domenica 30 giugno 2019

Il codice del guerriero body builder


Il body building non ha solo una psicologia ma anche una morale, usando una metafora, esso nn ha solo una testa ma anche un cuore. Il seguente codice è una sfida... perchè non ogni bodybuilder è un guerriero,e molti ne sono veramente lontani. il codice non va accetato ciecamente ma sviluppato....



1 - I GUERRIERI SONO PERSONE DISCIPLINATE E DEDITE ALL'ECCELLENZA.
I guerrieri sono dediti al body building e gli danno una priorità nella loro vita quotidiana. Non hanno paura d sognare o di aspirare a qualcosa ma fanno in modo di incanalare questi sogni in obbiettivi e fini specifici, appropiati e raggiungibili.

2 - I GUERRIERI SONO PERSONE POSITIVE.
I guerrieri sanno che nell'affrontare una situazione hanno solo due possibilità: essere positivi o essere negativi. Essi scelgono di essere positivi, di costruirsi realisticamente e avvicinarsi ad ogni situazione con l'attitudine del "posso farcela". I guerrieri esercitano un controllo attivo sulle proprie esistenze credendo in se stessi. Essi sanno di non dover essere solo positivi,ma di dover anche far trasudare la loro positività. Il pensare bene deve andare in copia con l'agire bene.

3 - I GUERRIERI VEDONO GLI ALLENAMENTI COME CAMPI DI PROVA PERSONALI.
I guerrieri si avvicinano al proprio allenamento come gli antichi guerrieri si avvicinavano alle loro battaglie, con la differenza che i moderni guerrieri non combattono contro nessuno. Essi non combattono neanche contro i pesi. Il loro obbiettivo è unirsi ai pesi per diventare il meglio che possono. La loro sfida è combattere contro paure, dubbi e insicurezze. I guerrieri del body building sono persone con degli obiettivi che si concentrano interamente e creativamente sui compiti a portata di mano. Si concentrano nel fare correttamente serie e ripetizioni. Essi avvertono un interiore senso di soddisfazione nell'allenarsi bene.

4 - I GUERRIERI SONO PERSEVERANTI.
Essi sanno che devono allenarsi alla lunga. i guerrieri valutano e amano persino il loro sforzo. Sopportano il disagio sappendo che quello è proprio il momento in cui stanno ampliando se stessi fisicamente e mentalmente. spingono continuamente se stessi verso le proprie frontiere di crescita e sviluppo. I guerrieri accetano i fallimenti ed imparano dalle proprie delusioni per migliorarsi in quello che fanno. I guerrieri desiderano sempre ampliare se stessi. Essi sono coinvolti nel pumping iron per "la vita".

5 - I GUERRIERI VIVONO UNA VITA EQUILIBRATA.
I guerrieri sanno che per fare allenamenti produttivi devono avere ordini negli altri ambiti della vita. Essi hanno integrato il loro credo e la loro pratica in ogni area delle loro esistenze e di conseguanza sono non conttraditori e congruenti. Hanno imparato ad aggirare le proprie funzioni sociali per dare attenzione a tutto, mantenendo un ritmo complessivo. Essere un guerriero significa esserlo in ogni aspetto della propria vita.

6 – INFINE, I GUERRIERI SERVONO IL PROSSIMO.
Essi capiscono che parte del loro dovere è dare qualcosa in cambio aiutando il prossimo. Insegnano ed assistono gli altri cosìcchè gli altri possano massimizare i loro progressi. insomma, i guerrieri servono da modelli affinchè i body builders novizi e intermedi diventino anch'essi guerrieri. Spartendo continuamente con gli altri la loro conoscenza ed esperienza, i guerrieri fanno anche avanzare lo sport che amano.

sabato 29 giugno 2019

La non forma




Kung Fu... duro lavoro, sudore, volontà, sacrificio.
Un pittore può avere l'arte del Kung Fu o un macellaio che arriva a tranciare le carni senza che il coltello tocchi mai l'osso.
Impara la forma ma cerca la non forma. Ascolta il non suono.
Impara tutto e poi... dimentica. Impara la strada e poi trova la tua... strada.
Il musicista può avere l'arte del Kung Fu o il poeta che dipinge quadri di ideogrammi e contribuisce a rendere grandi gli imperi. Tutto questo è il Kung Fu.
Ma non dargli un nome, amico mio... perché è come l'acqua. Niente è più leggero dell'acqua che può aggirare la roccia. Non combatte, ti gira intorno... l'opposto... senza forma... senza nome.
Il vero maestro sa conviverci.
Solo tu puoi liberarlo.

venerdì 28 giugno 2019

SCREENING


Con il termine Screening s’intende l’insieme di strategie volte allo studio istantaneo del profilo psicologico di un aggressore per poter valutare nel minor tempo possibile il grado di pericolosità della situazione e le tecniche d’adottare più efficaci per neutralizzarla. Gran parte della strategia suggerita dalle tecniche di screening sono date dall’esperienza e dalla raccolta e l’analisi statistica delle varie tipologie d’aggressione. Questa branca della scienza applicata alla psicologia suddivide le aggressioni in varie categorie:
Aggressione da parte di malviventi abituali
Aggressione da parte di teppisti
Aggressione conseguenti a liti
Aggressione da parte di soggetti in stato di alterazione mentale

In una situazione di diverbio che può portare ad una reazione violenta, la differenza principale tra una persona esperta di autodifesa professionale (non di combattimento, sono due cose diverse) e una persona "normale", è che quest’ultima cederà immediatamente alla violenza in maniera istintiva, o quasi.
Il professionista valuta la violenza come prima opzione, ma la tiene come ultima scelta.
Se si esaminano la maggior parte delle liti che si scatenano fra due persone è facile suddividere gli eventi in corso in varie fasi:
Innesco
Escalation
Conclusione

L’innesco è la fase in cui il diverbio muta in una situazione che non permette ai due individui di interrompere l’evento in corso. Segue immediatamente l’escalation, più che altro una questione di conflitti di Ego tra i contendenti.
In questa fase il professionista e/o la persona saggia riesce verbalmente a sedare la situazione e a bloccare lo sbocco alla violenza, che è una conclusione più che auspicabile, sempre. Altrimenti l’altra conclusione è ovviamente l’uso della violenza. Chi scatta per primo dei due individui è colui che sente l’impulso di dimostrare che "ha ragione". Deve dimostrare al proprio ego ed a eventuali persone che assistono al litigio che deve "vincere". Di solito il non-professionista cede all’opzione della violenza per uno o più dei seguenti motivi:
Non ha valutato le conseguenze che la reazione violenta può portare (fisiche e/o morali)
E’ certo che non si ferirà nello scontro
E’ convinto che è il modo migliore per impartire una "lezione" a qualcuno
E’ in preda agli effetti di sostanze stupefacenti e/o alterazioni psichiche

In compenso il professionista deve sapere riconoscere sempre per tempo i segnali premonitori di uno scontro e una volta coinvolto deve reagire nella maniera più rapida e definitiva possibile; non tanto per applicare la logica del "vincere" e "dimostrare" qualcosa a qualcuno, ma per limitare al massimo i danni dello scontro. In generale lo screening ci suggerisce che quando siamo in piena escalation l’individuo non professionista prima di scattare all’attacco aumenta il ritmo respiratorio e ha un brivido, un tremito, più o meno ampio su tutto il corpo, oppure limitato a degli arti.
A questa categoria di segnali appartengono le persone che non sono abituati alla violenza, ma stanno sfogando una grande collera. Telegrafando in maniera così vistosa le loro intenzioni, sono gli individui relativamente più semplici da gestire. Una situazione un pò più ostica la possono creare coloro che sono abituati all’opzione violenza, anche se non sono dei combattenti professionisti,
in quanto hanno imparato il concetto di non "trasmettere" le proprie intenzioni, ma piuttosto, prima di attaccare, tendono ad appiattire le loro emozioni.
In ogni caso la reazione chimica dell’adrenalina nel corpo di chi ha deciso di attaccare è spesso evidente: aumento del respiro, cambiamento di colore repentino del viso, e il già citato tremore corporeo. L’esperto sarà in grado di mascherare in maniera efficace uno o più di questi segnali in modo da sfruttare al massimo la sorpresa.
La reazione di massima efficacia si ha quando, avendo interpretato correttamente il linguaggio del corpo, si riesce ad eseguire una tecnica di anticipo.
Il concetto è espresso nelle arti marziali giapponesi con il termine sen-no-sen.
Per anticipo si intende una tecnica mirata a bloccare un arto che si carica per sferrare un attacco. Essendo in fase di caricamento il colpo non ha ancora espresso la massima forza, quindi le possibilità di immobilizzazione e di reazione sono molto alte.
Un altro dettaglio da esaminare in questa fase è il fatto che il non-professionista, nel suo attacco (per quanto pericoloso sia), sicuramente dimentica di proteggere alcune parti del suo corpo.
Il corpo umano si può suddividere in quattro settori (alto dx, alto sx, basso dx, basso sx).
Avendo solo due braccia possiamo coprire solo due settori alla volta.
L’inesperto non si preoccuperà di coprirne nemmeno uno in maniera efficace. Ecco che quando
scatta l’attacco, probabilmente si è in grado, se non si riesce ad anticiparlo, almeno ad evitarlo e ad eseguire una tecnica percuotente su un settore scoperto.
Queste che seguono sono situazioni di base che hanno origini e moventi diversi e che di conseguenza determinano strategie di reazione differenziate.

