mercoledì 18 marzo 2020

Chi vincerebbe tra un ninja e un samurai?


Questi sono tre bushi (non samurai, visto che quelli erano una casta comprendente anche funzionari, ambasciatori…) in armatura. Saprebbero usare tutte le armi nella foto (yumi, yari e tachi, ovvero arco, lancia e spada, che erano poi, nell'ordine, le armi più rappresentative della classe guerriera) e altre (mazze, asce, martelli, alabarde, coltelli…)


Questo è come un bushi andrebbe in giro


Questo NON è uno shinobi (o ninja che dir si voglia): è un costume teatrale che rappresenta la sua capacità di rendersi invisibile agli occhi delle persone in quanto ninja, come una persona vestita di nero al buio


Questo potrebbe essere uno shinobi vestito da cameriera


Questo potrebbe essere uno shinobi vestito da monaco buddhista

Uno shinobi potrebbe vestirsi così


Anche i ninja sapevano usare una vasta gamma di armi, ma erano per lo più armi facilmente occultabili, quindi corte e spesso non progettate per l'utilizzo bellico.
Ovviamente solo il più cretino dei ninja, generalmente un contadino assoldato dal daimyo di turno semplicemente per andare in giro a raccogliere informazioni, uccidere persone che dormono con un falcetto e sicuramente non a combattere in campo aperto, attaccherebbe un bushi, un guerriero ben addestrato e capace di usare tutto ciò che trova come arma. Il nostro amico ninja non proverebbe nemmeno ad attaccare il bushi di notte, in un bosco (a meno che non si tratti di un gruppo di ninja, ma questo esula dalla domanda), visto che un vero bushi è addestrato a reagire tempestivamente a qualunque pericolo. In una battaglia del genere, il bushi vincerebbe a mani basse.
Inoltre, a meno che non sospetti qualcosa, il bushi non avrebbe motivo di uccidere un contadino, un monaco o un mercante, quindi penso sia da escludere il combattimento in campo aperto tipo duello.
La situazione più probabile è questa: il bushi sta dormendo nella sua stanza, o nella sua tenda, il ninja entra e lo uccide. Un colpo in mezzo alle spalle, o nel collo, e via. Se il ninja fa tutto come si deve e il bushi ha il sonno pesante non ci sono problemi. Se, però il ninja dovesse far rumore, far entrare della luce nella stanza o comunque disturbare il sonno del bushi, che potrebbe anche essere abbastanza leggero, ecco uno scenario: il bushi si sveglia, non capisce ancora niente, però vede qualcosa o qualcuno che non dovrebbe essere nella sua stanza. Prende il suo wakizashi (l'uchigatana o katana potrebbe essere troppo lunga per essere usata all'interno), ma intanto il ninja prova a colpirlo (o a scappare, ma in questo caso la considereremmo come una vittoria del bushi), colpisce per lo più le braccia, ma quando l'adrenalina inizia a scorrere nelcle vene del bushi, questi diventa più lucido e, grazie a tecnica e addestramento migliori, uccide il ninja.
Quindi, in conclusione, 9 volte su dieci vincerebbe il bushi.


martedì 17 marzo 2020

Perché gli antichi samurai giapponesi non volevano l'elemento di guardia per proteggere le mani quando impugnavano la spada?

Penso che questa sia una delle domande più comuni da una prospettiva europea quando si tratta di spade giapponesi (e più comunemente, spade asiatiche in generale; e sebbene sia una domanda perfettamente legittima, il più delle volte ha risposte sbagliate e opinabili.
Cercherò di rispondervi sotto una "nuova luce"; uno degli errori più comuni è che le persone affrontano questo fatto in un confronto statico, che non tiene conto delle caratteristiche e delle tecniche delle spade giapponesi.
Vorrei anche usare lo spazio qui per scrivere effettivamente perché la maggior parte delle volte le risposte che ottieni non sono corrette; è possibile saltare questa parte ma penso che sia un punto molto interessante.
Perciò, prima di tutto abbiamo il classico pregiudizio "Erano isolati, quindi non erano in grado di sviluppare la guardia / l'elsa complessa a causa di limiti tecnologici e culturali".
Questa risposta è sbagliata sotto tanti aspetti; per cominciare, mentre gli stili di elsa del XVI e successivo erano davvero piuttosto complessi e difficili da realizzare, una guardia ha di solito un design piuttosto semplice e minimalista. Non è necessario un livello folle di metallurgia o artigianato da applicare su una spada per essere sinceri.
Il secondo punto interessante è che vediamo le guardie sulle armi giapponesi almeno dal XIV secolo. Questo è un fatto molto importante perché dimostra che non solo i giapponesi erano a conoscenza di tale design, ma che lo usavano effettivamente su altre armi:


Un esempio di yari giapponese con uncini adroma, detti anche "guardia".
Ma non finisce certo qui. Alla fine del XVI e XVII secolo, fu instaurato il commercio con gli europei e, nonostante la sua fine piuttosto brusca nell'anno 1630, il commercio con gli olandesi a Dejima era ancora una fonte di reddito molto importante e redditizia per lo Shogunato. Un fatto piuttosto sconosciuto riguardo ai vari oggetti venduti e prodotti in quel luogo è che i giapponesi creavano complesse else per piccole spade e simili tipi di armi per il mercato europeo; questi articoli sono stati apprezzati per la loro qualità nella lavorazione della lacca.


E infine, c'è almeno un esempio di uno stocco giapponese conservato al museo Mizuguchi, realizzato nel XVI secolo. Questo dimostra che tali else erano conosciute e occasionalmente fabbricate anche in Giappone, anche se, di fatto, non le vediamo sulle spade giapponesi.


