經 Fànwǎng jīng, giapp. Bonmō kyō). In questo si differenzia dalla scuola cinese Tiāntái che invece segue la doppia ordinazione, quella del vinaya Dharmaguptaka, il Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici regole della disciplina, 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu) e quella indicata nel Brahmājālasūtra. Tale scelta Tendai origina dal suo stesso fondatore, il monaco Saichō che pur avendo ricevuto lui stesso la doppia ordinazione nel tempio Tōdai-ji (東大寺) decise di impartire solo quella mahāyāna ai suoi successori.

Il lignaggio Tendai

  • Patriarchi cinesi del Tiāntái: 1. Huìwén (慧文, V sec.) 2. Huìsī (慧思, 515-577) 3. Zhìyǐ (智顗, 538-597) 4. Guàndǐng (灌頂, 561-632) 5. Zhìwēi (智威?-680) 6. Huìwēi (慧威, 634-713) 7. Xuánlǎng (左溪, 673-754) 8. Zhànrán (湛然, 711-782) 9. Dàòsuì (道邃, n.d.).
  • Patriarchi (座主, zasu) giapponesi: 1. Saichō (最澄, 767-822) 2. Gishin (義眞, 781–833) 3. Encho (圆澄, 771-836) 4. Ennin (圓仁, 794-864) 5. Enchin (圆珍, 814 – 891)




domenica 21 ottobre 2018

Vaiśravaṇa

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Vaiśravaṇa — dal sanscrito "colui che ode distintamente", pāli Vessavaṇa, cinese Weishamen-tian (畏沙門天, Wèishāmén Tiān) o Duowen-tian (多聞天, 多闻天, Duō Wén Tiān), giapponese Tamon-ten (多聞天) o Bishamon-ten (畏沙門天), coreano Damun Cheonwang (다문천왕), tibetano rnam.thos.sras — è il più importante dei Quattro Re Celesti del Buddhismo, equivalente del dio induista Kubera.

Attributi

La figura di Vaiśravaṇa è basata sulla divinità indù Kubera, ma ha assunto nella tradizione buddhista caratteristiche ed epiteti autonomi, con propri significati e propri miti; inoltre, in molti paesi anche non a maggioranza buddhista, la sua figura è stata assimilata dalla religione popolare, generando culti e miti locali.

Buddhismo Mahāyāna

Nel buddhismo Mahāyāna, Vaiśravaṇa è il guardiano del Nord, ed ha dimora nel quadrante nord dello strato più alto della parte inferiore del Monte Sumeru, da dove regna sugli yakṣa che abitano le pendici del Monte Sumeru.
È spesso ritratto con la faccia giallastra, con un ombrello o parasole (chatra, simbolo di regalità), talvolta al fianco di una mangusta (che si ciba di serpenti, simbolo di avidità e odio), e spesso con gioielli che fuoriescono dalla sua bocca (simbolo di generosità).

Buddhismo Theravāda

Nel Canone Pali della tradizione Theravāda, Vaiśravaṇa è indicato col nome "Vessavaṇa", e regna, come membro dei Quattro Re Celesti (Cātummahārājāno), il quadrante Nord; secondo alcuni sutta, il suo nome deriva dal regno di Visāṇa. Vessavaṇa governa inoltre sul popolo degli yakkha. La sua famiglia è composta dalla moglie Bhuñjatī, e da cinque figlie, Latā, Sajjā, Pavarā, Acchimatī, e Sutā; ha anche un nipote yakkha, Puṇṇaka, sposo della nāga Irandatī. Il suo carro è chiamato Nārīvāhana, e la sua arma era il gadāvudha (in sanscrito gadāyudha), ma vi ha rinunciato aderendo alla fede buddhista.
Secondo alcune versioni, "Kuvera" (sanscrito Kubera) era il suo nome nella sua vita mortale, in cui era un ricco brahmino che diede in beneficenza tutta la produzione di uno dei suoi sette mulini, garantendo il sostentamento dei bisognosi per i successivi ventimila anni; come ricompensa per il buon kamma (sanscrito karma) si reincarnò nel paradiso Cātummahārājikā.
Secondo un'altra tradizione, Vessavaṇa non è un nome di persona ma un titolo vitalizio, concesso di volta in volta a un mortale, ma essendo questi un abitante del Cātummahārājika la sua aspettativa di vita è di circa 90.000 anni (secondo altre fonti fino a nove milioni di anni); il Vessavaṇa di turno è incaricato di assegnare agli yakkha i luoghi da proteggere sulla terra (ad esempio laghi o foreste). Secondo alcuni, il posto di Vessavaṇa è occupato dallo yakkha Janavasabha, reincarnazione del re di Magadha Bimbisāra.
Alla nascita di Gautama Buddha, Vessavaṇa divenne suo seguace, giungendo allo stadio di sotāpanna (sanscrito srotaāpanna), cioè a sole sette reincarnazioni dall'illuminazione. Spesso agiva come intermediario portando al Buddha messaggi da parte delle divinità, ma anche da protettore; ad esempio insegnò al Buddha e ai suoi seguaci i versi Āṭānāṭā, che i buddhisti in meditazione nelle foreste possono usare per proteggersi dagli attacchi degli yakkha e delle altre creature soprannaturali.
Agli inizi del buddhismo, a Vessavaṇa erano dedicati come altari degli alberi, ed era venerato da coloro che desideravano concepire figli.