Aggressioni da parte di malviventi abituali
Potenzialmente sono le aggressioni più pericolose e che potrebbero necessitare della reazione più decisa. L’individuo in questione fa uso di tre componenti fondamentali per portare a termine il suo scopo: sorpresa, decisione, abilità.
Bisogna sempre considerare la peggiore delle ipotesi tattiche nel caso che si abbia a che fare con aggressori armati (ad es. di coltello), ovvero che siano degli esperti, e che siano abituati a questo tipo di azioni. Valutare sempre se le richieste del malvivente (ad es. una rapina) siano tali da giustificare una reazione. Per esempio non è il caso di rischiare delle lesioni permanenti per pochi contanti. Il più delle volte, in caso di rapina, l’aggressore non cerca e rifiuta lo scontro fisico, anche se bisogna sempre pensare che sia in grado di sostenerlo. Nel caso che l’aggressione sia rivolta ad intaccare la nostra incolumità (ad es. uno stupro) bisogna solo aspettare il momento giusto per la reazione più decisa e definitiva possibile. Darsi sempre alla fuga dopo uno scontro con un malvivente per cercare aiuto.

Aggressione da parte di teppisti
E’ il caso di due o più individui che attaccano una persona per motivi futili, più che altro per dimostrare qualcosa. Minaccia di alta pericolosità.
Un approccio verbale potrebbe essere tentato, con le stesse regole applicate alla potenziale lite con sconosciuti, ma appena si valuta che questo non ha effetto allontanarsi immediatamente e/o attirare l’attenzione per aiuto. In caso di mancanza di opzioni reagire con lo scopo di ferire in maniera permanente, in quanto se il gruppo è numeroso, non ci si può permettere di perdere tempo per controllare un assalitore quando gli altri attaccano.

Aggressione conseguente a liti
Si dividono in due categorie: liti tra conoscenti e tra sconosciuti.
Il primo caso difficilmente si presenta. Di solito tra conoscenti (familiari ed amici) le discussioni si possono sedare dimostrando di scendere a compromessi e a dimostrare la propria volontà a non voler far degenerare la situazione.
E’ semplicemente una questione di scendere a patti con il proprio orgoglio.
Nel caso di diverbi con sconosciuti la situazione è di maggiore pericolosità. In questo caso, di solito, ci troviamo di fronte ad aggressioni di tipo psichico.
Se l’aggredito si sente colpito ed offeso potrebbe reagire non con coerenza. Rispondere a tono, con urla ed offese fa perdere la calma e lo fa passare immediatamente dalla parte del torto, il che giustifica l’eventuale reazione violenta dell’aggressore. Quindi mai cedere a questi comportamenti perché:
Non sappiamo con chi abbiamo a che fare
Non sappiamo a priori le reali intenzioni dell’interlocutore nei nostri confronti
L’unica via è un dialogo che dimostri la nostra determinazione, ma non la nostra volontà di ricorrere alla violenza. In questi casi non bisogna alzare la voce e non accelerare il ritmo delle parole, entrambi sintomi di debolezza che potrebbero essere sfruttati dallo sconosciuto per innescare una colluttazione.
Più passa il tempo e più le possibilità d’innesco dello scontro diminuiscono, se la questione in gioco è irrilevante. Ricordare che in questi casi violenza richiama solo violenza. Occorre possedere una precisa autocoscienza di sé stessi e dei propri diritti e del concetto del rispetto di sé stessi e del prossimo.

Aggressione da parte di soggetti in stato di alterazione mentale
Situazione di estrema pericolosità. L’individuo soggetto all’influenza di sostanze stupefacenti e/o alcool è da considerare estremamente violento e non risponde alle tecniche di dialogo che sono state illustrate precedentemente.
Inoltre la sua percezione del dolore è distorta dalle sostanze che ha assunto, quindi normali tecniche di autodifesa rivolte al solo controllo dell’avversario potrebbero non essere efficaci. L’unica cosa che potrebbe andare a vantaggio di chi si difende è la possibile mancanza di coordinazione e di equilibrio dell’aggressore, se ha molto abusato di certe sostanze. Nel caso di persone psicolabili, e quindi con il pieno possesso delle proprie capacità motorie, bisogna sempre valutare la fuga, oppure in mancanza di altre opzioni di una difesa con tutti i mezzi possibili.

Sostanze stupefacenti ed alcool
Al giorno d’oggi, la reperibilità e la società rendono l’uso di sostanze stupefacenti molto più semplici degli anni addietro. Per questo motivo, la possibilità di doversi difendere da un aggressore sotto l’uso di sostanze stupefacenti, è aumentata a tal punto da dover essere presa in considerazione
come nozione di difesa personale. Gli stupefacenti sono sostanze di natura sintetica o naturale in grado di alterare una o più funzioni dell’organismo umano. Gli stupefacenti possono dare o meno dipendenza fisica, questo fatto è molto importante in quanto una sindrome da astinenza provoca sintomi inversi rispetto agli effetti che induce la droga usata. Questo ci permette di sfruttare la nostra conoscenza per ritorcere la suddetta crisi contro l’aggressore stesso.
Ecco le principali classi di stupefacenti suddivise per azione.
Psico-depressive (danno dipendenza fisica e psichica)
Alcool etilico
Sedativi (sonniferi e barbiturici maggiori e minori)
Oppiacei (morfina, eroina, codeina)
Narcotici sintetici(metadone, talwin, ecc)
Psico-stimolanti (danno solo dipendenza psichica)
Anfetamine
Cocaina
Psico-alteranti o Dislettici o Allucinogeni (danno dipendenza psichica)
LSD
Mescalina
Psilocibina
Derivati dalla canapa indiana (marijuana o hashish)
Possiamo ora esaminare i vari tipi di Sostanze Stupefacenti per conoscerne gli effetti psichici e caratteristiche fondamentali.
Morfina: provoca sul sistema nervoso centrale, effetti di analgesia, torpore mentale, ottundimento delle sensazioni dolorose, depressione del riflesso della tosse, depressione dei centri respiratori, vomito, vasodilatazione periferica da liberazione d’istamina. Gli effetti psichici sono invece, benessere diffuso, senso di tranquillità ed euforia, vivace flusso delle idee, stato di torpore e
di sonnolenza. Se assunta in vena provoca un accentuato effetto flash con perdita di realtà.

Eroina: dopo l’assunzione, che avviene per via endovenosa, intramuscolare o inalatoria, ha un effetto che perdura per 4-6 ore. La sua potenza analgesica è tripla della morfina, provoca quindi stati di euforia, ideazione fluida, la realtà esterna è vissuta con distacco emotivo e attenuazione delle sensazioni dolorose.
E’ quindi da tenere in forte considerazione per quanto riguarda la metodologia di comportamento e di difesa, in quanto una semplice percussione dolorosa non potrebbe dare nessun effetto. Sarà quindi il caso di orientarsi su un comportamento inabilitante alle articolazioni o una percussione tale da provocare una perdita di coscienza.

Cocaina: via d’assunzione nasale o endovenosa. Ha una potente azione stimolante su tutte le strutture cerebro-spinali. A livello psichico provoca euforia, aumento dell’attività mentale, stato di benessere e diminuzione della sensazione di fatica. A dosaggi superiori insorgono anche tremori, convulsioni, stimolazione del centro respiratorio, del centro termoregolatore, e del centro ematico, in alcuni casi anche di allucinazioni. I soggetti in questione saranno quindi riconoscibili per sbalzi di colorito al viso, fiatone e mancanza di equilibrio.

Anfetamine: assunzione per via orale o endovenosa. Provocano aumenti di vigilanza, aumento del morale, riduzione della sensazione di fatica, aumento della capacità di concentrazione e sopportazione di sforzi fisici e mentali prolungati. Per un uso prolungato compaiono cefalee, idee deliranti, allucinazioni, tremori e ansia.

Mariujana e hashish: gli effetti compaiono dopo pochi minuti dall’inalazione dopo una mezz’ora dall’assunzione per via orale. Consistono in senso di benessere fisico, rilassamento, euforia, stato sognante, alterazione del tempo e dello spazio, ideazioni accelerate ed incoerenti, flusso incontrollato di pensieri. Per dosaggi elevati, la fantasia e la realtà si fondono con un’accentuazione dei colori, allucinazioni visive, acustiche, alterazione dello schema corporeo, stati d’angoscia.

LSD: dopo pochi minuti dall’assunzione determina: tachicardia, salivazione, alterazioni della sfera emotiva, stati euforici, allucinazioni, alterazioni corporee come senso di allungamento degli arti, senso di leggerezza o pesantezza del corpo. Lo stato di introspezione indotto dall’uso può far arrivare al suicidio facendo emergere problemi dell’inconscio che appaiono al soggetto di estrema gravità.

Alcool: La sostanza che provoca alterazioni psichiche/motorie più comune è l’alcool. Dì per sé stesso l’alcool è categorizzato come un depressore del sistema nervoso centrale. Questo significa che i suoi effetti sono presenti a livello sia fisico che comportamentale. L’assunzione di alcool provoca sempre un’intossicazione all’organismo, la gravità di questa è determinata dalla concentrazione sanguigna che questo raggiunge. Il livello di tollerabilità dell’alcool dipende dal sesso e dalla massa corporea dell’individuo. Sono stati definite quattro fasi d’intossicazione da alcool:

Alterazione avvertibile del comportamento
Appena l’alcool inizia ad interessare la fisiologia dell’organismo di una persona a livello chimico, questa potrebbe iniziare a perdere le proprie inibizioni. C’è chi reagisce diversamente alle intossicazioni leggere da alcool. Manifestazioni incontrollabili di emozioni, improvvisi cambi d’umore, propensione ad aperture con estranei, comportamento meditabondo, disinteresse, comportamento anti-sociale, comportamento chiassoso, comportamento irritante, immaturità, scadimento del linguaggio, desiderio di attirare l’attenzione.

Comportamento temporaneo dissociato
Come la concentrazione specifica d’alcool cresce nel sangue dell’individuo, più il suo pensiero razionale diminuisce. Chi è bevitore abituale solo in questa fase presenta i sintomi illustrati nella fase precedente. Inoltre si aggiungono i seguenti sintomi: diminuzione dell’allerta, incapacità di fare semplici comparazione tra situazioni, oggetti ecc…ecc…, aumento del desiderio di continuare a bere, perdita memoria a breve termine, ripetizione di concetti appena espressi, affermazioni incoerenti, aggressività, predisposizione alla violenza, comportamento di sfida verbale.