Qui c'è il suddetto stocco trovato in Giappone. In giapponese si chiama 十字形 洋 剣.
Quindi perché non li vediamo sulle spade giapponesi?
Le prime spade giapponesi prodotte in Giappone si basavano su modelli coreani e cinesi e venivano spesso utilizzate in combinazione con uno scudo (ecco il perché del design della guardia piuttosto minimalista comunemente condiviso con le altre spade del primo medioevo, proprio a causa degli scudi). In seguito hanno effettivamente iniziato a sviluppare il design delle armi con le proprie tecniche, e qui le cose hanno iniziato a farsi interessanti, perché non vediamo più l'utilizzo degli scudi e la guardia curva piuttosto caratteristica e superficiale con lo tsuba, una protezione rotonda.
Il commento sulla spada giapponese priva di guardia è spesso fatto per evidenziare quanto uno tsuba sia meno protettivo in confronto. Tuttavia, vorrei sottolineare che esisteva uno tsuba più grande ed era montato su spade giapponesi:


Uno tsuba è un paramano che può ancora proteggere la mano in modo considerevole, alcuni di loro hanno un diametro di 10+ cm che è più che sufficiente per proteggere la mano da tagli e colpi quando la punta della lama è rivolta verso il nemico.


Ecco in riferimento un Tsuba da 7,78 cm. Non è affatto una piccola guardia!
Quindi possiamo dire che è stato fatto un lavoro sufficiente per evitare che le mani vengano colpite con forza, altrimenti avremmo assistito ad altri miglioramenti nel tempo. Inoltre, vorrei aggiungere che le mani non sono un bersaglio facile. Sono la parte del corpo umano più veloce, sono piccole e sono la fonte di attacco nella lotta con la spada: cercare di mirare deliberatamente a quel bersaglio invece di arti, testa e busto è un modo piuttosto povero di combattere secondo la mia modesta opinione.
Quindi le cose da considerare ed evidenziare veramente per rispondere alla domanda sono il modo in cui le spade giapponesi sono bilanciate e la loro curvatura.


Le lame curve, anche se la curva è poco profonda, facilitano lo spostamento di altre lame grazie alla piega: ruotando una lama curva si sposta l'intera lama e/o la punta di una buona distanza a seconda di quanto è curva. Una spada dritta deve usare un movimento più ampio per spostare la punta e la lama alla stessa distanza.
Questo è un po' difficile da capire senza esperienza di combattimento, ma è un fatto ben noto ai maestri di spada europei del XVI e XVII secolo così come ai moderni praticanti di Hema e Kenjutsu.
Infine dobbiamo dire che le spade giapponesi hanno un punto di equilibrio lontano dall'elsa (lama pesante) e una postura a due mani che può aumentare la leva; queste cose rendono le Katane e le spade giapponesi in generale molto buone per spostare le lame opposte senza essere facilmente deviate.
Ciò significa che è meno probabile che una lama giapponese finisca a bloccarsi in un'altra spada (precisamente dove una guardia potrebbe risultare molto utile) e che la maggior parte delle azioni potrebbe avvenire verso la parte finale della lama.
Con questo in mente, è facile capire che l'uso di una spada giapponese aderente allo scopo per il quale è stata inventata consente alle mani dell'utente di essere relativamente sicure e di avere meno probabilità di essere colpite (e in tal caso, uno tsuba potrebbe ancora prendere la maggior parte dei colpi diretti alla maniglia).
Ecco perché non vedi paramani più grandi sulle spade giapponesi. Per dirla semplicemente, non ne hanno bisogno.

POST SCRIPTUM - una spada giapponese trarrebbe beneficio da una guardia?
La mia risposta è no, o dovrei dire, non farebbe molta differenza. Una guardia aggiungerebbe un po' di peso, ma soprattutto cambierebbe il punto di equilibrio della lama, abbassandolo. Ciò significa una lama più agile, ma meno potente nel taglio e meno affidabile nello spostamento di altre lame.
Ma soprattutto, le tecniche del battojutsu (come il iaijutsu, ovvero estrarre e attaccare simultaneamente dal fodero) sarebbero più difficili e più lente da eseguire, specialmente con le else più complesse. Questo è probabilmente uno dei motivi principali per cui non vediamo un impegno verso lo sviluppo di diversi paramani (e lame) per quanto riguarda le spade giapponesi, proprio a causa di quanto importanti e sviluppati (ed efficaci, aggiungerei) siano state le tecniche di estrazione veloce nelle Arti marziali giapponesi rispetto ad altri sistemi.







lunedì 16 marzo 2020

Un wrestler, alla fine, dipenderà sempre dal wrestling?

No ... in effetti la maggior parte dei lottatori preferirebbe arrivare a un punto in cui smettono di dipenderne.
Ecco Dwayne Johnson


È diventato un autentico attore di Hollywood. Molti dei suoi film sono dei successi ed è una delle persone più seguite sui social media. È chiaramente il più famoso Pro-Wrestler che non ha più bisogno del Wrestling ma eccone alcuni altri;

John Cena

Ha avuto una carriera cinematografica abbastanza decente (non a livello di The Rock, ma comunque buono), oltre a un paio di spettacoli.

Dave Bautista


È stato Drax nel MCU dal 2014. Questo ovviamente gli ha procurato un'attenzione positiva. Ha anche avuto ruoli minori in film come Blade Runner e Riddick.

Steve Austin


Molti ex lottatori hanno i loro podcast. Austin è ovviamente il più famoso. Austin conosce i dettagli del business ed è divertente da morire.

Bella Twins


Sono le Kardashian del biz Wrestling. Facevano parte del cast originale di Total Divas ... E della WWE! reality show di rete. Recentemente hanno avuto il loro spettacolo Total Bellas che funge da spin-off incentrato su di loro.

Hulk Hogan


Ha avuto il suo show e ha fatto apparizioni nel programma radiofonico di Bubba The Love Sponge. L'uomo ha talmente tante controversie che potrebbe tranquillamente vivere di interviste. Ha anche fatto un video hot!

Trish Stratus & Diamond Dallas Page


Entrambe queste leggende hanno iniziato a insegnare yoga. Il che spiega perché entrambi sembrano ancora fantastici. Anche Jake Roberts e Scott Hall danno credito al DDP per averli aiutati immensamente.

Quindi l'idea è che non importa quanto un wrestler ama lottare, alla fine si ritireranno. L'obiettivo è quello di essere in grado di ottenere un reddito abbastanza costante in cui non è più necessario lottare e rimanere ancora rilevanti.







domenica 15 marzo 2020

Il karate deriva dal kung fu o ne ha comunque ricevuto influenze?