Buddhismo tibetano

In Tibet, Vaiśravaṇa è considerato un dharmapāla, cioè protettore della fede (dharma), oltre al suo ruolo classico di Re del Nord, ed è anche una divinità della ricchezza.
Le sue rappresentazioni si trovano spesso sugli ingressi dei templi; in esse regge un cedro, frutto del jambhara, il cui nome rimanda ad un altro suo nome, Jambhala (pronunciato come Zambala in tibetano) e che aiuta a distinguere le sue raffigurazioni da quelle di Kubera. Inoltre spesso è rappresentato come corpulento e ricoperto di gioielli, e quando è raffigurato seduto il suo piede destro è a terra poggiato su un fiore di loto insieme a una conchiglia.
Secondo i buddhisti di scuola tibetana l'associazione di Jambhala con la ricchezza è un mezzo per portare alla liberazione, fornendo prosperità in modo da consentire di concentrarsi sul cammino della spiritualità invece che sulle problematiche materiali.



Giappone

In Giappone, Bishamonten (anche solo "Bishamon") è un dio della guerra e dei guerrieri, punitore dei malvagi, tradizionale custode dei templi shinto, generalmente rappresentato in armatura, con una lancia in una mano ed intento a sorreggere con l'altra mano una pagoda dorata rappresentante il forziere divino, il cui contenuto egli al contempo protegge e distribuisce.
È anche noto come Tamonten (anche solo "Tamon"), che significa "colui che ascolta molti insegnamenti", poiché è considerato protettore dei luoghi in cui il Buddha ha predicato. La sua dimora è a metà delle pendici del Monte Sumeru.
Nello Shintō, egli è una delle Sette Divinità della Fortuna.



sabato 20 ottobre 2018

Karuta

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Karuta (かるた) è un nome generico che in Giappone designa sia i mazzi di carte tradizionali sia vari giochi con le carte.
La storia del karuta è ampiamente documentata nel Museo Municipale delle Carte da Gioco Miike a Omuta, nella prefettura di Fukuoka, dove esiste una mostra permanente della storia delle carte in Giappone.

Storia

Le carte da gioco vennero introdotte in Giappone alla metà del XVI secolo dai mercanti portoghesi durante gli scambi commerciali, karuta è la deformazione della parola europea che designa le carte.
In precedenza erano diffusi sul territorio giochi da tavolo di diverso genere, quasi tutti di origine cinese, come il domino, che sopravvissero fino alla fine del XVIII secolo. Vi erano inoltre altri giochi di sviluppo locale fatti con le conchiglie o i sassi, risalenti al periodo Kamakura, tra questi ultimi alcuni, come l'iroha karuta, furono gradualmente adattati alle carte a metà del XVII secolo.
La progressiva introduzione tra la popolazione dei giochi di carte e il seguente periodo di isolamento del Giappone durante lo shogunato Tokugawa, caratterizzato dall'isolamento derivante dalla politica separatista detta Sakoku, comportò una separazione del paese dal resto del mondo occidentale e fece sì che la configurazione originale del mazzo e dei semi, che fu bandita proprio durante lo shogunato, si modificasse progressivamente, divenendo più affine alla cultura nipponica. Questo fenomeno provocò una significativa divergenza tra i mazzi e i giochi praticati, ovvero tra quelli che usavano le carte di derivazione portoghese, diversi dall'originale, ma ad essi rassomiglianti, e quelli sviluppati completamente ex-novo, questi ultimi erano definitivi eawase (絵合 lett. "Gara artistica").