Perdita parziale delle normali funzioni cerebrali
L’alcool induce un’alterazione del peso specifico del liquido contenuto nell’orecchio medio. Questo liquido viene utilizzato dal corpo per determinare in che posizione si trova nelle tre dimensioni. La sua alterazione porta al cervello informazioni sbagliate sulla posizione della testa, gambe, busto ecc…
Questa situazione porta alla perdita totale/parziale dell’equilibrio nell’individuo, nonché al manifestarsi di vertigini più o meno violente.

Perdita totale di coordinazione e di controllo muscolare
In questa fase l’alcool inizia ad influenzare in maniera pesante il sistema nervoso centrale e questo punto anche semplici movimenti di coordinazione risultano difficili. Difficoltà ad articolare parole, impossibilità di camminare. Questa è la fase precedente al coma etilico.
E’ da notare che gli effetti dell’alcool si intensificano fino al 25% nell’ora successiva all’ultimo bicchiere bevuto. Quindi una persona può essere nella "fase due" di intossicazione da alcool e smettere di bere ed entro un’ora finire perfettamente nella fase successiva. La fase più pericolosa, a livello di aggressione, è la seconda, dove l’individuo ha ancora relativamente il controllo del proprio corpo, ma sta perdendo gradualmente le proprie inibizioni. Qui il rischio di violenza è piuttosto alto, specialmente quando il soggetto fa uso di alcool intenzionalmente per liberare la propria carica aggressiva.

I quattro tipi di violenza
Tutti i vari comportamenti violenti che portano ad uno scontro fisico sono stati raccolti in quattro categorie:

Paura
Violenza sprigionata dalla persona che si sente minacciata da una situazione, da un gruppo di persone e/o singolo. E’ di solito una reazione a degli stimoli neurochimici che mandano la persona in panico e cerca con la violenza di togliersi dalla minaccia. Persone in questo stato reagiranno sempre e comunque con la massima violenza.
Come affrontare la situazione:
La tecnica per maneggiare questa situazione è di mimare il panico della persona in oggetto, convincendola che noi siamo esattamente spaventati come essa, quindi non siamo una minaccia. E’ controproducente atteggiarsi in maniera autoritaria, bisogna semplicemente mettersi allo stesso livello emotivo della persona in panico e calmarla.

Delirio
Violenza di chi non percepisce limiti di alcuna natura (fisica, morale, sociale…). In questa sezione rientrano chi è sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e/o alcool.
Come affrontare la situazione:
La maniera di affrontare questo caso è di dare alla persona degli stimoli che by-passano il loro processo interno di auto-esaltazione. Per riportarlo alla realtà bisogna far focalizzare la sua attenzione su qualsiasi cosa che non sia lui stesso.
Voce convinta ed autoritaria e impossibilità di dare opzioni di scelta al soggetto. Spesso basta un approccio verbale per fare desistere i propositi violenti persone ubriache, magari assecondandole il più possibile nei loro ragionamenti.

Capriccio irragionevole
Violenza basata su comportamento irragionevole auto-alimentante (possibile sindrome psicotica di rabbia cronica da manifestare all’esterno).
Come affrontare la situazione:
Il soggetto in questo caso intenzionalmente vuole provocare la violenza per sfogarsi di qualcosa. E’ la situazione più difficile da maneggiare. Bisogna affrontare la situazione con due azioni contemporanee:
togliere "l’innesco emotivo" alla persona (per esempio non dando importanza alle sue richieste) e fargli capire che il suo comportamento/richieste non verranno più tollerate e soddisfatte. Spesso queste persone sembrano a tutti i costi cercare lo scontro (più che altro verbale), ma difficilmente accettano il rischio dello scontro fisico vero e proprio.

Criminale
Violenza usata a livello coercitivo per ottenere qualcosa da qualcuno (soldi, potere…).
Come affrontare la situazione:
La risposta può essere incredibilmente semplice. Il criminale vuole qualcosa da noi, di tutto, tranne che una sfida con una persona pronta a combattere per difendersi. Uno scontro fisico, se fatto in pubblico attira troppa attenzione. Il soggetto criminale si basa sul binomio <>, e per lui è territorio sconosciuto quando ci sono possibilità che la situazione venga stravolta. Dobbiamo dimostrare, a seconda delle circostanze naturalmente (siamo disarmati contro una persona armata? Siamo di fronte ad un professionista?), di trasmettere all’aggressore il seguente messaggio: <>.

giovedì 27 giugno 2019

IL SIGNORE DEL MARE: YI SUN-SIN (1545-1598)





Uno dei più grandi ammiragli di tutti i tempi, che non perse mai una battaglia, che affondò centinaia di navi nemiche con perdite risibili anche se in costante inferiorità numerica, nacque nel 1545 a Seoul. Di nobili natali, non si arruolò prima dei trentadue anni, sebbene da giovane avesse praticato talmente bene il tiro con l'arco da stupire i suoi esaminatori, oltre a studiare strategia e mostrare innate doti di comandante. Il neo-ufficiale venne inviato a nord per difendere i confini dalle tribù dei nomadi Jurchen che periodicamente sconfinavano per saccheggiare i territori di frontiera. Yi ottenne un successo dopo l'altro, fino a che riuscì ad attirare i nomadi in battaglia e infliggergli una sconfitta decisiva nel 1583. Le sue vittorie gli valsero una sfolgorante ascesa ma gli procurarono anche l'invidia degli altri generali, che ordirono un complotto a suo danno, accusandolo ingiustamente di aver disertato durante la battaglia. Nonostante i suoi grandi meriti, il generale venne arrestato, torturato quasi fino alla morte e degradato a soldato semplice, un disonore insopportabile. Nonostante tutto però, Yi tornò a servire con tale devozione ed efficienza che scalò di nuovo i ranghi dell'esercito, diventando infine ammiraglio. Dunque rafforzò immediatamente la flotta, riformata e potenziata dall'aggiunta della rinata nave-testuggine, una sorta di nave corazzata pesantemente armata e inattaccabile tramite arrembaggio. Appena un anno dopo, nel 1592, Toyotomi Hideyoshi scatenò le forze del Giappone ora unito contro la Corea, con l'obbiettivo di usarla come base per conquistare poi la Cina dei Ming. Sebbene non avesse mai studiato strategia navale e non avesse mai intrapreso un singolo combattimento in mare, Yi Sun-sin attaccò i giapponesi nella battaglia di Okpo, riuscendo ad affondare 26 navi nemiche avendo solo tre marinai feriti (di cui due per fuoco amico). Dopo un'altra vittoria a Sacheon seguita da una serie di ulteriori vittorie senza perdite, Toyotomi Hideyoshi provò a ingaggiare due galeoni portoghesi e potenziò enormemente la flotta, consapevole che il controllo del mare era fondamentale per rifornire le truppe vittoriose sul suolo coreano. Ma nonostante il grande numero delle loro navi, i giapponesi furono attirati in una trappola e sconfitti presso l'isola di Hansan, per poi subire un devastante bombardamento nella loro base a Busan. Avendo affondato centinaia di navi nemiche, ucciso migliaia di marinai e assicurato ai coreani il dominio dei mari, Yi fu una delle cause della tregua del 1593. Era chiaro che finché egli fosse stato al comando della flotta coreana, ogni tentativo di invasione sarebbe fallito. Per questo i giapponesi inviarono un loro agente che, fingendo di lavorare per i coreani, convinse re Seonjo a comandare di tendere un'imboscata a una fantomatica flotta giapponese che sarebbe arrivata di lì a poco. Ma Yi, non fidandosi delle spie e sapendo che il luogo indicato dall'agente era pieno di infide rocce sommerse, rifiutò di portare a compimento l'ordine suicida. I suoi nemici a corte ebbero allora gioco facile a convincere il monarca ad arrestarlo, torturarlo quasi fino alla morte e ancora una volta degradarlo a soldato semplice. Solo l'influenza dei suoi amici riuscirono a salvarlo dall'esecuzione, mentre il comando passava all'incompetente ammiraglio Won Gyun. Oltre a non riuscire ad impedire lo sbarco della seconda forza di invasione che attaccò la penisola nel 1597, Won condusse tutta la flotta, addestrata e creata da Yi Sun-sin e rinforzata dagli alleati cinesi, contro i giapponesi senza nemmeno curarsi di usare esploratori e spie per conoscere la situazione del nemico. La luna sopra Chilcheollyang fu testimone di un massacro: presi in trappola e alla sprovvista, i marinai coreani furono massacrati dai loro rivali nipponici, insuperabili nel combattimento ravvicinato. Delle 150 navi e dei 30.000 marinai tornarono solo 13 vascelli con poche centinaia di superstiti. Won Gyun e gli altri ammiragli rimasero uccisi a loro volta, e per la Corea sembrava essere arrivata la fine. Disperato, re Seonjo implorò Yi Sun-sin di riprendere il comando della flotta, scrivendogli però di abbandonare le navi e far unire i marinai all'esercito di terra. "...il vostro servitore ha ancora dodici navi al suo comando e finché sarà vivo, il nemico non potrà essere al sicuro nel Mar Giallo" fu la celebre risposta del condottiero. Nella battaglia di Myeongnyang 13 vascelli coreani affrontarono l'armada giapponese grande almeno dieci volte tanto, in un epico scontro che alla fine vide trionfanti e praticamente illesi i coreani. Dopo quella che fu una delle più grandi vittorie navali di tutti i tempi, i coreani tornarono in vantaggio. E proprio come nelle grandi storie giunse la battaglia finale. Presso Noryang la flotta coreana e quella cinese affrontarono l'armada giapponese agli ordini di Shimazu Yoshihiro, mettendola in rotta dopo un feroce combattimento. Proprio al culmine della battaglia, durante l'inseguimento delle navi nipponiche, un proiettile vagante colpì il grande ammiraglio al fianco. Capendo di stare per morire, le sue ultime parole furono: "Stiamo per vincere la guerra. Suona il tamburo e indossa la mia armatura. Non annunciare la mia morte". Il figlio Yi Hoe portò il corpo sotto coperta di nascosto, mentre il nipote Yi Wan indossò l'armatura dello zio e continuò a battere il suo tamburo, per evitare che la notizia della morte dell'amato leader demoralizzasse l'intera flotta.
Grazie alla sua abilità tattica e strategica, grazie alla cura che dedicava all'addestramento, ai rifornimenti e alle navi, grazie alle preziose informazioni fornitegli da pescatori e semplici cittadini ispirati dalla sua figura, grazie alla conoscenza di venti, correnti e coste, grazie al sapiente uso della maggior potenza di fuoco delle sue navi riuscì a trionfare in 23 battaglie, affondando centinaia di vascelli nemici con quasi nessuna perdita ogni volta. Amato dal popolo e dai soldati per la sua integrità, lealtà, coraggio, gentilezza e rispetto, l'uomo che aveva salvato la penisola coreana venne pianto amaramente e gli vennero tributati grandiosi onori postumi, sebbene fosse inviso alla corrotta corte della dinastia Joseon. Ancora oggi Yi Sun-sin è considerato uno dei più grandi eroi coreani di tutti i tempi, ed è spesso stato considerato pari o addirittura superiore a Horatio Nelson.