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La risposta è sì, ne ha ricevuto le influenze. Nel periodo della dinastia cinese T'ang, molti mercanti o commercianti di Okinawa vennero a contatto con i Cinesi (soprattutto della provincia di Fukien), per via degli scambi commerciali che intercorrevano tra di loro. I Cinesi influenzarono lo sviluppo dell'arte marziale autoctona di Okinawa, chiamata "te", ovvero "mano", che essi avevano usato per difendersi da pirati e banditi vari. Su questo punto ci sono affermazioni controverse, chi dice che l'arte okinawense non fosse ancora nata, chi dice che fosse già abbastanza formata anche prima di ricevere influenze dai Cinesi. Fatto sta che nacque il progenitore del karate, il tode da "to", "Cina" e "de", mano, quindi "mano cinese". Esso era diviso in tre scuole: Naha-te, Shuri -te e Tomari-te (dalle zone di Okinawa, rispettivamente la capitale, il castello reale, la zona portuale). E' interessante notare come l'ideogramma di "to", corrispondesse quanto alla Cina quanto alla dinastia T'ang. Si dice che il primo fosse ispirato agli stili cinesi meridionali di kung fu, gli altri due a quelli settentrionali, ma questo punto è oggetto di discussione. Appare quasi certo il fatto che comunque gli stili cinesi che influenzarono maggiormente Okinawa, furono gli stili "duri" del kung fu, quindi stili brutali, lineari, che facevano affidamento sulla potenza sprigionata dal corpo. Questo perchè in quel periodo erano più usati oppure anche perchè erano più facili ed immediati da apprendere. Comunque, il tode inizialmente era appannaggio soltanto dei nobili, ma con il tempo questi si impoverirono e il tode si diffuse anche nelle classi sociali inferiori. Con le invasioni e il passaggio sotto il Giappone, i giapponesi vennero a contatto con queste discipline e il maestro Gichin Funakoshi, originario di Shuri, sistematizzò le tecniche per formare e far conoscere nelle isole maggiori del Giappone, quello che oggi è conosciuto come "karate", cioè "mano vuota". Questo termine è omofono, nel senso che può essere scritto 唐手 o 空手, (rispettivamente "mano Cinese/della dinastia T'ang" e "mano vuota"), ma essere pronunciato "karate" in entrambe i casi. Nel 1905 il maestro Chōmo Hanashiro fu il primo ad usare 空手 "karate" inteso come "mano vuota" e non "mano cinese"唐手 , poiché dall'invasione giapponese della Manciuria, i rapporti tra Cina e Giappone erano tutt'altro che amichevoli, per usare un eufemismo. Da allora si usa solo 空手 per descrivere il karate, per dare il senso di un'arte nipponica, sviluppata sull'uso delle mani nude (vuote). Il vuoto si rifà anche al concetto Zen di vuoto meditativo.
Per darti un'idea di come i Cinesi abbiano influenzato il karate, faccio anche riferimento al fatto che Funakoshi a volte scriveva della sua arte come "Kenpō delle Ryū-kyū". "Kenpō" è l'equivalente giapponese di "quanfa" o "kung fu", quindi è un'arte marziale nipponica ispirata agli stili cinesi. Le Ryūkyū non sono altro che le isole che comprendono anche Okinawa. Quindi Funakoshi descriveva la sua arte come "Arte marziale delle isole Ryūkyū, ispirata agli stili cinesi".


sabato 14 marzo 2020

Perché chi pratica arti marziali è considerato un individuo violento?

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Perché non si conoscono le arti marziali nella loro funzione educativa fondamentale. Se togliamo qualche esaltato, che anche lui non ha compreso lo spirito delle arti marziali, queste servono proprio a sviluppare presenza, coraggio e non violenza. La violenza diventa inconsapevole e si moltiplica nei cosiddetti non violenti, basta guardare un dibattito televisivo, mentre chi la padroneggia mantenendo uno stato mentale positivo è in genere una persona realmente pacifica. Un interessante saggio sull’argomento, che spiega come l’aver creato regole per la manifestazione della aggressività in un contesto di rispetto ha portato effetti positivi, e che più la aggressività viene messa in mostra ed agita in questo modo e meno la troviamo sulle strade, è: Il professore sul ring. Perché gli uomini combattono e a noi piace guardarli, di Jonathan Gottschall.  

venerdì 13 marzo 2020

Nel wrestling professionistico, cosa succede se qualcuno disattende il copione e vince un incontro che avrebbe dovuto perdere?

Risultato immagini per wrestling professionistico schienamento

E' praticamente impossibile che ciò accada, poiché essendo tutto predeterminato, l'arbitro non conterà mai lo schienamento vincente a favore di chi prova a disattendere quanto concordato. Al massimo si può rischiare di non arrivare all'esito prestabilito del match, ma in maniera del tutto involontaria, e a quel punto l'arbitro, guidato dalla regia, farà in modo di indirizzare i lottatori verso una sorta di Piano B.
Quest'ultimo, nel 99% dei casi non viene mai previsto, se non in occasioni enormemente importanti che comportano un notevole rischio di non raggiungere lo scopo prestabilito.



giovedì 12 marzo 2020

Ho visto degli incontri di MMA disputati con guanti più grandi ed altri con guanti più piccoli. Perché?





Probabilmente hai visto sia degli incontri dilettantistici di MMA e sia degli incontri professionistici.
Negli incontri dilettantistici disputati con regolamento IMMAF si usano guanti a moffola da 7 once, più protettivi.
Vengono utilizzati anche i paratibia, i round durano 3 minuti ed alcune tecniche consentite invece per i professionisti sono vietate:
colpi di gomito
leve in torsione al ginocchio
ginocchiate al volto
leve cervicali
Negli incontri professionistici di MMA invece vedrai atleti equipaggiati con guanti da 4 once più sottili, i round saranno da 5 minuti e le tecniche elencate sopra saranno legali.

mercoledì 11 marzo 2020

Potresti mordere per scappare da una presa di soffocamento da dietro?




