Dimostrazione di una
tecnica di aikido denominata "shihonage".
Quest'azione implica la proiezione a terra dell'avversario. È una
tecnica basilare dell'aikido, eseguita in questo caso nella posizione
relativa di hantachiwaza: in questa posizione colui che esegue
la tecnica è in posizione "suwaru" (la tipica
posizione giapponese seduta in ginocchio) e chi subisce la tecnica
(ex attaccante) ha sferrato il proprio attacco stando in piedi,
partendo dalla posizione eretta
L'
aikidō 合気道 (scritto
in kanji) o anche
合氣道 (usando
un kanji più antico) è un'arte marziale, un metodo di difesa
personale ed una disciplina psicofisica giapponese praticata sia a
mani nude sia con le armi bianche tradizionali del Budo giapponese di
cui principalmente: "ken" (spada), "jo" (bastone)
e "tanto" (il pugnale).
I praticanti sono chiamati aikidoka (
合気道家).
La disciplina dell'aikido fu sviluppata da Morihei Ueshiba (
植芝盛平)
anche chiamato dagli aikidōka
Ōsensei (翁先生
"Grande maestro")
a cominciare dagli anni trenta del '900.
L'Aikido deriva principalmente dall'arte marziale del Daitō-Ryū
Aikijūjutsu, dalla quale però iniziò a prendere le distanze,
sviluppandosi come disciplina autonoma, a cominciare dalla fine degli
anni Venti. Questo è anche dovuto al coinvolgimento di Ueshiba con
la religione Ōmoto-kyō. Dei documenti dei primi allievi di Ueshiba
riportano il nome
aiki-jūjutsu.
Significato del termine 合氣道
(aikido)
AI-KI-DO
Il nome aikido è formato da tre caratteri sino-giapponesi:
合
(ai),
氣 (ki),
道
(do) la cui traslitterazione è la seguente:
合 (ai) significa "armonia"
e nel contempo anche "congiungimento" e "unione";
氣 (ki) è rappresentato
dall'ideogramma giapponese
氣 che,
nei caratteri della scrittura kanji, raffigura il "
vapore che
sale dal riso in cottura". Significa "spirito" non
nel significato che il termine ha nella religione, ma nel significato
del vocabolo latino "spiritus", cioè "soffio vitale",
"energia vitale". Il riso, nella tradizione giapponese,
rappresenta il fondamento della nutrizione e quindi l'elemento del
sostentamento in vita ed il vapore rappresenta l'energia sotto forma
eterea e quindi quella particolare energia cosmica che spira ed
aleggia in natura e che per l'Uomo è vitale. Il
氣
"ki" è dunque anche l'energia cosmica che sostiene
ogni cosa. L'essere umano è vivo finché è percorso dal "ki"
e lo veicola scambiandolo con la natura circostante: privato del "ki"
l'essere umano cessa di vivere e fisicamente si dissolve;
道 (dō) significa
letteralmente "ciò che conduce" nel senso di "disciplina"
vista come "percorso", "via", "cammino",
in senso non solo fisico ma anche spirituale.
合氣道 (ai-ki-do)
significa quindi innanzi tutto: «Disciplina che conduce all'unione
ed all'armonia con l'energia vitale e lo spirito dell'Universo».
Ueshiba Morihei, il fondatore dell'aikido, usava dire che l'aikido
anela sinceramente a comprendere la natura, ad esprimere la
gratitudine per i suoi doni meravigliosi, ad immedesimare l'individuo
con la natura. Quest'aspirazione a comprendere e ad applicare
praticamente le leggi della natura, espressa nelle parole "ai"
e "ki", forma l'essenza ed il concetto fondamentale
dell'arte dell'aikido.
Storia: origini ed evoluzione dell'aikido
Morihei Ueshiba, fondatore
dell'aikido.
L'Aikido fu creato da Morihei Ueshiba (
植芝
盛平, Tanabe 14 dicembre 1883 – Tokyo 26 aprile
1969), i praticanti di aikido si riferivano a lui con il termine
Ōsensei ("Grande Maestro").
L'aikido ha infatti conosciuto due distinte fasi evolutive che
possono essere identificate in modo abbastanza agevole: la prima
intimamente collegata al percorso evolutivo dello studio del Budo
giapponese da parte del fondatore ed una seconda a partire dagli anni
immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, periodo in
cui l'aikido iniziò la sua rapida affermazione nel mondo intero, in
modo particolarmente veloce e ramificato a decorrere dagli anni
successivi alla morte del suo fondatore.
Takeda Sokaku
Prima fase: evoluzione dello studio del Budō da parte del fondatore
Le basi tecniche ed i principi della pratica delle arti marziali
seguita dal fondatore, differirono grandemente a seconda delle epoche
di evoluzione del percorso del suo studio delle arti marziali e della
realizzazione della propria personale concezione del Budō (
武道).
Era Taishō 大正 (1912-1926)
Il fondatore in questo periodo si dedicò a numerose forme di
Bujutsu (
武術) ed in
particolare approfondì la pratica del "Daitō-Ryū Aikijūjutsu"
(
大東流合気柔術) sotto la
guida di Sokaku Takeda (
武田惣角),
35º successore della Scuola Daito.
In quest'epoca il fondatore impostò la pratica sui kata.