martedì 25 giugno 2019

Trentasei stratagemmi

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I Trentasei stratagemmi sono un trattato di strategia militare cinese che descrive una serie di astuzie usate in guerra, in politica e nella vita sociale, spesso tramite mezzi non ortodossi e ingannevoli. Il testo è stato scritto probabilmente durante la Dinastia Ming (1366-1610).


Scoperta e storia del testo
Nel 1939 in un mercato dello Shaanxi nella Cina del nord, un ufficiale del Guomindang scopre un libro di ricette sull'immortalità. Alla fine dell'opera si trova un breve trattato di strategia militare intitolato I Trentasei Stratagemmi. Il testo fu pubblicato da un editore locale nel 1941, ma divenne di dominio pubblico con la revisione pubblicata dal Partito Comunista Cinese sul giornale Guangming Daily (光明日報/光明日报) il 16 settembre 1961. Fu quindi ristampata e distribuita con popolarità crescente.


Origine
Il nome della raccolta deriva dal settimo volume del Libro dei Qi: Biografia di Wáng Jìngzé (王敬則傳/王敬则传). Wáng era un generale della Dinastia Qi del Sud (479-502). In seguito ad una ribellione, l'erede al trono era fuggito. Wáng commentò che «dei trentasei stratagemmi di Tán, la ritirata era il suo meglio». Il riferimento era a Tan Daoji (?-436), un generale al servizio della Dinastia Liu Song (420-479) che fu costretto alla ritirata dopo aver fallito un attacco contro i Wei del nord. Wáng lo cita come esempio di codardia.


Autore
I Trentasei Stratagemmi sono stati attribuiti a Sun Tzu del Periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C.-495 a.C.), oppure a Zhuge Liang del Periodo dei Tre Regni (220-280), ma non sono considerati i veri autori. L'opinione prevalente è che in origine il testo fosse una raccolta scritta e orale, con molte versioni differenti create da differenti autori durante il trascorrere dei secoli. Alcuni stratagemmi si riferiscono al tempo di Sun Bin, circa 150 anni dopo la morte di Sun Tzu.


Influenze letterarie
La raccolta è ispirata all'I Ching o Libro delle Mutazioni e alla filosofia legista. Il testo presenta influenze profonde di altre opere di primo piano della letteratura cinese come le favole di Han Fei Zi, la Storia dei Tre Regni e i proverbi Chengyu che fanno da titolo ai capitoli del trattato.


Struttura del testo
Il testo si apre con una breve introduzione intitolata "Sei per sei: trentasei" ed è diviso in sei capitoli a loro volta suddivisi in sei sottocapitoli. I primi tre capitoli descrivono stratagemmi per situazioni favorevoli, gli ultimi tre descrivono stratagemmi per situazioni sfavorevoli. Ogni proverbio è seguito da un breve commento che descrive come il proverbio sia applicabile alle tattiche militari. I trentasei proverbi sono collegati a trentasei battaglie della storia e del folklore cinese, in prevalenza del Periodo degli stati combattenti e dei Tre Regni.

Introduzione. Sei per sei: trentasei (六六三十六)
Il numero "trentasei" va inteso come una metafora per indicare un gran numero di stratagemmi e non si riferisce ad un numero specifico. Nell'I Ching il "sei" è il numero dello Yin, associato all'oscurità e in questa opera si riferisce, per estensione, ai metodi oscuri della strategia militare. I trentasei proverbi probabilmente sono stati creati dopo i fatti e l'opera è stata tramandata con il titolo "I detti di Wáng".


Capitolo 1. Piani per le battaglie già vinte (勝戰計)
1.1 Attraversa il mare senza che il cielo lo sappia (瞞天過海/瞒天过海, Mán tiān guò hai)
Preparati troppo e perdi la visione d'insieme; quello che vedi spesso non lo metti in dubbio. Yin (l'arte dell'inganno) è nello Yang (azione). Troppo Yang (trasparenza) nasconde Yin (vere astuzie).

Questo stratagemma si riferisce ad un episodio del 643, quando l'imperatore Tai Zong di Tang, rinunciò ad attraversare il mare per attaccare Goguryeo. Il suo generale Xue Rengui escogitò uno stratagemma per alleviare la paura della nausea dell'imperatore: in una giornata soleggiata, l'imperatore fu invitato ad incontrare un saggio. Attraverso una scura galleria giunsero in una sala dove si svolse un banchetto. Dopo molti giorni, l'imperatore ascoltò il suono delle onde e capì di trovarsi su una nave. Il generale Xue aprì le tende che coprivano la vista del mare e confessò che ormai lo avevano attraversato. L'imperatore allora decise di proseguire e alla fine concluse una campagna militare vittoriosa.

1.2 Assedia Wèi per salvare Zhào (圍魏救趙/围魏救赵, Wéi Wèi jiù Zhào)
Quando il nemico è troppo forte per essere attaccato direttamente, allora attacca qualcosa a lui caro. Sappi che non può essere invincibile. Da qualche parte deve avere un punto debole che può essere attaccato.

L'origine di questo proverbio risale al Periodo degli stati combattenti. Lo stato di Wèi attaccò Zhao e assediò la sua capitale Handan. Zhào chiese aiuto a Qí, ma Sun Bin, generale Qí, considerò una cosa da stolti affrontare l'esercito di Wèi direttamente, così attaccò invece la loro capitale Daliang. L'esercito di Wèi si ritirò disordinatamente e le truppe stanche caddero in un'imboscata e furono sconfitte nella Battaglia di Guiling, dove Pang Juan, generale di Wèi, fuggì dal campo di battaglia. Si noti che questa campagna è esplicitamente descritta nell'Arte della Guerra di Sun Bin.

1.3 Uccidi con una spada presa in prestito (借刀殺人/借刀杀人, Jiè dāo shā rén)
Attacca usando la forza di un altro. Spingi un alleato ad attaccare il nemico, corrompi un ufficiale o usa la forza del nemico contro di esso.

1.4 Attendi riposandoti mentre il nemico si fiacca (以逸待勞/以逸待劳, Yǐ yì dài láo)
È vantaggioso scegliere il momento e il luogo della battaglia. In questo modo sai quando la battaglia avrà luogo, mentre il tuo nemico no. Incoraggia il nemico a spendere le sue energie in ricerche inutili mentre tu conservi la tua forza. Quando è esausto e confuso, attacca energicamente e di proposito.

1.5 Saccheggia una casa che brucia (趁火打劫, Chèn huǒ dǎ jié)
Quando un paese è sconvolto da conflitti interni, quando pestilenza e carestia devastano la popolazione, quando corruzione e crimine sono dilaganti, allora sarà incapace di affrontare una minaccia esterna. Questo è il momento per attaccare.

1.6 Rumore ad est, attacco ad ovest (聲東擊西/声东击西, Shēng dōng jí xī)
In ogni battaglia l'elemento sorpresa può fornire un vantaggio schiacciante. Attacca il nemico dove meno se lo aspetti. Usa un diversivo per creare un'aspettativa nella sua mente.
L'idea è far concentrare le forze del nemico in un luogo e attaccare un punto poco difeso.


Capitolo 2: Piani per le battaglie indecise (敵戰計)
2.1 Crea qualcosa dal nulla (無中生有/无中生有, Wú zhōng shēng yǒu)
Fai credere al nemico che ci sia qualcosa quando in realtà non c'è niente.
Un metodo è creare l'illusione che qualcosa esista, mentre non esiste affatto. Un altro metodo è creare l'illusione che qualcosa non esista, mentre in realtà esiste.

2.2 Ripara pubblicamente la galleria, ma intrufolati attraverso il passaggio di Chengan (明修棧道,暗渡陳倉/明修栈道,暗渡陈仓, Míng xiū zhàn dào, àn dù chén cāng)
Inganna il nemico con un approccio ovvio che richiederà molto tempo, allora lo sorprenderai prendendo una scorciatoia. Mentre il nemico concentra l'attenzione dove hai voluto, non si accorgerà che gli starai addosso.
La frase trae origine dalla contesa Chu-Han, dove Liu Bang si ritirò nello Sichuan per prepararsi allo scontro con Xiang Yu. Una volta pronto, Liu Bang inviò uomini per riparare pubblicamente le gallerie che aveva distrutto, mentre muoveva segretamente le sue truppe verso Guanzhong attraverso la cittadina di Chencang. Quando Xiang Yu seppe che Liu Bang stava riparando le gallerie, pensò che non c'era più pericolo poiché i lavori di riparazione sarebbero durati anni. Questo permise Liu Bang di riprendere Guanzhong di sorpresa e alla fine portò alla sua vittoria su Xiang Yu e alla nascita della Dinastia Han.