Karuta di derivazione portoghese

Mekuri Karuta

Si tratta del primo mazzo "autoctono" sviluppato in Giappone, esso deriva dal cosiddetto mazzo Taisho, così denominato a seguito del periodo di introduzione (1573-1592), quest'ultimo era stato realizzato a partire da quello portoghese e prevedeva un set di semi composto da coppe, bastoni, denari e spade e dalle tre figure umane.
Con la proibizione da parte dello Shogun del mazzo occidentale, venne sviluppato un complesso sistema di simboli astratti differenti dai semi occidentali, ma che fossero ad esso associabili, questi mazzi e simboli eranodetti mekuri karuta.
Quasi tutti i mazzi sviluppati con questi simboli sono andati persi durante il XX secolo perché non più utilizzati, si ha traccia solo di:
Komatsufuda (小松札)
perché ancora utilizzato nel gioco del kakkuri, praticato a Yafune, nella prefettura di Fukui.
Kabufuda (株札)
simile al precedente e utilizzato principalmente nei giochi d'azzardo, in quest'ultimo solo i 10 sono figure, mentre tutte le altre carte sono simboli astratti. Uno dei giochi ancora praticati con questo mazzo è oicho-kabu.

Unsun Karuta

Questo mazzo composto da 75 carte venne sviluppato alla fine del XVII secolo come derivazione dei mazzi portoghesi. È molto somigliante all'originale, con gli stessi semi di coppe, bastoni, spade e denari, ciascuno dei quali possiede 15 carte per seme di cui 6 figure; particolarità del mazzo è di avere delle carte con dei draghi, questa caratteristica deriva dai mazzi originari portoghesi, dove l'asso era raffigurato con un dragone, nel mazzo Unsun, però, assi e draghi sono due carte distinte. Il valore delle carte varia a seconda del gioco che si sta praticando.
Il mazzo unsun karuta è ancora utilizzato, in particolare a Hitoyoshi, nella prefettura di Kumamoto, dove è tutt'oggi praticato un gioco di carte denominato hachinin-meri, derivante dal Guritipau un gioco analogo a Ombre; tutti questi giochi seguono delle regole particolari che si pensa risalgano agli albori dei giochi di carte e sono comuni ai più antichi.
Giochi praticati: hachinin-meri

Harifuda

Il mazzo Harifuda (張札) è composto da un set di 7 semi numerati con numeri cinesi da 1 a 6 per un totale di 42 carte. Viene utilizzato per giochi di intuito e fortuna nei quali il giocatore cerca di indovinare quale carta abbia l'avversario in mano o nel proprio mazzo.

Hanafuda

Il mazzo hanafuda (花札 lett. "Mazzo dei fiori") a volte chiamato anche hanakaruta (lett. "Carte dei fiori") è un complesso set sviluppato a partire da quello originale portoghese. Anziché avere 4 semi ne ha 12 e per ogni seme ci sono 4 carte per un totale di 48.
I 12 semi rappresentano i mesi dell'anno e hanno come seme un albero o un fiore, si gioca facendo degne accoppiate tra vari tipi di semi, tra le carte con nastri oppure quelle con poesie secondo una complessa tabella di abbinamenti.
Giochi praticati: koi-koi.

Eawase Karuta

Uta karuta

Il mazzo uta-karuta (歌ガルタ lett."Carte delle poesie"), a volte scritto anche uta-garuta è un mazzo composto da carte che rappresentano le 100 uta (poesie) scritte sottoforma di tanka (ovvero composte da cinque versi per un totale di trentuno sillabe) dell'Hyakunin Isshu.
Il mazzo uta karuta è quindi composto da 200 carte, le carte di lettura, contenenti il primo pezzo della poesia sono dette yomifuda (読札), mentre le seconde tra cui deve scegliere il giocatore sono dette torifuda (取り札).
L'origine dell'Uta Karuta risale ai primi del Seicento e si tratta di un adattamento di un gioco preesistente chiamato uta awase (lett. "Combinazione di poesie"), praticato dalla nobiltà tramite conchiglie marine su cui era dipinto il testo di una poesia, i versi rimanenti erano su una seconda, la quale nel gioco doveva essere correttamente combinata con la prima.
L'introduzione del legno e della carta come supporti ha contribuito molto alla diffusione del mazzo e del gioco omonimo che viene praticato in tutto il Giappone soprattutto a Capodanno; persino le scuole ne indicono spesso dei tornei. Le carte contenenti i finali delle poesie vengono sparse davanti ai giocatori mentre le altre le raccoglie un lettore che le legge una alla volta, prendendole a caso. Il primo giocatore che prende tra le carte sparse quella che contiene la fine della poesia che il lettore sta leggendo, si aggiudica la carta. Vince chi alla fine è riuscito ad accaparrarsi più carte.
Esistono vari campionati di uta karuta in tutto il Giappone, compreso uno nazionale che si svolge ogni gennaio al Tempio di Omi, un tempio shintoista situato a Otsu, nella prefettura di Shiga.
Giochi praticati:
  • uta karuta;
  • bouzu mekuri (坊主めくり);
  • iro kamuri;