Fra le scuole di Jujitsu (
柔術),
oltre a quelle che si basavano principalmente sul combattimento corpo
a corpo e sul combattimento a terra, ne esistevano anche alcune che
avevano tramutato i movimenti e le tecniche di spada in tecniche di
tai-jutsu. La scuola Daitôryû di Aizu insegnata dal Maestro Takeda
ed in cui il fondatore dell'aikido si distinse tra i migliori
allievi, fu una delle più rappresentative.
Nel 1919 avviene il primo incontro con
Onisaburo Deguchi,
capo carismatico della setta religiosa
Ōmoto-kyō da cui
verrà fortemente influenzata l'ispirazione della sua evoluzione
spirituale.
Nel 1922 completa i suoi studi del
Daitôryû Aikijujitsu e
riceve da Sokaku Takeda il diploma "
Kyoju Dairi",
grado di istruttore che lo certifica quale
rappresentante
della Scuola Daito.
Nel 1925 Ueshiba ebbe la sua prima occasione
di "
risveglio spirituale" quando, sfidato da un alto
ufficiale della marina scettico sulle sue effettive abilità nella
difesa senz'armi contro un avversario armato, invitato da questi a
fornire una dimostrazione delle sue reali capacità, dopo aver avuto
pieno successo nel disarmare
a mani nude l'ufficiale armato di
bokken vanificando il suo attacco al primo colpo, provò un
improvviso mutamento interiore che lo rese capace di interpretare in
una luce nuova il suo rapporto non solo con il Budō ma anche nei
confronti di ogni aspetto della realtà esteriore.
Il fondatore ebbe anche altre occasioni di esperienze similari
che, unitamente all'idea religiosa trasmessagli da Deguchi che
sosteneva che
l'Arte è la madre della religione e l'Arte permette
la nascita della religione, lo spinsero ad un collegamento sempre
più stretto fra "
Arte" e "
religiosità"
favorendo in lui il raggiungimento di una visione religiosa delle
Arti marziali e del Budō.
Questa sua peculiare ispirazione nel campo delle Arti marziali,
fece maturare in Ueshiba il convincimento che, a partire dall'
Arte
e dalla sua capacità di elevare la spiritualità dell'Uomo, si possa
arrivare a risolvere il problema esistenziale e religioso dell'Uomo
stesso e quindi che ciò era possibile di riflesso anche in relazione
alle "
Arti" militari.
Questo convincimento condusse Ueshiba sempre più ad
interiorizzare la propria pratica delle Arti marziali e, passando
attraverso diverse crisi mistiche, alla fine concepì la visione del
Budō come
armonizzazione del Sé individuale con il Sé
dell'Universo e da questa concezione la sua pratica delle Arti
marziali si modificò fino ad assumere quei connotati di forme che il
fondatore definì "Ai-Ki-Do", cioè la sublimazione delle
Arti marziali nell'essenza stessa dell'aspirazione spirituale, etica
e sociale del Budō giapponese.
Dal primo al sesto anno dell'epoca Shōwa 昭和
(1926-1931)
In questi anni il fondatore si allontanò dalla religione per
dedicarsi completamente al Budō fino a diventare uno specialista nei
principali stili di arti marziali giapponesi. Dal Daitôryû
Aikijujutsu (
大東流合気柔術)
si entra nell'epoca dello Ueshiba-ryû "Aiki-jujutsu"
(
合気柔術), successivamente
modificato in "Aiki-bujutsu" (
合気武術)
e in seguito "Aiki-budô" (
合気武道).
Il fondatore aggiunse al Daitōryu le sue conoscenze specifiche
relative alle tecniche di lancia (Sōjutsu) e di spada (Kenjutsu), di
cui era un rinomato esperto, creando così il metodo
uchikomi,
una sorta di "
kata che vive", che viene considerato
tipico dell'aikidô.
Nel 1927 il fondatore si trasferisce con la famiglia a Tokyo, nel
distretto di Shiba Shirogane (
芝白金),
ed in una sala provvisoriamente concessagli dal
principe Shimazu
inizia l'insegnamento della "Via dell'Aiki"
che in quegli anni denominò:
Aiki-Budō (
合気-
武道).
Nell'ottobre 1930 Ueshiba Morihei aveva temporaneamente spostato
il suo Dojo nella località di
Mejirodai e qui andò a fargli
visita Jigorō Kanō, il fondatore del Judo, il quale vedendo Ueshiba
praticare il suo
Aiki-Budō esclamò: "
...ecco il mio
Budo ideale..." ed immediatamente inviò due dei suoi
migliori allievi,
Jiro Takeda e
Minoru Mochizuki, a
studiare presso Ueshiba.
Nel 1931, dopo essere passato attraverso alcune altre sistemazioni
di fortuna, inizia l'attività del Dojo
Kobukan a
Wakamatsu-cho, Shinjuku, Tokyo, che diventerà poi il centro mondiale
dell'aikido (
Hombu Dojo Aikikai).
Seconda fase: sviluppo e diffusione in Giappone e nel mondo
L'aikido si diffonde in Giappone (1931-1947)
Nel 1940 la Fondazione Kobukai viene ufficialmente riconosciuta
dal governo giapponese: inizia ad Iwama-Machi, nella prefettura di
Ibaraki, l'allestimento di un luogo all'aperto per la pratica.