2.3 Guarda il fuoco dall'altra riva (隔岸觀火/隔岸观火, Gé àn guān huǒ)
Ritarda l'entrata in battaglia fino a quando tutti i contendenti si sono logorati combattendosi a vicenda. Allora attacca con tutta la forza e raccogli i pezzi.

2.4 Nascondi una spada dietro un sorriso (笑裏藏刀/笑里藏刀, Xiào lǐ cáng dāo)
Incanta e ingraziati il nemico. Quando hai guadagnato la sua fiducia, muovi contro di lui in segreto.

2.5 Sacrifica il pruno per salvare il pesco (李代桃僵, Li dài táo jiāng)
Ci sono circostanze nelle quali devi sacrificare obiettivi a breve termine per ottenere lo scopo a lungo termine. Trova il capro espiatorio affinché tutti gli altri non soffrano le conseguenze.

2.6 Cogli l'opportunità di rubare la capra (順手牽羊/顺手牵羊, Shùn shǒu qiān yáng)
Mentre porti avanti i tuoi piani, sii sufficientemente flessibile per avvantaggiarti di ogni opportunità che si presenti, anche minima, e giovatene per trarne profitto, per quanto trascurabile.


Capitolo 3: Piani per attaccare (攻戰計)
3.1 Batti l'erba per spaventare il serpente (打草驚蛇/打草惊蛇, Dá cǎo jīng shé)
Compi qualcosa di inusuale ma spettacolare per provocare la risposta del nemico, affinché riveli i suoi piani o la sua posizione, oppure provocalo solamente.
Conosciuto maggiormente come "Non spaventare il serpente battendo l'erba". Un'azione imprudente svelerà la tua posizione o le tue intenzioni al nemico.

3.2 Prendi a prestito un cadavere per risuscitare lo spirito (借屍還魂/借尸还魂, Jiè shī huán hún)
Prendi un'istituzione, una tecnologia, un metodo o anche un'ideologia che è stata dimenticata o scartata e appropriatene per il tuo scopo. Riporta in vita qualcosa dal passato, idee, usi, tradizioni, dandogli un nuovo scopo o reinterpretandoli secondo i tuoi scopi.

3.3 Costringi la tigre a lasciare la sua tana di montagna (調虎離山/调虎离山, Diào hǔ lí shān)
Non attaccare direttamente il nemico che ha una posizione favorevole. Invece spingilo a lasciare la sua posizione favorevole così da separarlo dalla sua fonte di forza.

3.4 Per catturare, bisogna allentare (欲擒故縱/欲擒故纵, Yù qín gū zòng)
Prede chiuse in un angolo spesso lanciano un ultimo disperato attacco. Per evitarlo lascia credere al nemico che abbia una possibilità di libertà. La sua volontà di combattere è così indebolita dal desiderio di fuga. Quando alla fine il nemico comprenderà che la libertà è impossibile, il suo morale sarà abbattuto e si arrenderà senza combattere.

3.5 Getta un mattone per ottenere una gemma di giada (拋磚引玉/抛砖引玉, Pāo zhuān yǐn yù)
Alletta qualcuno facendogli credere di guadagnare qualcosa o fallo solo reagire all'idea, e ottieni qualcosa di importante da lui in cambio.
Questo proverbio si basa sulla storia di due famosi poeti della Dinastia Tang. C'era un grande poeta chiamato Zhao Gu e un poeta inferiore di nome Chang Jian. Mentre Chang Jian era in viaggio per Suzhou, seppe che Zhao Gu avrebbe fatto visita ad un tempio del luogo. Chang Jian desiderava imparare dal maestro e così ideò un piano: si recò al tempio in anticipo e poi scrisse una poesia sui muri del tempio con solo due versi su quattro completi, sperando che Zhao Gu lo avrebbe visto e terminato. E così avvenne.

3.6 Sconfiggi i nemici catturando il loro capo ((擒賊擒王/擒贼擒王, Qín zéi qín wáng)
Se l'esercito nemico è forte ma è legato al comandante solo per denaro, superstizione o minacce, allora concentrati sul capo. Se il comandante cade, il resto dell'esercito si disperderà o passerà dalla tua parte. Se invece sono legati al capo per lealtà, allora fai attenzione: l'esercito può continuare a combattere dopo la sua morte per vendicarlo.


Capitolo 4: Piani per le battaglie dalle molteplici possibilità (混戰計)
4.1 Rimuovi la legna da sotto il calderone (釜底抽薪, Fǔ dǐ chōu xīn)
Se qualcosa deve essere distrutto, allora distruggi la fonte.

4.2 Disturba l'acqua per catturare il pesce (渾水摸魚/浑水摸鱼 or 混水摸鱼, Hún shuǐ mō yú)
Crea confusione e usala per favorire i tuoi fini.

4.3 Muta la pelle dello scarabeo d'oro (金蟬脱殼/金蝉脱壳, Jīn chán tuō qiào)
Per scappare da un nemico dalle forze superiore, mascherati.

4.4 Chiudi la porta per catturare il ladro (關門捉賊/关门捉贼, Guān mén zhuō zéi)
Per catturare il nemico, devi pianificare con prudenza se vuoi riuscire. Non precipitarti nell'azione. Prima di muoverti, taglia le vie di fuga al nemico e ogni via di aiuto che possa giungergli da fuori.

4.5 Alleati con uno stato distante mentre attacchi uno vicino (遠交近攻/远交近攻, Yuǎn jiāo jìn gōng)
Le nazioni confinanti diventano nemiche, mentre le nazioni separate da grandi distanze stringono lunghe alleanze. Quando sei il più forte in un campo, la tua più grande minaccia proviene dal secondo più forte nel tuo campo, non dal più forte in un altro campo.
Questa politica è attribuita a Fan Sui di Qin (ca. 269 a.C.)

4.6 Ottieni un passaggio sicuro per conquistare Guo (假道伐虢, Jiǎ dào fá Guó)
Prendi a prestito le risorse di un alleato per attaccare un nemico comune. Una volta che il nemico è sconfitto, usa queste risorse contro l'alleato che te l'ha prestate.
Il proverbio si riferisce al duca Xian di Jin.


Capitolo 5: Piani per le battaglie di annessione (並戰計)
5.1 Sostituisci le travi con legno marcio (偷梁換柱/偷梁换柱, Tōu liáng huàn zhù)
Scompiglia la formazione nemica, interferisci nei loro metodi operativi, cambia le regole che sono soliti seguire, vai contro il loro addestramento regolare. In questo modo rimuovi la colonna portante, il legame comune che rende un gruppo di uomini una forza di combattimento coesa.

5.2 Punta al gelso mentre maledici l'acacia (指桑罵槐/指桑骂槐, Zhǐ sāng mà huái)
Per disciplinare, controllare o avvertire gli altri che sono in una posizione che esclude dal confronto diretto, fai analogie e allusioni. Quando i nomi non sono usati direttamente, chi è accusato non può rivalersi senza svelare la propria complicità.

5.3 Fingiti pazzo ma resta equilibrato (假痴不癲/假痴不癫, Jiǎ chī bù diān)
Nasconditi dietro la maschera dell'idiota, dell'ubriaco o del pazzo per creare confusione sulle tue intenzioni e motivazioni. Spingi il nemico a sottovalutare la tua abilità finché, presuntuosamente, abbasserà la guardia. Allora attaccalo.

5.4 Rimuovi la scala quando il nemico è salito sul tetto (上屋抽梯, Shàng wū chōu tī)
Con esche e inganni spingi il nemico su un terreno infido. Allora taglia le sue linee di comunicazione e vie di fuga. Per salvarsi deve combattere contro le tue forze e gli elementi della natura.

5.5 Adorna l'albero con fiori finti (樹上開花/树上开花, Shù shàng kāi huā)
Legare fiori di seta ad un albero morto dà l'illusione che l'albero sia in salute. Attraverso l'uso di artifici e travestimenti, rendi qualcosa di nessun valore importante, qualcosa di innocuo pericolo, qualcosa di utile inutile.

5.6 Scambia i ruoli dell'ospite e dell'invitato (反客為主/反客为主, Fǎn kè wéi zhǔ)
Impadronisciti del comando in una situazione dove sei di solito subordinato. Infiltrati nel campo avversario. All'inizio fingi di essere un invitato, ma cresci dall'interno e diventa in seguito il padrone.


Capitolo 6: Piani per le battaglie disperate (敗戰計)
6.1 La trappola della bella (美人計/美人计, Měi rén jì)
Invia al tuo nemico belle donne per generare discordia nel suo campo. Questo stratagemma può lavorare su tre livelli. Primo: il governante si innamora della bella donna e trascura i suoi doveri e allenta la vigilanza. Secondo: altri uomini a corte inizieranno a mostrare un atteggiamento aggressivo che infiamma piccole differenze ostacolando la cooperazione e distruggendo il morale. Terzo: altre donne a corte, motivate dalla gelosia e dall'invidia, cominciano ad ordire intrighi esacerbando ulteriormente la situazione.

6.2 La strategia del forte vuoto (空城計/空城计, Kōng chéng jì)
Quando il nemico è superiore di numero e ti aspetti di essere sopraffatto in qualsiasi momento, allora lascia cadere i preparativi e agisci con calma, così il nemico penserà che gli stai tendendo una trappola. Questo stratagemma deve essere usato con parsimonia e solo dopo aver sviluppato una reputazione di prodezza militare. Questo dipende anche dall'intelligenza del nemico che, intuendo una trappola, può progettare la sua reazione.