Varianti

Ita karuta
Ita karuta (板かるた) è un mazzo, variante del uta karuta, che viene utilizzato solo in Hokkaidō e nel quale le torifuda sono realizzate in legno. Viene utilizzato per giocare a shimo-no ku karuta dove, al contrario del gioco tradizionale, viene letta la seconda parte delle poesie e si deve scegliere correttamente la prima.

Iroha Karuta

Il mazzo di roha karuta (いろはかるた lett. "Carte sillabiche") contiene 96 carte, 48 contengono un proverbio, le altre 48 contengono una scenetta che rappresenta il proverbio, con in alto la sillaba iniziale. Sono rappresentate tutte le sillabe della filastrocca (irohanihoheto chirinuruwo wakayotareso tsunenaramu uwinookuyama kefukoete asakiyumemishi wehimosesu) che i giapponesi usano ancora oggi per imparare l'alfabeto sillabico hiragana, più la sillaba cinese KYÔ. La filastrocca e le carte, essendo di origini antiche, seguono un ordinamento diverso da quello odierno, detto, appunto, iroha, contiene inoltre 2 sillabe ormai desuete nel giapponese moderno: wi () e we (). Ogni sillaba è l'iniziale di uno dei proverbi. Le carte con la frase scritta vengono distribuite tra i giocatori. Uno di essi scoprirà una alla volta le carte con i disegni. Chi possiede il proverbio corrispondente alla scenetta sorteggiata, dovrà recitarlo ad alta voce. Perde chi rimane con l'ultima carta in mano.
Le varianti dell'iroha karuta che si trovano in giro per il territorio Giapponese fanno riferimento ai vari dialetti locali nei quali si pronuncia e scrivono i proverbi di riferimento.
Giochi praticati:
  • Kamigata (la più antica, soppiantata poi dalla Edo)
  • Edo (la variante più diffusa e conosciuta)
  • Owari (in voga alla fine del XIX secolo, ormai desueta e soppiantata dalla Edo)

Varianti

Obake karuta
Questa variante ormai desueta dell'iroha karuta era diffusa solamente nell'area di Tokyo, le sue carte contenevano le sillabe dell'hiragana e raffiguravano elementi della mitologia giapponese tradizionale (il suo nome significa infatti "carte dei mostri"). In questa variante la vittoria va a chi riesce a collezionare più carte possibili del mazzo.

Goita

Goita (ごいた) è un gioco tradizionale completamente diverso dai precedenti e che segue dinamiche particolari di aiuto-difesa. È praticato solamente a Noto, nella prefettura di Ishikawa, e ormai quasi scomparso.
Deriva dal gioco tradizionale dello shogi in cui i pezzi sono mutati in carte; questo gioco era popolare e praticato sul finire del XIX secolo, successivamente il numero di carte utilizzate in origine, 40 o 42, si è ridotto alle 32 della versione attuale.

venerdì 19 ottobre 2018

Yūryaku

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Yūryaku (雄略天皇, Yūryaku Tennō, o nella sua epoca Ohatsuse-Wakatake(ru)(-no-) Ōkimi; 418 circa – Sakurai, settimo giorno dell'ottavo mese del 479 (Kibi)) è stato il ventunesimo Imperatore del Giappone secondo la lista tradizionale di successione.
Nessuna data certa può essere assegnata al suo regno, ma si ritiene che abbia governato nella seconda metà del V secolo d.C.
Gli eventi e le date che lo riguardano sono riportate negli Annali del Giappone (Nihongi 日本紀) e nelle Cronache degli antichi eventi (Kojiki 古事記), testi che furono compilati all'inizio dell'VIII secolo.

