martedì 5 maggio 2020

Perchè un praticante di arti marziali riesce a spaccare una tavoletta di legno facilmente

Tameshi Wari


Credo sia innanzitutto importante fare una distinzione: fondamentalmente ci sono due categorie di marzialisti che “spaccano cose”.
1 - I non professionisti a cui viene insegnato a spaccare le tavolette, soprattutto in occidente.
2 - I praticanti professionisti di stili “duri” come il Kyokushin o lo Shaolin Quan, che si allenano anni ed anni per condizionare mani e tibie.
I primi sono quelli che si vedono più spesso, la classica scuola di karate o di taekwondo dove gli studenti spaccano la tavoletta di legno, spesso in occasione degli esami di passaggio di grado. È un gesto abbastanza spettacolare, ma non richiede particolari abilità, a parte un po' di concentrazione e di coordinazione. Lo fanno anche ai corsi di coaching e ai corsi motivazionali, come gesto liberatorio e che genera autostima (un po' come il fire walking: lo fai per poter dire a te stesso “ce l'ho fatta”). Parlo con cognizione di causa: la mia ex fidanzata (45 kg, nessuna esperienza marziale, forma fisica nella media) l'ha fatto senza difficoltà su una tavoletta di quasi 2 cm. In pratica il trucco è crederci e colpire come se non si dovesse incontrare resistenza: si tratta comunque di tavolette di legno secco senza nodi, da rompere nel senso delle venature.
I secondi fanno un lavoro completamente diverso, allenandosi per sviluppare il “callo osseo”, in modo da indurire le parti del corpo che colpiscono e desensibilizzare le terminazioni nervose che trasmettono il dolore dell'impatto. Tutti i praticati di Arti Marziali hanno bisogno di un certo grado di condizionamento (altrimenti si metterebbero a mugolare al primo pugno arrivato a segno), ma portato all'eccesso questo tipo di allenamento permette di sviluppare mani dure come la pietra. A questo fine si fanno allenamenti durissimi: pugni contro gli alberi, muri, sabbia, ghiaia, calci su travi di cemento… Tutto fondamentalmente per trasformare le mani in “clave” con cui menare l'avversario. Un modo piuttosto primitivo di allenarsi a mio parere, ma sicuramente efficace. In rete si trovano facilmente video di atleti che abbattono alberi a calci o sfondano mattoni e tegole a pugni: tutto vero. Si sono allenati al punto di avere arti durissimi e di non sentire più dolore.
Il problema è che i danni sono irreversibili e questo tipo di condizionamento porta alla morte delle terminazioni nervose, con conseguente perdita della capacità di usare agilmente le dita (mi stupirei molto di vedere nella stessa persona la capacità di demolire un muro a mani nude e di suonare il violino o il pianoforte). Il gioco vale la candela?
Si chiama Legge di Wolff, in pratica, gli artisti marziali si procurano nel corso del tempo tramite gli esercizi preparatori delle microfratture ossee che con la ricalcificazione e rimineralizzazione rendono le ossa man mano sempre più dure e in grado di sopportare impatti maggiori (c.d.: osteoaddensamento).
La legge suddetta enuncia “Ogni cambiamento nella funzione di un osso è seguito da alcuni cambiamenti definitivi nella sua architettura interna e nella sua conformazione esterna.”




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