No!
Le persone che raccomandano di mordere, di solito non si sono mai trovate coinvolte in un vero scontro da strada in cui hanno realmente provato a mordere il proprio avversario.
La mascella umana non ha poi dei muscoli così forti (non è come i film sugli zombi), si può al massimo strappare la pelle e pizzicare i muscoli, ma non si riesce davvero a passare attraverso la "carne", quindi, si può solo causare un dolore minore, mordere in realtà durante un combattimento da strada non funziona a meno di non puntare su una parte super morbida del corpo come il naso.
Dove morderesti se ti trovi in una posizione in cui ti stanno strozzando è difficile! Davvero difficile. Non è come nei film, non funziona.
Tuttavia, una conoscenza di veri scontri da strada da parte di istruttori qualificati è rara, se proviamo a mordere il nostro avversario, questo può forzare la mano dentro la nostra bocca e mandare la nostra mascella in frantumi, poiché i muscoli del braccio sono più forti dei muscoli della mascella e la mascella è particolarmente debole quando è aperta. Se ci riesce, siamo morti (soffocamento, bavaglio e saremo incapaci di combattere) o avremo una mascella rotta. È una mossa che ci mette in una posizione molto vulnerabile. Avrebbe senso mordere il naso di qualcuno, ma non un braccio o una mano o un qualsiasi altro posto per cui sarà facile per il nostro avversario colpire la nostra mascella aperta ed indebolita. Potete provarlo voi stessi. Procuratevi una bistecca dura e alta oltre 1 cm e mezzo e mettetene un boccone enorme in bocca. Provate a masticare. Quanto è difficile? Quanto è forte la vostra mascella?


martedì 10 marzo 2020

Perché così tanti pugili sembrano avere poca stima di chi pratica le arti marziali?


Premesso che io, personalmente, penso che qualsiasi attività sportiva porti i suoi benefici e sia giustissimo praticarla
Non è che i pugili hanno poca stima delle arti marziali, il problema è che molte persone sembrano non cogliere la differenza tra sport da combattimento e arte marziale e confondono le cose o credono ai miti dei film dove gente che pesa venti chili riempie di botte quaranta persone in dieci secondi. Ma è normale, pure io prima di confrontarmi con questo mondo avevo un sacco di idee confuse in testa
Il pugilato è uno sport da combattimento. Il tuo obbiettivo, nel rispetto delle regole, del tuo avversario e dello spirito sportivo è sopraffare un altro essere umano, anche nello sparring in palestra. In gara, diventa proprio buttarlo per terra. E non un essere umano qualsiasi, un altra persona che si è allenata duramente quanto se non più di te per farti la stessa cosa
Lo stesso vale per parecchie altre discipline che pure se nascono e vengono catalogate come arti marziali sono in primis sport da combattimento. Sambo, Muay Thai, Kick Boxing…

Rendo l’idea?
Un arte marziale (ci sono eccezioni ma le tratterò DOPO, leggete tutto prima di commentare GRAZIE) ha come scopo il benessere fisico del praticante. Apprendere la disciplina, migliorare la propria coordinazione, i propri riflessi…ci sono decine di benefici che derivano dalla pratica delle arti marziali che non necessariamente sono finalizzate a sopraffare il tuo avversario. Cioè, in alcuni casi si. Basti pensare a Tae Kwon Do, Karate Kyokushin, Judo…lì il contatto c’è. E l’obbiettivo è proprio come nel pugilato sopraffare un avversario preparato e pronto a fare lo stesso con te


Ma molte non sono a tutti gli effetti sport da combattimento. Con mio stupore ho scoperto che molti stili di Karate non prevedono sparring con contatto pieno, ad esempio


Ora arriviamo al motivo della “poca stima”. Molti praticanti di suddette arti marziali che non hanno mai combattuto nemmeno a contatto controllato, che non fanno sparring se non trattenendo o fermando i colpi prima che vadano a segno, che non hanno idea di cosa voglia dire prendere un pugno forte in faccia o un calcio sul quadricipite pensano veramente di essere capaci di stendere una persona o di confrontarsi con qualcuno che combatte solo perchè hanno una cintura colorata
Bene, queste sono le persone che i pugili (e non solo, tutti i combattenti, compresi in certi casi quelli delle loro stesse discipline che combattono!) prendono in giro, più che “disprezzano”. Prendere in giro vuol dire ridimensionare, in questo caso. Il disprezzo è un'altra cosa.
Non è obbligatorio combattere, dovrebbe essere una passione, non è obbligatorio rischiare di farsi male, si può praticare uno sport anche solo per se stessi e per sentirsi meglio. Ma è pieno di gente che pensa di buttare per terra pugili e via dicendo con tecniche dalla dubbia utilità pratica. Ragionamenti tipo “si, noi le mosse in palestra non le proviamo alla massima forza perchè non ci vogliamo far male. Però io uso pure i calci, il pugile solo le braccia quindi lo meno” però queste stesse persone si guardano bene dall’andare a confrontarsi in una palestra di boxe
Il pugilato è la disciplina da combattimento più dura di tutte, paradossalmente, quella dove c’è più sparring, dove è più difficile controllare i colpi, dove ci si colpisce più forte. E non lo dico per promuoverla visto che non combatto nel pugilato, lo dico per esperienza personale, perchè mi ci sono confrontato
Pure chi pratica Kick Boxing come me va a fare riprese di pugilato per migliorare (e ne prende tante), ci sarà un motivo?
Ora, disprezzare una persona perchè non fa uno sport dove ci si mena è stupido, non sei “macho” perchè fai boxe, dovresti farlo per passione non per sbatterlo in faccia agli altri
Io sono promotore dello sport, del movimento, se una persona mi dice che fa Tai Chi e che gli piace, che ottiene benefici da quell’attività non vado a dirgli “Ahahaha, che imbecille, io faccio gli incontri di Kick, sono più forte di te!” perchè non ho quattro anni di età mentale e perchè rispetto il fatto che quella persona dedichi del tempo a un attività sportiva, qualunque essa sia. Però se uno che fa determinate arti marziali con determinate modalità di allenamento mi approccia con superiorità pensando di stare su un altro piano rispetto a me e di potermi spaccare come una tavoletta di legno (e ce ne sono tanti, credetemi) non posso non prenderlo in giro. Come faccio a prendere sul serio qualcuno che basa sull’aria fritta le sue teorie?
Poi, per chiudere, una persona dovrebbe sbattersene della stima che altri nutrono per il suo sport e allenarsi per suo piacere personale che quello è il primo fine dell’allenamento