Biografia

Secondo il Kojiki ed il Nihonshoki, l'imperatore Yūryaku alla nascita ebbe il nome di principe Ohatsuse Wakatake. Fu il quinto e più giovane figlio dell'imperatore Ingyō. Tre mesi dopo l'assassinio del fratello maggiore, l'imperatore Ankō, e dopo aver vinto la lotta per il trono contro gli altri fratelli, divenne il nuovo sovrano.
Yūryaku non regnò con l'attuale titolo imperiale di "sovrano celeste" (tennō 天皇), che secondo buona parte della storiografia fu introdotto per il regno dell'imperatore Temmu. Il suo titolo fu "grande re che governa tutto quanto sta sotto il cielo" (Sumeramikoto o Amenoshita Shiroshimesu Ōkimi 治天下大王), oppure anche "grande re di Yamato" (ヤマト大王/大君).
I clan dell'antica provincia di Yamato, che corrisponde all'attuale prefettura di Nara, costituirono il regno che, nel periodo Kofun (250-538), si espanse conquistando buona parte dei territori delle isole di Honshū, Kyūshū e Shikoku. A seguito di tali conquiste, ai sovrani di Yamato fu riconosciuto il titolo di "grande re" (Ōkimi 大王) di Yamato. Fu solo a partire dal VII secolo che il "grande regno" venne chiamato impero, ed il titolo di imperatore fu esteso a tutti i sovrani precedenti della dinastia.
Secondo il Kojiki, Yūryaku governò dal tredicesimo giorno dell'undicesimo mese del 456 (Heishin) fino alla sua morte nel settimo giorno dell'ottavo mese del 479 (Kibi). Le iscrizioni nelle spade ritrovate in alcuni tumuli (kofun), indicano che il suo nome fu grande re (Ōkimi) Waka Takeru. Yūryaku fu il nome assegnatogli postumo in un un'era successiva.
Quando salì al trono, spostò la corte nel nuovo palazzo Hatsuse no Asakura che fece costruire a Sakurai, la stessa città dove aveva sede il palazzo di Ankō, secondo la tradizione che vedeva di cattivo auspicio per un imperatore giapponese risiedere nello stesso palazzo del defunto predecessore.
Di carattere mutevole e violento, il sovrano fu temuto a corte e dai suoi sudditi, che diverse volte fece uccidere per motivi di scarsa importanza. Tra gli altri, fece bruciare viva per infedeltà una concubina, principessa di Baekje, mandata dal sovrano di quel regno per cementare l'alleanza tra i due stati.
Durante il regno di Yūryaku, il regno coreano di Silla era tributario di Yamato, ma da otto anni non versava quanto doveva. Per riaffermare la supremazia ed ottenere i tributi, nel 465 Yūryaku inviò un'armata a proteggere Silla dall'invasione delle truppe del regno settentrionale di Goguryeo. La spedizione ebbe successo ma Silla continuò l'insubordinazione, così che l'anno successivo l'esercito di Yamato invase il regno e ristabilì l'ordine.
Nel 469, Yūryaku fece sopprimere una rivolta nella provincia di Harima e, nel 474, quella scoppiata nella provincia di Ise.
Secondo gli annali cinesi della sua epoca, è ipotizzabile che Yūryaku fosse conosciuto in Cina come re Bu del regno di Wa, il nome con cui il regno di Yamato veniva chiamato in Cina. Tali fonti riportano che re Bu tra il 477 ed il 478 inviò degli ambasciatori nei Regni del Sud della Cina, alle corti della dinastia Liu Song, della dinastia Qi meridionale e della dinastia Liang. Oltre a chiedere supporto militare per difendere il regno coreano tributario di Baekje dalla minaccia dell'altro regno coreano di Goguryeo, ottenne dai tre imperatori il riconoscimento della sua sovranità sul regno di Yamato. Secondo altre fonti re Bu era il sovrano Muryeong di Baekje.
Yūryaku è stato anche un letterato, alcune delle poesie a lui attribuite sono comprese nell'antico testo Man'yōshū (万葉集 - Raccolta di diecimila foglie) ed alcuni dei suoi versi sono riportati anche nei Nihonji e nei Kojiki. Sempre nei Nihonji, viene anche ricordato per aver incoraggiato e diffuso la bachicoltura nel paese.
Nel 478, Yūryaku nominò il figlio principe Shiraka erede al trono. Alla morte dell'imperatore, avvenuta l'anno dopo nel palazzo di corte, l'altro figlio, il principe Hoshikawa, si rese protagonista di una rivolta per diventare il nuovo sovrano, ma i generali dell'esercito, fedeli ai voleri di Yūryaku, bruciarono vivi i ribelli, asserragliatisi nel palazzo del tesoro, e Shiraka divenne imperatore con il nome di Seinei.
Non si sa dove siano conservate le spoglie di Yūryaku, che viene venerato nel mausoleo Tajii no Takawashi-hara no misasagi di Osaka, a lui dedicato.

