Brahman (devanāgarī ब्रह्मन्,
lett. "sviluppo") è un termine sanscrito all'origine di
molteplici significati nelle religioni vedica, brahmanica e induista.
Differenti significati del termine Brahman
Il termine sanscrito Brahman
possiede differenti significati:
- nella sua accezione di nome "maschile", brahmān indica nei Veda un officiante del sacrificio vedico in grado di pronunciare i mantra relativi alla conoscenza ispirata;
- nella sua accezione di nome "neutro", brāhman indica nei commentari degli inni vedici denominati Brāhmaṇa il potere che ispira i cantori ṛṣi deputati alla trasmissione orale del sapere cosmico, ovvero "l'effusione del cuore nell'adorazione degli Dei" o la stessa invocazione (parola sacra opposta a vāc, parola umana);
- nella forma derivata brāhmaṇa indica sempre come nome "neutro":
- la prima delle quattro caste (varṇa): vedi brahmano;
- dei testi vedici scritti in prosa e commentari dei Veda: vedi Brāhmaṇa;
- nella successiva riflessione teologica e filosofica propria delle Upaniṣad vediche con il termine Brahman (nella forma "neutra") si indica l'unità cosmica da cui tutto procede: questo il significato più diffuso del termine;
- nel successivo Induismo con Brahman si indica anche Brahmā, il deva creatore.
Da notare che nelle quattro raccolte
degli "inni" dei Veda l'"origine primordiale"
viene indicata con il termine Tat (Quello) e non ancora con il
termine Brahman:
(SA)
«na mṛtyur āsīd amṛtaṃ
na tarhi na rātryā ahna āsīt praketaḥ ānīd avātaṃ
svadhayā tad ekaṃ tasmād dhānyan na paraḥ kiṃ canāsa»
|
(IT)
«Non c'era la morte allora,
né l'immortalità. Non c'era differenza tra la notte e il giorno.
Respirava, ma non c'era aria, per un suo potere, soltanto Quello,
da solo. Oltre a Quello nulla esisteva»
|
(Ṛgveda, X,129,2) |
Nei Veda il termine brahman
richiama esclusivamente l'attività sacerdotale e quindi la sua forma
"maschile", ad esempio nel Ṛgveda (X, 141,3) Brahman
è il nome di Bṛhaspati in qualità di sacerdote degli Dei.
(SA)
«somaṃ rājānam avase
'gniṃ gīrbhir havāmahe ādityān viṣṇuṃ sūryam
brahmāṇaṃ ca bṛhaspatim»
|
(IT)
«Invochiamo il re Soma in nostro aiuto, con i nostri canti e i
nostri inni; gli Āditya, Viṣṇu , Sūrya e il sacerdote
Bṛhaspati» |
(Ṛgveda, X,141,3) |
Origine del termine
Numerosi studiosi si sono occupati di ricostruire l'origine del termine brahman:- Jan Gonda fa riferimento, come d'altronde la cultura tradizionale indiana, alla radice di bṛh (forza);
- George Dumézil lo ha collegato al termine latino flamen;
- Paul Thieme rifiutando l'ipotesi di Gonda collega questo termine al greco morphē, quindi nella sua accezione di "forma", "formula";
- Louis Renou ritiene invece che il termine derivi dalla radice brah col significato di "esprimersi enigmaticamente";
- Jean C. Heesterman riassume queste posizioni e ritiene che l'origine del termine Brahman vada ricercato nei suoi collegamenti con l'epressioni delle formule sacre anche se la poliedricità della radice brah rende di fatto impossibile chiarirne l'origine.
Brahman e Brahmodya nella prima cultura vedica e nei Brāhmaṇa
Secondo Jean C. Heesterman il tema del
Brahman è collegato, nelle quattro raccolte degli inni dei
Veda alla contesa verbale, ovvero al rito del Brahmodya propria della
cultura vedica con particolare riferimento al sacrificio del cavallo
(aśvamedha). In questo contesto, prima del sacrificio i due
officianti si sfidavano con domande enigmatiche, colui che riusciva a
risolverle affermava di sé stesso:
(SA)
«brahmayāṃ vācaḥ
paramaṃ vyoma»
|
(IT)
«questo brahman è
il cielo più alto della parola»
|
Heesterman ricorda come queste contese
non erano affatto pacifiche, il concorrente che insisteva a sfidare
il vincitore con ulteriori enigmi avrebbe pagato con la sua testa i
suoi affronti.