- Nel 1942 viene ufficialmente adottato il nome "aikido".
Nello stesso anno il figlio
Kisshomaru Ueshiba diviene
presidente della
Fondazione Kobukai.
Nella primavera del 1943 il fondatore decise di abbandonare tutti
gli impegni fino ad allora presi nei confronti dell'esercito, della
marina e del mondo delle arti marziali per rifugiarsi nella cittadina
di Iwama, Prefettura di Ibaragi, dove si dedicò all'agricoltura,
coniugando la sua passione per le arti marziali all'amore per la
natura.
È in questa fase che si venne a creare:
- "L'aikidô in quanto Via di tutti coloro che coltivano
il grande amore per il cielo e la terra".
È questa l'epoca, dal dopoguerra in poi, in cui l'aikido fu
presentato al pubblico e si venne a diffondere in tutto il mondo.
L'aikido si espande nel mondo (dal 1947 ~)
Nel 1947-1948 avvenne la riorganizzazione del
Kobukai che
diventa "
Fondazione Aikikai" e Kisshomaru Ueshiba
diventa Direttore Generale della Fondazione Hombu Dojo.
In questi anni emerge la figura di
Koichi Tohei, 8º dan,
uno fra i migliori allievi del fondatore dal quale, negli anni
dell'immediato dopoguerra, ricevette l'incarico di rappresentarlo
quando eccellenti praticanti di altre arti marziali provenienti
dall'intero territorio del Giappone
ed anche dall'estero,
increduli sull'efficacia delle
armoniose e non violente
tecniche d'aikido, si recavano personalmente all'Hombu Dojo Aikikai
di Tokyo per sfidare la fama d'invincibilità che l'aikido si stava
procurando in Giappone e che man mano iniziava a diffondersi anche
all'estero: nessuno di questi sfidanti fu mai in grado di superare il
primo incontro con il valentissimo
Tohei, per cui il fondatore
non ebbe mai più bisogno di rispondere personalmente ad alcuna delle
sfide che in quegli anni ancora si usava portare ai capiscuola dei
vari stili delle arti marziali.
L'indiscussa superiorità e qualità tecnica dell'aikido praticato
da
Tohei, fece sì che nel maggio del 1956 il fondatore stesso
gli conferisse l'incarico di "
Capo del corpo insegnanti"
(Shihan Bucho) dell'Hombu Dojo Aikikai e lo designasse quale inviato
ufficiale e proprio rappresentante nelle prime occasioni di
presentazione dell'aikido all'estero.
Nel 1953 Tohei si reca per la prima volta in occidente, alle isole
Hawaii (località occidentale di grande valenza strategica per il suo
legame con i noti accadimenti di
Pearl Harbor che segnarono
l'inizio delle ostilità belliche verso gli U.S.A. da parte del
Giappone), dove presenta l'aikido passando anche qui attraverso
numerose sfide da parte degli increduli praticanti americani di
svariate arti marziali, inclusi rappresentanti di vari corpi armati
militari americani particolarmente addestrati nei tradizionali
sistemi occidentali di lotta e di combattimento
corpo a corpo.
Tohei sbigottì talmente i suoi sfidanti americani, che la
rivoluzionaria tecnica
dolce ed armoniosa dell'aikido divenne
immediatamente fortemente ambita in ogni parte degli U.S.A. e quindi
fra gli anni 1953~1963 Tohei fu di fatto completamente assorbito nel
compito di divulgazione dell'aikido attraverso oltre 21 stati degli
U.S.A.
L'opera di divulgazione dell'aikido negli U.S.A. culminò nel
marzo del 1961, quando Ueshiba Morihei fu accompagnato da Tohei in un
viaggio alle Hawai e successivamente Tohei espanse la sua opera di
diffusione nei diversi continenti del mondo.
Ben presto sulla scia del successo riportato da Tohei, altri
allievi diretti del fondatore iniziarono a viaggiare per il mondo per
far conoscere questa nuova disciplina giapponese e rendere partecipe
il mondo intero del messaggio etico e spirituale in esso contenuto.
Nel 1967 viene inaugurato il nuovo Hombu Dojo; in occasione
dell'inaugurazione il fondatore tiene
la sua ultima dimostrazione
in pubblico. La città di Tokyo riconosce ufficialmente
l'insegnamento dell'aikido.
Il 26 aprile 1969 il fondatore muore,
all'età di 86 anni. Gli viene conferita l'onorificenza postuma dello
Zuihosho.
Il figlio
Kisshomaru Ueshiba diviene il secondo Doshu
dell'Hombu Dojo Aikikai, all'età di 48 anni.
Nel 1974 vengono gettate le basi per la
I.A.F.
(International Aikido Federation), di cui il Doshu Kisshomaru Ueshiba
viene nominato presidente a vita e nel 1976 si tiene a Tokyo il primo
congresso della
I.A.F. con la partecipazione di oltre 400
delegati da 29 nazioni.
Il 4 gennaio 1999 muore Kisshomaru Ueshiba, dopo 30 anni
alla guida dell'Aikikai
Il figlio
Moriteru Ueshiba diviene il terzo
Doshu dell'Hombu Dojo Aikikai, all'età di 48 anni,
dopo 24 anni dalla sua prima apparizione in pubblico.