lunedì 9 marzo 2020

Ibuki

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Ibuki (in giapponese 息吹) è una tecnica di respiro rumoroso, adoperata nelle arti marziali, con l'obiettivo di assorbire qualsiasi forza contraria; essa è fatta con una lunga espirazione e si conclude con un respiro breve e vocalizzato.
Questa tecnica è il canale attraverso il quale il tanden collega lo spirito al corpo, attraverso il Ki. Questa tecnica serve per contrarre tutti i muscoli del corpo in un solo momento ed è atta ad assorbire un colpo ricevuto senza risentire alcun danno, o comunque una minima parte. Questa contrazione, che avviene tramite la respirazione ibuki, è detta contrazione kime. Con la respirazione ibuki e con il kime, si ottiene il Kiai.
Per ottenere tale respirazione, occorre:
  • 1) All'inizio, respirare lentamente e silenziosamente in modo tale che il respiro arrivi fino al diaframma. Respirate così silenziosamente che non si riesca a capire se state respirando o no.
  • 2) Contraete l'addome e forzate una lunga espirazione a bocca aperta.
  • 3) Quando vi sembra di avere esaurito tutta l'aria nei vostri polmoni, contraete l'addome e forzate l'espulsione di un ultimo respiro. Mettete la lingua tra i denti.
Il suono che si sente uscire attraverso la respirazione ibuki è un suono forte, animalesco e quasi minaccioso. Questo è dovuto alla contrazione muscolare dell'intero corpo, compresi bocca e gola, e dal fatto che l'aria è spinta fuori dall'addome.
La respirazione ibuki si divide in due tecniche:
  • ibuki yoo (solare) avviene con la parte bassa dei polmoni, solitamente poco utilizzata, mediante l'abbassamento dei fasci addominali e l'inspirazione nasale. L'espirazione avviene in maniera rumorosa, con l'aria espulsa per la contrazione addominale e la rotazione in avanti del bacino.
  • ibuki in (lunare) è molto più morbida di quella solare, sempre addominale ma meno profonda e quindi meno rumorosa; è perciò usata nell'esecuzione di tecniche più morbide.



domenica 8 marzo 2020

Taegeuk

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Tae-Geuk o taegeuk (태극, 太極, taegeuk, t'aegŭk) è una parola coreana che si riferisce alla realtà fondamentale dalla quale tutti gli esseri e gli oggetti vengono generati. È la pronuncia coreana degli hanja della parola cinese Tàijí. È anche il simbolo al centro della Bandiera della Corea del Sud.

Storia
Il disegno del taegeuk ha origine nel VII secolo in Corea ma recenti scavi mettono in evidenza un'origine più antica. Infatti una pietra scolpita con il taegeuk è presente nel tempio di Gameunsa, costruito nel 628 durante il regno di Jinpyeong di Silla. Tracce del taegeuk sono stati trovati nelle tombe delle antiche popolazioni coreane: nella tomba di Goguryeo e nei resti di Silla. Recentemente, comunque, è stato trovato un manufatto di 1400 anni con il taegeuk nelle tombe di Bogam-ri Paekje a Naju, nella provincia del Sud Jeolla, diventando il taegeuk più antico trovato in Corea, che precede di 682 anni il più antico manufatto taegeuk trovato nel tempio di Gameunsa.
Il taegeuk veniva anche usato per scacciare gli spiriti maligni. Fu anche usato per esprimere la speranza di armonia dello yin e yang per permettere alle persone di vivere felici con un buon governo. I semicerchi rosso e blu del Taegeuk esistono quindi da tempi antichi.

Uso moderno
Il Taegeuk è presente sulla Bandiera della Corea del Sud, chiamata Taegeukgi (insieme a quattro degli otto trigrammi usati nella divinazione). Poiché il Taegeuk viene associato alla bandiera nazionale, è spesso usato come simbolo patriottico, così come i colori rosso, blu e nero. Il trigramma geon rappresenta il cielo, la primavera, l'est e la giustizia; il trigramma gon rappresenta la terra, l'estate, l'ovest e la vitalità; il trigramma gam rappresenta la luna, l'inverno, il nord e la saggezza, mentre il trigramma ri rappresenta il sole, l'autunno, il sud e la realizzazione. I quattro trigrammi si muovono in un ciclo infinito, da geon a ri a gon a gam e quindi di nuovo a geon, in perenne ricerca di perfezione. Il campo bianco simboleggia l'omogeneità, l'integrità e la natura pacifica propria dei coreani. Tradizionalmente, i coreani spesso vestono in bianco, guadagnando il soprannome "vestiti di bianco" e quindi il colore diviene caratteristica della nazione.

Uso paraolimpico
Il simbolo ufficiale per i Giochi paralimpici usato dal Comitato Paralimpico Internazionale dal 1994 al 2004 aveva tre Tae-Geuk nel suo logo prima della fine dei XII Giochi paralimpici estivi, quando è stato sostituito da tre agitos. L'uso dei tae-geuk è iniziato nei VIII Giochi paralimpici estivi a Seul, quando cinque Tae-Geuk sono stati associati alla bandiera olimpica, poi ridotti a tre dopo che il CIO ravvisò un'eccessiva somiglianza a essa.

Taegeuk tricolore
In Corea, una variante popolare è il Taegeuk tricolore (삼색의 태극 Samsaeg-ui Taegeuk, 三色太極), che aggiunge un lobo giallo, che rappresenta l'umanità, mentre il rosso e il blu rappresentano il cielo e la terra. Il Samsaeg-ui Taegeuk è frequente sui ventagli. Un Tricolored tricolore è presente sul logo ufficiale dei Giochi della XXIV Olimpiade, accompagnato dai cinque anelli olimpici.



sabato 7 marzo 2020

Shigeru Egami

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Shigeru Egami (Fukuoka, 7 dicembre 1912 – Tokyo, 8 gennaio 1981) è stato un karateka e maestro di karate giapponese.