Quindi il termine Brahman
originerebbe da una figura sacerdotale dell'India vedica vincitore
nelle gare sacrificali poetico-enigmatiche. Con l'ingresso della
letteratura in prosa dei Brāhmaṇa si osserva, a partire dal X
secolo a.C., un radicale cambiamento: al rituale agonistico si
sostituisce il rituale rigidamente codificato e pacifico.
«Questo cambiamento fondamentale è espresso in modo
interessante in un mito ritualistico che narra della competizione
sacrificale decisiva tra Prajāpati e Mṛtyu, o morte (Jaiminīya
Brāhmaṇa, 2,69-2,70). Prajāpati conquista la vittoria
finale perché riesce a "vedere" l'analogia, che gli
consente di assimilare la panoplia sacrificale dell'avversario e
di eliminarlo quindi in maniera definitiva. Conclude il testo: "da
allora non vi furono più contese sacrificali» |
(Jean C.
Heesterman. Op.cit.
pag.57)
|
Nel contesto dei Brāhmaṇa il Brahman
da espressione dell'"enigma cosmico" oggetto di
competizione sacerdotale, diviene la stessa formula sacrificale
oggettiva e trascendente che si concretizza nel rituale.
Come evidenzia David M. Knipe la
divinità che incarna e centralizza questo processo nei Brāhmaṇa è
Prajāpati che lega l'antico Puruṣa vedico, ovvero colui che
istituisce il sacrificio, l'impersonale Brahman (potere della
formula sacra) e infine il dio personale Brahmā.
Così il Ṛgveda (X,90,7-8):
(SA)
«taṃ yajñam barhiṣi
praukṣan puruṣaṃ jātam agrataḥ tena devā ayajanta sādhyā
ṛṣayaś ca ye tasmād yajñāt sarvahutaḥ sambhṛtam
pṛṣadājyam paśūn tāṃś cakre vāyavyān āraṇyān
grāmyāś ca ye»
|
(IT)
«Quel Puruṣa, nato ai
primordi, essi [gli Dei] lo aspersero come vittima sacrificale
sull'erba. Con lui gli Dei, i Sādhyā e i cantori compirono il
sacrificio. Da quel sacrificio completamente offerto fu raccolto
il burro coagulato: esso divenne animali, quelli dell'aria, quelli
della foresta e quelli dei villaggi»
|
(Ṛgveda (X,90,7-8)) |
Così, ad esempio, il Samāvidhāna Brāhmaṇa (I,1,3)
(SA)
«brahma ha vā idam agra
āsīt tasya tejoraso 'tyaricyata sa brahmā samabhavat sa tūṣṇīṃ
manasādhyāyat tasya yan mana āsīt sa Prajāpatir abhavat»
|
(IT)
«In origine vi era il
Brahman soltanto; poiché il succo della sua forza si espandeva,
divenne Brahmā. Brahmā meditò in silenzio con la mente e la sua
mente divenne Prajāpati»
|
(Samāvidhāna
Brāhmaṇa (I,1,3))
|
Sylvain Lévi
osserva:
«Il sacrificio come
Prajāpati è anteriore a tutti gli esseri, poiché questi non
potrebbero sussistere senza di esso; esso nasce anche dai soffi
della mente, poiché è essenzialmente mentale. [...] [Prajāpati]
è altresì figlio delle Acque, poiché le Acque sono il principio
della purezza rituale; oppure del Brahman, la formula
sacra, poiché non c'è separazione tra rito e liturgia»
|
(Sylvain Lévi. La
dottrina del sacrificio nei Brāhmaṇa.
Milano, Adelphi, 2009, pag.46) |
Il Brahman nelle Upaniṣad
Nato come sostantivo maschile negli
inni dei Veda per indicare sia le figure sacerdotali che durante il
sacrificio competitivo esprimono dei mantra enigmatici sul cosmo che
lasciano non espressa la risposta sia le stesse espressioni
enigmatiche, nei Brāhmaṇa, il brahman (sostantivo neutro)
diviene il mantra rituale codificato, e il suo potere, che
deve essere semplicemente appreso e conservato a memoria dal brahmano
e recitato durante i riti.