Origini ed evoluzione dell'aikido in Europa
Nel processo di diffusione dell'aikido in Europa possiamo
riconoscere lo stesso fenomeno di osmosi verificatosi in altre parti
del mondo fra i pionieri occidentali dell'aikido da un lato e gli
istruttori giapponesi dall'altro: i primi, dopo aver appreso i
fondamenti dell'Arte all'Hombu Dojo Aikikai in Giappone (taluni anche
direttamente dal fondatore, Morihei Ueshiba), ritornano in patria
propagandando con ardore il messaggio ricevuto ed i secondi, in
risposta alle sollecitazioni ricevute dalla presenza dei pionieri
occidentali, accettano di essere inviati dall'
Aikikai Foundation
in occidente (o ci arrivano di loro propria iniziativa) con la
missione di sostenere l'opera di insegnamento profusa da questi primi
pionieri occidentali dell'aikido.
Origini ed evoluzione dell'aikido in Italia
La storia delle origini e dell'evoluzione dell'aikido in Italia è
innanzi tutto scandita dai periodi storici coincidenti con le fasi di
nascita e di sviluppo della struttura organizzativa e didattica
dell'aikido sul territorio italiano, che a loro volta corrispondono
all'avvicendarsi in Italia degli istruttori giapponesi inviati
dall'Hombu Dojo dell'Akikai del Giappone.
La quasi totalità degli italiani che per primi hanno appreso
l'arte dell'aikido, a parte pochissimi pionieri che si sono recati
personalmente all'Hombu Dojo Aikikai del Giappone, hanno infatti
avuto quale
culla aikidoistica il grembo dell'Aikikai
Foundation del Giappone e, quali
nutrici, gli insegnanti
giapponesi inviati appositamente in Italia dall'Ente aikidoistico
giapponese.
Si possono dunque individuare generazioni successive di
aikidoisti, corrispondenti ad altrettanti momenti storici dello
sviluppo e dell'evoluzione dell'aikido in Italia. Una prima
generazione composta dai primi italiani allievi diretti dei maestri
giapponesi, una seconda composta da aikidoisti più giovani, in parte
ancora allievi diretti dei maestri giapponesi ma che si relazionano
sempre di più in via principale con i propri istruttori italiani e
sempre meno hanno un costante e stabile rapporto diretto con i
maestri giapponesi che operano in Italia ed infine le successive
generazioni di aikidoisti italiani che, ancora più giovani, hanno di
fatto un rapporto diretto esclusivamente con il proprio insegnante
italiano e non si relazionano più con alcun insegnante giapponese
oppure solamente in modo saltuario ed occasionale.
La
finalità dell'aikido
La finalità dell'aikido non è rivolta al combattimento né alla
difesa personale, pur utilizzando per la sua pratica uno strumento
tecnico che deriva dal Budo, l'arte militare dei samurai giapponesi;
l'aikido mira infatti alla "
corretta vittoria" (dal
fondatore chiamata:
正勝 masakatsu)
che consiste nella conquista della "
padronanza di se stessi"
(dal fondatore chiamata:
吾勝 agatsu,
cioè la "
vittoria su se stessi"), resa possibile
soltanto da una profonda conoscenza della propria natura interiore.
Con questo, il fondatore dell'aikido voleva affermare che per
cambiare il mondo occorre prima cambiare se stessi e ciò significa
che se si vuole veramente acquisire quella capacità che il fondatore
dell'aikido definiva
勝早日
katsuhayabi, cioè di padroneggiare l'attacco
proveniente da un potenziale avversario esattamente nell'istante e
nella circostanza della sua insorgenza (nel Buddhismo Zen si direbbe:
qui e ora), occorre aver preventivamente acquisito la capacità di
padroneggiare pienamente se stessi.
L'aikido, pur discendendo quindi direttamente dal
Budo
giapponese e pur conservando e utilizzando nella sua pratica tutto il
bagaglio tecnico di un'arte marziale, non è tuttavia finalizzato al
combattimento e quindi a un risultato di tipo militare o di difesa
personale, come potrebbe apparentemente sembrare osservando la sua
pratica dall'esterno sul piano tecnico, ma è finalizzato al
risultato della scoperta e dello studio delle leggi di natura che
regolano le dinamiche e le relazioni che entrano in gioco nel
rapporto fra gli individui nell'occasione dell'instaurarsi di un
conflitto e/o un combattimento fra di loro; a tal fine, pur
utilizzando il patrimonio tecnico appartenuto alle arti marziali
giapponesi, in particolare al daitoryu-jujutsu, e pur simulando
circostanze di conflitto e di combattimento, l'aikido non condivide
la finalità dell'uccisione dell'avversario e neppure dell'offesa
dell'avversario allo scopo di realizzare una difesa personale.
L'aspetto dell'arte marziale e/o della difesa personale si
riconducono all'aikido solamente in modo indiretto, quale elemento
secondario della pratica.