6.3 La trappola dell'agente doppio (反間計/反间计, Fǎn jiàn jì)
Mina la capacità del nemico di combattere causando segretamente discordia tra lui e i suoi amici, alleati, consiglieri, familiari, comandanti, soldati e popolazione. Mentre è occupato a comporre le dispute interne, la sua capacità di attacco o di difesa è compromessa.

6.4 Ferisciti per avere la fiducia del nemico (苦肉計/苦肉计, Kǔ ròu jì)
Fingere di essere feriti ha due possibili applicazioni. Primo: il nemico allenta la guardia poiché non ti considera più una minaccia immediata. Secondo: è un modo per ingraziarti il nemico fingendo che la ferita è stata causata da un nemico comune.

6.5 Stratagemmi intrecciati (連環計/连环计, Lián huán jì)
Nelle questioni importanti uno dovrebbe usare diversi stratagemmi contemporaneamente come una catena di stratagemmi. Tieni piani differenti operanti in uno schema generale. In questo modo se uno stratagemma fallisce, la catena si rompe e tutto lo schema fallisce.

6.6 Se tutto fallisce, ritirata (走為上/走为上, Zǒu wéi shàng)
Se diventa evidente che il susseguirsi degli eventi porterà alla sconfitta, allora ritirati e riorganizzati. Quando la tua parte sta perdendo, rimangono solo tre scelte da prendere: arrendersi, trovare un accordo, o scappare. La resa è la sconfitta completa, l'accordo è mezza sconfitta, ma la fuga non è sconfitta. Fino a quando non sei sconfitto, hai ancora una possibilità.




Nakano Takeko


In Giappone c’è una lunga tradizione di donne combattenti che hanno segnato la storia, le tradizioni e la cultura di quel paese.
Una di queste è Nakano Takeko. Nata nel 1847 a Edo, capitale del nascente Giappone moderno, fu istruita al combattimento e alle arti letterarie. Fu adottata dal suo maestro Akaoko Daisuke con cui lavorò come istruttore di arti marziali.
Entrò nel clan Aizu e subito si distinse per la sua bravura nel maneggiare la naginata. Durante la battaglia che porta il nome del suo clan di appartenenza le fu concesso l’onore di comandare un esercito totalmente femminile che agiva in modo autonomo rispetto all’esercito di Aizu poichè le donne non potevano far parte dell’esercito ufficiale.
Durante la seconda guerra Boshin, Nakano Takeko combattè con grande coraggio col suo clan a supporto dello Shogun. Sfondando le linee nemiche e uccidendo molti uomini. Fu colpita al petto da una freccia. A quel punto chiese a sua sorella Yuko di portare a termine il giuramento che si erano fatte. Takeko fece promettere a Yuko che se fosse stata colpita a morte lei avrebbe dovuto tagliarle la testa e riportarla a casa per poter essere adeguatamente onorata.Così fu fatto.
Nakano Takeko morì nel 1868, nella guerra tra l’Imperatore e lo Shogunato che decretò la sconfitta di quest’ultimo e la decadenza dei samurai.
Ancora oggi, nella città di Aizu, Nakano Takeko viene onorata in una processione in cui delle ragazze sfilano indossando la sua caratteristica hamaka a fasce bianche, in ricordo delle sue gesta e di quelle dell’Esercito femminile da lei guidato.

lunedì 24 giugno 2019

IL KOR KAPTAN DI SAN STAE: L'AMMIRAGLIO LAZZARO MOCENIGO (1624-1657)

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La storia di Venezia è costellata da ammiragli, proveditor da mar e pure semplici sopracomiti capaci di rovesciare le sorti di una battaglia e portare alla vittoria la potentissima flotta della città lagunare. Nomi quali Antonio Zeno, Antonio Canal, Vincenzo Cappello, Carlo Zen e molti altri rifulgono nella storia della Serenissima, ma ben pochi hanno conseguito imprese coraggiose e al limiti della follia come Lazzaro Mocenigo.
Nato a Venezia il 9 luglio 1624, a San Stae, da Giovanni di Antonio, del ramo della Carità e da Elena di Antonmaria Bernardo, già vedova di Giorgio Contarini, Lazzaro Mocenigo non si sposò mai, nè si narra fosse stato mai trattenuto da affetti o interessi di studio, bensì dimostrò una dedizione quasi ascetica per la militanza marittima, e si dimostrò essere uno dei più coraggiosi ammiragli della Serenissima.
Allo scoppio dell'ennesima guerra contro i turchi, nel 1645, partì come Volontario nell'armata nel 1646, e, nominato vicegovernatore di galeazza a fine novembre del 1649, subito si distinse nello scontro di Nixia: sebbene colpito da una freccia turca al braccio sinistro e mutilato di un dito da un colpo di moschettata, il giovane continuò a combattere per l'intera giornata senza domandare cure ai compagni di bordo.
Nonostante una nomina come magistrato al Sale, presto Lazzaro s’imbarcò nuovamente, spinto dalla sua passione per il mare e per la guerra.
Lo si ritrova nel 1655 al comando di una galeazza, sotto gli ordini del proveditor d'Armata Francesco Morosini, alla spasmodica ricerca di uno scontro dinnanzi ai Dardanelli.
I rapporti con il suo superiore divennero tesi a causa dell'irruenza del Lazzaro, ma quando si giunse allo scontro, il 21 giugno, le ostilità tra i due lasciarono al posto alla lotta per la sopravvivenza, in una battaglia che si protrasse per 17 ore.
Lazzaro, disposte le navi nella prima insenatura dell’Ellesponto, investì le unità turche quando uscirono dallo stretto scompaginandone l’ordine e costringendo alla fuga lo stesso ammiraglio Mustafà: vi furono 3000 perdite tra i nemici e vennero presi molti cannoni, mentre le navi del Turco furono date alle fiamme e 3 vennero catturate. Nella consulta del 27, il giovane Mocenigo perorava un ulteriore attacco alle forze del Sultano, ma prevalse il parere di Morosini di procedere subito all’assedio di Malvasia.
Subentratogli nella carica Marco Bembo, continuò lo stesso a militare quale «venturiere» nella sultana (ossia un vascello di grandi dimensioni) S. Marco. Questa era tra le 66 unità schierate il 24 gennaio dal capitano generale da Mar Lorenzo Marcello a bloccare l’uscita dai Dardanelli. Il 23 giugno la flotta turca, forte di 94 unità, tentò, col favor del vento, di sfondare il blocco e la battaglia che ne seguì infuriò per 14 ore.
Stando a una relazione non ufficiale la squadra di Bembo si inoltrò sopravento e intercettò la rotta al Turco, gettando lo scompiglio tra le galere ammassate. La S. Marco con Lazzaro a bordo, che chiudeva il passo alle galee sottili nemiche, si ritrovò in mezzo alle navi in fuga. Per non soccombere alle maree nemiche e pure cannoneggiata, non poté riguadagnare il mare e toccò terra. Il suo capitano Giovanni Gottardo, prima che il nemico se ne impadronisse, decise di farla bruciare.
Ciò senza il consenso di Lazzaro, il quale, pur ferito da un colpo di moschetto a un occhio, non desistette dal combattere. A suo avviso, per quanto malandata, la nave era ricollocabile in mare; e, in effetti, Gottardo fu sottoposto a processo per la sua discutibile decisione,.
Fu a ogni modo una trionfale vittoria veneta: 10.000 turchi caduti e 5000 fatti prigionieri; 84 unità perse, alcune catturate, altre arse, altre affondate. Appena 3, di contro, le navi perse da Venezia, e tra questa la S. Marco; e appena 300 i caduti. Un successo strepitoso che era stato reso possibile anche grazie all'intraprendenza del Mocenigo, la cui nave nonostante un discutibile comando altrui, era riuscita a imbottigliare molti dei legni ottomani.
Imbarcato sulla capitana turca catturata, stracarica di trofei e di schiavi liberati, giunse il 1° agosto a Venezia, dove venne accolto dal festoso saluto di replicate cannonate a salve.
Qui – dove per tre giorni si cantò il Te Deum e per tre notti vi fu l’illuminazione a giorno – il Senato gli conferì il cavalierato di S. Marco e un collare del valore di 2000 ducati. E l’indomani il Maggior Consiglio lo promosse capitano generale da Mar.
Ripartito in novembre, il 20 dicembre giunse ad Argostoli, quindi il 26 febbraio 1657, si ricongiunse con l’armata di cui ora aveva il comando. Con 12 galee, si portò a Scio, base per le operazioni della caccia alle imbarcazioni turche. In quei mesi si trovò impegnato nella caccia alle sfuggenti navi ottomane, di cui ne catturò numerose e riuscì a vincere un contrattacco nella battaglia del canale di Scio.
Soprannominato dal nemico Kor Kaptan (ossia «capitano orbo»), in un rapporto del 19 maggio il Mocenigo esibì la cattura di 44 legni nemici mentre il giorno prima era avvenuta, quasi senza spargimento di sangue, la presa della piazza di Suazich, con considerevole bottino di polveri, munizioni e cannoni. Per Lazzaro era giunto il momento di puntare con una grande offensiva al Turco in difficoltà, da lui considerato allo sbando, con la flotta inattiva a Rodi, in parte vagante senza una strategia, in parte tremebonda «dentro de’ Castelli». Smanioso di un confronto definitivo, l'ammiraglio fece pressione per accelerare i tempi, insistendo sul fatto che l’ammiraglio ottomano, l’albanese Mehmed Köprülü, stesse allestendo una possente flotta adeguata a fronteggiare l’armata da lui capitanata. Se, da un lato, esprimeva il desiderio di prendere congedo, anche in ragione delle conseguenze della perdita dell’occhio, dall'altro lato voleva chiudere in bellezza, con un memorabile trionfo.
La flotta si spostò allora di fronte ai Dardanelli: contava, annoverando le maltesi e le pontificie, 68 unità, di contro alle 53 unità della flotta ottomana con circa 150 imbarcazioni minori. Questa, attestatasi ai Castelli, azzardò l’uscita dai Dardanelli, ma con l'unico risultato di aver perse 5 navi e 5 maone. Nel mentre, i venti compromisero la disposizione a semicerchio voluta da Lazzaro a sbarramento del canale. Un blocco che la furia dei venti contrari e il mare agitato resero, il 18 e il 19 luglio, insostenibile. In una giornata di pioggia e vento fortissimo, quindi, iniziò la battaglia. Nel caos che ne seguì con incredibile sorpresa le navi veneziane risultarono vincitrici e i turchi, forse intimoriti dalla presunta invincibilità della armate veneziane, si diedero alla fuga. Il Mocenigo, conscio che tutto si sarebbe giocato in poche ore, pur essendo quasi sera e avendo attorno a sé appena 10 navi, ordinò l'assalto, ma una burrasca bloccò l'azione che venne rinviata alla mattina successiva. La mattina trascorse senza vento e, alla sera, quando finalmente s'alzò, la flotta riprese la navigazione. Le batterie costiere tempestarono senza effetto l'avanzata delle navi e ormai Costantinopoli era quasi in vista quando accadde la disgrazia che mutò il corso dell'intera guerra. Un colpo di cannone colpì una velatura che, cadendo, fratturò il cranio di Mocenigo, che morì sul colpo; pochi secondi dopo un ulteriore colpo centrò la polveriera della nave, facendola saltare in aria.
L'avanzata si fermò e la notte portò al cessare delle ostilità.
Il nuovo ammiraglio era Lorenzo Renier, un ultrasettantenne che non aveva mai avuto un vero comando e che era giunto lì solo per anzianità. Timoroso per il morale della truppa decise di ritirarsi, concludendo in un nulla di fatto la campagna
Valutando le perdite inflitte al Turco, questo fu sconfitto. Vittoria veneta, dunque; una «vittoria grandissima», insistono i rapporti veneti, «in faccia» al cuore dell’Impero nemico, il pieno tripudio per la quale è però trattenuto dal cordoglio per la morte del Mocenigo. Non era soltanto la perdita dell'unico ammiraglio veneto che era stato capace quasi di raggiungere la Sublime Porta e attaccare una Istanbul vicina al collasso, bensì era stata la morte di uno dei più grandi eroi delle armate della Serenissima.