Biografia
Shigeru Egami nacque nella Prefettura di Fukuoka (isola di Kyūshū) nel 1912, in una famiglia di commercianti e costruttori edili.
In gioventù praticò Jūdō e Kendō. Nel 1924, studente delle scuole secondarie, vide per la prima volta alcune tecniche di Karate. Scrisse a tal proposito:
«Gli strani movimenti e le tecniche di un capomastro di lavori edili, originario di Okinawa, mi sembrarono misteriosi e mi incuriosirono, solo in seguito ho capito che egli era solo un principiante...»
Nel 1931 entrò alla facoltà di Commercio dell'Università di Waseda e per un breve periodo praticò Aikidō. Nello stesso anno incontrò il maestro Funakoshi, diventandone allievo e aiutandolo a fondare il club locale di Karate all'Università Waseda. Sempre lo stesso anno un suo compagno di Università iniziò la pratica nel medesimo club. Il suo nome era Genshin (Motonobu) Hironishi e la loro amicizia divenne talmente salda da durare tutta la vita. Hironishi scrisse:
«Non posso dire esattamente come, ma sin dall'inizio nacque tra noi una comunicazione molto spontanea, un tipo di unione che includeva anche altri aspetti della vita quotidiana.»
Nei primi anni trenta venne coinvolto nella divulgazione del Karate-dō in Giappone e partecipò, prima con Takeshi Shimoda poi, dopo la morte di quest'ultimo, con Yoshitaka Funakoshi, a numerose dimostrazioni. Scrisse a tal proposito:
«Ricordo i viaggi che noi, allievi del maestro Funakoshi, facemmo nella zona di Kyōto-Ōsaka e nell'isola di Kyūshū sotto la guida di Takeshi Shimoda, il nostro istruttore e il migliore tra gli studenti di Funakoshi. Questo accadeva attorno al 1934, circa dodici anni dopo la prima dimostrazione che il maestro fece a Tōkyō. Il Karate, in quei giorni, era considerato una mera tecnica di combattimento ma aveva un'aura di segretezza e mistero. Di conseguenza sembra che la curiosità fosse l'unico motore a spingere gruppi di persone ad assistere alle nostre dimostrazioni. Sebbene non conosca bene la carriera di Shimoda, so per certo che fu un esperto della scuola Nen-ryū di Kendō e studiò anche Ninjitsu. Per uno sfortunato volere del fato si ammalò dopo una delle nostre dimostrazioni e morì poco dopo. Shimoda era l'assistente del maestro Funakoshi e si occupava dell'insegnamento quando quest'ultimo era impegnato. Il suo posto venne preso dal terzo figlio del Maestro, Gigō (Yoshitaka), che non era solo un uomo dal carattere eccellente ma anche un grande esperto dell'arte. Sicuramente non c'era persona più qualificata per l'insegnamento ai giovani studenti. Comunque, poiché all'epoca era tecnico radiologo all'Università Imperiale di Tokyo e al Ministero dell'Educazione, si dimostrò piuttosto riluttante ad assumere anche questo incarico. Dopo le numerose pressioni da parte del padre e dei suoi studenti finì comunque per accettare e, di lì a poco, attirò la nostra ammirazione ed il nostro rispetto.»
A dispetto di un'apparente eccellente forma fisica, Egami, come anche Yoshitaka Funakoshi, soffriva già di seri problemi di salute. Fu scartato alla visita di incorporazione per il servizio militare in quanto aveva seri problemi polmonari e più tardi, all'età di 24 anni, contrasse la tubercolosi. A seguito della morte del fratello maggiore, Egami si sentì in dovere di tornare nell'isola di Kyūshū per seguire l'azienda familiare.
Presto però lasciò questa occupazione in quanto non si sentiva adatto alla vita del commerciante e fece ritorno a Tōkyō impegnandosi, con Yoshitaka Funakoshi e Genshin Hironishi, allo sviluppo del Karate-dō. Erano state create nuove posizioni, come il fudo dachi, e nuove tecniche di calcio quali yoko geri (kekomi e keage), alcune forme di mawashi geri, fumikomi e ushiro geri. Le posizioni, in generale, erano divenute più basse e più ampie.
Nel 1935 Egami aderì al comitato creato da Kichinosuke Saigo per la raccolta dei fondi per la costruzione di un Dojo dedicato esclusivamente alla pratica del Karate. Come già ricordato questo comitato costituì l'embrione del gruppo Shōtōkai. Riguardo alla costruzione del dōjō scrisse:
«Verso il 1936 i giovani allievi si sono riuniti attorno al M° Yoshitaka Funakoshi per costruire il dōjō centrale, che fu chiamato Shōtōkan partendo dallo pseudonimo in calligrafia del Maestro Funakoshi. Tuttavia, all'epoca non si ricorreva a tale appellativo, noi tutti chiamavamo questo dōjō semplicemente "Honbu dōjō" (dōjō centrale). Che gioia allenarsi in un dōjō così bello e per di più costruito con i nostri sforzi! La sensazione era quella di essere consanguinei e lo spirito con il quale ci esercitavamo risultò ancora più vigoroso. Naturalmente anche la felicità del vecchio maestro Funakoshi (Gichin) e del giovane (Yoshitaka) era grande; ogni volta che comparivano nel dōjō ci offrivano la loro guida con un sorriso in più.»
Sempre considerato uno degli allievi più attivi del M° Funakoshi, Egami iniziò ad insegnare Karate alle Università di Gakushūin, Toho e Chūō e fu l'istruttore più giovane ad essere eletto Membro del Comitato di Valutazione da Gichin Funakoshi. Nel corso della seconda guerra mondiale insegnò inoltre alla Nakano School che era un centro di addestramento per spie e commando giapponesi che il Maestro Mitsusuke Harada definisce una via di mezzo tra il MI5/MI6 (servizi segreti) e le SAS (Special Air Service) britannici.
Nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, Egami assistette in meno di un anno alla distruzione della casa e del Dojo del maestro Funakoshi e alla morte del maestro e grande amico Yoshitaka Funakoshi. Dopo la morte di Yoshitaka Funakoshi, Egami iniziò a sentirsi assillato dalla necessità di perseguire la Via da sempre indicata dal suo Maestro e individuata nel lavoro che aveva iniziato con Yoshitaka Funakoshi e Genshin Hironishi: la trasformazione dell'arte di Okinawa in un'arte del Budō giapponese, partendo dal Karate per giungere al Karate-dō. Fu proprio nell'ambito di questa sua ricerca che, per sciogliere il dubbio sull'efficacia dello tsuki, si fece ripetutamente colpire l'addome (con questo probabilmente aggravando il suo già compromesso stato di salute) dai colpi di pugno di diverse persone e concludendo che il tipo di attacco dei Karateka appariva essere quello meno efficace. Scrisse in proposito:
«Mi sono chiesto per molto tempo se i colpi frontali del Karate fossero veramente efficaci. Ho fatto di tutto, dallo spezzare tavole e tegole al rompere mattoni, ma nonostante queste operazioni fossero andate a buon fine, rimaneva il dubbio circa l'effetto prodotto dagli stessi colpi su un corpo umano. L'esperienza personale mi ha insegnato che quest'ultimo è più resistente di quanto si possa pensare; le sue caratteristiche sono totalmente differenti da quelle di tavole e tegole, in più possiede uno "spirito" sottilmente inspiegabile. Quando non siamo certi della reale efficacia dei nostri colpi allora ci assale uno stato d'ansia non indifferente. Ho provato a porre il quesito che mi assillava a parecchie persone e le risposte sono state varie ma nessuno ha dichiarato d'esser certo del potere delle proprie azioni nonostante sembra che molti posseggano la forza sufficiente per infliggere un "colpo mortale". Un'antica tradizione giapponese, presa alla lettera, dice che o si crede ciecamente, oppure si mette da parte l'inquietudine interiore e ci si sforza di credere; io decisi di seguire il consiglio. In pratica non è così semplice pensare di trovare cavie disponibili né tantomeno persone pronte a infierire su di noi nonostante il palese consenso; qualcuno ci ha provato senza ottenere un gran risultato, e poi bisogna tenere conto del fatto che pochi sarebbero quelli inclini a rendere pubblico un esito di cui si vergognano. Affinché il colpo andasse a segno era indispensabile che il tempismo fosse perfetto, non approssimativo. Quando il rischio era la vita, peraltro quasi mai, mi è capitato di far mostra di colpi efficaci eppure ben lontani dall'essere letali; tuttavia, nei Kata e nelle tecniche messe in pratica in quelle occasioni c'era qualcosa di diverso dai Kata e dalle tecniche dell'allenamento abituale. Non c'è dubbio che i colpi andati a segno furono tali per puro caso, e questa non è solo la mia opinione, è il parere di persone che, come me, decine di migliaia di volte hanno percosso e si sono fatte picchiare l'addome e l'epigastrio: è la voce dell'esperienza che parla. Per rimuovere l'insicurezza ci si sforzò, si cercò di approfondire, migliorare, e ne emerse che "il Karate è la tecnica della concentrazione". Prima di tutto, fisicamente è nato dalla concentrazione della forza su un punto ben preciso; ciò significa che, in termini pratici, sia in caso di attacco che di difesa bisogna riunire tutta la potenza laddove intendiamo colpire l'avversario. Da qui ebbero inizio ulteriori ricerche che, condotte contemporaneamente alla disciplina di sempre, mi consentirono di capire che la "concentrazione" non è un fenomeno esclusivamente fisico bensì necessariamente e inevitabilmente "mentale". Come fare per rendere le proprie tecniche efficaci? Quali sono i colpi che funzionano davvero? Vorremmo proprio saperlo, e vorremmo anche conoscere il potere delle nostre azioni, peccato che nessuno ce ne offra l'occasione. Al sottoscritto non rimase che mettere a disposizione il proprio addome affinché più persone lo colpissero; sulla base degli effetti prodotti potei chiarire i miei dubbi. Il mio stomaco venne picchiato a volontà da svariati karateka, judoka, kendoka e boxer e la cosa più deplorevole fu il risultato: i meno efficaci furono i primi della lista, nonostante si trattasse di veterani del Karate, mentre i pugni maggiormente andati a segno furono quelli dei praticanti la boxe. Ciò che mi sconvolse alquanto, però, fu l'esito sorprendente di perfetti incompetenti, persone che non avevano mai affrontato un allenamento. Rimasi sbalordito chiedendomi il perché, cercando le ragioni di una cosa simile, facendo confronti e tentando di scovare le differenze. Nel corso delle mie ricerche mi resi improvvisamente conto che l'allenamento portato avanti fino a quel momento in realtà irrigidiva, bloccando i movimenti, con l'illusione che producesse forza. Una volta scoperto il difetto si trattava di sciogliere le parti indurite rendendole elastiche, ragion per cui decisi di rimettere tutto allo studio.»
Intanto, il primo maggio 1949, veniva fondata la già citata Nihon Karate-dō Kyōkai (Japan Karate Association). Nonostante la fondazione e la supervisione da parte di uomini della corrente più tradizionale, Obata, Saigo, Hironishi, la JKA iniziò a poco a poco ad essere guidata da princìpi commerciali e da metodi e pratiche simili a quelli degli sport occidentali che culminò con l'emanazione del regolamento per le competizioni agonistiche (1955). Per questo motivo i tradizionalisti, tra cui i tre maestri sopracitati, lasciarono l'organizzazione. Il Maestro Funakoshi che inizialmente aveva gradito la popolarità che questo nuovo organismo stava riscuotendo, iniziò ad esserne preoccupato in quanto vedeva i valori essenziali del Karate-dō in forte rischio. Il 13 ottobre 1956, nella prefazione alla seconda edizione del libro Karate-dō Kyōhan scrive:
«...Non posso negare che vi siano momenti in cui diventò dolorosamente consapevole del pressoché irriconoscibile stato spirituale al quale il mondo del Karate è giunto rispetto a quello che prevaleva all'epoca in cui, per la prima volta, ho introdotto ed iniziato l'insegnamento del Karate...»