L'animo
che non si confronta
Anche se osservando dall'esterno il bagaglio tecnico dell'aikido,
l'esecuzione delle sue applicazioni tecniche dimostrino possedere una
possibilità reale di un efficace impiego nel combattimento reale, in
questo modo di considerare la pratica dell'aikido si perde di vista
l'aspetto sostanziale di esso, che consiste nel fatto che il
combattimento quale arte marziale e/o la difesa personale non è
assolutamente la finalità di questa disciplina e qualora tale
aspetto diventi, per un malinteso intendimento di questa disciplina,
l'unico o comunque il principale scopo della pratica, ciò sarebbe
completamente fuorviante dalla finalità perseguita dal fondatore
stesso dell'aikido, Morihei Ueshiba. Chi pratica l'aikido secondo il
suo corretto intendimento e finalità, è invece colui che ha
maturato in sé l'obiettivo primario della pratica di una "
disciplina
interiore" e trasferisce questa finalità anche nella
propria normale vita quotidiana, nel proprio modo di essere e di
porsi verso altri, che è quello di
colui il cui animo non si
confronta.
Questo significa che, nell'avanzamento della pratica, l'aikidoka
compie un percorso evolutivo nel quale il proprio spirito di
competizione che inizialmente lo porta a lasciarsi spronare dal gusto
e dal desiderio di confrontarsi con gli altri, man mano lascia il
posto al gusto e al desiderio di confrontarsi con sé stesso,
interiorizzando la propria pratica nell'impegno di superare
sistematicamente i propri limiti a prescindere dagli altri: questo è
il significato di possedere un "
animo che non si confronta",
il quale si realizza quando lo spirito di competizione si è spostato
dal confronto esteriore con gli altri al confronto interiore verso se
stessi.
L'aikido e la risoluzione dei conflitti
Nell'aikido trova piena applicazione il tipico concetto orientale
del
principio di non resistenza nella sua più alta
espressione, il quale esprime esattamente il concetto opposto del
noto principio occidentale frangar, non flectar. È importante però
evidenziare come il concetto di
non resistenza non significhi
restare imbelli nei confronti di un ipotetico avversario; significa
invece che la scelta fondamentale e prioritaria fra tutte le opzioni
possibili volte alla risoluzione di un conflitto, consiste innanzi
tutto nella ricerca della massima conservazione della propria
integrità fisica, la quale è possibile solamente quando ci si
faccia scivolare di dosso il peso del conflitto senza subire le
conseguenze che derivano dalla contrapposizione
forza contro
forza.
Il tipico esempio orientale del ramo del salice che flettendosi
sotto il peso della neve abbondante se la fa scivolare di dosso
lasciando che cada a terra per effetto della stessa azione del suo
peso e in questo modo si mantiene ben integro e vegeto, simboleggia
giustamente il
principio di non resistenza, al contrario del
ramo della quercia che invece, non potendo sopportare lo stesso
carico di neve e non volendosi piegare, si spezza e muore.
Il
principio di non resistenza, non rende dunque imbelli o
non porta ad accettare supinamente gli eventi e il compimento dei
fatti, bensì educa e favorisce lo svilupparsi della capacità di
sottrarsi agli eventuali effetti negativi delle azioni altrui,
lasciando che queste ultime si esauriscano naturalmente senza che,
per questo, ne derivi un danno per l'aikidoka. Solo in questo modo si
può giungere alla condizione di rendere vana la voglia e la volontà
aggressiva di un eventuale avversario e rimuovere quindi all'origine
il presupposto del suo attacco (condizione chiamata dal fondatore:
shin bu); infatti quand'anche, rimanendo nella logica
occidentale del
frangar, non flectar, si riuscisse a
sconfiggere l'avversario, poiché anche costui è in tale logica e
avendo di conseguenza subìto sicuramente dei danni, avrà ancora di
più la voglia e la volontà di rifarsi, alla prima occasione. In tal
modo la difesa è solamente provvisoria e apparente e si rimane
esposti facilmente all'evenienza di essere nuovamente attaccati
dall'avversario, che quindi continuerà a costituire una continua e
costante minaccia.
Questo è l'ambizioso traguardo spirituale, morale e sociale
dell'aikido, che chiede all'aikidoka di essere sempre
prioritariamente disposto a rinunciare alla finalità di ricercare la
sconfitta di colui che si è posto nel ruolo di avversario, al
contrario delle usuali discipline di combattimento che invece
accettano di lasciarsi coinvolgere nell'antagonismo ed in tale ruolo
si prefiggono lo scopo prioritario della risoluzione del conflitto
attraverso il combattimento, cercando a tutti i costi di infliggere
dei danni all'avversario anche a costo di ricevere anch'essi danni
notevoli, pur di essere riusciti a portare comunque i propri attacchi
all'avversario.
La difesa personale e l'arte marziale nell'aikido
L'aikido non è una disciplina finalizzata al combattimento e
fondata sulla ricerca dell'attacco risolutivo e del colpo offensivo
definitivo, ma si fonda invece sulla ricerca del migliore
comportamento difensivo atto ad evitare la contrapposizione e
favorire il disimpegno dal combattimento, con la finalità di
rimanere incolumi da danni ed offese: occorre quindi tener ben conto
di questa sua peculiare caratteristica quando si voglia parlare
dell'aikido nei termini di arte marziale e/o strumento di difesa
personale. Quando le tecniche di aikido venissero usate per attaccare
per primi portando un'offesa anziché usare queste tecniche per la
difesa, esse verrebbero di fatto private del fulcro portante su cui
si basa e si fonda la loro efficacia.