domenica 23 giugno 2019

TRAINING



In ogni attività fisica è essenziale l'allenamento. In una complessa attività come la pratica delle arti marziali l'allenamento è continuo, non finisce mai.
Essendo un lavoro di corpo e mente in sintonia, quando si finisce con l'allenare il corpo, la mente continua ad "allenarsi" continuando a tenere presenti e vivi i concetti appresi.

TRAINING DEL CORPO E DELLA MENTE
Essenzialmente allenarsi, ripetendo le varie tecniche un certo numero di volte finché non si riescono ad eseguire correttamente e con una certa disinvoltura, si chiama attività di educazione neuromuscolare. Dobbiamo far memorizzare al nostro cervello delle sequenze di movimenti, a volte decisamente complessi, tenendo conto degli input che ci danno i nostri sensi. Il senso che più è da sviluppare e da tenere presente durante la pratica delle arti marziali è l'equilibrio. La capacità di sfruttare un equilibrio dinamico (cioè restare in piedi, o cadere in maniera voluta) durante l'esecuzione di una tecnica varia da persona a persona ed è uno dei fattori discriminanti di bravura tra individui diversi. Come tanti altri fattori umani la capacità di gestione dell'equilibrio dinamico è naturalmente più sviluppata in alcuni soggetti, e meno in altri, ma un buon allenamento può migliorarla sensibilmente.
L'allenamento serio e continuato che presenti varietà di esercizi, un buon riscaldamento, e una certa attività aerobica è sicuramente una panacea per il nostro organismo e per il benessere della nostra mente. Non ha senso allenarsi così, senza pensare a quello che si sta facendo. E' essenziale avere degli obiettivi da raggiungere. Prima di tutto focalizzate quello che volete ottenere da questa pratica, quindi ponetevi delle mete da raggiungere.
Inoltre è essenziale allenarsi con un compagno per svariati motivi tutti fondamentali alla stessa maniera:

Motivazione: un compagno sarà uno stimolo costruttivo alla vostra attività e sarà un giudice dei vostri progressi.

Apprendimento: Chi tenta di imparare un'attività fisica dai libri (specialmente un'arte marziale) senza nemmeno provare una singola tecnica con una persona sta perdendo tempo nella maniera più idiota che esista. Le arti marziali sono basate sulle sensazioni che l'interazione con un altro essere umano genera (anche il dolore... fondamentale per imparare).
Ricordate inoltre che allenare il proprio corpo per sopravvivere ad uno scontro fisico è una grossa responsabilità.

RISCALDAMENTO & STRETCHING
Inutile dire che il riscaldamento è fondamentale. Eppure c'è sempre qualche facilone che si fa male durante gli allenamenti perché "non si è scaldato bene", oppure perché qualche istruttore dell'ultimo minuto pensa che far ruotare il polso con un bastone in mano è un riscaldamento decente per i polsi e tutto il corpo. Si va dritti dal fisioterapista con dei riscaldamenti "filippini tradizionali" di questo tipo.
Un'attività leggera, bastano 8-10 minuti se fatti bene, tenendo conto di TUTTI i gruppi muscolari, e ci preverremo la maggior parte dei traumi legati all'abuso di movimento in muscoli freddi.
Molti diranno: per strada non ho tempo di riscaldarmi! Devo agire e subito! Vero. Infatti nessuno ha mai detto che reagire ad una situazione di aggressione non comporti dei danni collaterali dovuti a lesioni di muscoli freddi.
Triste, ma vero. Meglio un muscolo del trapezio stirato che una coltellata al ventre? Comunque in questi casi interviene anche il famoso fattore "flessibilità" ed "allenamento". Se facciamo regolarmente esercizi di stretching, abbiamo dei muscoli tonici ed allenati, i problemi sopraccitati si
riducono, non spariscono, ma abbiamo meno possibilità che avvengano.


CONDIZIONAMENTO MUSCOLARE
Lo sviluppo muscolare è il naturale adattamento del nostro corpo all'incremento di un'attività fisica. I muscoli, debitamente stimolati, tentano di affrontare al meglio lo sforzo "ricostruendosi" più forti di volta in volta. E' un processo non propriamente veloce, molto dipendente dal corredo genetico individuale, dalla dieta e, naturalmente, dal tipo di attività. In generale un corpo da body-builder non è molto utile nella pratica delle arti marziali, dove la velocità e la coordinazione sono doti preferite alla pura potenza muscolare. Ma è anche vero che senza una certa dose di "forza fisica" le tecniche adottate possono risultare poco efficaci. Spesso si sente dire, ad esempio, che il Judo è l'arte del più debole di sconfiggere il più forte, il più grosso, attraverso sofisticate tecniche di sbilanciamenti e proiezioni che sfruttano al meglio l'energia generata dall'avversario nell'attaccare. Ma perché allora tutti gli atleti di Judo hanno dei fisici scolpiti con dei muscoli a dir poco paurosi? E hanno a che fare sul tatami con gente che dovrebbe rispettare delle regole.
Senza un minimo di muscoli non si va da nessuna parte seriamente. Non servono comunque bicipiti grossi come pagnotte o addominali scolpiti per essere efficaci. Basta allenarsi con costanza ed eseguire ad ogni sessione esercizi a corpo libero, se siamo troppo pigri per scomodare dei pesi.
Detto questo si deve anche dire i lati negativi dell'allenamento in generale delle arti marziali.
Traumi a parte, che fanno parte dei "rischi del mestiere" di qualsiasi sportivo serio, il Kung Fu è un'attività tremendamente lesiva per il nostro sistema muscolo-scheletrico. Se praticato con assiduità, ma con poco buon senso, può provocare microtraumi ripetuti a livello lombo-sacrale, ed alle articolazioni sollecitate quali le spalle, i polsi e le ginocchia.
Con l’andar del tempo la continua pratica errata porta a possibili sollecitazioni a livello dell’arto superiore ed in particolare della spalla causando una possibile impotenza funzionale che comprometterebbe la pratica dell’allenamento per settimane. Il movimento di colpire attraverso le traiettorie degli angoli con bastone e coltello portano ad un sovraccarico della muscolatura della regione dorsale che può avere frequentissime e dolorosissime contratture. L'uso specifico solo di un braccio può portare a squilibri muscolari che si ripercuoterebbero a livello posturale, in particolare a livello della colonna vertebrale. Le ginocchia dal canto loro, sono sottoposte ad un carico eccessivo ed improprio durante i movimenti di footwork esasperati.
Essere marzialisti, soprattutto, significa essere persone con una conoscenza molto accurata del corpo umano ed essere in grado di "sentirlo" quando un acciacco affiora nel nostro organismo.
Detto per inciso: ci si fa male nelle maniere sopraccitate anche senza per forza fare un'arte marziale, quindi, se possiamo scegliere, facciamolo almeno nella maniera più gradita a noi!

sabato 22 giugno 2019

IL RE PACIFICATORE: LE LOI (1385-1433)