Genealogia

Sposò come prima moglie l'imperatrice Kusaka no Hatabihime, che non gli diede figli. Ebbe altre tre consorti:
  • Katsuragi no Karahime (葛城韓媛), gli diede due figli: il principe Shiraka (白髪皇子), che sarebbe divenuto l'imperatore Seinei (444?-484), e la principessa Takuhatahime (栲幡姫皇女) (?-459)
  • Kibi no Wakahime (吉備稚媛), gli diede i due principi Iwaki (磐城皇子) e Hoshikawa no Wakamiya (星川稚宮皇子) (?-479)
  • Wani no Warawakimi (和珥童女君), gli diede la principessa Kasuga no Ōiratsume (春日大娘皇女), che avrebbe sposato l'imperatore Ninken.



giovedì 18 ottobre 2018

Hosokawa Tamako

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Hosokawa Tamako (giapponese: (細川玉?), o Garasha (ガラシャ?); 1563 – 17 luglio 1600) fu una nobile giapponese convertita al cristianesimo.

Biografia
Tamako nacque secondogenita di Akechi Mitsuhide, samurai che serviva sotto lo stendardo di Oda Nobunaga. Si diceva fosse bellissima e a quindici anni fu data in sposa a Hosokawa Tadaoki, sotto consiglio di Nobunaga. Dall'unione nacquero due figli.
Nel 1582 Akechi tradì e uccise Nobunaga al tempio di Honnoji, per poi essere sconfitto alla battaglia di Yamazaki dalle forze di Toyotomi Hideyoshi. La famiglia di Akechi fu completamente sterminata e Tamako, unica sopravvissuta, fu subito identificata come "la figlia del traditore". Non volendo gettare discredito sulla famiglia, ma per nulla intenzionato a rinunciare a una simile bellezza, Tadaoki non divorziò da Tamako, ma la confinò fino al 1584 nel suo palazzo di Osaka.
Durante il periodo di confino, Tamako divenne amica di diverse dame cristiane e fu iniziata a tale religione da Takayama Ukon. Nel 1587 si fece battezzare col nome di Grazia (giapponesizzato in Garasha). Quando Tadaoki seppe della conversione lo considerò un vero e proprio affronto e le ingiunse di abiurare, ma ricevette un secco rifiuto. Dovette quindi cedere, sapendo che inoltre Tamako aveva convinto a convertirsi al cristianesimo anche la suocera.
Alla morte di Hideyoshi, Tadaoki non cercava che un pretesto per potersi schierare dalla parte di Tokugawa Ieyasu e fu proprio Tamako ad offrirglielo. Essendo ad Osaka, Tamako avrebbe dovuto risiedere al castello, come pegno di fedeltà da parte della famiglia Hosokawa. Tuttavia, quando Ishida Mitsunari glielo chiese, Tamako oppose resistenza, fino a farsi uccidere da un servo (essendo cristiana, non poteva suicidarsi) per sfuggire alla cattura. Ancora non si sa se l'ordine è stato suo oppure del marito.

Nella letteratura
Tamako è stata il modello di James Clavell per uno dei principali personaggi di Shogun, Toda Mariko. Anch'ella è cristiana e viene definita "figlia del traditore", anche se si sa per certo che Tamako non ha mai avuto storie d'amore con William Adams (nel romanzo chiamato John Blackthorne), il primo inglese sbarcato in Giappone.

Nella musica
Hosokawa Grazia è un'opera lirica in tre atti, la prima scritta in lingua giapponese. Fu composta dal missionario e musicista salesiano don Vincenzo Cimatti. Nata originariamente come dramma lirico in parole e canto, venne rappresentata per la prima volta nel 1940. Successivamente venne riformulata integralmente in musica e rappresentata negli anni 1960, 1965, 1966, 1967, 1989, 2004.