La difesa perseguita nell'Aikido diventa
perfetta quando
realizza quel comportamento che ottiene la perfetta immunità
dell'aikidoista da danni ed offese: pertanto questo obiettivo viene
sicuramente raggiunto innanzi tutto quando l'aikidoista riesce a non
farsi coinvolgere in un combattimento oppure, in subordine a ciò,
quando riesce a vanificare l'attacco dell'avversario ed a farlo
desistere dai suoi propositi aggressivi ed offensivi.
L'efficacia delle tecniche di aikido
Nell'aikido si opera una distinzione preliminare per definire cosa
s'intenda specificamente per "
efficacia". Se si
intende l'efficacia sotto il profilo prioritario ed esclusivo della
difesa in quanto tale, allora l'Aikidō può considerarsi idoneo ed
efficace nel raggiungere lo scopo della difesa personale, mentre se
si intende invece l'efficacia seguendo il principio assai diffuso
secondo cui il concetto di difesa è visto sotto il profilo
prioritario di riuscire ad arrecare all'avversario un'offesa
risolutiva del conflitto prima che l'avversario sia riuscito a
portare il proprio attacco risolutivo, allora la risposta non è più
certa, poiché non è questa la finalità dell'aikido dichiarata dal
suo fondatore, Morihei Ueshiba.
Infatti secondo i principi dell'aikido la difesa che consente la
risoluzione del conflitto non si ottiene nel momento in cui si è
causato all'avversario un'offesa od un danno risolutivo, poiché in
questo caso si devono porre in essere strategie e tattiche volte
all'offesa e non alla difesa e non si deve più quindi parlare di
tecniche di
difesa personale ma di
offesa personale,
raggiunta attaccando possibilmente l'avversario prima che sia lui ad
attaccare.
In quest'ultimo caso, poiché le tecniche di difesa personale
impiegate nell'aikido sono invece, secondo i principi di questa
disciplina, estremamente specifiche nel prevedere il compito della
difesa al punto che nella pratica dello studio dell'aikido sono
prefissati i ruoli di attacco e di difesa, difficilmente esse
manterrebbero la loro piena efficacia nel momento in cui fossero
stravolte nella loro naturale e nativa impostazione, cioè nel fine e
nello scopo specifico per cui esse sono concepite, il quale non è
quello di arrecare un'offesa attaccando per primi, ma quello della
realizzazione di un'efficace risposta di difesa basata sul
contrattacco. Perciò quando si affronta la questione dell'efficacia
delle tecniche di aikido è bene tener sempre presente che l'arte
strategica e la specialità tecnica distintiva di questa disciplina è
quella di perseguire un'azione tattica mirata ad evitare la
contrapposizione
fin dal suo possibile insorgere, attraverso
uno specifico comportamento di disimpegno difensivo, non finalizzato
all'attacco né tanto meno all'offesa.
La priorità strategica dell'aikidoka nella scelta della sua
azione tattica difensiva è quindi quella di arrivare alla
risoluzione del conflitto senza subire offesa, impiegando le tecniche
dell'aikido non nella ricerca di riuscire ad infliggere dei danni
risolutivi all'avversario, ma essenzialmente al fine di disimpegnarsi
da lui e dal combattimento stesso.
Nel contesto aikidoistico non si prende ovviamente in
considerazione l'uso a distanza delle armi da fuoco, ma
esclusivamente le possibilità di offesa e di difesa offerte dal
corpo umano a mani nude e consentite dal corpo a corpo, anche
eventualmente con l'impiego delle tradizionali armi bianche; i
criteri di difesa su cui si fonda l'Aikido mantengono però tutta la
loro valenza strategica, etica e morale, anche nel caso di conflitti
che vedano la contrapposizione di armi differenti, cambiando
naturalmente la parte tattica in modo opportuno ed adeguato secondo
l'esigenza d'uso e di impiego richiesto dai sistemi d'arma
utilizzati.
La corretta vittoria (正勝 吾勝 勝早日
masakatsu agatsu katsuhayabi)
Nell'aikido il successo nell'azione di disimpegno dal
combattimento è indicato come il traguardo della
corretta
vittoria (dal fondatore chiamata
正勝
masakatsu), per raggiungere la quale occorre allenare
non solo il corpo ma soprattutto lo spirito per conquistare la
padronanza di sé stessi (dal fondatore chiamata
吾勝
agatsu, cioè
vittoria su di sé stessi) al fine
di conseguire la capacità interiore della rinuncia al confronto,
privilegiando sempre ed in ogni caso la strada del superamento del
conflitto attraverso il disimpegno dall'antagonismo e dal
combattimento. In questo modo l'aikido persegue un tipo di difesa che
vanifichi l'attacco dell'avversario controllando perfettamente la sua
azione fin dal suo insorgere (condizione che il fondatore definiva
勝早日 katsuhayabi),
senza giungere a produrgli dei danni e delle offese: l'aikidoka si
pone cioè nella condizione di salvaguardare la propria incolumità
concedendo nel contempo all'avversario l'opportunità di convincersi
a desistere dai suoi propositi offensivi, prima che l'aikidoka debba
ricorrere, per legittima difesa, ad azioni coercitive nei confronti
dell'avversario nel caso questi perseverasse nei suoi propositi
offensivi reiterando il suo attacco.