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All'alba dell'anno 1400 la dinastia Ho aveva rimpiazzato la dinastia Tran e si apprestava a riformare il Dai Viet (Vietnam), ma un pretendente della vecchia dinastia convinse l'imperatore Yongle a far intervenire gli eserciti della Cina Ming per supportare la sua pretesa al trono. L'esercito cinese conquistò il paese, che passò sotto l'amministrazione diretta dei Ming, tolti di mezzo i Tran, come già era avvenuto 500 anni prima sotto la dinastia Tang.
Il governo cinese trovò un limitato supporto, in quanto in molti accusarono gli occupanti di compiere ruberie di artefatti, preziosi e tesori a danno dei viet. Anche se le rivolte che scoppiarono per supportare gli ultimi Tran fallirono, aiutarono a spargere il sentimento di rivalsa che sarebbe stato decisivo pochi anni dopo. Le Loi era un nobile feudatario di Lam Son nato probabilmente nel 1385 che appoggiò le rivolte dei Tran, ma anche dopo la loro sconfitta non smise di sognare l'indipendenza del paese. Per questo nel 1418 venne denunciato come ribelle e fu costretto a a rifugiarsi sulle montagne, dove iniziò la sua ribellione.
Nella sua provincia natale di Thanh Hóa la ribellione poté crescere grazie al supporto delle importanti famiglie dei Trinh e dei Nguyen, oltre che del popolo ansioso di scacciare i Ming. All'inizio venne scelto un discendente dei Tran come simbolo della rivolta, ma nel giro di breve Le Loi venne scelto quale nuovo capo, chiamato dai suoi il Re Pacificatore. All'inizio le forze vietnamite dovettero limitarsi a condurre azioni di guerriglia contro gli occupanti, non avendo ancor abbastanza forze per sfidarli in battaglia. Braccati e costretti spesso a nutrirsi dei loro animali, i guerriglieri furono quasi annientati più di una volta. In un'occasione, trovandosi circondati in cima a una montagna, il fedele amico del leader ribelle, Le Lai, indossò l'armatura di Le Loi e guidò una carica suicida contro i Ming per dare agli altri il tempo di fuggire grazie al suo eroico sacrificio. Nel 1421 il re Lan Kham Deng del regno di Lan Xang inviò delle truppe a supporto dei guerriglieri vietnamiti, ma i cinesi diedero fondo ai loro forzieri per comprare la lealtà dei laotiani. Costretto a combattere contro due nemici contemporaneamente, la situazione era così disperata che Le Loi accettò un'offerta di tregua e si ritirò sulle montagne.
Ma con la morte dell'imperatore Yongle i cinesi si disinteressarono del Vietnam a causa delle spese eccessive che l'occupazione comportava. Con un esercito rafforzato rispetto alla prima fase, i ribelli poterono tendere una serie di imboscate agli occupanti, per poi batterli in campo aperto e costringerli a rifugiarsi nelle fortezze del nord. All'inizio del 1426 la ribellione si era talmente estesa che Le Loi poté assediare Dong Kinh (Hanoi) e sconfiggere un'armata di 50.000 uomini mandata in soccorso della città. Per offrire ai Ming un'uscita dignitosa dal conflitto, Le Loi proclamò imperatore il principe Tran Cao, dato che i cinesi erano intervenuti con il pretesto di rendere il trono ai Tran. Ma a causa dell'intransigenza dei viet lealisti, il conflitto continuò e i cinesi si rinchiusero nelle fortezze rimaste mentre i ribelli controllavano ormai l'intero paese. Quando nell'ottobre del 1427 i rinforzi cinesi furono annientati in un'imboscata presso il passo di Chi Lang, al governatore Ming non rimase altra scelta che arrendersi. Nell'aprile del 1428, dopo dieci anni di lotta, Le Loi divenne imperatore del Dai Viet, un paese formalmente tributario dei Ming ma indipendente. I cinesi lasciarono i loro vassalli a sé stessi e autonomi per i secoli successivi, e Le Loi, il primo imperatore della dinastia Le, venne glorificato come il perfetto esempio del regnante saggio, capace e giusto.
Secondo le leggende, Le Loi giunse alla vittoria anche grazie alla spada magica "Volontà del Cielo", donatagli dal semidio Long Vuo'ng, il Re Drago. Un anno dopo esser asceso al trono, mentre era in barca sul lago Ho Luc Thuy, la tartaruga dal guscio dorato Kim Qui emerse dalle acque e con voce umana gli chiese di rendere la spada al Re Drago, in quanto ormai il Dai Viet era libero. Il re lanciò la spada al rettile che la afferrò con la bocca e la riportò al suo signore, che vive in quello che ancora oggi è chiamato Ho Hoan Kiem, il Lago della Spada Riportata.



venerdì 21 giugno 2019

Forze speciali e arti marziali

Navy SEALs, Delta Force, Green Berets...
Ogni anno che passa è sempre peggio. Si apre una rivista di Arti Marziali e quando si trova una pubblicità di un istruttore/maestro di qualche disciplina marziale quale Jeet Kune Do, Kali Filippino e Pencak Silat (che di solito è di moda far andare tutte e tre a braccetto), ecco che questi dichiara di aver insegnato (o di aver appreso alla perfezione) il programma di addestramento di combattimento a mani nude dei S.E.A.L.S., Rangers, Delta Force, S.W.A.T., FBI (i più colti scrivono HRT, l'unità antiterrorismo -recupero ostaggi- dell'FBI), D.E.A., Green Berets... Non si salva nessuna branca delle Forze Speciali USA.
Ma alle nostre Forze Speciali non insegna nessuno? Magari che i GIS o i NOCS sono totalmente a digiuno di programmi di difesa personale? Nei loro curriculum questi istruttori/Maestri si limitano a dire in ambito italiano di aver insegnato a molti Body Guard, e a qualche agente di Polizia.
E' brutto, per farsi pubblicità, attaccarsi a sedicenti nomi di spicco delle forze armate americane, che sinceramente, se uno vuole imparare a menar le mani di brutto, non gliene frega niente dove ha insegnato/imparato tali tecniche questo tizio. Poi se notate, molto spesso, queste pubblicità chiedono "Vuoi diventare istruttore di kali, Jeet Kune ecc...?".
Ma a nessuno viene in mente che qualcuno vorrebbe imparare e basta senza velleità di insegnare a qualcuno qualcosa che ha impiegato magari 40 misere ore ad "imparare"?
Partiamo dal presupposto che i militari non hanno nè il tempo nè la motivazione per imparare un sistema di combattimento in maniera completa e da zero. Devono imparare cose semplici, rapide e risolutive. Certo, certe arti marziali si prestano più di altre da questo punto di vista e se da questo addestramento qualche soldato abbandona il suo corpo d'appartenenza per andare in giro a fare stages e guadagnarsi da vivere è perfettamente normale. Un tipico esempio è l'-ex SEAL Frank Cucci che va in giro per il mondo ad insegnare le sue tecniche di bastone-coltello-mani nude essenzialmente basate sul Kali filippino del metodo Inosanto. I militari seguono anche loro le mode. Negli anni sessanta-settanta negli USA veniva insegnato il Karate, il Judo, il Ju Jitsu.
Addirittura prima, negli anni quaranta, andava di moda il Defendu, un'arte marziale codificata dal famoso Cap. Fairbarn, che era essenzialmente un Judo con degli elementi di boxe cinese. Poi negli anni ottanta il boom delle arti marziali filippine con una strizzata d'occhio al combattimento con il coltello. Greg Walker docet.
Tenendo conto che i SEALS, almeno negli anni ottanta, per essere accettati dovevano superare una rigorosa selezione, il più gracile di loro pesava 80Kg, con poco grasso corporeo addosso (almeno al momento della selezione). Persone così, non propriamente mansuete, non hanno bisogno di una sofisticata preparazione marziale per essere efficaci anche a mani nude. Quindi che abbiano affrontato un intero programma di Kali Filippino sembra un pò strano. Che gli abbiano insegnato qualche "trucchetto" di buon senso, può darsi.         In Italia?
Un pò come in tutto il mondo. Si chiama per addestrare i propri uomini chi ci da più fiducia.
La bibliografia di ex-istruttori militari americani che dicono la loro sull'argomento è praticamente infinita. Tecniche a mani nude, di bastone singolo o doppio, di coltello, baionetta innestata sul fucile... Ma davvero un soldato delle Forze Speciali sa tutte queste tecniche? Anche qui gli italiani latitano, eppure abbiamo soldati in gamba nel nostro paese, non capisco perchè nessun ex istruttore di combattimento corpo a corpo non si mette a scrivere un manuale tecnico o a fare un bel video. Mi piace pensare che non lo fanno perchè sono persone serie. Un pò come quel sottufficiale della Marina Italiana che era istruttore di combattimento a mani nude degli Incursori di Marina (i nostri SEALS, insomma) che aveva una solidissima base di Ju Jitsu, ma praticamente insegnava ai suoi soldati a muoversi in fretta e far male sul serio al primo colpo, ma che ha solo sentito nominare i vocaboli come Jeet Kune Do o Kali.
In carcere si spera che i detenuti non girino armati di coltello, e in tal caso ho sempre consigliato di usare la Beretta di ordinanza, poi perquisirli meglio. Con i poliziotti invece totale muro di indifferenza. Se c'è da menare applicano sempre la regola del tre contro uno. Tre poliziotti con una persona. Carabinieri? Ancora peggio. Fatte le solite eccezioni di elementi isolati appartenenti alle forze dell'ordine che hanno delle ottime basi di marzialisti, la stragrande maggioranza di essi fa troppo affidamento sull'uniforme, i propri muscoli (chi li ha), e sulla fortuna.
Ogni tanto si legge sul giornale locale di qualche poliziotto ben massacrato di botte da qualche ubriaco: e per fortuna che la pistola ce l'hanno assicurata alla cintura con il cavo! Altrimenti quante Beretta 9X19 in mano alle mani sbagliate. Mi chiedo: ma come mai tutti questi istruttori che si sono fatti le ossa oltreoceano addestrando i professionisti più duri dell'esercito americano non sono in grado di proporre a livello nazionale un corso fatto bene e completo per le nostre forze di polizia?
E' innegabile pensare che non potrebbe che aumentare la sicurezza e l'efficienza del singolo elemento... Ma come suonerebbe come pubblicità su di una rivista <>?