Con le Upaniṣad si passa ad indagare
la natura di questo Brahman che diviene l'origine di ogni
cosa, l'Assoluto:
«Invisibile, inafferrabile,
senza famiglia né casta, senza occhi né orecchie, senza mani né
piedi, eterno, onnipresente, onnipervadente, sottilissimo, non
soggetto a deterioramento, Esso è ciò che i saggi considerano
matrice di tutto il creato. Come il ragno emette [il filo] e lo
riassorbe, come sulla terra crescono le erbe, come da un uomo vivo
nascono i capelli e i peli, così dall'Indistruttibile si genera
il tutto.»
|
(Muṇḍaka Upaniṣad,
I,1,6-7) |
E che si identifica con il principio
individuale, l'ātman:
(SA)
« tasya kva mūlaṃ
syād anyatrādbhyaḥ adbhiḥ somya śuṅgena tejo mūlam
anviccha tejasā somya śuṅgena sanmūlam anviccha sanmūlāḥ
somyemāḥ sarvāḥ prajāḥ sad āyatanāḥ satpratiṣṭhāḥ
yathā nu khalu somyemās tisro devatāḥ puruṣaṃ prāpya
trivṛt trivṛd ekaikā bhavati tad uktaṃ purastād eva
bhavati asya somya puruṣasya prayato vāṅ manasi saṃpadyate
manaḥ prāṇe prāṇas tejasi tejaḥ parasyāṃ devatāyām
sa ya eṣo 'ṇimaitad ātmyam idaṃ sarvam tat satyam sa ātmā
tat tvam asi śvetaketo iti bhūya eva mā bhagavān vijñāpayatv
iti tathā somyeti hovāca »
|
(IT)
« "E, dove
risiederà la radice del corpo se non nell'acqua? Analogamente se
riteniamo il germoglio l'acqua, figlio mio, il calore (tejas)
sarà la sua radice. Se consideriamo il calore un germoglio
l'essere (sat) sarà la radice. Tutti i viventi hanno le
proprie radici nell'essere (sat), si basano sull'essere, si
sostengono sull'essere. Ora mio caro ti è stato detto come queste
tre divinità pervenute nell'uomo siano divenute triplici. Quando
un uomo muore, mio caro, la parola rientra nella mente,la sua
mente rientra nel soffio vitale, il soffio vitale rientra nel
calore e questi rientra nella suprema divinità. Qualunque sia
questa essenza sottile, tutto l'universo è costituito di essa,
essa è la realtà di tutto, essa è l'Ātman. Quello sei
tu (Tat tvam Asi) o Śvetaketu!". "Continua il
tuo insegnamento o signore!". "Bene, mio caro" gli
rispose. »
|
(Chāndogya Upaniṣad VI, 8,
6-7) |
«Al principio in questo
universo soltanto il Brahman esisteva. Illimitato verso l'oriente,
illimitato verso il mezzogiorno, illimitato verso l'occidente,
illimitato verso settentrione, illimitato di sopra, illimitato da
ogni parte. Esso è costituito di etere. Da questo etere esso
desta questo universo. Da questo esso sorge e in esso va a finire.
Di questo Brahman la forma luminosa è quella che arde nel sole
lassù, nel fuoco senza fumo [e nel cuore]. Quello che è nel
fuoco e quello che è nel cuore e quello che è nel sole, sono in
realtà una sola cosa. Nell'unità con l'Uno va colui che così
sa »
|
(Maitrāyaṇīa Upaniṣad VI,17) |
Esso è l'Oṁ:
« L'Oṁ è tutto l'universo. Ecco la sua
spiegazione: Passato, presente e futuro, tutto ciò è Oṁ.
E anche ciò che va oltre il tempo, che è stato, è e sarà è
Oṁ. Infatti ogni cosa è il Brahman. L'Ātman è
il Brahman » |
(Māṇḍūkya Upaniṣad,
1-2) |
La forma personale del Brahman (Brahman Saguṇa)
Con il progressivo sviluppo di
approfondimenti teologici il Brahman impersonale
indifferenziato (nirdvaṃdva) divenne oggetto di un processo
di personalizzazione in divinità specifiche, principalmente nella
figura dei deva Viṣṇu e Śiva.
Un paragone con altre religioni
Alexandre Saint-Yves d'Alveydre propone
questa interessante assonanza del nome con quello di Abramo
affermando che: “Abraham è, come Brahmâ, il Patriarca dei Limbi e
del Nirvana... I Brahmi dicono "estinguersi in Brahmâ",
così come gli Ebrei dicono "addormentarsi nel seno di Abramo",
vale a dire ritornare nei Limbi.”