La
corretta vittoria indicata dal fondatore e perseguita
dall'aikido (
正勝 吾勝 masakatsu
agatsu) si consegue dunque quando si è riusciti innanzi tutto ad
evitare di ricevere un danno a seguito di un attacco offensivo, ma
questo risultato da solo non è sufficiente se contemporaneamente non
si riesce a rimuovere all'origine ed esattamente nell'istante e nella
circostanza della sua insorgenza (
勝早日
katsuhayabi) anche la minaccia da cui il danno
potenziale poteva giungere. Per ottenere ciò all'aikidoka non è
sufficiente evitare le possibili conseguenze negative che possono
derivargli dagli attacchi di potenziali avversari; è anche
indispensabile che ai potenziali avversari si renda possibile la
convivenza civile e la conciliazione con l'aikidoka stesso,
utilizzando quindi un'azione difensiva nei confronti dell'avversario
che non gli infligga già fin dall'inizio dei danni irreparabili,
poiché questi giungerebbero a bloccare un possibile eventuale
positivo mutamento delle relazioni dell'avversario nei confronti
dell'aikidoka, in direzione meno conflittuale. L'aikido, offre
infatti la possibilità di scegliere un'azione di difesa estremamente
efficace ma non offensiva e qualora questa scelta sia sufficiente a
consentire di ottenere il perfetto controllo dell'avversario (
勝早日
katsuhayabi) e quindi la positiva risoluzione del conflitto,
ciò avviene
senza obbligare l'aikidoka a ricorrere all'offesa per
realizzare la propria difesa.
Il bagaglio tecnico dell'aikido, estremamente ampio e flessibile,
consente di scegliere una condotta d'intervento sull'azione
avversaria anche solamente per stornarne gli effetti potenzialmente
dannosi; in secondo luogo consente l'eventuale recupero
dell'avversario nei confronti delle sue relazioni con l'aikidoka in
quanto l'avversario, non essendo riuscito nel suo iniziale intento
offensivo e non avendo ancora subìto nel contempo dei danni
dall'azione difensiva dell'aikidoka, è ancora in tempo a scegliere
non solo di desistere dal suo manifestato atteggiamento offensivo nel
timore di dover soccombere qualora insistesse nel suo proposito, ma
può ancora anche scegliere di lasciarsi di buon grado condurre
dall'aikidoka verso il concepimento di un bene comune superiore a
quello del conflitto da lui originato ed eventualmente, memore del
rispetto ricevuto, lasciarsi condurre verso la realizzazione di una
socializzazione ed una pacificazione che lui prima non concepiva.
È questo il modo in cui, entro certi limiti, l'aikido può
consentire di rispettare l'integrità dell'avversario offrendo nel
contempo all'aikidoka la possibilità di sottrarsi agli effetti
dannosi dell'attacco di cui è fatto oggetto: il bagaglio tecnico
dell'aikido è talmente ampio e diversificato da consentire
all'occorrenza di portare anche efficaci azioni coercitive
sull'avversario e la sua integrità, in questo caso, potrà essere
condizionata dalla possibilità da parte dell'aikidoka di mantenere
comunque prioritariamente la propria incolumità, in accordanza con
il principio fondamentale della salvaguardia del diritto alla
legittima difesa in funzione dell'imperativo naturale dettato dalla
legge dell'istinto di sopravvivenza.
L'aspirazione a realizzare queste condizioni rendendo possibile
porre in atto la propria difesa senza dover obbligatoriamente
ricorrere all'offesa, è il traguardo spirituale ed il valore
etico e morale che l'aikido propone alla società civile.
La pratica
dell'aikido
Nella tradizione giapponese della trasmissione della conoscenza
dell'Aikidō, il Maestro
spiega l'Aikidō attraverso le
parole, fornendo la visualizzazione razionale della tecnica
rivolgendosi alla mente ed alla comprensione intellettuale
dell'allievo che quindi apprende la spiegazione della tecnica con la
mente ed il Maestro
insegna invece l'Aikidō attraverso
il corpo con l'esempio della propria pratica sul tatami, fornendo la
visualizzazione dell'esecuzione concreta e fisica della tecnica,
trasferendo
以心伝心 "I
shin den shin" all'allievo la corretta dinamica
fisica della tecnica attraverso la comunicazione del corretto impulso
interiore e della corretta postura della mente e dell'animo, che
costituiscono il presupposto ed il fondamento dell'efficacia dei
movimenti.
Il corpo è lo strumento cognitivo e di apprendimento dell'aikido
Solamente il trasferimento diretto della capacità fisica e
concreta di esecuzione della tecnica al di là della sua
razionalizzazione e comprensione intellettuale, ha la capacità di
generare nell'allievo il corretto apprendimento della tecnica
attraverso la ricerca dell'imitazione del Maestro, sia nel movimento
del corpo sia nell'azione del kokyū impresso dal Maestro allo
svolgimento dell'azione dinamica della propria tecnica.
L'ideogramma
心 shin
significa
cuore,
mente,
spirito.
以心 I shin
significa
di cuore o
dal cuore,
dalla mente,
dallo spirito.