Egami avverte questa preoccupazione e decide di seguire gli incoraggiamenti del proprio maestro e degli allievi più anziani a continuare nella Via del Budō. Già nel 1953 la ricerca di Egami aveva avuto una svolta positiva. Nel ricevere uno tsuki dal giovane Tadao Okuyama notò che quell'attacco era straordinariamente più efficace di tutti quelli che aveva ricevuto fino ad allora. Allora, a poco più di quarant'anni di età, Egami prese la decisione di cambiare radicalmente i concetti e le forme convenzionali di esecuzione. Iniziò ad adottare tecniche eseguite in decontrazione, evitando l'uso di forza non necessaria. Ricominciò così a pensare al modo di colpire apparentemente leggero e rilassato ma estremamente efficace che distingueva le tecniche di Takeshi Shimoda, Yoshitaka Funakoshi e dello stesso Maestro Gichin Funakoshi.
Allo stesso tempo venne in contatto con Hoken (o Shōyō o Noriaki) Inoue, fondatore dello Shinwa Taidō (poi Shinei Taidō) e nipote del fondatore dell'Aikidō, Morihei Ueshiba. Dai contatti con Inoue iniziò ad interessarsi all'energia vitale e alla sua circolazione nel corpo umano. Nel 1955, in piena fase di ricerca, dovette essere sottoposto a due operazioni allo stomaco. Tali operazioni, a distanza ravvicinata, lo portarono all'impossibilità di nutrirsi normalmente tanto che giunse a pesare solo 37 chili.
L'indebolimento era tale da non rendergli possibile alcun tipo di allenamento fisico. Il ricovero e lo stato di precarietà finanziaria legate all'impossibilità di svolgere una qualsiasi attività furono sorpassate con grande difficoltà e solo grazie all'aiuto di amici come Hironishi, Okuyama e Yanagizawa. Scrisse di quel periodo:
«...fui sottoposto ad un intervento per la rimozione di parte del mio stomaco e, dopo meno di un anno, ad un'altra simile operazione. Poiché persi la forza di cui andavo così fiero, non potei più praticare Karate. Ancora più serie erano le difficoltà a condurre una vita normale. Ripenso a quel periodo, durante il quale ero caduto in una forte disperazione, come al peggior periodo della mia vita. Ma allora ricordai le altre parole del Maestro Funakoshi: "l'allenamento nel Karate deve essere quello praticabile da tutti, dai vecchi come dai giovani, dalle donne, dai bambini e dagli uomini." Con queste parole in mente presi la decisione di vedere se mi fosse possibile praticare anche se mi trovavo in pessime condizioni fisiche. I risultati furono rassicuranti e trovai che mi era possibile praticare grazie all'oculata scelta di certi metodi. Avendo successo decisi di votare il resto della mia vita alla pratica del Karate.»
Nel 1956 fu tra i fondatori della Nihon Karate-dō Shōtōkai insieme al proprio maestro, a Hironishi, Obata e Noguchi. La morte di Gichin Funakoshi colpì profondamente Egami che era presente, con i familiari del proprio maestro, al capezzale di quest'ultimo quando questi esalò l'ultimo respiro. Questo triste evento e gli accadimenti che caratterizzarono i giorni immediatamente seguenti furono la scintilla che spinse Egami a proseguire con ancor maggiore determinazione nella propria ricerca. Dopo la morte del M° Funakoshi, Shigeru Egami divenne istruttore capo dello Shōtōkan, il Dojo del M° Funakoshi, nel frattempo ricostruito. Nel 1963, probabilmente stimolato dagli effetti del suo debole stato di salute, Egami scoprì tecniche che andavano oltre la mera esecuzione fisica, in particolare il tōate o colpo a distanza senza contatto fisico.
Nel 1967, mentre conduceva una sessione di allenamento estivo all'Università di Chūō, fu colpito da attacco cardiaco e salvato in extremis grazie ad una tecnica di rianimazione applicatagli dal suo allievo Hiroyuki Aoki (futuro fondatore dello Shintaidō). Fu così che si trovò nuovamente per un lungo periodo confinato in un letto di ospedale. Questa esperienza però gli offrì una nuova visione delle cose. L'agonia della morte fisica provata per qualche minuto lo risvegliò ad un nuovo significato per la propria vita e per la pratica del Karate-dō. Egli, a tal proposito scrisse:
«Una volta sono morto. Sono già trascorsi più di tre anni da allora. Si è trattato di un attimo, forse di una decina di secondi. Ciò che ho capito in seguito è che si è trattato di una specie di attacco cardiaco. In quel fuggevole istante ho fatto un'esperienza straordinaria e preziosa. Le condizioni erano quelle di un uomo di fronte alla morte. Indicibile dolore, sofferenza, malinconia - non fu cosa facile né tantomeno paragonabile all'amore per l'isolamento - e poi afflizione, paura e angoscia messe insieme sì da diventare una cosa acuta, penetrante. La partecipazione emotiva fu pressoché assoluta, io che avevo sempre ostentato un abituale stato di calma. Anche la gioia di quando ritornai alla vita fu straordinaria: vedevo tutto splendere, fu un'impressione reale, fu la felicità di sentire la vita. Fu l'acme del piacere, tanto che era come se avessi dovuto parlarne con tutti. È probabile che estasi sia il termine più adeguato per questa esperienza che mi fu dato di fare nell'arco di dieci o venti minuti, poiché ho provato di persona la dignità nonché la gioia di vivere. Torniamo a quella decina di minuti. L'amicizia delle persone intorno, i mutamenti dello spirito e poi il prodigio dello scambio tra gli esseri, tra gli animi, tra i corpi: non sono sicuro di essere in grado di raccontare quel che mi fu concesso di apprendere. L'uomo non è fatto per vivere da solo; sostenuto da molti, similmente alla maglia di una fitta rete vive in relazione agli altri, attraverso lo scambio con gli altri. Ecco ciò che compresi.»
Il destino gli concesse altri quindici anni di vita che egli dedicò integralmente alla trasmissione della Via tracciata dal suo maestro e da lui seguita e sviluppata. Inizialmente con gli scritti, poi con la sua presenza e la sua supervisione ai corsi, anni dopo attraverso la pratica adattata alla sua condizione fisica e all'età egli riuscì a trasmettere il suo metodo. Il 10 ottobre del 1980, durante una sessione d'allenamento per istruttori, le condizioni di salute del M° Egami si aggravarono e venne ricoverato in ospedale. Due giorni dopo fu colpito da emorragia cerebrale e da allora non riprese più conoscenza. Morì l'8 gennaio del 1981 in seguito a complicanze causate da una polmonite.