伝心 den shin
significa
dire al cuore,
dire alla mente,
dire allo
spirito.
L'espressione
以心伝心 I
shin den shin significa dunque trasmissione per partecipazione
diretta del proprio animo, per coinvolgimento diretto nel medesimo
sentire, al di là delle parole, fra Maestro ed allievo.
Ciò significa che non si può trasmettere la conoscenza
dell'Aikidō solamente con le parole ed i concetti, cioè con delle
spiegazioni razionali di tipo cattedratico così come l'insegnamento
è normalmente inteso da noi in occidente. Nella tradizione delle
discipline orientali e del'Aikidō in particolare, la trasmissione
della conoscenza appartiene invece alla sfera più sottile e più
profonda del sentire, cioè del proprio intimo modo di essere non
solo sul tatami ma nella stessa vita quotidiana e del modo di porsi
in relazione alla pratica.
Il Maestro deve dunque avere la capacità non solo di spiegare
razionalmente ai suoi allievi le tecniche di Aikidō, ma deve
soprattutto essere in grado di insegnarle attraverso la dimostrazione
della dinamica del proprio corpo, nell'azione fisica e concreta di
fornire l'esempio di come la tecnica deve essere eseguita.
Per questo motivo tradizionalmente la lezione di aikido inizia con
esercizi di respirazione e concentrazione con cui il Maestro genera
attorno a sé quella particolare atmosfera di empatia fra gli allievi
e la sua persona che funge da stimolo all'emulazione e che induce
l'allievo ad apprendere a sua volta il movimento con il proprio corpo
per emulazione del Maestro, memorizzandola non con la mente e la
memoria del pensiero ma nel corpo stesso, sedimentandola nella
propria sfera istintuale attraverso l'azione eseguita dal proprio
corpo nella ripetizione sistematica degli stessi movimenti, finché
questi non diventino un'azione del tutto spontanea alla cui
esecuzione non necessiti più il supporto del ricordo mentale e del
pensiero.
La didattica dell'Aikidō è dunque un'attività assai delicata,
che necessita di essere adeguatamente sostenuta in entrambe le sue
due componenti essenziali: la spiegazione verbale, razionale e
concettuale delle tecniche, consistente nella comunicazione della
parte
esprimibile dell'Aikidō e l'insegnamento della parte
inesprimibile, consistente nella comunicazione
dell'apprendimento di una realtà che può avvenire esclusivamente
attraverso la trasmissione
以心伝心
I shin den shin.
L'Aikidō s'insegna quindi con l'esempio, s'impara per
imitazione ed emulazione del Maestro, si memorizza fisicamente nel
corpo e nella sfera istintuale.
Insegnamento significa trasmissione
以心伝心
I Shin den Shin, cioè trasmissione senza le parole ed
al di là delle parole.
Armi
Le armi utilizzate in aikido tradizionalmente includono:
jō
(bastone di legno),
bokken (spada di legno), e
tantō
(coltello). Oggi alcune scuole includono tecniche di disarmo. Viene
insegnato, talvolta, a trattenere armi, integrando gli aspetti armati
con quelli disarmati. Altri, come lo stile Iwama di Morihiro Saito,
solitamente trascorrono molto tempo con
bokken e
jō,
praticato rispettivamente sotto il nome di aiki-ken, e aiki-jō. Il
fondatore ha sviluppato gran parte dell'aikido a mano nuda dai
tradizionali movimenti di spada e di lancia, ma la pratica di questi
movimenti non è solo finalizzata a favorire la maggiore comprensione
sull'origine delle tecniche e dei movimenti, ma serve principalmente
a rafforzare i concetti di distanza, movimenti dei piedi, presenza
connessione con i propri compagni di allenamento.
Vestiario e gradi
Hakama viene ripiegata dopo la
pratica per preservarne le pieghe.
I praticanti di Aikido, (comunemente chiamati
aikidōka
fuori dal Giappone), generalmente valutano i progressi raggiunti con
la promozione attraverso l'avanzamento in una serie di "gradi"
(
kyū), seguito poi da un'altra serie di "gradi"
(
dan), nel rispetto delle procedure di esame formali. Alcune
organizzazioni di aikido utilizzano come cinture, semplicemente la
bianca e cintura nera, per distinguere i gradi dei praticanti e per
differenziare i gradi inferiori e superiori, anche se vengono
utilizzati alcuni colori di cintura. I requisiti d'esame sono
variabili, quindi un particolare grado all'interno di una
organizzazione non è paragonabile o intercambiabile con quello di
un'altra.. Alcuni dojo non consentono agli studenti di poter far
l'esame di
dan se non si sono raggiunti almeno i 16 anni
d'età.
grado |
cintura |
colore |
tipo |
kyū |
|
bianca |
mudansha / yūkyūsha |
dan |
|
nera |
yūdansha |
L'uniforme utilizzata per la pratica dell' aikido (
aikidōgi)
è similare all'uniforme utilizzata nella maggior parte delle arti
marziali moderne (
keikogi); semplici pantaloni con una giacca
avvolgente, solitamente di colore bianco. Vengono utilizzati con
cotone spesso ("judo"), e sottile nel ("karate").
Gli specifici cotoni dell'Aikido sono corti ed arrivano appena sotto
i gomiti.